Il velivolo oscilla vistosamente, colpa di un vuoto d’aria improvviso.
Il passeggero al sedile 7B si agita convulsamente, sfregando con
energia le mani sui braccioli mentre lancia sguardi preoccupati verso le
hostess che sembrano non accorgersi di quanto stia accadendo nella cabina
passeggeri. Qualche fila più avanti, una donna cerca di tranquillizzare la
figlia che singhiozza preoccupata per i continui sobbalzi. Qualcuno alza gli
occhi sopra la testa come se si aspettasse che da un momento all’altro le
maschere di ventilazione dovessero penzolare davanti a loro.
Tutti sono inquieti per il prolungarsi di quella turbolenza. Tutti tranne
il passeggero al 9A. Lui non sembra nemmeno essersi accorto che qualcosa non va,
a stento è consapevole di dove si trova in questo momento. Il suo sguardo è
fisso nel vuoto oltre il finestrino a lato del suo sedile e chiunque
osservandolo con un minimo di attenzione può capire che la sua mente è affollata
da fin troppi pensieri.
-Sig. Fillion, le devo chiedere di
allacciare la cintura- l’hostess dall’improbabile chignon indica al passeggero
il segnale luminoso acceso sopra la propria testa.
-Oh, la cintura. Sì, mi scusi.
Meccanicamente l’uomo aggancia le due estremità del dispositivo di
sicurezza e torna a puntare i suoi occhi azzurri fuori dal finestrino. Il viaggio
è quasi terminato e non sa come deve sentirsi al riguardo. Certo, è stato lui a
prenotare quel volo solo poche ore prima di imbarcarsi, in preda ad un
improvviso impulso, o forse sarebbe più corretto dire in preda ad una
improvvisa illuminazione.
Il pranzo di Natale a casa dei suoi ad Edmonton quell’anno gli era
sembrato più interminabile del solito e soprattutto estremamente vuoto. Per
lui, quantomeno. I suoi genitori erano al settimo cielo: tutta la famiglia era
finalmente riunita sotto lo stesso tetto, lo stesso identico tetto dove era
nata la famiglia Fillion, dove Nathan e Jeff erano
cresciuti e dove ora tutti erano tornati più cresciuti…beh, non proprio tutti.
Lui no.
Mentre le nipoti gli raccontavano i fatti più importanti degli ultimi
mesi, lui si era improvvisamente reso conto che c’era qualcosa in quella scena
che lo faceva sentire inadeguato. Si era sentito fermo. Bloccato. Il che era
ridicolo, chiaramente.
Nathan Fillion se n’era andato da Edmonton
per diventare un attore famoso e ci era riuscito: era diventato quello che
sognava, un attore con una serie sua, che andava a gonfie vele da sette anni,
con schiere di fan innamorate di lui e pronte a tutto anche solo per un suo tweet. Era ospite di talk show, guest star in spettacoli di
successo come The Big Bang Theory…aveva tutto. Eppure,
sentiva che non aveva niente, che non era abbastanza.
Già da qualche tempo ci stava pensando: sentiva questo senso di
frustrazione salirgli fino in gola fino quasi a soffocarlo. All’inizio aveva
pensato si trattasse di Castle, di come la gente
oramai lo identificasse con il personaggio che interpretava. Pensava che forse
il problema si sarebbe risolto lasciando la serie, ma era stato un pensiero
fugace, veloce; gli aveva attraversato la mente come un lampo. Lui non era il
tipo da sentirsi legato ed imprigionato da un personaggio: smessi i panni dello
scrittore, ogni sera tornava ad essere Nate e non si curava del fatto che i fan
potessero chiamarlo Rick o Castle. Molti ancora lo
chiamavano Capitano Reynolds e a lui stava più che bene. E in definitiva anche Castle gli piaceva…Malcom rappresentava i suoi sogni da
bambino, mentre Castle era lui, solo in versione
letteraria. No, non era Castle il problema. Il problema
era proprio dentro Nathan.
Ma non l’aveva capito fino a quel pranzo di Natale. Quello che gli
mancava davvero era una ragione per continuare a fare quello che faceva. Gli mancava
poter tornare a casa da qualcuno a cui importasse quello che stava facendo, a
cui raccontare gli eventi della giornata. E sì, gli mancava anche sentire
qualcuno raccontare di cose banali e sciocche come un brutto voto a scuola o l’ansia
per il ballo di fine anno.
Gli mancava la quotidianità, la normalità. Jeff gli ripeteva in
continuazione che la normalità era fin troppo sopravvalutata, che tutti i gesti
che compiva ogni giorno non appena si svegliava erano diventati talmente meccanici
che quasi nemmeno si rendeva conto di come arrivasse a fine giornata. Ma Nate sapeva
che in realtà non era così. Per un motivo che fino a quel momento gli era parso
inspiegabile, Jeff non aveva mai manifestato il desiderio di scambiare anche
solo per un giorno la propria vita per quella del fratello. Nate, invece, in
quel momento lo avrebbe fatto. Cosa si prova a sapere che a casa, la sera, dopo
una giornata lunga e magari faticosa, c’è una famiglia ad attenderti? Cosa si
prova a sapere che non devi essere sempre al top della forma per chiunque, perché
c’è qualcuno che ti conosce e ti ama a tal punto che potresti passare anche tutte
le sere in tuta sul divano e andrebbe bene? Cosa si prova a sentirsi finalmente
a casa con qualcuno indipendentemente dal luogo in cui ci si trova?
Nate voleva questo: una famiglia come quella in cui era cresciuto,
come quella che Jeff aveva costruito. Solo non lo aveva ancora compreso fino in
fondo. Dicono sempre che sono le donne a possedere l’istinto naturale a mettere
su famiglia, ma non è vero. Anche gli uomini a quanto pare l’hanno. Forse non
tutti, ma lui sì. Lui voleva una casa, una famiglia, una vita normale.
E nello stesso istante in cui aveva realizzato quanto questo fosse
importante per lui al punto dal farlo sentire inadeguato nella sua stessa
famiglia, da farlo sentire solo in mezzo alla sua stessa famiglia, aveva anche
compreso che solo una persona avrebbe potuto dargli quella quotidianità e
normalità che stava cercando. La stessa identica persona che ogni giorno da
anni lo accoglieva la mattina con un sorriso radioso sul volto, poco importava
quanto dura era stata la giornata precedente o quanto lo sarebbe stata quella
appena iniziata. La sola persona con cui si sentiva sempre a suo agio,
accettato per quello che era, con i suoi pregi e i suoi moltissimi, inelencabili, difetti. La persona con cui poteva passare
ore a parlare o anche in silenzio perché lo conosceva così bene e così
profondamente che non avevano bisogno di dirsi nulla, perché uno sguardo è più
che sufficiente.
Possibile che per tutto questo tempo aveva avuto la persona giusta
accanto a lui e non se ne era mai accorto? Possibile che davvero avesse
sprecato tutto questo tempo in storie vuote e prive di senso quando la donna perfetta
per lui era capitata quasi per caso sulla sua strada sette anni prima?
La voce metallica del capitano dell’aereo lo richiama alla realtà: sta
per atterrare ad Hamilton, dove Stana avrebbe dovuto passare le feste. Almeno così
spera. Non lo sa con certezza, perché i programmi di quella donna cambiano con
una rapidità fuori dal comune. È un concentrato di energia in continuo
fermento, non può stare ferma, non riesce a programmare cose a lungo termine. Lei
si muove, agisce, viaggia. Lei è…il suo opposto, in un certo senso.
Ora che il viaggio è quasi al termine, si sente uno sciocco. Sta piombando
da lei, quasi come se fosse il suo principe azzurro pronto a salvarla e farla
diventare una regina. In realtà, sarebbe lei a salvarlo se accettasse quello
che lui ha da offrirle. Che poi…cosa ha da offrirle? Un passato non
propriamente lodevole, una scarsa esperienza nei rapporti seri e a lungo
termine, una totale incapacità di comportarsi da adulto nella maggior parte
delle occasioni. Ok…detta così, suona male. No, malissimo. Ma il punto, è che
in lui c’è molto di più: c’è la capacità di amare a tal punto una persona da
sacrificare qualunque parte di sé se fosse necessario; c’è la voglia, quella
vera, quella genuina, di costruire qualcosa di importante e duraturo. E soprattutto
c’è la forza di cambiare…per lei e grazie a lei. E Stana questo non può non
saperlo, non può non capirlo. Lei che lo conosce come nessun altro, forse
nemmeno come Jeff e sua madre.
L’aereo è atterrato e il tempo dei dubbi e dei ripensamenti e finito. Prende
il suo piccolo bagaglio a mano e si dirige velocemente verso l’uscita dell’aeroporto
alla ricerca di un taxi. L’aria è fredda, anzi gelida, ma è dicembre, l’ultimo
giorno dell’anno e non si aspettava certo di trovarsi ai Caraibi.
Indica al tassista la sua destinazione chiedendo quanto tempo ci
avrebbero messo dall’aeroporto.
-Se non c’è troppo traffico, 40 minuti circa, signore.
Perfetto, pensa Nathan. Non troppo, onde evitare di avere il tempo di
cambiare idea all’ultimo minuto e di fare dietrofront.
Sente il suo cuore battere nel petto con un ritmo che sembra scandire
i secondi che lo separano da Stana. E forse è anche così, forse lui ha capito
prima del suo cervello quello che andava fatto già da tempo.
Quando il taxi si ferma, sente chiaramente mancargli la terra sotto i
piedi. Esce dall’abitacolo e rimane per qualche istante impalato in cima al
vialetto che porta all’abitazione della famiglia Katic.
Pensa che se le cose non dovessero andare come spera, potrebbe perdere anche
quello che ha ora con Stana, la loro amicizia, la loro complicità…e sì, persino
il lavoro. Ma questo è l’ultimo dei pensieri. Non gli importa della serie e di
quello che potrebbero dire tutti gli altri se la produzione dovesse chiudere a
causa del suo tentativo fallito. Ora deve pensare a lui, alla sua vita, a
quello che vuole davvero. E quello che davvero vuole più di ogni altra cosa al
mondo è Stana, poterle dimostrare ogni giorno quanto la ama e chiedere perdono
per quanto sia stato stupido a metterci tanto tempo per capirlo.
-Nate?
Ed è proprio Stana ad apparire sulla porta di ingresso, coperta da un
pesante maglione bianco come la neve che è caduta copiosa negli ultimi giorni
ad Hamilton e che imbianca il giardino intorno a lui.
-Nate, sei tu?
-Sì. Sì, scusa. Sono io.
Fa qualche passo in avanti, mentre la donna con qualche parola in
croato prende il cappotto e chiude la porta di casa alle sue spalle.
-Scusami, ti farei entrare, ma…i miei fratelli sono degli impiccioni.
-Certo. Anzi, scusa se sono piombato qui all’improvviso. Non ho
nemmeno chiamato.
-Sai, che tu non devi chiamare per piombare da me. Mai. Sia che ci
troviamo a Los Angeles sia qui in Canada- il sorriso accogliente della donna lo
rincuora, più delle parole. –Posso sapere il motivo del tuo viaggio? Non eri a
casa dei tuoi?
-Sì, io ero da loro, ma…non stavo bene.
-Qualcosa non va?- chiede preoccupata.
-In un certo senso, sì.
Nathan sa che è arrivato il momento di parlare, di confessare tutto
quello che ha compreso negli ultimi giorni, ma davanti a quegli occhi verdi non
riesce a trovare il modo di farlo senza sembrare un idiota o, peggio, un pazzo.
-Va tutto bene a casa con i tuoi? Jeff?- è sempre Stana a cercare di
farlo aprire, muovendosi con cautela in un territorio che al momento le è
completamente sconosciuto.
-Sì, loro stanno bene. Grazie.
-Possiamo anche stare qui fuori in silenzio se preferisci, ma se hai
fatto quasi tante ore di volo forse sei venuto per qualcosa di importante.
-E’ così, infatti. È solo che adesso mi sembra stupido e tremendamente
difficile. Avevo preparato un discorso in aereo…no, non è vero, non avevo
preparato nessun discorso in realtà. Io ho solo prenotato un biglietto e sono
venuto da te.
-Sei venuto da me- risponde la donna avvicinandosi di un passo e
continuando ad esaminarlo con quegli occhi profondi.
-Sì. E adesso mi sento un idiota perché non so nemmeno spiegarti il
motivo per cui sono qui.
-Non sei un idiota. Il motivo lo sai, solo che per qualche ragione non
me lo vuoi dire. Hai paura di me, Nate?
-No. Sei la sola persona al mondo di cui so di potermi fidare. Always-
aggiunge poi e forse è proprio quella parola, la parola magica per eccellenza
tra Rick e Kate a sbloccarlo.
-Always- ripete lei avvicinandosi ancora di qualche centimetro. Nate
comincia a sentire il calore del suo respiro sulla pelle ed è come se quel
leggero contatto con lei lo sciogliesse completamente. Fuori e soprattutto
dentro.
-Ho bisogno di te, Stana. Ho bisogno di te nella mia vita. Oggi,
domani, sempre. Per tutto il tempo che mi vorrai concedere. Ho bisogno di te
per sentire che la mia esistenza ha un valore, per sentirmi davvero a casa-
Nate scuote la testa incredulo per essere riuscito a dire quelle parole senza
bloccarsi di nuovo e senza sembrare patetico. Ok, forse un po’ patetico lo è
stato, ma a questo punto poco importa. –So che probabilmente non ti importa e
che forse questo cambia ogni cosa tra di noi. So che non è quello che ti
aspetti da me, ma avevo bisogno di dirtelo. Di tentare di essere felice con te.
Non voglio avere rimpianti. Oddio, sono patetico e anche tremendamente egoista,
me ne rendo conto. Vengo fin qui, e ti dico queste cose come se tu mi dovessi qualcosa…scusami.
Io non…
Nate raccoglie il suo bagaglio che nella foga del momento era caduto a
terra e sorride a Stana, rimasta impassibile davanti a lui.
-Scusami, anche con la tua famiglia. Non dovevo interrompere le tue
vacanze. Io…prendo il prossimo volo e torno a casa.
Ma prima che lui possa girarsi, prima che possa anche solo compiere un
passo lontano da quella donna, Stana lo afferra per il polso e lo costringe ad
avvicinarsi a lei senza mai interrompere il contatto visivo. Solo così Nate può
scorgere la luce negli occhi della donna, fino all’ultimo istante, fino all’istante
in cui lei posa le sue labbra calde sulle sue, morbide, invitanti come mai le
aveva sentite fino ad oggi. Perché tante altre volte ha baciato quella donna,
ma non era Stana. Era solo Beckett. Ora invece è quell’incredibile donna che lo
sta accogliendo nella sua vita come ancora non era accaduto. Mentre risponde al
bacio, Nate sorride involontariamente, labbra contro labbra.
-Benvenuto a casa, Nate- sussurra Stana non appena le loro bocche si
separano quel tanto che basta per dar loro la possibilità di respirare. Forse sta
piangendo. Forse anche Nathan sta piangendo, non ne è proprio sicuro. Non è
sicuro di nulla in questo momento, a parte il fatto che la donna che ama è tra
le sue braccia pronta ad iniziare un nuovo capitolo della loro vita insieme.
Angolo dell’autrice.
Non so, questa storia è uscita così, dopo mesi forse anni di assenza.
Mi andava di scrivere e l’ho fatto. Spero piaccia a voi leggerla, quanto è
piaciuto a me scriverla.
Un bacio a tutti.
Laura