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Autore: Hypnotic Poison    26/02/2015    6 recensioni
Il Dipartimento Speciale di Investigazione era un reparto riservato dell'Agenzia di Intelligence per la Pubblica Sicurezza. Dislocato lontano dal palazzo del quartier generale, era uno di quei reparti di cui tutti sapevano, ma che nessuno conosceva davvero.
Genere: Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo dieci: We'll play hide and seek to turn this around
 
 
 
Ryo sbatté un paio di volte le palpebre prima di decidersi ad aprirle del tutto. Avvertì il cerchio alla testa ancora prima di riuscire a mettere a fuoco per bene la stanza.
E quella non era decisamente la sua stanza.
Si voltò sulla schiena, allungando un braccio alla sua sinistra e trovando soltanto ulteriori cuscini. Doveva essere davvero parecchio tardi se lui era l’ultimo a svegliarsi.
Decise, però, di trattenersi ancora qualche istante a letto; era davvero troppo stanco, le ultime settimane l’avevano sfinito, e si sentiva addosso il doppio dei suoi anni.
Ancora non riusciva a concepire come le sue agenti fossero più stressanti nelle situazioni ordinarie che in quelle di emergenza.
O forse perché nelle situazioni di emergenza non le aveva tra i piedi ad assillarlo perché si facesse qualcosa, a battibeccare come delle scolarette, e a parlarsi in battutine e doppi sensi degni davvero di liceali.
Sorrise nel sentire il tonfo di un corpicino non proprio leggero che zompava sul letto e si avvicinava a lui, pretendendo attenzioni infilandosi con prepotenza sotto al suo braccio e strusciandosi in un miagolio.
“Buongiorno, Masha,” mugolò, accarezzandogli con la punta delle dita la sommità della testa.
Il gattino rispose con un brontolio profondo e si piegò di più contro la sua mano prima di acciambellarsi accanto a lui e chiudere gli occhi.
Ryo rimase in silenzio ad ascoltare il respiro dell’animale e ad accarezzare il lucido pelo nero, sovrappensiero, ancora troppo intorpidito per potersi alzare.
 
 
Stava rivedendo per l’ennesima volta i risultati di quelle analisi, l’orecchio attaccato al telefono connesso al laboratorio, quando aveva sentito bussare rapidamente alla sua porta.
Ichigo, come suo solito, non aveva aspettato che lui rispondesse prima di aprire uno spiraglio ed infilarsi dentro, sventolando un paio di fogli che dovevano essere i report giornalieri degli agenti messi a guardia delle case protette dove Minto e Retasu stavano già da un paio di giorni.
Lei gli sorrise un po’ titubante – non si erano parlati molto dopo la telefonata di qualche sera prima – e lui le fece un cenno con il capo mentre continuava a parlare con il laboratorio, indicandole di appoggiare pure i fogli sulla sua scrivania. Non aveva molta fretta di guardarle, dopotutto; non succedeva, fortunatamente, mai nulla durante quelle sorveglianze, e se qualcosa fosse successo, lui l’avrebbe saputo già da un pezzo.
Ichigo si morse il labbro mentre si avvicinava, e da dietro la schiena tirò fuori anche una busta bianca sigillata, dall’aspetto rigonfio.
Ryo alzò un sopracciglio in una muta domanda, osservandola curioso con i suoi occhi penetranti; ma la rossa si strinse solamente nelle spalle, spingendola verso di lui con due dita, e poi uscì velocemente così com’era entrata.
Ormai l’aveva distratto da ciò che il tecnico gli stava borbottando al telefono, così Shirogane cercò di tagliare il più possibile, studiando la busta che aveva preso in mano. La tastò; c’era sicuramente qualcosa dentro di grosso, che non era carta. Cosa diavolo saltava in mente a quella donna?
Impaziente di aspettare oltre, salutò bruscamente l’interlocutore, e aprì di scatto l’involucro.
Ne cadde un paio di chiavi; non gli ci volle molto per capire cosa fossero, e cosa significassero.
Tipico di lei, pensò, cercando di ignorare la stretta che il suo stomaco aveva subito quando il cuore gli era piombato contro, giocherellando con le chiavi sul vetro della scrivania: aggirare il problema, non parlarne, presentarsi solamente con la sua decisione già pronta e fornire quella che per lei era la soluzione.
Forse questo modus operandi poteva funzionare in Agenzia, ma non era del tutto sicuro che avrebbe funzionato anche con lui.
Se le mise comunque in tasca, deciso a non pensarci fino ad almeno alla fine del turno. Non mancava molto, ed avevano avuto già abbastanza distrazioni da bastargli una vita in questi ultimi tempi.
Nessuno lo disturbò più nel suo studio, sapendo bene che quando la porta rimaneva chiusa per così tanto tempo, aveva un significato preciso; perse anche lui la cognizione del tempo, in realtà, ad organizzare tutti i loro compiti che avrebbero dovuto adempiere una volta recuperate le due agenti mancanti della squadra, e quelli da svolgere nel frattempo.
Gli fece bene, si disse, distrarsi così; aveva già sprecato abbastanza emicranie per Ichigo. Quando si alzò dalla poltrona, erano ormai passate le otto di sera, e ricordava vagamente i saluti delle ragazze, qualche ora prima.
Uscì con calma dall’edificio, avvertendo il tintinnare delle chiavi nella tasca interna della sua giacca, ma ciò non aumentò il suo passo.
Si concesse due tranci di pizza prima di salire in auto, ma tra una cosa e l’altra, non arrivò sotto casa di Ichigo fino alle dieci.
Fece un respiro profondo prima di scendere, guardando con la coda dell’occhio la luce che filtrava da quella che sapeva essere la finestra del salotto.
Scelse anche di salire le scale piuttosto che prendere l’ascensore – come se le quattro rampe gli avrebbero dato più tempo di prendere una decisione, come se il rimbombo del battito del cuore nelle orecchie servisse ad isolarlo dalla marea di pensieri nella sua mente.
Possibile che l’ultima volta che avesse percorso quei gradini fosse stato alle tre del mattino, completamente ubriaco, a pregarla di non scegliere l’altro?
Gli sembrava che fossero passati secoli.
Infilò la chiave, ora dalla forma così famigliare, nella toppa, ma bussò comunque un paio di volte prima di farla girare e far scattare la serratura.
Ichigo gli apparve davanti, un po’ affannata come se avesse corso, non appena aprì la porta quanto bastava per guardare. Lo accolse con un sorriso.
“Ciao,” gli disse, tirandosi giù l’orlo della maglia che usava come pigiama “Mi stavo chiedendo se…”
“Speri di cavartela consegnandomi così le chiavi?” le domandò lui di rimando, forse un po’ troppo bruscamente.
L’espressione sul viso di lei cambiò rapidamente, e si morse il labbro. “No, però…”
Ryo scosse la testa, facendo due passi in avanti per poter entrare nell’appartamento.
“Per te è tutto molto semplice, vero?”
“Non è semplice per niente!” sbottò di rimando lei, stringendo i pugni ai fianchi “Ma… tutta questa… cosa di Minto e Retasu mi ha fatto capire molte cose. Mi ha fatto capire chi non voglio perdere. E sono spaventata, però… l’ho fatto comunque. Ho preso la mia decisione. Vuoi sentirti dire che avevi ragione, è questo che vuoi?”
L’americano alzò un sopracciglio, un po’ preso alla sprovvista dal solito scoppio imprevisto di Ichigo. “Sì, be’, non mi dispiacerebbe.”
La rossa fece una smorfia al suo tono ironico e supponente. “Okay, allora avevi ragione,” ammise comunque “Sono stata egoista. E voglio te. Tu mi conosci più di tutti, Ryo. Con te posso essere me stessa, senza menzogne o inganni. Io voglio stare con te. Solo con te.”
 
 
Masha miagolò all’improvviso, lo costrinse ad aprire di nuovo gli occhi quando gli diede un colpetto sul naso con la testa.
Tutto la sua padrona.
“D’accordo, d’accordo,” bofonchiò arreso. “Alziamoci.”
Si tirò su a fasi, sedendosi sul bordo del letto e stiracchiandosi i muscoli indolenziti, facendo scrocchiare piacevolmente le giunture e le ossa del collo. Si passò le mani sul volto, pizzicante per la ricrescita della barba, sbadigliò, ed agguantò giocoso il gattino da sotto la pancia, portandolo con sé verso la cucina.
“Sei una piccola bestiolina invadente,” gli mormorò, facendolo ballonzolare piano come se fosse un pesetto -  Masha, incredibilmente, stava mollo e rilassato nella sua presa, fidandosi di lui. Avevano giocato insieme ormai talmente tante volte che si conoscevano a vicenda.
Emise delle fusa contente, e si divincolò solamente quando varcarono la soglia della stanza, invasa dall’odore invitante del bacon.
“Ti sembra questa l’ora di svegliarsi?” Ichigo, armata di spatola, lo accolse allegra ed ironica, guardandolo da sopra la spalla.
Ryo lanciò un’occhiata all’orologio del forno, che segnava ormai le undici e trequarti. Benedetti i sabato mattina.
“Avrei continuato a dormire, ma ci ha pensato il tuo dannato gatto a svegliarmi.”
La rossa guardò amorevole Masha che le si strusciava tra le caviglie per chiederle un pezzetto di pancetta. “La prossima volta lo morderei anche, se fossi in te.”
L’americano sorrise, e le avvolse le braccia intorno alla vita, lasciandole un bacio sulla spalla.
“Che ora abbiamo fatto ieri sera?”
Ichigo girò abile una striscia di bacon: “Ho controllato prima i file, l’ultima modifica è dell’una e mezza. Guarda che non abbiamo più l’età per certi straordinari, io pretendo un aumento.”
Ryo ridacchiò, mordendola piano: “Io direi che non abbiamo più l’età per fare le ore piccole facendo altro.
Lei si finse offesa, decisa a nascondere il rossore sulle guance: “Parla per te, vecchio.”
Lui rubò velocemente della pancetta dalla padella sfrigolante, assaporando il gusto così familiare con calma, beandosi dell’espressione intimidatoria di Ichigo che lo sgridava imponendogli di aspettare ed usare dei piatti, come le persone civilizzate.
“Dovresti smetterla di passare tutto quel tempo con Minto.”
“Dovresti iniziare a farlo tu, invece!”
“No,” Ryo spense il fornello, l’agguantò di nuovo per la vita, e la voltò così che la potesse guardare in volto “I’d rather spend it with you.”
La baciò dolcemente mentre lei rideva ed incrociava le braccia dietro al suo collo.
Non avevano parlato ancora di nulla, in quella settimana e mezzo – del loro lavoro, del fatto che tutto ciò tecnicamente non era autorizzato, delle possibilità di trovare dei cavilli, di tutte le altre sfumature della loro relazione. Ryo non ci voleva pensare, non ancora. Era felice, per la prima volta da tanto tempo, ed andava bene così.
 
§§
 
Purin scese le scale quasi a saltelli, tenendo in mano un plico di fogli.
“Taru-Taruuu,” cinguettò, palesemente ignorando il fatto che non ci fosse solo lui in laboratorio, e causandogli il solito imbarazzo sulle guance “Li manda Shirogane-kun, per te. E vuole sapere se tu-sai-cosa è già pronto.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo: “Potresti evitare di chiamarmi così, almeno in pubblico?”
La biondina sorrise, appoggiandosi al bordo della sua scrivani: “Potrei, ma non è detto che lo farò.”
Taruto scosse la testa e si rimise a digitare alla tastiera: “Comunque, dì a Shirogane-san che è tutto pronto. Glielo consegnerò domani.”
“Forse faresti meglio a consegnarglielo stasera.”
“Perché? È di cattivo umore?”
“No, anzi,” Purin si arrotolò una ciocca attorno ad un dito “Ma lo sai com’è fatto. Oggi è lunedì, nuova settimana, bisogna iniziarla con qualcosa di concreto.”
“Già,” Taruto si guardò un attimo intorno, controllando che i suoi colleghi fossero abbastanza impegnati e fuori dalla portata d’orecchio “A questo proposito… credi che dovremo notificare Shirogane in caso, per esempio, se… io e te andassimo, uhm, a vivere insieme, o che so io…”
I fogli quasi scapparono di mano alla ragazza, che sgranò appena gli occhi: “Be’, ecco… insomma, non lavorando nella stessa squadra non vedo dove possa esserci il problema, ma per precauzione, sai…”
Lui annuì: “Sì, infatti, è quello che pensavo anche io. Perfetto.”
Passarono pochi attimi di silenzio, durante i quali Purin cercò di placare il sorriso che minacciava di spuntarle sulle labbra, e Taruto fingeva di rimanere concentrato sullo schermo del computer; poi la biondina gli si gettò al collo, stringendolo in una morsa pressoché asfissiante, sballottandolo di qua e di là, prima di piantargli un sonoro bacio sulla guancia: “Oh, Taru-Taru, sono così felice!” strillò, catturando l’attenzione di tutti i presenti che ebbero almeno il buonsenso, per il bene del loro giovane collega, di ridere sottovoce “Non vedo l’ora di scegliere l’arredamento della nostra camera da letto!”
Lui era ormai diventato di un notevole colorito violaceo; spostata la ragazza dal suo grembo, sul quale si era arrampicata, tossicchiò un paio di volte: “Uhm, sì… ne parliamo un’altra volta, d’accordo? O-ora devo portare questo a Shirogane-san.”
“Glielo posso portare io,”
“No, no,” Taruto scosse la testa e sfiorò con le dita un piccolo involucro nero “Voglio fare un altro paio di test prima di essere sicuro. Digli solo che sarà pronto prima che lui vada a casa.”
“D’accoooooooordo, ma ricordati che ultimamente il capo va a casa prima,” con un occhiolino che diceva molto, Purin saltò giù dalla scrivania e gli arruffò i capelli, provocandogli l’ennesimo attacco di rossore “A più tardi, Taru-Taru!”
Quando vide la matassa di capelli biondi sparire su per le scale, il giovane scienziato si lasciò andare ad un sospiro, passandosi una mano tra le ciocche spettinate per cercare di ridare loro un po’ di ordine. Purin era davvero pazza, pensò con una forte punta di affetto; ma le invidiava la capacità di portare sempre allegria ovunque andasse.
Sentendo nascere un sorriso, si rimise al lavoro: Shirogane aspettava il suo pacchetto, e lui non vedeva già l’ora di tornarsene a casa.
 
§§
 
Ciò che Taruto consegnò al capo della squadra µ, poche ore dopo, era una speciale tipo di cimice da lui sviluppata, che non pensava sarebbe riuscito a testare così presto. Si trattava di un microchip sottocutaneo, progettato per apparire invisibile e soprattutto il meno rintracciabile possibile dagli strumenti predisposti a rilevare microspie esterne.
Non era rimasto molto con Shirogane, però; lui l’aveva preso in custodia per un tempo limitato, ne aveva studiato al meglio delle sue capacità proprietà e funzionamento, e poi si era premurato che il dispositivo finisse nel luogo ad esso designato.
Questo altri non era che il braccio sinistro di Kisshu, ancora avvolto da qualche benda di precauzione per il proiettile che aveva trapassato la sua spalla. Shirogane aveva supervisionato l’operazione di inserimento, che avrebbe fatto sì di poter seguire gli spostamenti di colui che si era rivelato essere loro alleato, senza che quest’ultimo rischiasse ulteriormente di vanificare la sua copertura.
La situazione si stava infatti complicando, come sottolineato dal fatto che i due precedenti incontri con Ikisatashi erano avvenuti nel buio di un parcheggio sotterraneo in un centro commerciale, ben oltre l’orario di lavoro prestabilito. Non potevano permettersi di sottostimare nemmeno una precauzione, le comunicazioni dovevano essere ridotte al minimo, il più possibilmente irrintracciabili ed incomprensibili ad occhi esterni. Shirogane pensava che il passo successivo sarebbero probabilmente stati i piccioni viaggiatori.
Ma la data di consegna detta da Ikisatashi a Minto, quelle poche settimane prima, si stava avvicinano in modo rapido, e lui non vedeva davvero l’ora che tutta quella assurda vicenda volgesse al termine. Sentiva la tensione gravare sul gruppo come mai prima d’ora, e temeva per il benessere delle sue sottoposte.
Il suo senso del dovere, in ogni caso, era anch’esso più forte che mai, e lo aiutava ad indorare la pillola nelle situazioni che lo rendevano così nervoso.
Come, ad esempio, il primo degli incontri segreti organizzati con Ikisatashi, in modo che quest’ultimo potesse passare loro più informazioni possibili raccolte negli anni passati sotto copertura.
In quel momento, infatti, Ryo stava passeggiando nella maniera più tranquilla che potesse con Purin al suo fianco, diretti verso una delle tante abitazioni sicure che l’agenzia deteneva in città.
Erano entrambi in incognito; Shirogane sfoggiava una parrucca castana e un paio di tondi occhiali da vista, ed aveva praticamente costretto la biondina appesa al suo braccio ad accontentarsi di lunghi e lisci capelli neri.
Il resto del gruppo gli avrebbe raggiunti da altri percorsi, in modo da non dare nell’occhio, come al solito; e, come al solito, Purin riusciva a trasformare anche quella situazione in una di tranquillità e casualità, come se fossero davvero due amici fuori per una passeggiata.
Gli stava, infatti, raccontando come se nulla fosse di tutti i piani che lei e Taruto avevano discusso in quei giorni, allegra ed estasiata come una ragazzina senza nemmeno una preoccupazione al mondo.
“E poi voglio che il salotto sia dipinto di un bel giallo, per dare un po’ di allegria!”
Shirogane rise: “Non starete correndo un po’ troppo, voi due?”
Purin alzò gli occhi al cielo: “Vuoi davvero farmi la predica, capo?”
“No, ma dì a Taruto che lo rispedisco a riparare computer se ti tratta male.”
La biondina ridacchiò e s’infilò oltre la porta che lui aveva appena aperto per lei.
Davanti a loro si allungava un corridoio buio, illuminato solo dalla fioca luce che proveniva da uno spiraglio aperto nell’unica porta che riuscivano a vedere.
Purin storse il naso: “Questo posto puzza di muffa.”
“E’ una delle abitazioni più vecchie che il Dipartimento ha a disposizione,” spiegò Shirogane, “Sono anni che non viene utilizzata. È per questo che siamo qui.”
Lei si strinse nelle spalle: “Fa venire un po’ i brividi.”
La porta si aprì un po’ di più, quanto bastava perché Retasu facesse spuntare la testa: “Oh, eccovi! Mancavate solo voi.”
La stanza in cui li accolse era stranamente calda, quasi da risultare soffocante, e odorava fortemente di polvere e chiuso. Era arredata con pochi mobili di vecchio legno, di fattura grossolana, tutti vuoti fatta eccezione per il lungo tavolone di massello attorno al quale erano già sedute le altre quattro componenti della squadra µ e Kisshu; su esso, infatti, erano stati dispiegati dei fogli e qualche pianta, stampata su carta blu. Una lampada dalla forte luce bianca illuminava quel tavolo più di tutto il resto della camera.
“Ichigo ti ha contagiato con i suoi ritardi, eh, Shirogane-kun?” esclamò con la solita punta di acidità Minto.
L’americano, come al solito, decise di soprassedere sulla battuta, notando subito la posizione rigida e difensiva che la mora teneva, dritta e algida sulla sedia all’angolo più lontano da Ikisatashi. A quest’ultimo, però, non risparmiò l’occhiataccia quando lo udì ridacchiare sottovoce.
“Non perdiamo troppo tempo in chiacchiere e diamoci da fare,” replicò brusco, togliendosi il cappotto e occupando la sedia accanto a quella di Zakuro.
Kisshu si alzò con un sospiro, si avvicinò al tavolo e srotolò i bordi di una delle piante, con aria pensierosa. “Condensare anni di investigazioni in poche ore non sarà facile, quindi non vi aspettate che questo sia l’unico incontro.”
“Non pensavo fossi tu a dare gli ordini.” esclamò glaciale Shirogane.
L’altro non si scompose più di tanto: “Solo un’informazione di servizio, capo.”
La parola gli snocciolò dalla lingua con astio e sarcasmo che non venne ignorato dall’americano, consapevole della possibile e probabile circostanza che Ikisatashi fosse in realtà un agente a lui superiore. Continuò in ogni caso a fissarlo deciso, immobile e con la guardia alzata.
“Ovviamente, in tutto ciò io sto rischiando la pelle, ed è anche per questo motivo che c’è questo,” Kisshu mosse per quanto ancora poteva il braccio sinistro, ed abbassò lo sguardo su una delle carte in fronte a lui “Cercherò di essere il più specifico possibile. Questa è una mappa del probabile luogo in cui Pai vorrà far tenere la vendita. Il modo è sempre lo stesso: posto isolato, facile da coprire per la sorveglianza, con molte vie di fuga disponibili. Capannoni abbandonati, fabbriche chiuse, qualche volta retri di locali. Se gli incontri preliminare vengono fatti all’aperto, sotto gli occhi di tutti quasi, per dare meno nell’occhio, la vendita è tutta il contrario.”
“E per quanto riguarda i clienti?” domandò Zakuro.
Kisshu spinse verso di lei un foglio: “Sono i nomi di quasi tutti quelli a cui io ho partecipato. Alcuni immagino li riconoscerete. Non so quanto ormai possano essere utili, risalgono ad anni ed anni fa, ma capirete la cerchia.”
Quando il foglio le giunse fra le mani, Ichigo passò sgomenta gli occhi sulla lista: “Com’è possibile che ci sia voluto così tanto tempo per poter solo pensare di far saltare l’organizzazione?”
“E’ tutto molto più grande di quanto immaginiate,” Ikisatashi si strinse nelle spalle “La Deep Blue è solo una cellula, mettiamola così, ed è sempre in movimento. Già è strano che si siano trattenuti qui a Tokyo così a lungo. Sono bravi a coprire le proprie tracce, a non lasciare niente al caso.”
“E tu come hai fatto ad inserirti?” domandò curiosa Purin, appollaiata a gambe incrociate.
Lui le fece l’occhiolino: “Quella è una storia troppo lunga per essere raccontata ora, scimmietta.”
Shirogane si alzò sbuffando e si avvicinò a Kisshu per poter osservare anch’egli la planimetria. “Parlami delle vendite.”
“Con piacere,” lo prese in giro l’altro.
Le informazioni che Kisshu prese a rivelare loro furono talmente tante che, dopo un po’, le ragazze cominciarono a provare un vago senso di mal di testa. L’aria, nella stanza priva di finestre perché tutte sbarrate, stava cominciando a farsi ancora più opprimente e stantia, e l’essere in sette in quell’ambiente angusto non aiutava di certo.
Solo Minto sembrava non avere spiccicato una parola da quando la riunione era incominciata, lo sguardo fisso sul ragazzo davanti a lei, le braccia e le gambe incrociate. L’aveva seguito con gli occhi per tutto quel tempo, provando ad interpretare i suoi gesti e la sua personalità, mentre le parole che le aveva rivolto l’ultima volta che si erano visti continuavano a rimbombarle nelle orecchie.
Non riusciva a capire come potesse mostrarsi due persone talmente diverse allo stesso tempo. Ma, d’altro canto, era qualcosa a cui lei stessa si era abituata, e l’aveva ritrovato anche nelle sue amiche più care.
Fu il trillo di un cellulare ad interrompere, dopo qualche ora, la discussione; ci furono anche parecchi sussulti, che nessuno commentò perché erano tutti ben consci di quanto in realtà fossero tesi i loro nervi.
“E’ Akasaka-san,” borbottò Ryo “Gli avevo detto di chiamarmi una volta finito il tempo a nostra disposizione per oggi. Ragazze, voi uscite per prime.”
Purin si fece scrocchiare le vertebre: “Finalmente, non ne potevo più di stare qua. È buio e brutto.”
Ichigo le arruffò teneramente la frangetta: “Guarda che James Bond non ha paura del buio.”
“Senti chi parla.”
Le ragazze risero a bassa voce, raccogliendo le proprie cose, mentre Shirogane rivolse l’ennesima occhiata dura a Kisshu. “Riesci a tornare tra tre giorni?”
L’altro ci pensò un attimo: “Direi di sì. Stesso luogo, stessa ora?”
“Se gli ordini di Keiichiro non cambiano, sì.”
Roger that.”
Ryo si allontanò alzando appena gli occhi al cielo, raggiungendo Ichigo che stava, con molti tentennamenti, osservando il bagnetto nascosto da una porta nell’angolo.
Mentre le altre ragazze si salutavano, le voci più allegre di quanto non fossero state al loro arrivo, prima di incamminarsi verso il corridoio, Minto decise di avvicinarsi all’uomo rimasto, guardinga, incrociando le braccia al petto: “Come va la spalla?”
Kisshu la mosse quasi inconsciamente mentre raccoglieva le ultime carte: “Diciamo che hai un'ottima mira.”
“Io continuo a sostenere che avrei dovuto piantarti il proiettile in testa.”
Lui la guardò con un'espressione a metà tra il divertito e l'irritato. Per qualche istante, il rumore fu solo quello delle auto per la strada e il fruscio dei fogli che venivano impilati in modo ordinato.
“Senti,” esclamò il giovane dopo un po' “Ero sincero l'altro giorno quando...”
“Lo so,” lo interruppe lei con tono leggero “Sono più forte di quello che sembra, comunque.”
Kisshu rise: “Immagino. E… ero serio anche riguardo la pizza.”
Minto alzò gli occhi al cielo: “Non posso venire a cena con te, non ti conosco nemmeno.”
“Sei venuta a letto con me.”
“E' diverso.” (*)
“D'accordo, allora vuoi tornare a letto con me?”
Fu Minto, questa volta, a ridere: “Non credi che dovresti almeno aspettare finché la spalla non è guarita del tutto?”
Preso alla sprovvista, Kisshu alzò un sopracciglio: “Mi stavo aspettando un cazzotto, in realtà.”
Lei si strinse nelle spalle, rimanendo con un fianco appoggiato al tavolo.
“Minto-chan?” la testa di Ichigo sbucò dalla porta, titubante “Io e Shirogane-kun stiamo per andarcene, vuoi un passaggio?”
“Oh, per carità,” replicò lei “In auto con voi due non salgo nemmeno morta. Torno da sola, non è un problema.”
Mentre Kisshu sghignazzava sotto i baffi, la rossa gli lanciò un'occhiata tipica di chi non si fida molto: “Sei sicura?”
“Non sono nemmeno le cinque del pomeriggio, Ichigo.”
“Ikisatashi ha già il microchip nel braccio, se per caso ha intenzione di fare qualche stronzata lo troveremo facilmente,” intervenne Shirogane, indossando la giacca.
“Sempre che non me lo tolga prima,” replicò irritante e sarcastico l'altro ragazzo.
“In tal caso, farò in modo che il coltello piantato nel tuo occhio sia capitato lì per caso.”
“Grazie per la fiducia.”
Con un'ultima occhiataccia a Kisshu, Ryo e Ichigo se ne andarono, parlottando sottovoce.
Lui rivolse la sua attenzione alla ragazza accanto a lui: “Mi offrirei io di darti un passaggio, ma non credo sia il caso. Per adesso, è meglio che né io né altri sappiano con certezza dove abiti.”
“Lo so, infatti non te l'ho chiesto.”
“Perché sei rimasta, allora?”
Minto fece spallucce: “A casa sarei stata da sola, e mi sarei annoiata. Non ho fretta di tornarci. Qualcuno deve anche controllarti, no? Non si sa mai che con la tua testa vuota, non lasci qualche cosa di importante qui.”
“E' questo che fanno le signorine per bene, allora?” domandò lui ridendo “Controllano i loro colleghi?”
“No, facciamo shopping.”
“Brrr, orrore.” Kisshu fece finta di rabbrividire. “E' un po' un paradosso che un Agente di grado superiore sia controllato da qualcuno di grado inferiore, non credi?”
La mora alzò un sopracciglio: “Non provarci nemmeno. Se vuoi tirare in ballo il grado, allora tu ti sei approfittato di un tuo sottoposto, e quello è molto più grave.”
“E, dimmi, se dovessi approfittarmene ancora, verrei ucciso?”
Minto fece solo in tempo ad abbozzare ad un sorriso, senza invece riuscire a rispondere, perché Zakuro bussò due volte, aggiustandosi i capelli dopo aver annodato la sciarpa: “Minto, vieni.”
La mora sembrò irrigidirsi a quell'invito: “Pensavo fossi già andata via.”
“Borsa dimenticata.” replicò laconica, guardando Kisshu invece che l’amica.
Lui sorrise, scuotendo la testa con aria avveduta e riponendo le varie carte che si era portato dietro in una valigetta.
“Vi lascio alle vostre chiacchiere, signorine,” le salutò, la giacca posata sulla spalla malandata e l’altra mano che stringeva saldamente la ventiquattrore, mentre inforcava un paio di occhiali “A presto.”
Sfiorò Minto con un braccio mentre le passava accanto per uscire, intenzionale o meno che fosse, lo sguardo di Zakuro che gli bruciava la schiena. Solo quando udirono il tonfo lontano della porta di ingresso, la morettina, gli occhi puntati in basso, borbottò seccata: “Puoi anche smetterla di guardarmi così.”
L’altra afferrò la borsa, bella in vista sul tavolo per essere stata dimenticata in distrazione: “Pensavo fossero anni che non mangiassi la pizza, ballerina.”
Minto arrossì, seguendola lungo il corridoio e fuori, finalmente, alla luce del Sole, e scosse la testa. “Ho bisogno di un bicchiere di vino.”
“Sì, ma con me, stavolta.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Questo scambio di battute è stato tratto e tradotto dalla sottoscritta dalle battute di un dialogo tra Miranda e Steve in Sex and The City ;)






Hellloooooo, mie dolci fanciulle :D Siamo tornati nel periodo del "Hypnotic dovrebbe studiare ed invece scrive", quindi aspettatevi sempre aggiornamenti random (e terribilmente in ritardo come questo, lo so, lo so, mea culpa :'( Ma l'uni mi tiene in ostaggio per 12 ore al giorno quasi tutti i giorni - ci vado anche al sabato ahahahah *risatina isterica*).

Mi avevate chiesto in molte un capitolo un po' soft, di calma, ed eccolo qui, spero di aver fatto bene :) E comunque le cose succedono, direi! Ichigo sembra aver messo la testa a posto (o sì? Chissà? xD), Purin e Taruto sono l'unica coppia normale, Zakuro ne sa sempre una più del diavolo... forse ho sgravato un po' nell'OOC per quanto riguarda Minto, sono dubbiosa.

Il titolo viene da Give me Love di Ed Sheeran.... sarà mai il titolo della canzone rivelatore? MAH ahahahah Però è sempre bellissima, e lui è un patato paciugoso amorevole <3 ("Qualcuno la fermi" ndKisshu. "Sta' buono che la tua vita è in mano mia, sappilo." ndA)

Ora vado a studiare per l'ora d'aria che mi rimane xD  Aspetterò le vostre paroline sempre dolci dolci (od incazzose, sopratutto verso certi PG ahahah)

Un bacione, a presto! <3

   
 
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