Chapter
15: The end of everything
"Ho
caldo.".
Lloyd riusciva a pensare solo a
questo, e ogni qualvolta provava a cambiare discorso subito la sua
mente lo
rimetteva su quell'indirizzo, talvolta anche in modo non proprio
delicato.
Provava una calura insostenibile e si sentiva oppresso, quasi come se
fosse
schiacciato da qualcosa di vivo e pulsante. Eppure attorno a lui non si
scorgeva niente e nessuno, solo un tetro paesaggio nero come la pece.
Almeno pensava di non vedere
niente, perché forse era proprio lui a volere
così. In realtà sapeva benissimo
cosa avrebbe visto se solo si fosse sforzato, ma era proprio questo il
punto:
non lo voleva fare. Aveva ripensato anche troppo a quella maledetta
cosa, gli
metteva un'ansia spaventosa addosso della quale non riusciva
più a liberarsi. E
sentiva che in quel momento ripensarci era la cosa meno indicata da
fare.
Ma era più forte di lui, più
tentava di ignorarla e più quella tornava prepotente dagli
angoli più remoti
della sua mente. Era fin troppo allettante col suo strano ma piacevole
calore,
col suo colore scuro che non faceva male agli occhi e con quel suo
pulsare
sgraziato eppure ritmico. Più si intimava di resistere e
più acquisiva
consapevolezza che avrebbe ceduto di lì a poco.
"Fanculo" pensò
frustrato da quel continuo tira e molla "Tanto vale che la guardi e la
faccia finita. Poi non ne voglio più sapere niente!".
Così volse lo sguardo dove lo
strano muro si era sempre trovato. E infatti eccolo lì,
sempre occupato ad
emettere quel calore alieno e a pulsare vistosamente. A Lloyd questa
volta sembrò
molto più intensa delle precedenti, come se da un momento
all'altro la parete
si dovesse squarciare. E a giudicare dall'inclinazione che assumeva
ogni
qualvolta che "bussavano" non doveva mancare molto alla sua rottura.
Il Deino avvertì quasi subito il
suo richiamo. Nonostante sentisse un minimo della sua influenza
già prima
adesso che ne riconosceva la presenza era diventato un peso quasi
insostenibile. La sua volontà gli diceva di resistere a quel
richiamo
ingannatore - perché sicuramente cedere avrebbe significato
pagare un prezzo
altissimo - ma qualcos'altro lo spingeva verso quel calore. Lloyd non
riusciva
a capire cosa fosse quella forza che lo stava pian piano divorando, ma
ne aveva
paura. Molta paura.
L'invocazione non aveva né parole
né suoni, ma Lloyd la sentì benissimo quando
arrivò. Si sentiva assediato da
tutti i lati, oppresso da quel moto invasore che mirava a fargli
perdere il
controllo di sé stesso, ed era una sensazione orribile e
molto piacevole al
tempo stesso. Da una parte infatti sentiva la morsa del gelo che quella
trappola gli avrebbe potuto riservare, mentre dall'altra avvertiva
quell'insidioso caldo. Non sapeva di chi fidarsi, di sé
stesso oppure della
tentazione.
Questa battaglia psicologica durò
per quelli che a Lloyd sembrarono anni. Era dilaniato dal dubbio. Se
avesse
ceduto quali conseguenze ci sarebbero state? E se invece avesse
resistito cosa
si sarebbe perso? Era meglio agire in un modo o in un altro? A queste
domande
non riusciva a trovare risposta, e ogni volta che pensava di aver
trovato la
soluzione ritornava la tentazione a stroncare ogni certezza.
"Cosa devo fare?" si
domandava disperato "Cosa devo fare? Non lo so, non lo so. Accettare o
rifiutare? Si tratta solo di questo, sarebbe anche una scelta facile.
Seh,
magari.".
Alla fine della fiera i suoi
pensieri risultarono piuttosto ridondanti, senza approdare a nulla di
concreto.
Continuava a ripetersi le solite due o tre frasi, e alla fine anche lui
si
stancò di quella specie di farsa auto creata. La
verità era una sola, e sarebbe
stata visibile anche ad un cieco: stava per cedere, e qualcosa gli
diceva che doveva. Sentiva che
quello che stava per
fare era sbagliato, terribilmente sbagliato, ma non riuscì a
resistere oltre.
Alla fine il Deino dovette
riconoscere la sconfitta, e si lasciò andare. Chiuse gli
occhi e cominciò a
camminare verso il muro. Il tragitto sembrò durare interi
eoni, ma alla fine
giunse di fronte ai blocchi di pietra. La osservò meglio:
non sembrava avere
inizio né fine, e si estendeva senza limiti in quel
paesaggio tetro.
Gli basto poggiarvi sopra una
zampa che le pietre cominciarono a cadere. La muraglia finalmente
crollò, e ciò
che vi si trovava oltre si riversò verso di lui.
Sentì il suo corpo essere
avvolto da una marea di sensazioni indefinibili e oltre ogni
immaginazione.
Avvertì una vampata di fuoco e di
energia senza precedenti. Non aveva mai sperimentato nulla di simile,
quasi si
spaventò. Ma immediatamente arrivò il calore
tanto millantato in precedenza, e
anche di più. Sentì di starsi fondendo col fuoco
e che il suo sangue fosse
sostituito come da lava liquida tanto lo sentiva ribollire. La testa
prese a
pulsargli, e tutti i muscoli del proprio corpo si contrassero.
Respirò a
scatti, e quando tentò di aprire gli occhi non vide nulla.
Capì troppo tardi di aver preso
del tutto il controllo di sé stesso.
***
Non
riusciva più a muoversi, e a
malapena formulava qualche pensiero sconnesso. I suoi occhi erano
spalancati e
gli facevano male, ma non riusciva a chiuderli. Tutti i muscoli erano
contratti
e sentiva di star leggermente tremando, ma per quanto ci stesse
provando non
poteva fare nulla per impedirlo.
Rimase a fissare il soffitto
sopra di lui per un tempo indefinito. Mentre rimaneva immobile dentro
Neville
era in corso una lotta: da una parte lui, che lottava per riacquisire
il
controllo di sé stesso seppur debolmente, e dall'altra...
qualsiasi cosa ci
fosse. Neville non aveva idea di quel che era successo, anche se gli
pareva di
aver letto in un libro di una cosa del genere molto tempo addietro.
Ma di una cosa era terribilmente
certo: se si fosse lasciato sopraffare sarebbe sicuramente morto. Non
sapeva da
dove questa conclusione era arrivata, ma era come se fosse un
presentimento.
Non sarebbe stato di certo strano, con tutti i problemi fisici che
aveva. Solo
che non se l'era aspettato per quel momento. Non si era preparato, e il
malore
lo aveva colto totalmente alla sprovvista. E adesso rischiava di
soccombere
prima di aver portato a termine il proprio scopo.
"Non deve succedere!".
Questo limpido pensiero fu uno dei pochi ad avere un senso formulato
dalla
mente di Neville in quel frangente critico. Risuonò forte
come una campana in
mezzo a tutta la confusione che dilagava, e sembrò che il
suo eco dovesse
presto dissolversi. Ma tanto fu sufficiente a dare all'uomo la forza
per
resistere. Era stato capace di realizzare in un pensiero l'obbiettivo
della sua
forza di volontà, così non si arrese.
Ogni tanto riusciva ad acquisire
quel tanto di controllo da consentirgli di emettere un respiro o un
gemito
strozzato, anche se era perfettamente consapevole che nessuno sarebbe
accorso
in suo aiuto. L'aria dalla bocca passava a malapena, e i polmoni
facevano uno
sforzo disumano per pompare quel filo di ossigeno che gli aveva
consentito di
non morire per mancanza d'aria.
Finalmente, quando la lotta
interiore durava già da un bel po', riuscì ad
avere temporaneamente la meglio e
a guadagnare alcuni attimi di pausa. Quando avvertì la sua
mano sinistra che si
muoveva leggermente decise di provare a recuperare il barattolo delle
pillole,
il quale si trovava a non molta distanza dal suo arto.
Le dita si mossero dapprima con
una lentezza opprimente, man mano con maggiore coordinazione e
velocità. Con
esse artigliò letteralmente le mattonelle del pavimento per
trascinarsi dietro
anche l'inerte braccio, e con molta fatica si portò a poca
distanza dal
barattolino. Giaceva aperto, e una pillola era rotolata non molto
lontano. A
Neville sembrava che ce ne fossero due, ma probabilmente la seconda si
era
persa chissà dove.
Con uno sforzo inconcepibile
anche a lui stesso riuscì pian piano prima ad avvicinarsi e
poi a prendere la
pillola. Quando sentì che la "cosa" stava riprendendo il
sopravvento
portò lentamente la mano alla bocca, e si lasciò
scivolare la pillola in gola.
Deglutì con molta fatica, e non poté far altro
che aspettare.
Nel mentre dell'attesa gli sembrò
di sentire una dolce melodia. Probabilmente erano i deliri partoriti
dalla sua
mente malandata, ma non potendo fare altrimenti l'ascoltò.
La voce che
l'intonava era celestiale, e lo invitava a lasciarsi andare al torpore
che
sentiva vicino. L'uomo fu quasi tentato di accettare, ma qualcosa
dentro di lui
gli consigliò di non farlo, e Neville gli diede ascolto. Gli
sembrava fin
troppo sospetta quella cosa, ed essendo sopravvissuto lui per molti
anni in
quel mondo selvaggio decise di fidarsi di sé stesso.
Capì di aver vinto, almeno per
quel momento, quando riuscì a sollevare il braccio destro e
a portarsi la mano
alla faccia. Se la stropicciò, tentando di scacciare la
stanchezza che lo
attanagliava, e vi riuscì in parte.
Riuscì, non seppe nemmeno lui
come, a rimettersi in piedi. Prima rotolò malamente su un
fianco, poi muovendo
le braccia e inarcando le gambe si creò dei solidi appoggi
sul pavimento,
attraverso i quali provò con successo a risollevarsi. Si
sostenne al tavolo per
tirarsi su, e quando ce l'ebbe fatta con una mano tremante si
asciugò il sudore
dalla fronte. Se la passò leggermente anche tra i capelli
corti, e li sentì
fradici.
Guardò la finestra e notò che era
scesa da tempo l'oscurità, in quanto sembrava notte fonda.
Si mise a respirare
profondamente, e sedette su una sedia, prendendo a pensare. "Merda,
è già
passato tutto questo tempo. Era l'ultima pillola, l'altra
chissà dove cazzo è
finita. Oramai manca poco.".
Poi gli sembrò vedere dei
movimenti al di fuori della finestra. Sospettoso, si portò
di soppiatto alla
finestra, e si sporse leggermente. Dapprima i suoi occhi faticarono ad
abituarsi al buio, ma appena ci riuscì ecco la rivelazione.
Gli sembrò di
vedere delle sagome muoversi ad alcune decine di metri di distanza.
Delle
sagome mostruose. Ed erano dirette verso l'abitazione.
In quel momento capì che era
finita. Si doveva sbrigare.
***
La
casa era illuminata, ciò
voleva dire che dentro vi era qualcuno. Solo al piano terra si
intravedevano
delle luci, mentre al piano superiore c'era solo buio. Ma anche con la
luce
nessuna figura si stagliava contro il vetro delle finestre.
- Restate immobili, e soprattutto
allerta.
Gli ordini di Olston si erano limitati
a questo, in attesa che desse il segnale per attaccare. Si erano
appostati sul
lato ovest della casa, al riparo di alcune rocce e piccoli cumuli di
terra.
Pensavano di essersi mossi abbastanza cautamente, e non credevano di
essere
stati visti da chicchessia, per cui si sentivano sicuri nelle loro
postazioni.
Però stavano costantemente sul chi vive, in attesa che il
Gabite desse il via
libera.
Avrey si trovava assieme ad
Olston, John e Pearl, appostato dietro una collinetta. Tutti stavano
scrutando
intensamente la casa, cercando di captare il minimo segnale di vita,
anche se
fino a quel momento non avevano avuto molto successo. Pearl aveva
congiunto le
zampe a mo' di binocolo, nella vana speranza che ciò potesse
agevolarle la
vista.
Avevano corso per due ore buone,
forse tre. Erano partiti appena era calata la sera, ed erano arrivati
lì una
decina di minuti prima. Quei venti chilometri erano indubbiamente stati
i più
lunghi delle loro vite, soprattutto per Avery. Non si era mai ritrovato
a
correre così, nemmeno durante lo scontro con la Banda di
Kaiden. Era
un'esperienza nuova, emozionante e al tempo stesso terrificante.
Nessuno
sembrava rendersene conto, ma probabilmente in quel preciso istante
stavano
tutti rischiando la propria vita. Di nuovo.
Restarono lì in attesa per minuti
interi, forse anche ore. Olston continuava a scrutare la casa, risoluto
ed
imperturbabile al tempo stesso. Nessuno fiatava per paura di scatenare
in lui
una reazione del tutto inaspettata. Anche Sanford se ne stava zitto
nella sua
postazione. Nonostante ciò la tensione impregnava l'aria
della propria
nauseabonda presenza.
Finalmente, apparentemente senza
che fosse successo nulla di particolare, Olston si alzò e
con un cenno
dell'artiglio sinistro indicò agli altri di avanzare piano.
Allora tutti gli
altri si alzarono, cominciando a dirigersi lentamente verso la casa,
cercando
di appiattirsi col terreno il più possibile. Mentre
avanzava, Avery non poté
fare a meno di gettare occhiate ai suoi compagni. Gli rimasero impresse
soprattutto le loro espressioni, in alcuni risolute, in altri
colleriche, in
altri insicure, in altri imperturbabili. Il Machop si stupì
della grande
varietà di volti che vide quella notte. Non aveva mai visto
una cosa del
genere, chissà che quella nottata cruciale non gli
riservasse ancora qualche
sorpresa. Essendo ancora relativamente giovane doveva imparare a
scoprire il
mondo di lì a poco.
Arrivarono tutti a poco più di
dieci metri dalla casa, Olston in testa. Sembravano quasi degli
Stunfisk, tanto
erano piatti. Anche chi aveva il ventre prominente cercava di farsi il
più
piccolo possibile, pur non avendo molto successo. Questo ad Avery
riuscì meglio
dato il suo fisico minuto da forma base.
Accadde all'improvviso.
Un'esplosione, una sfera viola volò via, e al gruppo piovve
addosso una marea
di mattoni staccatisi dal tetto e pezzi di legno. Qualcuno si
alzò in piedi,
spaventato.
Subito dopo una seconda
esplosione e un altra sfera viola sferzò l'aria, perdendosi
chissà dove nel
cielo. Questa volta tutti si rimisero in piedi, ed osservarono
stupefatti
quello che stava accadendo. Altri mattoni caddero sul gruppo, e
qualcuno venne
colpito. Si udì un ruggito provenire dall'interno della
casa, e ad Avery parve
di riconoscere vagamente la voce che lo aveva emesso.
Ma il colpo fatale fu il terzo.
Dopo un'altra esplosione metà della casa crollò
letteralmente addosso al
gruppo. Qualcuno fu in grado di scansarsi o di fare un balzo e di
atterrare al
di fuori della portata dei detriti, frutto di anni di addestramento e
pratica.
Ma la maggior parte del gruppo, Avery compreso, non fu così
fortunata.
Investiti in pieno da un fiume di
travi e pietre, la maggior parte di loro scomparve sotto le macerie.
Accadde
tutto talmente in fretta che quasi nessuno ebbe il tempo di urlare. In
men che
non si dica Avery si ritrovò oppresso da un peso forse
eccessivo per lui,
trovandosi schiacciato sotto uno spesso strato di pietre e anche al di
sotto di
un pezzo di trave.
Per sua fortuna non era stato
sommerso dai detriti più grossi. Non perse tempo. Nonostante
ci avesse
impiegato molta fatica alla fine che la fece a riemergere. Quando fu
fuori per
metà, fino alla vita, vide che non era il solo ad essersi
parzialmente
liberato. Olston erano già quasi del tutto fuori, mentre
John, Thor, Cirian,
Ioseph e qualche d'un altro stavano lottando per uscire fuori dalle
rovine.
Avery alzò per un attimo lo
sguardo. La casa giaceva sventrata davanti a loro, come se fosse stata
malamente tagliata in due. Si vedevano perfettamente gli interni delle
stanze,
con tutti i mobili, gli utensili e quant'altro. Ma era vuota.
All'improvviso l'aria fu
squarciata dall'urlo di Olston.
- Laggiù!
Indicò una direzione con
l'artiglio.
- E' là! Sta scappando!
Molti, tra cui Avery, seguirono
con lo sguardo la direzione indicata dal Gabite. E quando la vista si
posò
sulla cosa indicata il Machop e molti altri non poterono fare a meno di
trasalire. Una figura alta e slanciata, seppur non di molto rispetto a
loro e
anche più minuta di corporatura, stava correndo via. O per
meglio dire arrancando,
anche se si trovava già ad una considerevole distanza da
loro.
- Presto, chi può venga con me!
Augustine - si rivolse adesso alla Audino, appena liberatasi dalle
macerie -
Entra dentro e trova gli altri. Tutti gli altri, prendetelo!
***
-
Hmm... ah...
Quando riprese i sensi Finley si
sentì oppresso. Era come se stesse venendo schiacciato da
qualcosa, e con
quella poca energia che si ritrovava riuscì a far scivolare
di lato quel
qualcosa che gli stava sopra. La cosa scivolò come un sacco
di patate sul
fianco, giacendo immobile a terra.
Finley si portò un'ala alla
testa. Gli faceva male, e non solo quella, e non era per niente una
bella
sensazione quella di svegliarsi e di sentirsi tutto dolorante. Appena
si sfiorò
il collo con una piuma ritrasse immediatamente l'arto, atterrito.
Già solo
sfiorare il collo gli faceva male, figuriamoci.
- Ahia...
Appena sveglio si ricordò tutto.
Rammentò degli ultimi momenti di "libertà",
quando l'umano aveva
colpito Gregory alle spalle. Ricordò il corpo che cadeva
malamente, e ricordò
di aver provato a scappare. Il tentativo di fuga era stato seguito da
un
violento colpo alla schiena e dal muro che si avvicinava ad una
velocità
vertiginosa. Poi il buio.
Curioso di sapere cosa lo stesse
schiacciano il Rufflet gettò un occhiata alla sua destra, e
si accorse che la
cosa che lo opprimeva era il corpo di Gregory. Non aveva avuto la
minima
reazione ai suoi movimenti, e giaceva ancora immobile dove Finley
l'aveva
costretto a scivolare. Il Rufflet, preoccupato, si avvicinò
al compagno per
accertarsi delle sue condizioni.
- G-gregory?... T-utto bene?
Nessuna risposta. E soprattutto
nessuna reazione di nessun tipo da parte del Dewott.
- Gregory?
Stavolta Finley si chinò verso il
Dewott senza sapere nemmeno perché. Poi capì il
motivo di quello che stava
facendo, e avvicinò l'orecchio al petto del Dewott. Lo
appoggiò nella parte
sinistra, dove stava il cuore. Ma per quanto si sforzasse, il pokemon
Aquilotto
non riuscì a sentire nulla. Possibile che...
"N-no, non può
essere..." pensò incredulo "C-ci deve essere per forza un
errore...
non può essere...".
E solo allora si accorse di
Lloyd. Il suo migliore amico era in piedi nel lato opposto della stanza
in cui
si trovavano, e gli dava le spalle. Era perfettamente immobile sulle
quattro zampe,
e nulla sembrava turbarlo. Sembrava non respirare da quanto era
apparentemente
calmo, e a giudicare dalla postura doveva essere in quella posizione
già da un
bel po'.
- L-lloyd?
Il Deino rimase immobile, e non
diede nemmeno segno di aver sentito.
- Lloyd? Amico mio? Lloyd?
Lloyd questa volta sembrò aver
sentito, e cominciò lentamente a girarsi. Finley sorrise di
sollievo, almeno il
suo amico stava bene.
Ma il sorriso gli morì presto sul
becco. Notò subito che c'era qualcosa che non andava, lo
capì dai movimenti
stranamente meccanici, come se l'energia stesse venendo a stento
repressa
all'interno del corpo. In definitiva non sembra che si stesse movendo
di
volontà propria, quasi fosse solamente un burattino nelle
mani di un
burattinaio alle prime armi.
Ebbe la conferma che c'era
qualcosa di terribilmente sbagliato nell'amico quando vide la sua
espressione:
la bocca contorta in un orribile ghigno, il quale metteva in mostra
tutti i
suoi denti. Da un angolo del "sorriso" gli colava un rivolo di
sangue, mentre i denti dovevano essere sottoposti ad una pressione
fortissima
visto il rumore stridente che producevano. I muscoli della faccia erano
tutti
contratti e sottoposti ad uno sforzo notevole a giudicare dal loro
pulsare.
Gli occhi di Lloyd poi non
c'erano nemmeno. La pupilla sembrava essere sparita, lasciando il posto
solo al
bianco del resto del bulbo. Erano ben evidenziate le venette rosse che
lo
attraversavano, dandogli un aspetto a dir poco spaventoso. Sembrava
totalmente
fuori di sé. E fu in quel momento che Finley capì.
"No, dimmi che non è vero,
dimmi che non è vero, dimmi che non è...".
Lloyd non fece nulla, e la sua
espressione non mutò minimamente. Era come se nessuno gli
avesse parlato, e
continuò a mantenere quel portamento inquietante. L'unica
che fece fu quella di
abbassare il capo per qualche strano motivo. Rivolse la testa in
direzione di
Finley, come fosse pronto per caricarlo, e prese a grugnire verso di
lui. Prese
a respirare regolarmente, anche se si sentiva che lo faceva con fatica.
I suoni
gutturali riecheggiavano nella stanza, e il suo respiro si condensava
in
nuvolette quasi come se fossero all'aperto.
- Lloyd?
Finley si avvicinò molto
lentamente al Deino. Voleva verificare che fosse per davvero entrato
nello Stato,
ma non voleva stimolarlo a diventare distruttivo. Cercò di
limitare i propri
movimenti il più possibile, cercando di non essere
né brusco né avventato.
- Lloyd? Stai bene?
Nessuna risposta. Allungò un'ala
verso l'amico, nella speranza che il suo tocco lo potesse far rinsavire
in
qualche modo da quella strana condizione in cui era caduto.
Sfiorò appena il
ciuffo di pelo che andava a coprire il volto del Deino, e a giudicare
dalla sua
reazione fu un grossissimo errore.
Lloyd alzò bruscamente la testa
ed eruppe in un violento ruggito, pregno di odio e di furore. Una
cascatella di
bava e sangue gli fuoriuscì dalla bocca assieme alla
gutturale minaccia,
conferendogli un aspetto ancora più grottesco. La
fuoriuscita di liquidi
imbrattò anche le piume di Finley, che si ritrasse
disgustato ed impaurito.
"Per Arceus, è veramente nel
Berserk.".
Ebbe appena il tempo di formulare
quel pensiero che una sfera viola gli sfrecciò accanto,
schiantandosi con
fracasso contro la parete dietro di lui. Lloyd era stato talmente
veloce ad
attaccare che Finley nemmeno l'aveva visto. Una densa nube di polvere
si
sollevò da dove il Dragopulsar si era andato a schiantare,
oscurando
parzialmente la visuale tutt'intorno e coprendo Lloyd agli occhi di
Finley.
La prima cosa che il pokemon
Aquilotto fece fu cominciare a muoversi. Non doveva assolutamente
restare
fermo, altrimenti sarebbe stato un bersaglio troppo facile da colpire.
Eppure
riuscì ad evitare per un soffio un altro Dragopulsar che
squarciò la nube
dietro di lui. Lo evitò saltando di lato, e il fragore del
colpo risuonò forte
e chiaro davanti a lui seguito dal rumore di qualcosa che crollava.
Nonostante tutto Finley continuò
a muoversi. Doveva assolutamente cercare di individuare Lloyd per
fermarlo. Non
voleva fargli del male, era pur sempre il suo migliore amico, anche se
il suo
essere nello Stato Berserk glie l'avrebbe reso molto difficile. Coloro
i quali
erano nello Stato non ragionavano più, abbandonandosi ad una
furia cieca contro
tutto e contro tutti, senza distinzioni. Per l'Aquilotto sarebbe stata
un'impresa titanica tentare di farlo ragionare senza doverlo combattere.
Finley tese le orecchie. Lloyd si
stava muovendo incredibilmente piano per essere nello Stato Berserk,
dato che
di solito coloro che vi erano avvinti non erano proprio silenziosi.
Nonostante
ciò non fece fatica ad individuare un rumore alle sue
spalle. Si voltò di
scatto e cominciò a sbattere le ali il più
velocemente possibile e con quanta
forza poteva.
"Scacciabruma" pensò.
Se la mossa avesse avuto l'effetto sperato avrebbe avuto due
conseguenze: il
diradarsi della fastidiosa polvere e l'accecamento di Lloyd. Finley
sperava
così di poter prendere tempo, doveva assolutamente
escogitare un piano al più
presto.
Per sua fortuna entrambe le cose
accaddero. La nube si diradò in un battibaleno, mentre il
furente Lloyd
grugniva infastidito chiudendo gli occhi e scuotendo selvaggiamente la
testa
per scacciare la polvere che lo stava impedendo.
Finley lo vide e non perse tempo.
Si fiondò più velocemente che poteva verso
l'amico, evitando con cura di
venirci a contatto e aggirandolo, portandoglisi proprio alle spalle.
Appena il
Deino fu nella giusta posizione Finley si gettò contro la
sua schiena,
cingendogli le ali al collo e reggendosi con tutto il suo esiguo peso
addosso a
lui. Era stata una mossa istintiva, non programmata, ma Finley aveva
deciso lo
stesso di rischiare.
Lloyd non sembrò per nulla
contento di ciò. Cominciò immediatamente a
dimenarsi, sempre ad occhi chiusi, e
a muoversi freneticamente per cercare di staccarselo di dosso. Si mosse
alla
cieca, andando a sbattere contro tutto ciò con cui poteva
scontrarsi: prima il
Deino cozzò contro un voluminoso soprammobile, mandandolo in
mille pezzi, poi
contro un mobile schiacciando anche un'ala a Finley.
Ma per sua fortuna il Deino
cambiò quasi immediatamente direzione, schiantandosi contro
il muro. Nonostante
Finley fosse rimasto senza fiato a causa del violento urto non
mollò la presa,
anzi cercò di serrarla ancor di più.
Strinse i denti. Anche se avesse
continuato a resistere non avrebbe potuto per molto, era palese che
Lloyd aveva
una forza superiore alla sua. Non doveva perdere ulteriore tempo,
doveva
assolutamente farsi venire un'idea per porre fine a tutto
ciò. Ma non riuscì ad
escogitare nulla, così fece la prima cosa che gli venne in
mente.
- Lloyd! - urlò Finley
direttamente nelle orecchie dell'amico - Lloyd, ascoltami!
Il Deino sembrò sordo,
continuando il suo vagabondaggio furente.
- Lloyd, smettila! Non puoi
ridurti così, devi riprendere il controllo! Ti prego!
Le sue invocazioni servirono a
ben poco. Probabilmente il Deino nemmeno lo aveva sentito, forse a
causa del
completo blocco dei sensi dello Stato Berserk o forse per tutto il
frastuono da
lui stesso causato. Per contro sembrò farsi ancora
più furente, prendendo a
sbatacchiarsi malamente e mettendo ancor più in
difficoltà il malridotto
Finley.
"Non ce la faccio più"
pensò quello disperato. Oramai le forze gli stavano venendo
meno, non sarebbe
rimasto aggrappato ancora per molto. Le ali non avevano un appiglio
solido e
stava perdendo la presa, era solo questione di secondi prima del suo
inevitabile crollo.
- Lloyd!
All'improvviso il Deino si fermò.
Non perché fosse tutt'a un tratto uscito dal Berserk,
bensì perché venne
distratto da qualcos'altro. Dal richiamo che era stato appena lanciato
per la
precisione. A parlare non era stato Finley, ma il pokemon Aquilotto
riconobbe
comunque chi lo aveva fatto. A sentire la sua voce un respiro di
sollievo gli
venne spontaneo. Qualcuno era finalmente arrivato per salvarli.
- Lloyd.
Adesso che aveva attirato
l'attenzione del Deino, Augustine aveva parlato con più
calma. Si era ritrovata
molte volte a che fare con soggetti simili, pensò Finley, e
di certo sapeva
cosa fare in un caso come quello. Forse lo poteva far rinsavire senza
ricorrere
necessariamente all'uso della forza, e sarebbe stata la cosa migliore
che
potesse accadere.
La Audino prese ad avvicinarsi
lentamente a Lloyd. Tese cautamente una zampa verso di lui, come a
rassicurarlo, nonostante dovesse essere perfettamente consapevole che
sarebbe
servito decisamente a poco.
- Lloyd - cominciò - Calmati.
Siamo i tuoi amici. Non devi fare così, qui non hai nemici,
qui siamo tutti
dalla tua parte.
Il Deino sembrò effettivamente
calmarsi un po'. Smise di grugnire, e abbassò il capo,
lasciando che la frangia
di pelo tornasse a coprirgli il volto.
- Bravo, Lloyd. Così, da bravo.
Augustine, vedendo che le sue
parole sembravano aver sortito l'effetto sperato, tese la zampa verso
il muso
di Lloyd, prendendone delicatamente sul morbido palmo il mento. Ma a
giudicare
dalla sua reazione fu un grosso errore.
Lloyd alzò bruscamente la testa
ed eruppe in un ruggito di puro furore. Augustine ritrasse la zampa di
scatto e
fece un balzo indietro, mentre Finley trovò in quel
frangente il tempo di
staccarsi dal collo dell'amico. L'Aquilotto si portò
velocemente accanto alla
Audino.
- Situazione? - chiese lei
sbrigativa.
- Grave - rispose lui con voce
roca - Molto grave.
I due furono costretti a
separarsi quasi subito a causa di un altro attacco Dragopulsar da parte
di
Lloyd, che abbatté quel poco di struttura della stanza che
la teneva ancora in
piedi. Una pioggia di mattoni e ferro fuso si abbatté su di
loro, e Finley
sentì che alcune delle sue piume bruciavano. Si
buttò a terra e si coprì con
un'ala, sperando che tale gesto fosse di sufficiente protezione.
Se davvero lo fu lo dimostrò ben
poco. Il Rufflet venne travolto da un grosso pezzo di intonaco, finendo
lungo
disteso per terra. Cercò quasi subito di rialzarsi,
ignorando la polvere che
gli era finita negli occhi e sorreggendosi faticosamente sulle punte
delle ali.
Gli fece parecchio male quel tentativo, e cosa ancora peggiore
fallì
miseramente facendolo ricadere nella stessa identica posizione di poco
prima.
Mentre faceva un secondo
tentativo di rimettersi in piedi vide di sfuggita il combattimento tra
Lloyd e
Augustine, i quali sembravano non essere stati colpiti dalle rovine
come lui.
La Audino riuscì ad evitare un altro Dragopulsar,
rispondendo con Doppiasberla.
Audino possedeva questa mossa relativamente debole per il suo lavoro da
infermiera, e sovente la utilizzava per far rinsavire i malati quando
questi
dimostravano di avere un sonno pesante.
- Lloyd! - urlò, provando a farlo
riprendere mentre lo colpiva - Lloyd, svegliati! Ti devi riprendere!
Lloyd!
Ma non funzionò. Lloyd
semplicemente scosse violentemente la testa e rispose con un possente
ruggito.
Augustine fece un balzo indietro, atterrando poco lontano da Finley.
Questi
cercò di farsi sentire, pensando di poterle dare una mano,
ma riuscì ad emettere
solo un flebile gemito.
Il pokemon Ascolto ripartì quasi
subito con un attacco Sdoppiatore. A quanto pare aveva rinunciato ad
usare le
buone, passando infine alle cattive. L'attacco andò a segno
e Augustine colpì
Lloyd poco sotto la spalla, rimanendo anche lei ferita. Il Deino
ruggì,
furioso, e con tutta la forza che aveva morse la Audino nel piccolo
incavo tra
la testa e il collo. Lei gemette e provò a tirarsi indietro,
ma Lloyd la tenne
fermamente immobile stringendo ancor di più la sua morsa.
Del sangue cominciò a
colare da dove i denti affondavano nella carne.
In seguito Finley non ricordò
bene cosa successe. Seppe solo di aver spiccato il volo e di essersi
ritrovato
a pochi attimi da loro mentre caricava un attacco Lacerazione sulla sua
ala
destra. Era stato un gesto più che istintivo, forse istigato
dallo stato di
difficoltà della compagna. Si ricordò anche di
aver chiuso gli occhi in quel
momento, e l'atmosfera attorno a lui si era tramutata in un'accozzaglia
di
colori e macchie confuse.
***
Un'ondata
di dolore alla mandibola
fece in minima parte ridestare l'io cosciente di Lloyd.
- Che... che Giratina...
Si sentiva strano, molto strano.
Si sentiva leggero, incorporeo, quasi come se non fosse stato
costituito da
carne e sangue ma da aria. Non aveva mai provato una cosa del genere,
era la
prima volta. Non vedeva nulla, ma sentiva di starsi muovendo. Non
faceva nulla,
ma sentiva di star combattendo. Non diceva nulla, ma sentiva di star
ruggendo.
Chissà, magari era quello che provavano le persone bloccate
nello Stato Berserk
senza possibilità di uscirne.
Fu quel pensiero fugace che lo
fece riprendere del tutto. "Merda!" pensò "Il Berserk! Ecco
cos'era che mi rompeva le palle! Cazzo, non devo mollare adesso".
Fu così che Lloyd lottò per
riprendere il controllo di sé stesso. Si impiegò
in questa battaglia anima e
corpo (più anima visto che il corpo non lo poteva usare), e
cercò di
raccogliere tutte le proprie forze per sconfiggere quello stato fisico
intruso
che aveva soverchiato il suo volere.
Lottò e lottò, non fece altro che
lottare, intensamente.
***
Il
corpo di Lloyd ondeggiò
paurosamente, mentre questi continuava a ruggire furioso. Aveva gli
occhi
chiusi, e si sbatacchiava alla cieca a destra e manca. Il colpo subito
alla
mandibola da Finley l'aveva fatto imbestialire, e mordeva facendo
schioccare le
fauci per tentare di contrattaccare.
Solo che la sua bocca non voleva
saperne di chiudersi. La mandibola gli penzolava, inerte, e lui non era
in
grado di comandarla. La lingua giaceva penzoloni, e sentiva persino
l'ugola
ondeggiare ogni qualvolta si muoveva.
Il fiato gli venne meno. Faceva
fatica a respirare, sentiva la saliva andargli di traverso. Pian piano
i
ruggiti scemarono fino a diventare grugniti, poi diminuirono fino a
divenire
borbottii fino ad esaurirsi del tutto.
Alla fine il corpo del Deino si
accasciò malamente a terra.
***
Lloyd
sentì di aver vinto la sua
battaglia quando i suoi occhi si aprirono, seppur solo leggermente.
L'ambiente
attorno a lui sembrava esser fatto solo di luce, tanto era bianco.
Inizialmente
non capì né dov'era né cosa stava
succedendo, ma pian piano gli parve di
distinguere delle macchie di colore in mezzo all'atono bianco. Una
macchia rosa
e una celeste.
- Lloyd...
Riconobbe la voce di Finley.
Provò a rispondere, ma uscì solo un rantolo
strozzato dalla sua bocca malamente
spalancata. Questo assieme ad un fiume di bava e sangue.
- Presto!
Questa invece era la voce di
Augustine, Lloyd la riconobbe dal tono gentile ma deciso allo stesso
tempo. E
sembrava molto preoccupata.
- Non riesce... respirare...
ley... ta...
Le forze di Lloyd vennero subito
meno. Non riuscì a rimanere cosciente per più di
quei pochi secondi, e si
abbandonò infine all'oblio.
- Lloyd...
Si fece tutto buio.
***
Corse
a più non posso, almeno per
quel che gli permettevano le sue membra stanche. Si era a malapena
ripreso
dallo shock precedente che già si era ritrovato in una
situazione ancora
peggiore. Ma probabilmente era anche l'ultima cosa che avrebbe fatto,
per cui
si era deciso fin da subito a farla sino in fondo.
A uno che l'avesse guardato senza
prestargli particolare attenzione Neville in quel momento avrebbe
potuto
sembrare un uomo che corre in preda al panico in una direzione
totalmente
casuale. Ma non era affatto così, sapeva benissimo dove
stava andando e che
cosa avrebbe fatto una volta arrivato. Se tutto fosse andato bene
sarebbe stata
la fine del suo dolore.
Nonostante fosse buio aveva
percorso quella strada così tante volte da saperla fare
anche ad occhi chiusi.
Virò verso sinistra dopo pochi minuti, lanciandosi a
capofitto tra i crepacci
di quella parte della montagna. Tenne gli occhi bene aperti, al fine di
evitare
di cadere nella forra sbagliata. Quella giusta era quasi alla fine di
quella
rientranza nel monte, e non doveva sbagliare.
Mentre evitava con cura le buche
che non gli interessavano sentiva un bel po' di trambusto dietro di
sé. Vide il
terreno davanti a sé rischiararsi di rosso e tremolare,
quasi come se qualcosa
stesse bruciando alle sue spalle. Neville sapeva benissimo cosa dovesse
essere,
ma cercava di non pensarci. Si voleva concentrare interamente sul suo
scopo
principale.
Si girò un paio di volte giusto
per vedere le lo stavano seguendo. Sarebbe stato tutto inutile se fosse
riuscito a scappare, perché il suo obbiettivo non era
assolutamente questo. Una
volta appurato che almeno una mezza dozzina di pokemon, diversi da
quelli che
aveva preso prigionieri, lo stavano inseguendo a diversi metri di
distanza,
Neville sorrise, continuando però a correre e tornando a
rivolgere la testa in
avanti. Stava andando tutto secondo i piani, ma non si doveva distrarre
proprio
ora, non voleva certo farsi prendere adesso.
Nonostante gli acciacchi corse
più veloce che poteva, conscio che i pokemon, grazie alle
loro capacità fisiche
superiori alle sue, avrebbero presto coperto la distanza che li
separava. Ma
non lo dovette fare per molto, visto che infine arrivò di
fronte alla erta
parete rocciosa che si inerpicava sino alla cima del monte. E appena
sotto la
buca prescelta.
Neville guardò giù tanto per
verificare che nulla fosse stato toccato. Una volta che ebbe appurato
il fatto
che tutto era al proprio posto sospirò. Mancava poco alla
sua morte, lo sapeva,
eppure non aveva paura. Sentiva piuttosto una sorta di euforia, non
sapeva
nemmeno di che tipo. Sapeva solo di non essersi mai sentito
così. Stesse a
pensare a ciò per poco, dopodiché appena
percepì che i suoi inseguitori lo
avevano raggiunto si voltò per affrontarli.
Di fronte a lui, a meno di dieci
metri di distanza, si trovavano sette pokemon. Si erano disposti lungo
tutto il
fronte che andava dalla parete rocciosa al crepaccio, tagliandogli ogni
via di
fuga. Avevano tutti sguardi d'odio e di rabbia impressi sui loro volti,
e
Neville poteva benissimo capire il perché. Alcuni mostravano
i denti, altri
strusciavano i propri artigli per terra, desiderosi di affondarli nelle
sue
carni e fargliela pagare.
"Bene, si comincia.".
Neville si schiarì la voce con noncuranza, quasi come se
tutto ciò fosse
assolutamente normale.
- Immagino di sapere cosa volete.
A sentire queste parole qualcuno
grugnì rabbiosamente, segno che era stato capito. Un
esemplare particolarmente
grosso che recava lame su tutto il corpo fece per avvicinarglisi, ma un
altro,
una specie di drago bipede senza ali dall'aria del capo, lo
fermò con una
zampa. A quanto pare era riuscito a catturare la sua attenzione, ed era
una
buona cosa, lo avrebbero lasciato finire da solo senza ucciderlo.
- Volete uccidermi, nevvero?
I grugniti cessarono, e scese un
silenzio di tomba.
- Vi capisco, anche io l'avrei
fatto al vostro posto. E l'ho fatto in effetti. Non è una
bella sensazione
quando delle persone care ti vengono portate via, io lo so bene.
Il pokemon che sembrava essere il
capo lo squadrava, non del tutto convinto se li stesse prendendo in
giro oppure
se le sue parole fossero sincere. Dondolava leggermente, e ogni vola
che la
pietra che portava al collo batteva contro il suo coriaceo petto
tintinnava.
- Ma - continuò Neville - Non ho
intenzione di lasciarvelo fare. Non mi ucciderete.
I grugniti ripresero e qualcuno
di loro fece qualche passo avanti, costringendo Neville a retrocedere
leggermente. Anche il capo lo squadrò torvo, forse stava
perdendo la pazienza.
Si doveva sbrigare.
- Non che non stia per morire,
non temete, è questa la mia ora. Anche se non mi foste
venuti a cercare sarei
morto comunque, probabilmente da qui in capo a un anno non sarei
più stato su
questo mondo. Ma piuttosto che lasciarmi morire lentamente preferisco
decidere
io quando andarmene.
Fece un altro passo indietro, saggiando
il terreno dietro di sé con la punta del piede per
assicurarsi di starsi
avvicinando all'orlo del baratro. Nel mentre, davanti a lui i pokemon
stavano
lentamente avanzando verso di lui.
- Voglio però dirvi una cosa,
prima.
Gli altri sembrarono non prestargli
particolare attenzione, continuando la loro avanzata.
- Anche se oggi la mia vita trova
la sua fine, non vuol dire che morirò.
L'ultima frase lasciò interdetti
i pokemon, che smisero di camminare per alcuni attimi.
- So che voi mi potete capire,
mentre io non vi posso comprendere. Perciò lascio a voi
quest'ultimo mio
messaggio da comunicare al mondo intero. Lo dico in nome di tutta la
razza
umana, di tutta la mia specie che ora non esiste più.
Adesso tutti lo ascoltavano con
attenzione.
- E' chiaro che adesso il mondo è
vostro. Una volta poteva anche appartenere agli uomini, ma dopo averlo
conquistato con la forza è giusto che il trofeo resti nelle
mani del
conquistatore. Adesso sono io a rappresentare la
mostruosità, l'abominio,
l'ultimo esponente di una razza in procinto di scomparire. Ma chi esce
dalla
storia poi entra nella leggenda.
Non una foglia si muoveva, non un
alito di vento produceva rumore facendo da sottofondo alle parole di
Neville,
il quale indietreggiò di un altro passo. L'orlo del burrone
si stava pian piano
avvicinando.
- Ebbene sì. Volete sapere perché
ho rapito i vostri amici? Non perché mi abbiate fatto
qualcosa di male, o
perché porti rancore verso di voi nello specifico. Io odio
tutte voi spregevoli
creature, indistintamente.
Qualcuno grugnì all'ultima
affermazione. Per sicurezza Neville indietreggiò ancora.
- L'ho fatto per un unico motivo.
Voi adesso siete venuti a riprenderveli, e mi avete visto. Era questo
il mio
obbiettivo, che mi vedeste ed ascoltaste quello che avevo da dire. Del
resto è
bene che le ultime parole dell'ultimo uomo vengano ricordate,
è quasi un fatto
storico.
Fece un altro passo indietro.
- Sappiate che con la mia morte
l'umanità concluderà la sua storia, ma
comincerà la sua leggenda. Non voglio
che la mia razza tra dieci, venti, cinquanta, cento anni sia
già caduta
nell'oblio, ma voglio che venga ricordata. Anche se ciò vuol
dire essere
demonizzata a un punto tale da farla apparire come il male assoluto. Ho
inferto
molte sofferenze ai vostri amici, ne sono consapevole, mi pento solo di
averlo
potuto fare di più e per più tempo.
All'ultima frase i pokemon ebbero
una reazione furiosa, ruggendo e scalpitando, pronti a saltargli
addosso per
finirlo. Neville seppe che era venuto il momento di porre fine a tutto.
Fece un
ultimo passo indietro, sentendo finalmente il vuoto sotto di
sé. Si decise, era
ora di porre fine al discorso. Affrontò i suoi avversari a
testa alta, aprendo
le braccia e facendo un largo sorriso.
- E' finita. - disse con la voce
che trasudava per l'emozione - Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore
nasce
questa sera dalla mia morte, e una nuova superstizione penetra
nell'inespugnabile fortezza dell'eternità. Perché
finché ci sarà persino
unicamente un pokemon che trema di terrore a sentir anche solo
pronunciare la
parola "uomo" allora l'umanità non sarà mai
veramente morta.
L'umanità è leggenda. Io sono leggenda.
Si lasciò cadere all'indietro, e
dopo un attimo si vide superare il bordo del burrone, cadendo verso il
basso ad
una velocità vertiginosa. Mentre scompariva nella forra
alzò la testa, e vide
che i pokemon avevano cominciato a correre inutilmente verso di lui.
Sorrise, e
fu l'ultima cosa che fece.
Il volo fu lungo e allo stesso
tempo breve, e non gli lasciò il tempo nemmeno per pensare.
L'impatto col
terreno fu violentissimo, e tutto scomparve.
***
-
Merda! - tuonò Olston - Merda,
merda e ancora merda! Presto, qualcuno vada a vedere!
Avery non se lo fece ripetere,
fiondandosi verso l'apertura del burrone. Guardò
giù, e vide la sagoma dell'uomo
malamente ripiegata su sé stessa sul fondo della buca.
Qualcosa, oltre al
sangue, sembrava fuoriuscire dal suo corpo.
Cercò subito qualche appiglio per
potersi calare fin giù. Per sua fortuna alcuni gradini
rozzamente intagliati
nella roccia erano posizionati in un punto semi nascosto che non fece
fatica a
trovare. Cominciò una rapida discesa, pur tenendosi con la
mano sinistra al
muro per non cadere giù. Era pur sempre un bel volo, e non
voleva di certo fare
la fine dell'umano.
Mentre scendeva si ritrovò a
pensare alle parole dell'umano. Ma era troppo scosso per poter
formulare anche
solo un pensiero di senso compiuto, per cui si riservò le
elucubrazioni per un
momento successivo.
Quando finalmente arrivò giù
quasi rimase scioccato. L'umano giaceva per terra, la metà
delle sue budella
fuoriuscite dalla pancia e sparse per il terreno circostante. Ma la
cosa
peggiore erano le sbarre di ferro che lo trapassavano, facendolo
sembrare un
grande spiedino con tutti i buchi che gli avevano fatto e col sangue
che ancora
colava. Quasi vomitò a quello spettacolo.
Ma seppe trattenersi. Si avvicinò
all'umano per verificare se fosse ancora vivo. Si portò a
livello della testa,
e la osservò. Una chiazza di sangue aveva impregnato la
pietra sotto il capo, e
un occhio era semi aperto e ripiegato all'interno della
cavità. Avery lo toccò
leggermente, quasi curioso dall'umano morto.
Quasi cadde a terra quando questo
tossì. Grumi di saliva resa rossa dal sangue fuoriuscirono
dalla sua bocca,
andandogli a sporcare la maglia già lorda del suo stesso
sangue. L'altro occhio
si aprì, anche se di poco, e la pupilla andò ad
inquadrare Avery.
- Vi ho rubato il lavoro, eh? -
disse con fare ilare. Un altro colpo di tosse lo scosse da cima a fondo.
- Scommetto che mi avresti voluto
ammazzare tu, non è così, piccolo bastardo?
Tossì di nuovo. Avery era senza
parole.
- Chissà... - chiese, più a sé
stesso che ad Avery - Se esiste ancora Portobello Road...
Fece un altro colpo di tosse, poi
l'occhio si chiuse. L'umano smise di muoversi. Per sempre.
Note dell'autore
E' finita. "I Am Legend" è finita. Non ci posso credere.
Dopo dopo sette mesi che la portavo avanti, finita. Davvero, non so
cosa dire se non che sono triste di dover abbandonare personaggi come
Neville e Lloyd in favore dei discendenti di Daenerys Targaryen.
Accorrete numerosi alla mia prossima fanfiction, "A game of
Pokémon - The begin of the end"
Adesso i ringraziamenti.
Ringrazio darken_raichu,
assiduo frequentatore della storia che ha recensito fino in fondo.
Ringrazio Ink Voice
(per me sempre _beatlemania) per star recuperando, anche se piano
piano. Ringrazio coloro che devono ancora finire, come lagunablu, Capricornus, ShadowMetwo99, Walt, Andy Black e Etherial Voice.
Ringrazio anche chi ha
recensito una sola volta, come Tsuki no Sasuke
(spero di averlos scritto bene), Vespus, Lycia_ e Filippo739.
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite (Dark Legend Trainer,
MegaOmega
e _Windurin_)
e chi tra le seguite (Lady
Darky e yuki phantomhive).
Ringrazio anche solo chi ha letto. Davvero, siete stati tanti, sempre e
comunque.
Come regalo d'addio vi regalo una canzone, cercate su YouTube Everytime We Touch se siete malinconici.
Ma ricordate, a ogni fine segue un inizio. E questo arriverà
presto. Molto presto.
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