Tattoo Shop!
“Tattoo Shop!”. Scritto proprio in questo modo, con il punto
esclamativo tra un corteo di fronzoli e di orpelli, quasi che quella barocca
insegna lo urlasse deliberatamente a tutto il vicolo, con la speranza di far
udire la sua voce anche oltre.
Di fianco al punto esclamativo c’era una bella freccia che
indicava il basso, verso l’entrata del negozio posta a pochi gradini al di
sotto del livello della strada, in un seminterrato di un palazzo d’epoca nella
periferia di Central City, poco lontano dal quartiere commerciale.
Il vicolo era scuro per la vicinanza fra i palazzi; in alto si
vedevano solo minuscoli spicchi di cielo azzurro che facevano capolino tra le
grandi lenzuola appese ad asciugare sui fili che correvano da un balcone
all’altro, come un delicato ponte profumato di bucato. Il vento ne sollevava
pigramente i lembi in quella fresca mattina.
Due bambini correvano scalzi sul selciato, sfrecciando tra i
bidoni dell’immondizia e i gatti randagi. Un terzo schizzò fuori da un portone
aperto e si unì al galoppo dei primi due, mentre una voce femminile usciva
sguaiata da una delle finestre del primo piano: probabilmente la madre del
monello voleva che, prima di uscire, indossasse almeno i pantaloni, ma il
bambino era già ben lontano e con le braghe al vento. Del resto, i suoi due
anni e mezzo gli permettevano di non essere arrestato per insulto alla decenza,
sempre che davvero qualche soldato fosse mai passato per di là a quell’ora del
giorno.
Anzi, a dire la verità un soldato c’era. In borghese e
vestito di bianco, ma c’era. E il monello in mutande si schiantò senza pietà
alcuna contro la sua tibia destra, finendo col sederino per terra appena prima
della svolta tra il vicolo e la strada principale. Il soldato arretrò di un
passo ma rimase in piedi, abbassando appena il volto contro il piccolo
proiettile vagante.
Il bambino raggelò. Nemmeno la madre era mai stata in grado
di fulminarlo con un’occhiataccia simile. D’istinto si rialzò e corse via. Solf
J. Kimblee lo seguì con lo sguardo finché non sparì tra la folla.
Non ebbe difficoltà a trovare il negozio di tatuaggi, con
quell’insegna che non sarebbe passata inosservata nemmeno ad un cieco. Scese i
cinque gradini e spinse la porta di legno scuro, che si aprì con un tintinnio
di campanello.
Si ritrovò in una sala d’aspetto dalle pareti bianche e
l’aspetto immacolato, uno stridente contrasto con l’esterno. Ad attendere il
proprio turno c’era soltanto una ragazzina che avrà avuto sì e no sedici anni,
seduta a gambe incrociate sul divanetto che correva tutt’attorno alle pareti.
Accanto all’ingresso, dietro una scrivania, c’era la segretaria
dello studio, una signora di mezz’età con gli occhiali da vista e i capelli
biondo cenere acconciati in una crocchia sulla nuca, che appena fu entrato gli
rivolse un sorriso educato.
«Buongiorno. Desidera?»
«Kimblee, appuntamento delle undici.»
La segretaria controllò fra le sue carte e sorrise affabile.
«Si accomodi»
L’Alchimista le rispose con un cenno del cappello, estrasse
l’orologio dal taschino e controllò l’ora: era in anticipo. La stoffa dei
guanti lo impicciò mentre chiudeva il meccanismo del guscio della cipolla, ma
ben presto avrebbe risolto quel noioso problema. I guanti bianchi erano
eleganti e i cerchi alchemici vi erano stati ricamati su con perizia, ma in
troppe circostanze risultavano scomodi. Per lui sarebbe sempre rimasto un
mistero come facesse Roy Mustang a sopportarli e, con la guerra alle porte,
preferiva un sistema più spiccio.
Si sedette sui divanetti della sala dopo aver appeso
cappello e soprabito chiaro all’attaccapanni.
La stanza, sulla quale si affacciavano le porte chiuse del
bagno e dello studio del tatuatore dal vetro smerigliato, era quadrata,
illuminata da grossi lampadari; nell’aria si perdeva una melodia rilassante, a
basso volume, che non copriva il rumore della macchinetta per i tatuaggi al
lavoro nello studio. Su un tavolinetto basso vi era un mucchio di riviste, come
ogni sala d’aspetto. Queste però, a parte un paio che riportavano pettegolezzi,
erano riviste specializzate in tatuaggi, e c’erano anche alcuni raccoglitori
con le opere del padrone della bottega. Kimblee ne sfogliò uno, incuriosito.
Aveva fatto bene a rivolgersi a quell’uomo, pensò. Il lavoro
che doveva farsi fare era delicato, e richiedeva una precisione e una mano
ferma. In più, farsi tatuare i palmi delle mani era un’operazione che non tutti
i tatuatori eseguivano, a causa della pelle più spessa rispetto al resto del
corpo e del fatto che il disegno tendesse a sparire rapidamente.
Il tatuatore gli aveva parlato di questi rischi, quando
circa due settimane prima era andato a fissare l’appuntamento, e lui li aveva
accettati, fiducioso della bravura dell’artista. C’era anche la possibilità di
doverli ripassare dopo qualche anno, ma Kimblee aveva accettato anche questo.
Come alchimista, Kimblee avrebbe potuto farseli da solo quei
tatuaggi. Non sarebbe stato poi impossibile, specie per un tipo determinato e dotato
come lui. Ma vista la situazione e la delicatezza del lavoro, aveva preferito
rivolgersi ad uno specialista del settore.
I disegni nell’album erano eccezionali, anche lui che non
era mai stato interessato a quel genere di arte doveva riconoscerlo. Il tratto
era preciso e la fantasia molto ricca, anche se l’inventiva, al momento, non
serviva: il disegno da farsi realizzare l’aveva preparato lui, e il tatuatore
non avrebbe dovuto improvvisare niente, come precedentemente concordato.
Mentre Kimblee era immerso fra quelle pagine piene di
dragoni, animali, angeli e pin-up, due occhi lo scrutavano incuriositi, spinti
dal suo aspetto distinto e dalla curiosità.
«Posso esserle utile?» sorrise cortese l’Alchimista Cremisi,
un attimo prima di alzare lo sguardo dal portfolio.
La ragazzina arrossì e abbassò subito il capo.
Kimblee non poteva ritenere molto appagante il far arrossire
una ragazza di appena sedici anni, ma di sicuro era divertente. Semplice ma
divertente.
«Mi scusi» sussurrò imbarazzatissima.
La ragazzina era minuta, piacevolmente paffuta, con i
capelli color rame che formavano vaporose e disordinate onde attorno al suo
viso lentigginoso. Tra le mani stringeva il disegno del suo futuro tatuaggio. «Lei
è un Alchimista di Stato?»
Kimblee ammirò sorpreso la quantità di sangue che affluì al
viso della ragazza nel porre quella domanda. «Esatto» confermò l’uomo.
La ragazza lo guardò come se le fosse appena apparsa davanti
la più fenomenale delle divinità. Kimblee si chiese se andasse in giro a fare
quella domanda a tutti, ma subito si ricordò che aveva controllato l’ora
poc’anzi sul proprio orologio da taschino d’argento: la ragazzina doveva averlo
riconosciuto.
«Come si fa a diventare Alchimista di Stato?»
Certe informazioni non erano segreti nazionali, ma
sicuramente era difficile accedervi per una ragazzina delle periferie, per di
più così giovane. La ragazza aveva appena eletto l’Alchimista Cremisi a sua
fonte di informazioni con un’ingenuità che sarebbe potuta costarle la vita, più
avanti. Interessante.
Kimblee sfoderò il suo volto più gentile. «Prima bisogna
diventare alchimisti» spiegò. «E poi superare un test, qui a Central City.»
La ragazza lo guardava, avida di informazioni; l’alchimista
continuò: «Un test diviso in tre prove: scritto, orale, e pratica. E poi c’è il
test psico-attitudinale» aggiunse sorridendo. Dentro di sé scoppiò a ridere
senza ritegno, ricordando il suo test psico-attitudinale brillantemente
superato.
La sua interlocutrice si fece meditabonda. «Grazie» disse
poi, come ricordandosi all’improvviso delle buone maniere. «È molto gentile,
signore.»
Rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno immerso nei
propri pensieri.
La porta dello studio del tatuatore si aprì con un suono
ovattato, lasciando fluire nella sala d’aspetto le note di una canzone che
veniva dalla radiolina accesa e si palesò davanti ai clienti in attesa un uomo
massiccio, dagli fulvi baffoni a manubrio e lo sguardo duro. Portava una
canottiera e il braccio sinistro era fasciato.
Kimblee potè intuire la ragazza seduta poco distante da lui
irrigidirsi.
L’omaccione si girò verso l’interno dello studiolo e disse
con gentilezza: «Grazie Dan. Ci vediamo la settimana prossima.»
«Di nulla. Parla con Gina per l’appuntamento.» rispose il
tatuatore, apparendo alle spalle del cliente. Era piccoletto, sulla sessantina,
con una chierica bianca e due baffoni dello stesso colore, e due grossi
occhiali da vista sul naso che dovevano essere molto pesanti. La ragazzina
sospirò di sollievo, e Kimblee pensò a quanto candidamente si fidasse delle
apparenze.
Dan, il tatuatore, guardò verso le altre persone in attesa.
«Oh! Signor Kimblee!» lo riconobbe. «L’appuntamento delle undici. Mi dia
cinque minuti.»
Solf J. Kimblee gli fece un gesto cortese per indicargli che
non c’erano problemi. In fondo, mancava ancora qualche minuto alle undici.
La ragazza annotò mentalmente il nome dell’alchimista con
cui aveva parlato. Era stato gentile con lei, e non aveva fatto commenti
malevoli sulle sue domande. Si sentì sollevata, sperando che tutti gli
Alchimisti di Stato fossero come lui. Incoraggiata da quest’idea, si arrischiò
a fare qualche altra domanda, a conferma di cose che già però sapeva. Ma era la
prima volta che le capitava di incontrare un alchimista dal vivo, e non voleva
sprecare quell’occasione.
«Bisogna studiare chimica e fisica, vero?»
«Proprio così. Ma anche medicina e biologia.» confermò
Kimblee. «Il che significa anche non marinare le lezioni.» terminò guardandola
dritto negli occhi.
Il corpo umano è un’affascinante macchina, considerò
l’alchimista. Per come era avvampato quello della ragazza, sembrava che tutto
il sangue che aveva a disposizione si fosse concentrato nella testa e nel
collo, e invece ce n’era ancora a sufficienza per far funzionare tutti gli
organi. Affascinante e anche molto divertente: aveva colto nel segno.
La ragazza balbettò disordinatamente: «I-io… il negozio di
domenica è… è chiuso, e l’appuntamento era di m-mattina… solo per oggi…»
«Credo possa considerarsi uno scambio equivalente» disse calmissimo Kimblee alzandosi in piedi.
Lo studio del tatuatore si aprì per farlo accomodare.
«Solo per questa volta.» aggiunse carezzevole prima di
sparire oltre la porta dal vetro smerigliato.
Dietro le quinte... Buongiorno a tutti e grazie per aver letto questa mia One Shot. Sapete che avete appena compiuto un atto eroico nell'arrivare fino in fondo? Sono terrorizzata da Kimblee (ho scelto la traslitterazione che compare negli eyecatcher) perché come personaggio è davvero complicato e spero, prego, di non averlo mandato completamente OOC con questa missing moment. Nel caso, ogni critica sarà bene accetta anzi, sarei ben felice di suggerimenti. Naturalmente a lui non interessava se la ragazzina facesse "filone" o no, voleva solo farla arrossire per l'ennesima volta. Grazie a tutti per aver letto, Yellow Canadair
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