44444
La testa di Eva era
appoggiata al petto di Matt Sanders e l'unica cosa che riusciva a
vedere da quella posizione era l'oceano. Le onde si scioglievano sulla
battigia, barche che rientravano e in lontananza la sagoma del Pier di
Seal Beach prendeva forma. L'aria si era fatta più fredda e il
vento più presente. Non riusciva a pensare a niente, non
riusciva a connettere i pensieri tra di loro. L'unica cosa alla quale
riusciva a pensare, in quell'esatto istante, era il profumo di Matt.
Che profumo vi aspettereste da un uomo alto quasi 1.90m, pieno di tatuaggi
e sempre vestito di nero? Non sapeva mai spiegarlo, quando ne faceva
parola con qualcuno. Le sembrava di essere stesa su un lenzuolo appena
lavato. La prima volta credette di essere pazza ma la sensazione non
smise mai di esserci. Era un profumo delicato, leggero, dolce.
«Hai sempre lo stesso profumo» gli disse Eva con lo sguardo fisso all'orizzonte.
Eva si staccò, voleva guardarlo come per paura di non
poterlo fare, poi, più. Gli occhi di Eva lo interrogavano
indirettamente, lo scrutavano centimetro per centimetro, lo
accarezzavano. Matt rimase impassibile, sotto uno sguardo che aveva
imparato a reggere nonostante l'istinto di cedervi. Era spaventato,
anche più di lei. Sapeva di vivere su un terreno instabile e
aveva costantemente paura di vederla sprofondare senza riuscire a
salvarla in tempo. Un carattere così nessuno è disposto a
gestirlo, neanche lui stesso lo era stato tempo addietro. In lei aveva
trovato la forza di un mare in tempesta pronto a contrastare qualsiasi
cosa avesse cercato di turbarli, qualsiasi cosa avesse cercato di
portarle via l'uomo che aveva aspettato per una vita intera.
Erano diversi ma sapevano adattarsi l'uno all'altra come l'acqua si
adatta al contenitore nella quale viene messa. Sapevano completarsi.
Avrebbe voluto entrare
nella testa di Eva e leggere ogni suo pensiero, per capire cosa
pensasse di lui, cosa la turbasse, cosa la facesse sempre esitare. Non
è facile sostenere gli occhi di qualcuno che amiamo ma abbiamo
deluso. Vogliamo sempre il perdono anche quando non siamo disposti a
pentirci di ciò che abbiamo fatto. Crediamo che essere perdonati
significhi alleggerirsi di un peso. La verità è che il
perdono è il più grande peso che può gravarci
sulle spalle, a volte addirittura sulla coscienza.
Quando andò a parlarle lo fece per gioco, perché erano
fatti così, tutti loro. Da sempre. La serietà non era un
prerogativa che volevano. Non perché la vita non fosse degna di
essere presa sul serio, anzi, spesso e volentieri si erano resi conto
di quanto tutta quella realtà nel quale ogni giorno camminavano
non sorridesse a nessuno, volevano solo sdrammatizzare tutti quei musi
lunghi che vedevano, tutti quegli occhi persi che non sapevano dove
appigliarsi, tutte quelle idee che non portavano da nessuna parte se non
nel più profondo baratro che la mente ospita. Non volevano
essere come loro. Volevano non dover mai guardarsi l'un l'altro e non
sapere cosa dire per via della tristezza di uno di loro. Si erano
promessi di vivere insieme e di vivere nel migliore dei modi possibili
e lo stavano facendo. Questo a grandi linea era ciò che attirava
tutti i guai che loro, ovviamente, non rifiutavano mai.
C'erano promesse che si erano fatti che non avrebbe infranto per niente al mondo.
Un fischio richiamò all'attenzione i due, che con la mente erano
lontani anni luce dai loro corpi. Jimmy faceva segno a Matt di
raggiungerli.
Si incamminarono lentamente, non guardandosi mai ma con l'istinto di volerlo fare ogni secondo che passava.
«Mi sembrava una scena di Beatiful» sentenziò Brian
con il cinismo di chi è convinto che a lui una scena del
genere non sarebbe mai capitata.
«Devi guardarlo spesso allora..»
rispose Eva che non vedeva l'ora di stuzzicare Haner. Lui come un
pesce abboccò, iniziando con una serie di lamentele e discorsi
su quanto lei fosse terribilmente fastidiosa, inutile, ingombrante
nelle loro vite, etc, etc, etc.
«Risparmia le energie, Gates.»
Jimmy era abituato ad essere giudice di pace, per tutti. Non che fosse
l'antipatico della situazione ma a chi piace sentire due adulti
litigare come bambini di cinque anni? Faceva del suo meglio per tenere
a bada lo spirito infantile di Brian che accennava continuamente ad
uscire. Voleva farsi sentire, voleva prevalere sul resto. Questo in una
persona con pieno autocontrollo e piena consapevolezza di se stessa non
avrebbe inciso granché; stiamo, però, parlando di
Synyster Gates e questo la dice lunga, molto lunga, sulla situazione.
Jimmy fumava una sigaretta, apparentemente indifferente al tutto.
Chissà cosa pensava, si chiedeva Eva. Se lo chiedeva ogni volta
che lo vedeva o che aveva occasione di parlarci. Credo fosse l'effetto
che faceva un po' a tutti quelli che si rapportavano con lui. Era
presente ma una parte di lui era costantemente lontana, dispersa
chissà dove, con chissà chi. Una persona curiosa,
particolare, un tipo. Eva era affascinata da quel suo modo di fare
sempre gentile ma mai scontato. Non avevano avuto troppe conversazioni
ma quelle che c'erano state l'aveva fatta sempre lasciata un po'
sorpresa.
«Io avrei fame.»
Zachary Baker non era un tipo singolare, con quell'alone di mistero che
lo circondava. No, no. Aveva sempre, comunque, indipendentemente fame.
Forse l'agitazione, lo stress delle situazioni nel quale si ritrovava.
C'è da dire che la tensione sapeva tagliarla bene e non solo
quella.
«Ve lo
immaginate un mondo senza questo cotechino vivente?»
domandò Brian con tutta la delicatezza che era riuscito a
raccimolare. C'era sempre questa sottile competizione tra i due, una
gara a non-si-sa-cosa. L'umorismo di Haner era tutto da capire, era
rimasto bloccato probabilmente all'età adolescenziale, quella
dove per far colpo sfottevi un po' chi ti stava attorno. Lo amavano
comunqe così com'era e soprattutto lo sopportavano, così
com'era.
Zacky gli lanciò un'occhiata carica di disprezzo, avrebbe voluto
fosse carica anche di pugni pronti a rovinargli quel bel faccino di cui
tanto si vantava ma su quello doveva lavorarci ancora un po'. Jimmy
girò lentamente lo sguardo verso Haner e non ci fu
bisogno di altro per fargli capire come la situazione si sarebbe dovuta
evolvere. Johnny li guardava tutti ammutolito, chiedendosi, come
sempre, come facesse a convivere con dei folli e ad essere comunque
sano di mente. Annuiva per farli contenti e dentro di sè
commentava ogni cosa che dicevano. Lui ed Eva avevano legato da subito,
forse perché entrambi sapevano cosa voleva dire essere "l'ultimo
arrivato" della situazione. Si intendevano con uno sguardo e se la
ridevano alle loro spalle, ignari di ogni tipo di commento.
Matt era qualche passo dietro di lei. Osservava la sua sagoma e cercava
di memorizzarne i lineamenti. Era particolarmente serio, a tratti cupo,
in volto. Pensieri turbavano la sua mente che invece sarebbe dovuta
essere libera in vista del concerto che avrebbero tenuto qualche ora
più tardi.
«Credo sia
meglio andare. Dobbiamo essere sul posto almeno quattro ore
prima.» Ricordò loro Brian, che quando si trattava di
musica diventava improvvisamente serio e devoto. Jimmy diede un ultimo
tiro alla sigaretta, dopodiché buttò a terra il mozzicone
e ci piantò la punta del piede sopra spegnendolo del tutto.
«Ragazzaccio!»
gli disse Haner sogghignando. Jimmy ruotò gli occhi nella
direzione di Brian e gli fece l'occhiolino, accompagnato da un ghigno
malizioso.
«Vieni con noi?» chiese Jimmy ad Eva.
«Credo che vi raggiungerò poco prima dell'inizio del concerto. Ho un paio di cose da sbrigare.»
«Sicura? Non
sarà comodo entrare con tutta la calca.» le chiese Matt,
mentre le stampava l'ennesimo bacio sulla tempia.
«Ho i miei assi
nella manica» lo tranquillizzò lei, come quasi tutte le
volte in cui lui mostrava palesemente la sua preoccupazione.
Era particolarmente premuroso, da sempre. Eva non ricordava una
sola volta in cui lui l'avesse lasciata fare senza metter bocca. Da un
lato le faceva piacere ricevere quelle attenzioni, dall'altro si
sentiva continuamente sotto osservazione.
Salirono su una vecchia Cadillac che velocemente sparì, lasciando Eva immobile per qualche secondo.
Tornò a casa e trovò Trevor e Lara all'inizio del
vialetto che conduceva al portico d'ingresso. I polmoni si ridussero a
due noccioline e il cuore le salì in gola determinato ad uscirle
dalla bocca.
Era troppo vicina per invertire la direzione ed entrare dal retro
così proseguì fino a che Lara non la notò arrivare
e le rivolse la peggiore delle espressioni che riuscì a fare.
A quel punto il cuore di Eva era sul punto di esplodere, letteralmente.
Scese dalla bici con le mani che le si erano improvvisamente gelate, sia per la
temperatura che era notevolmente calata che per la paura che l'aveva
invasa.
Eva vide Lara
incamminarsi dentro casa con un'andatura che rispecchiava perfettamente
lo stato d'animo nel quale era immersa. Trevor rimase fermo dov'era,
pronto sicuramente a dire qualcosa.
«Credevo che
mentire a me fosse plausibile, sotto certi aspetti. Sì, sono tuo
fratello, c'è un imbarazzo di fondo che credevo comunque
avessimo superato. Ma mentire alla tua migliore amica?»
Eva chinò il capo in segno di disagio e mortificazione. Avrebbe
voluto dire qualcosa ma la gola era totalmente occupata dai suoi sensi
di colpi che bloccavano il flusso delle parole.
«Entra. Avete tanto di cui parlare.»
«Trevor mi..»
«Ti dispiace. Lo so. Ti dispiace sempre dopo che rovini qualcosa. Peccato non accorgesene prima, no?»
Sperare nella
comprensione del fratello era forse chiedere troppo in quella
situazione ma era una cosa alla quale non sapeva dire di no, la
sparenza.
Al suono di quelle
parole Eva non rispose più di sè e istintivamente si
buttò addosso al fratello, abbracciandolo e affondando il viso
rigato di lacrime nel suo petto. Lo strinse sperando che le parole che
non era riuscita a far uscire dalla bocca passassero dal suo corpo a
quello del fratello. Le braccio di Trevor la avvolsero e la scaldarono.
Era ferito ma rimaneva comunque la persona che la amava di più
al mondo.
Eva si staccò
ed entrò in casa, dove trovò la madre, con la quale non
aveva il rapporto che avrebbe desiderato, intenta a leggere una rivista
in cucina e a cucinare patate e arrosto. La salutò con bacio
sulla guancia. Una madre, per quanto possa non rispecchiare la figura
che abbiamo in mente, rimane comunque chi ti ha messo al mondo.
Renèè guardò il volto della figlia e capì
immediamente che qualcosa in lei era cambiato e che per ovvi, o meno,
motivi lei non era stata scelta per essere parte di quel cambiamento.
Si limitò quindi ad accarezzare la guancia ancora umida della
figlia e successivamente ad accarezzargli la spalla.
Eva salì le scale come farebbe qualcuno diretto alla gogna. Aprì con la mano sinistra la porta della sua camera:
trovò le solite pareti rosse, i soliti poster, la grande
libreria colma di libri usurati e il suo letto con seduta sopra Lara
con le mani in grembo.
Si tolse la giacca in pelle che appoggiò alla maniglia della
porta, mise le scarpe al solito posto e si mise a
sedere al fianco di Lara.
Le sembrò di rivevere la stessa scena vissuta ore prima con il
fratello. Lara alzò lo sguardo e la fissò determinata ad
ottenere la verità, cosa che Eva le aveva negato fino a quel
momento.
«Pensavi non mi
potessi meritare di sapere cosa stesse succedendo realmente con Matt?
Non so, forse mi credevi troppo pudica? Troppo suscettibile? Troppo
ingenua?»
«Avrei voluto
dirti tutto. Ho provato tante volte, tante. Non volevo coinvolgerti in
una storia così, in una situazione surreale.»
Lara emise un suono
che somigliò vagamente ad un'accenno di risata, mentre scuoteva
la testa. Sciolse le mani e si massaggiò il collo, poi le
posò sulle cosce.
«Sei sempre
stata ribelle, rivoluzionaria, impertinente. Ti sei imposta spesso su
regole che non accettavi e volevi a tutti i costi cambiare. Hai fatto
cazzate che non credevo saresti stata capace di fare. Ma arrivare a
coprire qualcuno che ha quasi ammazzato un uomo, Eva. Io.. pensavo di
conoscerti. Non credo di sapere più chi ho davanti ora.»
Eva spalancò gli occhi e strinse le mani in due pugni.
«Sono sempre io.. »
«No. No. No. Non
lo sei. Non lo avresti mai fatto prima. Non lo avresti fatto per
nessuno. Hai sempre avuto un minimo di raziocigno nonostante tutto. Non
sei la Eva che conosco da una vita.»
«Non potevo
abbandonarlo. Vorrei poter spiegarti, vorrei darti motivazioni
convincenti che ti faccessero ricredere. So che qualsiasi cosa
dirò non sarà abbastanza. Lo amo. Amo Matt come non credo
si possa amare altro se non la vita stessa. Avrei sconvolto la vita di
chiunque pur di non perderlo. Credevo di potervi tenere fuori da tutto,
non pensavo che un giorno come questo sarebbe arrivato.»
«Hai pensato, anche solo per un fottuto momento, che quell'uomo può sporgere denuncia per tentato omicidio?»
Ad Eva si gelò il sangue. Per quanto avesse affrontato il
ricordo di quella notte, non lo aveva fatto invece con le conseguenze
che quell'uomo avrebbe potuto provocare alle loro vite. Credeva sarebbe
finita come una delle tante risse alle quali aveva assistito. Uno le
dà, l'altro le prende. Questa volta si era arrivati quasi al
limite ultimo. Lo sapava ma forse non ne era abbastanza coscente.
«Hai pensato che potresti essere coinvolta se qualcuno, oltre a voi, avesse assistito alla scena?»
«Non c'era nessuno, era tutti ubriachi e assuefatti dall'alcool e dal concerto al quale avevano assistito e p..»
«NON PUOI
SAPERLO! CAZZO!» la voce di Lara si alzò di parecchi toni,
tanto che Eva le tirò un polso chidendole indirettamente di
abbassarla.
«Perché
sei così stupida Eva, perchè! Ti ha fottuto il cervello
quel pezzente! Non ti ha causato che problemi! Sei stata il suo
giocattolo per mesi, ti sei fatta soggiogare da un paio di occhi verdi
e qualche tatuaggio.. Dio..»
«Hai mai amato qualcuno al punto di non riuscire a respirare al pensiero di non averlo più accanto?»
«No e spero non accada mai se ciò dovesse significare fare del male a chi amo e a chi mi ama.»
«Sono stata con lui, poco fa. Lo rivedo stasera.»
«Vengo con te. Non mi fido di lui, tanto meno di te ora come ora.»
Lara si stese sul
letto, si mise su un fianco e chiuse gli occhi sperando di
addormentarsi. Eva rimase seduta nella stessa posizione con lo sguardo
fisso sul muro rosso davanti a lei.
Passarono circa due
ore dalla loro discussione a quando furono sedute nella macchina di
Lara dirette verso Long Beach, dove il concerto sarebbe iniziato tra
poco più di 3 ore.
Lara guidava con lo sguardo irremovibile dalla strada, Eva aveva le
ginocchia al petto e la testa appoggiata al finestrino. I suoi occhi
scrutavano il buio che aveva avvolto tutto. Si addormentò,
mentre alla radio qualcuno dedicò una canzone a
tutte quelle persone incapaci di resistere ai desideri del proprio
cuore.
"There's nothing you say
and nothing you try
can change time."
|