Seconda parte
Il
funerale si tenne quello stesso giorno.
La
cripta delle Montagne Azzurre aveva un soffitto a volta alto nemmeno
un terzo dei saloni di Erebor, e la sua costruzione era stata ultimata
solo due anni prima.
Il
corpo del defunto era steso su un piccolo altare di marmo.
Dís aveva lavato ed intrecciato i suoi capelli e i suoi
baffi, sistemando le ciocche bionde in modo che nascondessero lo
squarcio nel cranio, e lo aveva vestito col suo abito più
bello. Infine, gli aveva poggiato la spada sul petto immobile,
chiudendo l’elsa nella sua presa già rigida.
Ora
lei si trovava in piedi di fianco all’altare, con Thorin
alla propria sinistra e i figli alla propria destra.
Fíli
stava dritto sulle sue gambette, mentre Kíli
era stato messo in braccio ad un Nano chiamato Bifur.
Inizialmente,
Thorin si era meravigliato della scelta di
Dís. Bifur non era della stirpe di Durin, e in
più – come conseguenza dell’accetta che
sporgeva dalla sua fronte, una vecchia ferita di guerra –
parlava solo in antico Khuzdul e si muoveva in modo nervoso e
scoordinato.
A
quanto pareva, però, mettergli in braccio un bambino era
il modo giusto per farlo diventare quieto e delicato. Kíli
sembrava tranquillo, e fortunatamente non sembrava interessato
all’oggetto che spuntava dalla fronte del Nano adulto.
Nella
cripta si trovavano anche altre persone: i guerrieri che avevano
partecipato alla battaglia in cui il marito di Dís aveva
perso la vita, e coloro che avevano lavorato con lui in miniera.
Balin,
il calmo e compassionevole Balin, affiancava Thorin e dirigeva
la cerimonia.
Si
trattava per lo più di preghiere rivolte a Mahal, ma
anche di qualche invocazione a Durin, siccome il morto aveva sposato
una principessa della sua stirpe.
Thorin
cercò di non pensare a Frerin, e al fatto che per lui
non c’era stata alcuna tomba. Il suo corpo era bruciato su
una pira insieme ad un centinaio di altri.
Col
procedere della cerimonia, Thorin si ritrovò a guardare
a più riprese verso i propri nipoti.
Kíli
si era messo a mangiucchiare la barba ruvida di Bifur,
che bizzarramente sembrava gradire la cosa.
Fíli
era silenzioso, e seguiva ogni gesto di sua madre ad
occhi sgranati. Non aveva nemmeno risposto al sorriso gentile che gli
aveva indirizzato Balin. Thorin avrebbe dato l’anima per
sapere cosa stesse pensando il bambino.
In
quanto a Dís, all’inizio della cerimonia aveva
mormorato qualcosa ai figli, e riuscì a mantenere un regale
autocontrollo per quasi tutta la sua durata.
Quando
iniziarono a spostare il corpo del defunto verso la tomba che lo
attendeva, però, Kíli smise di masticare i
capelli di Bifur e si girò a guardare cosa stava succedendo.
Come
notò la sagoma immobile di suo padre, si mosse e
chiamò «da!». Nel silenzio, la sua voce
infantile risuonò nitida ed argentina.
Thorin
sentì che, accanto a lui, Dís tratteneva
bruscamente il respiro, per poi rompere in un singhiozzo strangolato.
In una mossa istintiva, le circondò le spalle con un
braccio, e colse gli occhi azzurri e spaventati di Fíli.
Dís
si ricompose in fretta, osservò senza lacrime
mentre suo marito veniva calato nella sua tomba e due Nani si facevano
avanti per sigillarla.
Guardando
il profilo di sua sorella, Thorin intonò a bassa
voce una delle canzoni del popolo di Erebor, una canzone che parlava di
viaggi, addii, e ricordi incancellabili. Balin fu il primo ad unirsi a
lui, e una dopo l’altra si aggiunsero le voci degli altri
presenti.
Dís
guardò Thorin per un momento che a lui parve
interminabile, quindi si girò verso Bifur tendendo le mani.
L’altro districò le dita di Kíli dalla
propria barba e lo restituì a sua madre.
Fíli
le si avvinghiò alle gambe, e Dís
gli accarezzò la testolina con una mano e gli disse che suo
padre si era recato nelle Aule di Mandos, e avrebbe incontrato i loro
padri, e Mahal si sarebbe preso cura di lui. Poi si
raddrizzò, e anche lei – le labbra vicine
all’orecchio di Kíli – si unì
al canto.
Forse,
sperò Thorin, in un inizio di consolazione.
Nei
giorni seguenti, visitò sua sorella non appena i suoi
doveri nei confronti del popolo ed il suo lavoro alla fucina glielo
permettevano.
Talvolta
Dwalin lo accompagnava, per la gioia di Fíli e
Kíli. Thorin non si capacitava di come i due bambini,
anziché essere intimoriti dalla stazza del guerriero, gli
dedicassero sguardi che rasentavano la venerazione.
Il
funerale sembrava aver impressionato Fíli, che spesso si
chiudeva in lunghi silenzi, forse cercando di afferrare un concetto
come mai più. In quanto a Kíli, un paio di volte
aveva gironzolato per la casa chiamando «da!» a
gran voce, ma era facilmente distraibile, e sembrava che i suoi ricordi
iniziassero già a sbiadire.
Francamente,
Thorin non aveva idea di come sua sorella fronteggiasse la
situazione senza avere un crollo emotivo.
Avrebbe
voluto starle il più vicino possibile, ed
iniziò a contemplare l’idea di trasferirsi da lei.
In passato aveva già trascorso qualche notte nei suoi
alloggi, quando gli era successo di rientrare tardi da un viaggio e di
non avere il tempo di aspettare che il fuoco scaldasse ragionevolmente
le sue stanze di pietra fredda. In quelle occasioni, aveva dormito in
una terza camera da letto che ultimamente Dís utilizzava
come ripostiglio.
Non
sarebbe stato difficile, però, spostare i vestiti e le
pentole di rame che la ingombravano al momento.
L’unica
cosa che lo preoccupava era un’eventuale
reazione di sua sorella… Dís era fiera, forte e
indipendente – come avrebbe accolto la proposta di avere il
fratello maggiore in casa propria?
Alla
fine, come era già successo innumerevoli volte, lei lo
colse alla sprovvista.
«Sai»
gli disse, una sera in cui Dwalin non era
presente, «potresti venire a vivere qui».
Thorin
era appena rientrato dalla fucina, e sedeva al tavolo mentre
Dís gli dava le spalle e finiva di preparare la cena.
Tacque, sorpreso.
«Potresti
usare la solita stanza» aggiunse
Dís, «ho già iniziato a liberarla. So
che sarai via spesso, ma quando ti troverai qui ti farà bene
avere qualcuno che si prenda cura di te. E credo che Fíli e
Kíli sarebbero felici della tua presenza».
Thorin
si schiarì la gola. Sua sorella era una persona
pratica; doveva aver riflettuto sulla situazione e deciso che una mano
in più per crescere i bambini le sarebbe tornata utile.
«È una buona idea».
Dís
si spostò un ciuffo corvino dal volto.
«Certo. È una mia
idea».
Ma
c’era una vena scherzosa nella sua voce, e Thorin quasi si
concesse un sorriso.
«Potresti
apparecchiare?» chiese poi
Dís, mettendo una pagnotta sul tagliere ed iniziando ad
affettarla con rapidità e precisione. «Qui
è quasi pronto».
Thorin
annuì ed andò alla credenza per prendere
piatti, posate e bicchieri. Mentre iniziava a disporli sul tavolo,
osservò: «Oggi Fíli
sembrava… giù di morale».
Aveva
visto il bambino solo brevemente, quando Dís aveva
chiamato lui e Kíli perché salutassero lo zio, ma
prima che sparisse nuovamente in camera col fratello aveva fatto in
tempo a notare il suo cipiglio infelice.
«Gli
manca il suo adad» rispose Dís,
voltandosi per posare le fette di pane sul tavolo ed evitando lo
sguardo del fratello. «Oggi più del
solito».
Thorin
non sapeva cosa dire, così si limitò a
finire di apparecchiare.
Quando
Dís chiamò a tavola Fíli e
Kíli, i due bambini accorsero quasi immediatamente.
Il
più piccolo andò a piazzarsi davanti a Thorin,
che si era accomodato sulla propria sedia, e gli rivolse un ampio
sorriso.
«Su!»
reclamò.
«Kíli,
adesso si mangia»
interloquì Dís, portando in tavola la zuppa.
«Non hai fame?»
Il
sorriso del bambino si allargò mentre lui annuiva
energicamente. «Pappa» concordò.
«Su».
Thorin
non era per niente sicuro di cosa volesse dire, così
scoccò un’occhiata a Dís, che da parte
sua gli rivolse un sorriso serafico. «Vuole mangiare sulle
tue ginocchia».
Lui
scosse la testa, posando una mano sulla spalla esile di
Kíli e allontanandolo appena. «Non mi sembra una
buona idea».
«Kíli,
amrâl, va’ al tuo
posto» disse Dís. «Anche lo zio deve
cenare».
Kíli,
però, fece segno di no.
«Su» ribadì.
Thorin
trovava stranamente difficile essere duro con Kíli.
Così, invece di allontanarlo con più decisione,
guardò di nuovo la propria sorella, ma lei gli rivolse un
sorriso di scuse che non gli piacque per niente.
«Mi
dispiace. È testardo quanto te».
E
fu così, grossomodo, che Thorin si ritrovò a
dover mangiare con un piccolo Nano appollaiato sulle proprie ginocchia.
In cuor suo, sospettava che a Dís piacesse vederlo in
difficoltà.
In
quanto a Fíli, rimase taciturno per tutta la cena, e da
quel poco che mangiò si sarebbe detto che il suo piatto
fosse pieno di mele – frutto verso il quale nutriva una
sorprendente ostilità.
Alla
fine, Dís gli si rivolse con delicatezza.
«Fíli?»
Il
bambino sollevò lo sguardo dal piatto con una certa
titubanza.
«C’è
qualcosa che ti preoccupa,
lukhdel?»
Fíli
lanciò un’occhiata furtiva verso
Kíli, che stava cercando di infilarsi in bocca un pezzo di
pane decisamente troppo grosso, e rimase in silenzio.
Dís
attese, lasciando che si prendesse tutto il tempo che
gli serviva.
«Siamo
stati io e Kíli» disse infine il
bambino, con l’aria di chi confessa un gran peccato. Ci
pensò su e si affrettò a precisare:
«Soprattutto io».
Thorin
spezzò la fetta di pane per Kíli,
aggrottando lievemente la fronte e chiedendosi a cosa si riferisse il
suo nipote più grande.
«A
far cosa?» chiese Dís, con voce
incoraggiante.
«A
finire la marmellata preferita di adad».
Lei
sbatté le palpebre. «Oh».
Fíli
si agitò sulla propria sedia. «Ma
non lo facciamo più».
«Va
bene» disse Dís, con una certa
cautela, «sei stato bravo a dirmelo».
Gli
occhi azzurri del suo primogenito si rischiararono, speranzosi.
«Allora adad torna?»
Thorin
quasi si strozzò col proprio cibo, mentre
Kíli sbocconcellava il suo pane e gli sbriciolava
abbondantemente sui pantaloni.
«Fíli»
respirò Dís.
«Prometto
che faccio il bravo» insistette il
bambino, quasi disperatamente. «Non gli rubo più
la marmellata».
Thorin
non poté fare a meno di pensare al giorno in cui era
morto il marito di Dís. Sono stato cattivo? gli aveva
chiesto Fíli.
Forse
avrebbe dovuto parlarne con Dís. Aveva visto che suo
nipote sembrava turbato da qualcosa, ma non gli era nemmeno passato per
la testa che continuasse a considerarsi in qualche modo responsabile
della scomparsa del padre.
«Lukhdel,
no, non si tratta di questo» gli
assicurò Dís, accorata. «Tu sei sempre
stato bravissimo».
«Butto»
considerò Kíli, che
aveva aperto la mano di Thorin e stava esaminando la sua ferita ormai
rimarginata.
«Ma…»
iniziò Fíli,
guardando sua madre con aria terribilmente confusa. «Ma
allora perché preferisce stare nelle Aule di Mandos invece
che con me?»
Thorin
sentì qualcosa di molto simile allo shock, e per un
istante nemmeno Dís riuscì a rispondere.
«Fíli,
tu… Tu credi sia per questo che
adad non torna? Perché preferisce la compagnia di qualcun
altro?»
A
quel che pareva, il bambino non aveva molti dubbi in proposito.
«Loro non gli rubano la marmellata».
Sua
madre, allora, si sporse in avanti per prendergli il volto tra le
proprie mani ed incontrare il suo sguardo. «Fíli,
ascoltami. Ascoltami molto attentamente. Non è
così, tu non c’entri».
Lui
si corrucciò e, senza distogliere gli occhi da quelli di
Dís, allungò una manina a toccarle la barba.
«Non
è colpa tua» continuò
lei, «te lo giuro su Mahal. Adad non è felice di
essere lontano da te. Non voleva andarsene… non ha avuto
scelta».
Kíli,
ancora ignaro della serietà del discorso
che si stava svolgendo a pochi metri da lui, si sporse sul tavolo nel
tentativo di raggiungere il proprio bicchiere. Dopo un istante, Thorin
si riscosse ed intervenne per aiutarlo a bere un po’
d’acqua.
«Adad
non tornerà più, non
può, ma veglierà su di te per sempre, e
sentirà la tua mancanza ogni singolo giorno. Ti vuole bene.
Sapeva della marmellata, e non gli importava, dico davvero. Non era
arrabbiato».
Ci
fu un momento di silenzio, poi…
«No?»
pigolò Fíli.
Dís
gli accarezzò la guancia col pollice.
«No».
Finalmente,
il bambino diede un piccolo accenno di pianto, e la testa
di Kíli si girò verso di lui con uno scatto
allarmato.
Dís
si alzò, chinandosi sul proprio primogenito e
prendendolo in braccio. «Nessuno potrebbe mai decidere di
lasciarti, lukhdel. Nessuno».
Lo
strinse con più forza, e Thorin fu quasi certo di
sentirla soffocare un singhiozzo tra i capelli biondi del bambino, che
iniziò a piangere più liberamente.
Guardando
la madre e il fratello, Kíli disse qualcosa di
incomprensibile, ma il tono era inequivocabilmente preoccupato.
Thorin,
allora, gli posò una mano sulla testolina scura e
disordinata. «Va tutto bene» gli disse, e si
guardò attorno alla ricerca di qualcosa con cui distrarlo.
Prese
il proprio tovagliolo e, dopo aver sfiorato il braccio di
Kíli per ottenere la sua attenzione, iniziò a
piegarlo e a ripiegarlo cercando di dargli la forma di una piramide.
Funzionò:
Kíli sbatté le palpebre, e
prese a fissare come ipnotizzato le dita di suo zio che si muovevano
rapide.
Se
gli occhi di Thorin erano concentrati sul suo nipote più
piccolo, le sue orecchie erano focalizzate su Fíli e
Dís.
Da
quanto gli risultava, era la prima volta che sua sorella piangeva la
morte del proprio marito… E sperava che quelle lacrime
avrebbero fatto bene sia a lei che a Fíli.
Quando
la piramide – una piramide un po’ floscia, a
onor del vero – fu pronta, Kíli se ne
appropriò immediatamente, dopodiché
scivolò giù dalle gambe dello zio.
Il
primo istinto di Thorin fu di cercare di riafferrarlo, ma poi decise
di lasciarlo fare.
Kíli
raggiunse la madre e il fratello, e
strattonò la gonna di Dís. Quando ebbe la sua
attenzione, e anche gli occhi pieni di lacrime di Fíli si
furono posati su di lui, alzò la manina per offrire
l’origami fatto dallo zio.
Gli
angoli che Thorin aveva unito iniziavano già a
separarsi, ed ora il tovagliolo stropicciato aveva tutta
l’aria del fiore più brutto della Terra di Mezzo.
A
quella vista, Dís emise una risata strangolata.
Fíli rimase fermo mentre gli ultimi due lacrimoni gli
solcavano le guance, quindi si allungò per prendere il
tovagliolo da Kíli.
Fu
un momento strano.
Thorin
vide che gli occhi di sua sorella brillavano, e fu come se
l’ottimismo di suo cognato avesse rischiarato la stanza.
Una
volta individuata una ferita, era possibile curarla e permetterle
di guarire. Anche se non sarebbe mai scomparsa del tutto, avrebbe
smesso di fare tanto male.
Note:
Questa seconda parte è stata un parto, spero che il
risultato non sia deludente.
(E sì, i Nani hanno un talento per gli origami…
non è ovvio?)
Ringrazio di nuovo chi si è preso il tempo di commentare lo
scorso capitolo, e mi auguro che anche questo sia stato una lettura
piacevole.
Alla prossima!
P. S. Per quanto riguarda le parole in Khuzdul (a
parte gli ovvi amad e
adad):
amrâl: amore
lukhdel: luce di tutte le luci (mi piace
l’idea che sia il
vezzeggiativo di Dís per Fíli)
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