Capitolo dieci: We'll play hide
and seek to
turn this around
Ryo sbatté un paio di volte le palpebre prima di decidersi
ad aprirle del tutto. Avvertì il cerchio alla testa ancora prima di
riuscire a
mettere a fuoco per bene la stanza.
E quella non era decisamente la sua stanza.
Si voltò sulla schiena, allungando un braccio alla sua
sinistra e trovando soltanto ulteriori cuscini. Doveva essere davvero
parecchio
tardi se lui era l’ultimo a svegliarsi.
Decise, però, di trattenersi ancora qualche istante a letto;
era davvero troppo stanco, le ultime settimane l’avevano sfinito, e si
sentiva
addosso il doppio dei suoi anni.
Ancora non riusciva a concepire come le sue agenti fossero
più stressanti nelle situazioni ordinarie che in quelle di emergenza.
O forse perché nelle situazioni di emergenza non le aveva
tra i piedi ad assillarlo perché si facesse qualcosa, a battibeccare
come delle
scolarette, e a parlarsi in battutine e doppi sensi degni davvero di
liceali.
Sorrise nel sentire il tonfo di un corpicino non proprio
leggero che zompava sul letto e si avvicinava a lui, pretendendo
attenzioni
infilandosi con prepotenza sotto al suo braccio e strusciandosi in un
miagolio.
“Buongiorno, Masha,” mugolò, accarezzandogli con la punta
delle dita la sommità della testa.
Il gattino rispose con un brontolio profondo e si piegò di
più contro la sua mano prima di acciambellarsi accanto a lui e chiudere
gli
occhi.
Ryo rimase in silenzio ad ascoltare il respiro dell’animale
e ad accarezzare il lucido pelo nero, sovrappensiero, ancora troppo
intorpidito
per potersi alzare.
Stava rivedendo per
l’ennesima volta i risultati di quelle analisi, l’orecchio attaccato al
telefono
connesso al laboratorio, quando aveva sentito bussare rapidamente alla
sua
porta.
Ichigo, come suo
solito, non aveva aspettato che lui rispondesse prima di aprire uno
spiraglio
ed infilarsi dentro, sventolando un paio di fogli che dovevano essere i
report
giornalieri degli agenti messi a guardia delle case protette dove Minto
e
Retasu stavano già da un paio di giorni.
Lei gli sorrise un po’
titubante – non si erano parlati molto dopo la telefonata di qualche
sera prima
– e lui le fece un cenno con il capo mentre continuava a parlare con il
laboratorio, indicandole di appoggiare pure i fogli sulla sua
scrivania. Non
aveva molta fretta di guardarle, dopotutto; non succedeva,
fortunatamente, mai
nulla durante quelle sorveglianze, e se qualcosa fosse successo, lui
l’avrebbe
saputo già da un pezzo.
Ichigo si morse il
labbro mentre si avvicinava, e da dietro la schiena tirò fuori anche
una busta
bianca sigillata, dall’aspetto rigonfio.
Ryo alzò un
sopracciglio in una muta domanda, osservandola curioso con i suoi occhi
penetranti; ma la rossa si strinse solamente nelle spalle, spingendola
verso di
lui con due dita, e poi uscì velocemente così com’era entrata.
Ormai l’aveva
distratto da ciò che il tecnico gli stava borbottando al telefono, così
Shirogane cercò di tagliare il più possibile, studiando la busta che
aveva
preso in mano. La tastò; c’era sicuramente qualcosa dentro di grosso,
che non
era carta. Cosa diavolo saltava in mente a quella donna?
Impaziente di
aspettare oltre, salutò bruscamente l’interlocutore, e aprì di scatto
l’involucro.
Ne cadde un paio di
chiavi; non gli ci volle molto per capire cosa fossero, e cosa
significassero.
Tipico di lei, pensò, cercando
di ignorare la stretta che il suo stomaco aveva subito quando il cuore
gli era
piombato contro, giocherellando con le chiavi sul vetro della
scrivania:
aggirare il problema, non parlarne, presentarsi solamente con la sua
decisione
già pronta e fornire quella che per lei era la soluzione.
Forse questo modus
operandi poteva funzionare in Agenzia, ma non era del tutto sicuro che
avrebbe
funzionato anche con lui.
Se le mise comunque in
tasca, deciso a non pensarci fino ad almeno alla fine del turno. Non
mancava
molto, ed avevano avuto già abbastanza distrazioni da bastargli una
vita in
questi ultimi tempi.
Nessuno lo disturbò
più nel suo studio, sapendo bene che quando la porta rimaneva chiusa
per così
tanto tempo, aveva un significato preciso; perse anche lui la
cognizione del
tempo, in realtà, ad organizzare tutti i loro compiti che avrebbero
dovuto
adempiere una volta recuperate le due agenti mancanti della squadra, e
quelli
da svolgere nel frattempo.
Gli fece bene, si
disse, distrarsi così; aveva già sprecato abbastanza emicranie per
Ichigo.
Quando si alzò dalla poltrona, erano ormai passate le otto di sera, e
ricordava
vagamente i saluti delle ragazze, qualche ora prima.
Uscì con calma
dall’edificio, avvertendo il tintinnare delle chiavi nella tasca
interna della
sua giacca, ma ciò non aumentò il suo passo.
Si concesse due tranci
di pizza prima di salire in auto, ma tra una cosa e l’altra, non arrivò
sotto
casa di Ichigo fino alle dieci.
Fece un respiro
profondo prima di scendere, guardando con la coda dell’occhio la luce
che
filtrava da quella che sapeva essere la finestra del salotto.
Scelse anche di salire
le scale piuttosto che prendere l’ascensore – come se le quattro rampe
gli
avrebbero dato più tempo di prendere una decisione, come se il rimbombo
del
battito del cuore nelle orecchie servisse ad isolarlo dalla marea di
pensieri
nella sua mente.
Possibile che l’ultima
volta che avesse percorso quei gradini fosse stato alle tre del
mattino,
completamente ubriaco, a pregarla di non scegliere l’altro?
Gli sembrava che
fossero passati secoli.
Infilò la chiave, ora
dalla forma così famigliare, nella toppa, ma bussò comunque un paio di
volte
prima di farla girare e far scattare la serratura.
Ichigo gli apparve
davanti, un po’ affannata come se avesse corso, non appena aprì la
porta quanto
bastava per guardare. Lo accolse con un sorriso.
“Ciao,” gli disse,
tirandosi giù l’orlo della maglia che usava come pigiama “Mi stavo
chiedendo
se…”
“Speri di cavartela
consegnandomi così le chiavi?” le domandò lui di rimando, forse un po’
troppo
bruscamente.
L’espressione sul viso
di lei cambiò rapidamente, e si morse il labbro. “No, però…”
Ryo scosse la testa, facendo
due passi in avanti per poter entrare nell’appartamento.
“Per te è tutto molto
semplice, vero?”
“Non è semplice per
niente!” sbottò di rimando lei, stringendo i pugni ai fianchi “Ma…
tutta questa…
cosa di Minto e Retasu mi ha fatto capire molte cose. Mi ha fatto
capire chi
non voglio perdere. E sono spaventata, però… l’ho fatto comunque. Ho
preso la
mia decisione. Vuoi sentirti dire che avevi ragione, è questo che vuoi?”
L’americano alzò un sopracciglio,
un po’ preso alla sprovvista dal solito scoppio imprevisto di Ichigo.
“Sì, be’,
non mi dispiacerebbe.”
La rossa fece una
smorfia al suo tono ironico e supponente. “Okay, allora avevi ragione,”
ammise
comunque “Sono stata egoista. E voglio te. Tu mi conosci più di tutti,
Ryo. Con
te posso essere me stessa, senza menzogne o inganni. Io voglio stare
con te.
Solo con te.”
Masha miagolò all’improvviso, lo costrinse ad aprire di
nuovo gli occhi quando gli diede un colpetto sul naso con la testa.
Tutto la sua padrona.
“D’accordo, d’accordo,” bofonchiò arreso. “Alziamoci.”
Si tirò su a fasi, sedendosi sul bordo del letto e
stiracchiandosi i muscoli indolenziti, facendo scrocchiare
piacevolmente le
giunture e le ossa del collo. Si passò le mani sul volto, pizzicante
per la
ricrescita della barba, sbadigliò, ed agguantò giocoso il gattino da
sotto la
pancia, portandolo con sé verso la cucina.
“Sei una piccola bestiolina invadente,” gli mormorò,
facendolo ballonzolare piano come se fosse un pesetto -
Masha, incredibilmente, stava mollo e
rilassato nella sua presa, fidandosi di lui. Avevano giocato insieme
ormai
talmente tante volte che si conoscevano a vicenda.
Emise delle fusa contente, e si divincolò solamente quando
varcarono la soglia della stanza, invasa dall’odore invitante del bacon.
“Ti sembra questa l’ora di svegliarsi?” Ichigo, armata di
spatola, lo accolse allegra ed ironica, guardandolo da sopra la spalla.
Ryo lanciò un’occhiata all’orologio del forno, che segnava
ormai le undici e trequarti. Benedetti i sabato mattina.
“Avrei continuato a dormire, ma ci ha pensato il tuo dannato
gatto a svegliarmi.”
La rossa guardò amorevole Masha che le si strusciava tra le
caviglie per chiederle un pezzetto di pancetta. “La prossima volta lo
morderei
anche, se fossi in te.”
L’americano sorrise, e le avvolse le braccia intorno alla
vita, lasciandole un bacio sulla spalla.
“Che ora abbiamo fatto ieri sera?”
Ichigo girò abile una striscia di bacon: “Ho controllato
prima i file, l’ultima modifica è dell’una e mezza. Guarda che non
abbiamo più
l’età per certi straordinari, io pretendo un aumento.”
Ryo ridacchiò, mordendola piano: “Io direi che non abbiamo
più l’età per fare le ore piccole facendo
altro.”
Lei si finse offesa, decisa a nascondere il rossore sulle
guance: “Parla per te, vecchio.”
Lui rubò velocemente della pancetta dalla padella
sfrigolante, assaporando il gusto così familiare con calma, beandosi
dell’espressione intimidatoria di Ichigo che lo sgridava imponendogli
di
aspettare ed usare dei piatti, come le
persone civilizzate.
“Dovresti smetterla di passare tutto quel tempo con Minto.”
“Dovresti iniziare a farlo tu, invece!”
“No,” Ryo spense il fornello, l’agguantò di nuovo per la
vita, e la voltò così che la potesse guardare in volto “I’d
rather spend it with you.”
La baciò dolcemente mentre lei rideva ed incrociava le
braccia dietro al suo collo.
Non avevano parlato ancora di nulla, in quella settimana e
mezzo – del loro lavoro, del fatto che tutto ciò tecnicamente non era
autorizzato, delle possibilità di trovare dei cavilli, di tutte le
altre
sfumature della loro relazione. Ryo non ci voleva pensare, non ancora.
Era
felice, per la prima volta da tanto tempo, ed andava bene così.
§§
Purin scese le scale quasi a saltelli, tenendo in mano un
plico di fogli.
“Taru-Taruuu,” cinguettò, palesemente ignorando il fatto che
non ci fosse solo lui in laboratorio, e causandogli il solito imbarazzo
sulle
guance “Li manda Shirogane-kun, per te. E vuole sapere se tu-sai-cosa
è già pronto.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo: “Potresti evitare di
chiamarmi così, almeno in pubblico?”
La biondina sorrise, appoggiandosi al bordo della sua
scrivani: “Potrei, ma non è detto che lo farò.”
Taruto scosse la testa e si rimise a digitare alla tastiera:
“Comunque, dì a Shirogane-san che è tutto pronto. Glielo consegnerò
domani.”
“Forse faresti meglio a consegnarglielo stasera.”
“Perché? È di cattivo umore?”
“No, anzi,” Purin si arrotolò una ciocca attorno ad un dito
“Ma lo sai com’è fatto. Oggi è lunedì, nuova settimana, bisogna
iniziarla con
qualcosa di concreto.”
“Già,” Taruto si guardò un attimo intorno, controllando che
i suoi colleghi fossero abbastanza impegnati e fuori dalla portata
d’orecchio
“A questo proposito… credi che dovremo notificare Shirogane in caso,
per esempio,
se… io e te andassimo, uhm, a vivere insieme, o che so io…”
I fogli quasi scapparono di mano alla ragazza, che sgranò
appena gli occhi: “Be’, ecco… insomma, non lavorando nella stessa
squadra non
vedo dove possa esserci il problema, ma per precauzione, sai…”
Lui annuì: “Sì, infatti, è quello che pensavo anche io.
Perfetto.”
Passarono pochi attimi di silenzio, durante i quali Purin
cercò di placare il sorriso che minacciava di spuntarle sulle labbra, e
Taruto
fingeva di rimanere concentrato sullo schermo del computer; poi la
biondina gli
si gettò al collo, stringendolo in una morsa pressoché asfissiante,
sballottandolo di qua e di là, prima di piantargli un sonoro bacio
sulla
guancia: “Oh, Taru-Taru, sono così felice!” strillò, catturando
l’attenzione di
tutti i presenti che ebbero almeno il buonsenso, per il bene del loro
giovane
collega, di ridere sottovoce “Non vedo l’ora di scegliere l’arredamento
della nostra camera da letto!”
Lui era ormai diventato di un notevole colorito violaceo;
spostata la ragazza dal suo grembo, sul quale si era arrampicata,
tossicchiò un
paio di volte: “Uhm, sì… ne parliamo un’altra volta, d’accordo? O-ora
devo
portare questo a Shirogane-san.”
“Glielo posso portare io,”
“No, no,” Taruto scosse la testa e sfiorò con le dita un piccolo
involucro nero “Voglio fare un altro paio di test prima di essere
sicuro. Digli
solo che sarà pronto prima che lui vada a casa.”
“D’accoooooooordo, ma ricordati che ultimamente il capo va a
casa prima,” con un occhiolino che diceva molto, Purin saltò giù dalla
scrivania e gli arruffò i capelli, provocandogli l’ennesimo attacco di
rossore
“A più tardi, Taru-Taru!”
Quando vide la matassa di capelli biondi sparire su per le
scale, il giovane scienziato si lasciò andare ad un sospiro, passandosi
una
mano tra le ciocche spettinate per cercare di ridare loro un po’ di
ordine. Purin
era davvero pazza, pensò con una forte punta di affetto; ma le
invidiava la
capacità di portare sempre allegria ovunque andasse.
Sentendo nascere un sorriso, si rimise al lavoro: Shirogane
aspettava il suo pacchetto, e lui non vedeva già l’ora di tornarsene a
casa.
§§
Ciò che Taruto consegnò al capo della squadra µ, poche
ore dopo, era una speciale tipo
di cimice da lui sviluppata, che non pensava sarebbe riuscito a testare
così presto.
Si trattava di un microchip sottocutaneo, progettato per apparire
invisibile e
soprattutto il meno rintracciabile possibile dagli strumenti
predisposti a
rilevare microspie esterne.
Non era rimasto molto con Shirogane, però; lui l’aveva preso
in custodia per un tempo limitato, ne aveva studiato al meglio delle
sue
capacità proprietà e funzionamento, e poi si era premurato che il
dispositivo
finisse nel luogo ad esso designato.
Questo altri non era che il braccio sinistro di Kisshu,
ancora avvolto da qualche benda di precauzione per il proiettile che
aveva
trapassato la sua spalla. Shirogane aveva supervisionato l’operazione
di
inserimento, che avrebbe fatto sì di poter seguire gli spostamenti di
colui che
si era rivelato essere loro alleato, senza che quest’ultimo rischiasse
ulteriormente di vanificare la sua copertura.
La situazione si stava infatti complicando, come
sottolineato dal fatto che i due precedenti incontri con Ikisatashi
erano
avvenuti nel buio di un parcheggio sotterraneo in un centro
commerciale, ben
oltre l’orario di lavoro prestabilito. Non potevano permettersi di
sottostimare
nemmeno una precauzione, le comunicazioni dovevano essere ridotte al
minimo, il
più possibilmente irrintracciabili ed incomprensibili ad occhi esterni.
Shirogane
pensava che il passo successivo sarebbero probabilmente stati i
piccioni
viaggiatori.
Ma la data di consegna detta da Ikisatashi a Minto, quelle
poche settimane prima, si stava avvicinano in modo rapido, e lui non
vedeva
davvero l’ora che tutta quella assurda vicenda volgesse al termine.
Sentiva la
tensione gravare sul gruppo come mai prima d’ora, e temeva per il
benessere
delle sue sottoposte.
Il suo senso del dovere, in ogni caso, era anch’esso più
forte che mai, e lo aiutava ad indorare la pillola nelle situazioni che
lo
rendevano così nervoso.
Come, ad esempio, il primo degli incontri segreti
organizzati con Ikisatashi, in modo che quest’ultimo potesse passare
loro più
informazioni possibili raccolte negli anni passati sotto copertura.
In quel momento, infatti, Ryo stava passeggiando nella
maniera più tranquilla che potesse con Purin al suo fianco, diretti
verso una
delle tante abitazioni sicure che l’agenzia deteneva in città.
Erano entrambi in incognito; Shirogane sfoggiava una
parrucca castana e un paio di tondi occhiali da vista, ed aveva
praticamente
costretto la biondina appesa al suo braccio ad accontentarsi di lunghi
e lisci
capelli neri.
Il resto del gruppo gli avrebbe raggiunti da altri percorsi,
in modo da non dare nell’occhio, come al solito; e, come al solito,
Purin
riusciva a trasformare anche quella situazione in una di tranquillità e
casualità, come se fossero davvero due amici fuori per una passeggiata.
Gli stava, infatti, raccontando come se nulla fosse di tutti
i piani che lei e Taruto avevano discusso in quei giorni, allegra ed
estasiata
come una ragazzina senza nemmeno una preoccupazione al mondo.
“E poi voglio che il salotto sia dipinto di un bel giallo,
per dare un po’ di allegria!”
Shirogane rise: “Non starete correndo un po’ troppo, voi
due?”
Purin alzò gli occhi al cielo: “Vuoi davvero farmi la
predica, capo?”
“No, ma dì a Taruto che lo rispedisco a riparare computer se
ti tratta male.”
La biondina ridacchiò e s’infilò oltre la porta che lui
aveva appena aperto per lei.
Davanti a loro si allungava un corridoio buio, illuminato
solo dalla fioca luce che proveniva da uno spiraglio aperto nell’unica
porta
che riuscivano a vedere.
Purin storse il naso: “Questo posto puzza di muffa.”
“E’ una delle abitazioni più vecchie che il Dipartimento ha
a disposizione,” spiegò Shirogane, “Sono anni che non viene utilizzata.
È per
questo che siamo qui.”
Lei si strinse nelle spalle: “Fa venire un po’ i brividi.”
La porta si aprì un po’ di più, quanto bastava perché Retasu
facesse spuntare la testa: “Oh, eccovi! Mancavate solo voi.”
La stanza in cui li accolse era stranamente calda, quasi da
risultare soffocante, e odorava fortemente di polvere e chiuso. Era
arredata
con pochi mobili di vecchio legno, di fattura grossolana, tutti vuoti
fatta
eccezione per il lungo tavolone di massello attorno al quale erano già
sedute
le altre quattro componenti della squadra µ
e Kisshu; su esso, infatti, erano stati dispiegati dei fogli e qualche
pianta,
stampata su carta blu. Una lampada dalla forte luce bianca illuminava
quel
tavolo più di tutto il resto della camera.
“Ichigo ti ha contagiato con i suoi ritardi, eh,
Shirogane-kun?” esclamò con la solita punta di acidità Minto.
L’americano, come al solito, decise di soprassedere sulla
battuta, notando subito la posizione rigida e difensiva che la mora
teneva,
dritta e algida sulla sedia all’angolo più lontano da Ikisatashi. A
quest’ultimo,
però, non risparmiò l’occhiataccia quando lo udì ridacchiare sottovoce.
“Non perdiamo troppo tempo in chiacchiere e diamoci da fare,”
replicò brusco, togliendosi il cappotto e occupando la sedia accanto a
quella
di Zakuro.
Kisshu si alzò con un sospiro, si avvicinò al tavolo e
srotolò i bordi di una delle piante, con aria pensierosa. “Condensare
anni di investigazioni
in poche ore non sarà facile, quindi non vi aspettate che questo sia
l’unico
incontro.”
“Non pensavo fossi tu a dare gli ordini.” esclamò glaciale
Shirogane.
L’altro non si scompose più di tanto: “Solo un’informazione
di servizio, capo.”
La parola gli snocciolò dalla lingua con astio e sarcasmo
che non venne ignorato dall’americano, consapevole della possibile e
probabile
circostanza che Ikisatashi fosse in realtà un agente a lui superiore.
Continuò
in ogni caso a fissarlo deciso, immobile e con la guardia alzata.
“Ovviamente, in tutto ciò io sto rischiando la pelle, ed è
anche per questo motivo che c’è questo,” Kisshu mosse per quanto ancora
poteva
il braccio sinistro, ed abbassò lo sguardo su una delle carte in fronte
a lui “Cercherò
di essere il più specifico possibile. Questa è una mappa del probabile
luogo in
cui Pai vorrà far tenere la vendita. Il modo è sempre lo stesso: posto
isolato,
facile da coprire per la sorveglianza, con molte vie di fuga
disponibili. Capannoni
abbandonati, fabbriche chiuse, qualche volta retri di locali. Se gli
incontri
preliminare vengono fatti all’aperto, sotto gli occhi di tutti quasi,
per dare
meno nell’occhio, la vendita è tutta il contrario.”
“E per quanto riguarda i clienti?” domandò Zakuro.
Kisshu spinse verso di lei un foglio: “Sono i nomi di quasi
tutti quelli a cui io ho partecipato. Alcuni immagino li riconoscerete.
Non so
quanto ormai possano essere utili, risalgono ad anni ed anni fa, ma
capirete la
cerchia.”
Quando il foglio le giunse fra le mani, Ichigo passò
sgomenta gli occhi sulla lista: “Com’è possibile che ci sia voluto così
tanto
tempo per poter solo pensare di far saltare l’organizzazione?”
“E’ tutto molto più grande di quanto immaginiate,” Ikisatashi
si strinse nelle spalle “La Deep Blue
è solo una cellula, mettiamola così, ed è sempre in movimento. Già è
strano che
si siano trattenuti qui a Tokyo così a lungo. Sono bravi a coprire le
proprie
tracce, a non lasciare niente al caso.”
“E tu come hai fatto ad inserirti?” domandò curiosa Purin,
appollaiata a gambe incrociate.
Lui le fece l’occhiolino: “Quella è una storia troppo lunga
per essere raccontata ora, scimmietta.”
Shirogane si alzò sbuffando e si avvicinò a Kisshu per poter
osservare anch’egli la planimetria. “Parlami delle vendite.”
“Con piacere,” lo prese in giro l’altro.
Le informazioni che Kisshu prese a rivelare loro furono
talmente tante che, dopo un po’, le ragazze cominciarono a provare un
vago
senso di mal di testa. L’aria, nella stanza priva di finestre perché
tutte
sbarrate, stava cominciando a farsi ancora più opprimente e stantia, e
l’essere
in sette in quell’ambiente angusto non aiutava di certo.
Solo Minto sembrava non avere spiccicato una parola da
quando la riunione era incominciata, lo sguardo fisso sul ragazzo
davanti a
lei, le braccia e le gambe incrociate. L’aveva seguito con gli occhi
per tutto
quel tempo, provando ad interpretare i suoi gesti e la sua personalità,
mentre
le parole che le aveva rivolto l’ultima volta che si erano visti
continuavano a
rimbombarle nelle orecchie.
Non riusciva a capire come potesse mostrarsi due persone
talmente diverse allo stesso tempo. Ma, d’altro canto, era qualcosa a
cui lei
stessa si era abituata, e l’aveva ritrovato anche nelle sue amiche più
care.
Fu il trillo di un cellulare ad interrompere, dopo qualche
ora, la discussione; ci furono anche parecchi sussulti, che nessuno
commentò
perché erano tutti ben consci di quanto in realtà fossero tesi i loro
nervi.
“E’ Akasaka-san,” borbottò Ryo “Gli avevo detto di chiamarmi
una volta finito il tempo a nostra disposizione per oggi. Ragazze, voi
uscite
per prime.”
Purin si fece scrocchiare le vertebre: “Finalmente, non ne
potevo più di stare qua. È buio e brutto.”
Ichigo le arruffò teneramente la frangetta: “Guarda che
James Bond non ha paura del buio.”
“Senti chi parla.”
Le ragazze risero a bassa voce, raccogliendo le proprie
cose, mentre Shirogane rivolse l’ennesima occhiata dura a Kisshu.
“Riesci a
tornare tra tre giorni?”
L’altro ci pensò un attimo: “Direi di sì. Stesso luogo,
stessa ora?”
“Se gli ordini di Keiichiro non cambiano, sì.”
“Roger that.”
Ryo si allontanò alzando appena gli occhi al cielo,
raggiungendo Ichigo che stava, con molti tentennamenti, osservando il
bagnetto
nascosto da una porta nell’angolo.
Mentre le altre ragazze si salutavano, le voci più allegre
di quanto non fossero state al loro arrivo, prima di incamminarsi verso
il
corridoio, Minto decise di avvicinarsi all’uomo rimasto, guardinga,
incrociando
le braccia al petto: “Come va la spalla?”
Kisshu la mosse quasi inconsciamente mentre raccoglieva le
ultime carte: “Diciamo che hai un'ottima mira.”
“Io continuo a sostenere che avrei dovuto piantarti il
proiettile in testa.”
Lui la guardò con un'espressione a metà tra il divertito e
l'irritato. Per qualche istante, il rumore fu solo quello delle auto
per la
strada e il fruscio dei fogli che venivano impilati in modo ordinato.
“Senti,” esclamò il giovane dopo un po' “Ero sincero l'altro
giorno quando...”
“Lo so,” lo interruppe lei con tono leggero “Sono più forte
di quello che sembra, comunque.”
Kisshu rise: “Immagino. E… ero serio anche riguardo la
pizza.”
Minto alzò gli occhi al cielo: “Non posso venire a cena con
te, non ti conosco nemmeno.”
“Sei venuta a letto con me.”
“E' diverso.” (*)
“D'accordo, allora vuoi tornare a letto con me?”
Fu Minto, questa volta, a ridere: “Non credi che dovresti
almeno aspettare finché la spalla non è guarita del tutto?”
Preso alla sprovvista, Kisshu alzò un sopracciglio: “Mi
stavo aspettando un cazzotto, in realtà.”
Lei si strinse nelle spalle, rimanendo con un fianco
appoggiato al tavolo.
“Minto-chan?” la testa di Ichigo sbucò dalla porta,
titubante “Io e Shirogane-kun stiamo per andarcene, vuoi un passaggio?”
“Oh, per carità,” replicò lei “In auto con voi due non salgo
nemmeno morta. Torno da sola, non è un problema.”
Mentre Kisshu sghignazzava sotto i baffi, la rossa gli
lanciò un'occhiata tipica di chi non si fida molto: “Sei sicura?”
“Non sono nemmeno le cinque del pomeriggio, Ichigo.”
“Ikisatashi ha già il microchip nel braccio, se per caso ha
intenzione di fare qualche stronzata lo troveremo facilmente,”
intervenne
Shirogane, indossando la giacca.
“Sempre che non me lo tolga prima,” replicò irritante e
sarcastico l'altro ragazzo.
“In tal caso, farò in modo che il coltello piantato nel tuo
occhio sia capitato lì per caso.”
“Grazie per la fiducia.”
Con un'ultima occhiataccia a Kisshu, Ryo e Ichigo se ne
andarono, parlottando sottovoce.
Lui rivolse la sua attenzione alla ragazza accanto a lui:
“Mi offrirei io di darti un passaggio, ma non credo sia il caso. Per
adesso, è
meglio che né io né altri sappiano con certezza dove abiti.”
“Lo so, infatti non te l'ho chiesto.”
“Perché sei rimasta, allora?”
Minto fece spallucce: “A casa sarei stata da sola, e mi
sarei annoiata. Non ho fretta di tornarci. Qualcuno deve anche
controllarti,
no? Non si sa mai che con la tua testa vuota, non lasci qualche cosa di
importante qui.”
“E' questo che fanno le signorine per bene, allora?” domandò
lui ridendo “Controllano i loro colleghi?”
“No, facciamo shopping.”
“Brrr, orrore.” Kisshu fece finta di rabbrividire. “E' un
po' un paradosso che un Agente di grado superiore sia controllato da
qualcuno
di grado inferiore, non credi?”
La mora alzò un sopracciglio: “Non provarci nemmeno. Se vuoi
tirare in ballo il grado, allora tu
ti sei approfittato di un tuo sottoposto, e quello
è molto più grave.”
“E, dimmi, se dovessi approfittarmene ancora, verrei
ucciso?”
Minto fece solo in tempo ad abbozzare ad un sorriso, senza
invece riuscire a rispondere, perché Zakuro bussò due volte,
aggiustandosi i
capelli dopo aver annodato la sciarpa: “Minto, vieni.”
La mora sembrò irrigidirsi a quell'invito: “Pensavo fossi
già andata via.”
“Borsa dimenticata.” replicò laconica, guardando Kisshu invece
che l’amica.
Lui sorrise, scuotendo la testa con aria avveduta e
riponendo le varie carte che si era portato dietro in una valigetta.
“Vi lascio alle vostre chiacchiere, signorine,” le salutò,
la giacca posata sulla spalla malandata e l’altra mano che stringeva
saldamente
la ventiquattrore, mentre inforcava un paio di occhiali “A presto.”
Sfiorò Minto con un braccio mentre le passava accanto per
uscire, intenzionale o meno che fosse, lo sguardo di Zakuro che gli
bruciava la
schiena. Solo quando udirono il tonfo lontano della porta di ingresso,
la
morettina, gli occhi puntati in basso, borbottò seccata: “Puoi anche
smetterla
di guardarmi così.”
L’altra afferrò la borsa, bella in vista sul tavolo per
essere stata dimenticata in distrazione: “Pensavo fossero anni che non
mangiassi la pizza, ballerina.”
Minto arrossì, seguendola lungo il corridoio e fuori,
finalmente, alla luce del Sole, e scosse la testa. “Ho bisogno di un
bicchiere
di vino.”
“Sì, ma con me, stavolta.”
(*)
Questo scambio di battute è stato tratto e tradotto
dalla sottoscritta dalle battute di un dialogo tra Miranda e Steve in
Sex and
The City ;)
Hellloooooo, mie dolci
fanciulle :D Siamo tornati nel periodo del "Hypnotic dovrebbe studiare
ed invece scrive", quindi aspettatevi sempre aggiornamenti random (e
terribilmente in ritardo come questo, lo so, lo so, mea culpa :'( Ma
l'uni mi tiene in ostaggio per 12 ore al giorno quasi tutti i giorni -
ci vado anche al sabato ahahahah *risatina isterica*).
Mi avevate chiesto in molte un
capitolo un po' soft,
di calma, ed eccolo qui, spero di aver fatto bene :) E comunque le cose
succedono, direi! Ichigo sembra aver messo la testa a posto (o sì?
Chissà? xD), Purin e Taruto sono l'unica coppia normale, Zakuro ne sa
sempre una più del diavolo... forse ho sgravato un po' nell'OOC per
quanto riguarda Minto, sono dubbiosa.
Il titolo viene da Give me Love di Ed
Sheeran.... sarà mai il titolo della canzone rivelatore? MAH ahahahah
Però è sempre bellissima, e lui è un patato paciugoso amorevole
<3 ("Qualcuno la fermi" ndKisshu. "Sta' buono che la tua vita è
in mano mia, sappilo." ndA)
Ora vado a studiare per l'ora
d'aria che mi rimane xD Aspetterò le vostre paroline sempre
dolci dolci (od incazzose, sopratutto verso certi PG ahahah)
Un bacione, a presto! <3
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