2027,
Winchester
Quando
finimmo il corso di latino, il sole era già tramontato.
La
luce che aveva illuminato l'aula e che ci aveva fatto compagnia in
quelle ore di pura noia si era fatta meno intensa, lasciando il posto
alle ombre della sera.
Io
ammiravo il bellissimo panorama che la finestra mi offriva stando
compostamente seduto al mio posto, il solito banchetto che tutti i
giorni occupavo insieme a Zach. Ormai tutti stavano raccattando i
loro libri con la frenesia di chi non vede l'ora di uscire per
prendere una boccata d'aria fresca e poter fare finalmente ciò
che vuole, ed effettivamente era quello che avremmo potuto fare,
visto che tutte le lezioni che “rallegravano” le nostre
giornate erano terminate.
«A,
che fai? Non vieni?»
Mi girai verso Zach, che mi guardava
con lo zaino in spalla aspettando una mia risposta. Cosa dovevo fare?
Non avevo nulla in programma, ma...
«No,
ho da sbrigare una faccenda. Tu intanto vai, io ti raggiungerò
dopo»
«Ok, allora io scendo con R in
palestra a giocare una partita di basket. Ci vedremo direttamente
all'ala ovest»
Già, l'ala ovest. Dimenticavo
che quella era la nostra nuova postazione.
«Va bene, ma ricordati che
entro le sette e un quarto dobbiamo essere tutti nelle nostre stanze.
Avete soltanto...» diedi un'occhiata all'orologio che tenevo al
polso «un'ora, dodici minuti e venticinque secondi. Da adesso»
Zach sbuffò alzando gli occhi
al cielo, se per la mia risposta o per il fatto che avrebbero potuto
giocare veramente poco, non saprei dirlo. Forse per entrambi.
«Va
bene, va bene, mister
precisione,
saremo in camera in orario. Tu piuttosto, vedi di non scomparire come
al solito tuo chissà dove. Stasera avevamo intenzione di
riunirci nella stanza di Path e stare un po' insieme, chiaccherare,
roba così. Tu ci sei»
Quell'ultima frase non era una
domanda, ma un'affermazione. Seppi che non avrei potuto rifiutare
perché quando il mio amico si metteva in testa una cosa era
irremovibile.
Gli sorrisi bonario.
Gli volevo bene anche per questo.
«Sì, ci sono, ovvio.
Beh, allora a dopo»
Zach si congedò con un cenno
della testa e uscì insieme agli altri ragazzi. Il rumorio
prodotto dalle loro voci sparì non appena la porta fu chiusa e
fu solo allora che mi accorsi di esser rimasto solo.
A quel punto, con calma conservai le
penne nel mio astuccio e chiusi il versionario, mettendo poi tutto
dentro la borsa a tracolla che mi era stata regalata per il mio
compleanno tre anni addietro. Sorrisi al ricordo: dopotutto potevo
dire di essermi affezionato ai miei compagni. Nonostante i piccoli
litigi che avevamo ogni tanto -in particolare con Rank che da sempre
era stato il più polemico tra di noi- il nostro rapporto era
piuttosto pacifico.
La competizione c'era, ma in fin dei
conti, in un ambiente come il Wammy's House era normale che ci fosse:
si trattava pur sempre di un istituto in cui tutti potevano essere il
prossimo L, dunque ognuno cercava di dare il massimo per raggiungere
l'ambito traguardo.
Ad ogni modo, la nostra era una sana
competizione: se c'era da aiutarsi allora nessuno si tirava indietro
perché ciò che accadeva a un tuo compagno sarebbe
potuta accadere anche a te, sia nel bene che nel male, per cui era
conveniente per tutti scambiarsi dei favori. Questa era la nostra
filosofia, e questo era ciò che l'educazione del Wammy's House
stesso ci impartiva.
Near in persona –o meglio "in
computer", visto che non si era mai fatto vedere in carne ed
ossa da noi orfani- un giorno ci disse che lo spirito di
collaborazione è fondamentale per la risoluzione di un
problema, o per la risoluzione di un caso. Spesso da soli non si
riesce a raggiungere l'obiettivo prefissato, non per incapacità,
ma perché spesso la situazione richiede di unire le forze.
Per Near, ciò che contava non
era risolvere un problema senza l'aiuto di nessuno, ma risolverlo;
questa doveva essere la nostra unica priorità, il resto
era superfluo, anche la rivalità, soprattutto se ostacolava la
risoluzione del suddetto problema.
Se il caso Kira era stato risolto,
fu proprio grazie a questo principio. L'assassino degli assassini era
stato fermato grazie alla collaborazione tra Near e Mello, il secondo
candidato alla successione della quarta generazione. Ricordo ancora
adesso quando Near ci raccontò dell'incredibile impresa: in
quell'occasione, Mello mise da parte l'odio che da sempre aveva
nutrito nei confronti del nuovo L, odio suscitato proprio dalla
competizione e dal senso d'inferiorità che aveva sviluppato al
Wammy's. I problemi personali erano stati messi di lato per un bene
più grande: il trionfo della giustizia, la vera giustizia,
non quella che praticava il killer.
Questo doveva servirci come esempio
lampante che tutto era possibile se fatto insieme agli altri, questo
era ciò che la vita aveva insegnato a Near e che doveva essere
assimilato dalle generazioni a venire.
"Ma è sempre stato
così? Chissà se anche le generazioni passate seguivano
quest'ideologia...?"
Non ci avevo mai pensato prima di
allora.
Non avevo mai pensato alle
generazioni passate in generale.
Perché una domanda del
genere, allora?
"La lettera..."
Decisi
che non appena tornato in camera avrei continuato a leggere quei
fogli che qualche ora prima avevo trovato. Magari avrei trovato
qualche informazione a riguardo, e anche se così non fosse
stato, avrei comunque approfondito le mie conoscenze –
piuttosto scarse, se non nulle - sulla prima generazione.
Così,
spinto da questa nuova prospettiva, accelerai il passo. Ma prima di
tornare in camera dovevo fare ciò che avevo in mente da prima.
Non
potevo disubbidire alle mie abitudini.
Giunsi al termine del corridoio e
varcai il pesante portone in noce che mi avrebbe condotto ad un altro
corridoio, che a sua volta mi avrebbe portato ad un altro corridoio e
ad un altro ancora...
La
pianta del Wammy's House era davvero labirintica, per chi non
conosceva la struttura sarebbe stato semplice perdersi. In sostanza,
l'orfanotrofio si
articolava
su quattro sezioni (o “ali”, come le chiamavamo noi)
collegate tra loro e constava di circa 700 mq di interni per ogni
sezione e 1000 mq di spazi esterni attrezzati di palestra, una
chiesetta, e poi a parte il bosco che si estendeva da dietro
l'edificio. Ogni sezione era composta da due piani, irrorati da tanti
corridoi ricchi di stanze, e solitamente nel secondo piano vi era
collocato il dormitorio. I locali interni erano predisposti secondo
l'età e le facoltà intellettive dei bambini, ed erano
organizzati in un'area – l'ala nord- per i semplici orfani che
venivano raccolti in tutta l'Inghilterra e che, non avendo un QI
minimo per accedere all'educazione impartita a noi possibili
successori di L, potevano essere adottati. Un' altra sezione –
l'ala est- era per i dipendenti dell'orfanotrofio, ovvero
inservienti, maestri, tutori, e tutto il personale che
quotidianamente lavorava al Wammy's. L'ala sud era la dimora di noi
piccoli geni, e per concludere la quarta sezione corrispondeva alla
famigerata ala est, dove momentaneamente sarei dovuto restare.
Nella
nostra ala, completavano gli spazi interni la cucina,
l'ambulatorio,
la dispensa, i servizi per il personale e lo studio del direttore.
Insomma,
una struttura ben attrezzata, certo, ma anche complessa. Forse
quando fu costruita l'intenzione dell'architetto era quella di far
impazzire la gente.
Nonostante questo, riuscii a trovare
l'uscita dall'edificio e senza perdere altro tempo, mi avviai verso
la chiesetta sovracitata.
Sì, quello era il luogo che
avevo intenzione di visitare.
Non che sia un tipo particolarmente
religioso, ma, ora come allora, mi piaceva molto il senso di calma
che le caratterizza. È come se il tempo si fermasse, come se i
minuti restassero sospesi nell'aria insieme alle preghiere che
vengono pronunciate dai fedeli.
Insomma, è il luogo ideale
per staccare la spina e per liberarsi dell'orologio.
Metaforicamente, ovvio, non butterei
mai il mio orologio, sia chiaro.
Appena entrato, l'odore di incenso
mi invase i polmoni. A quell'ora non c'era nessuno, era abbastanza
tardi e tra non molto il sagrestano avrebbe chiuso. Io comunque non
avevo intenzione di restare per molto, così mi sedetti in una
panca -la mia panca abituale, ovvio – e chiusi gli occhi. Ad un
tratto, tutta la stanchezza che avevo raccolto nel corso della
giornata mi piombò addosso come un macigno.
Quelli erano i momenti in cui
pensavo che dover vivere in un posto come il Wammy's era davvero una
grande responsabilità, soprattutto pensando al futuro che mi
si prospettava di fronte: diventare L.
In quei frangenti mi assaliva il
dubbio che forse non ero in grado di sostenere un tale onere, e non
perché non ne avessi le capacità – ero pur sempre
il primo in classifica - ma perchè non ne avessi la forza. Era
più un fattore... psicologico.
Nella penombra prodotta dal fievole
chiarore delle candele, strinsi le mani sulle ginocchia fino a farmi
sbiancare le nocche. Scossi la testa con vigore.
No.
No, non erano cose da pensare.
Io avevo tutte le carte in regola
per succedere a L.
All'improvviso, un rumore si diffuse
in tutta la chiesa rimbombando tra le spesse mura. Colto alla
sprovvista, sobbalzai e mi guardai attorno smarrito, girando la testa
più volte fino a quando i miei occhi non incontrarono una
figura intenta a togliere i pesanti candelabri in argento
dall'altare. Sbadatamente, o per la fretta, uno di essi era caduto a
terra.
La figura altri non era che padre
Anderson, il sacerdote ingaggiato da Roger per la celebrazione della
messa e che da anni ormai esercitava il suo ministero al Wammy's.
Lo osservai sospirare e posare
nuovamente sull'altare i tre candelabri che teneva tra le braccia con
le mani tremolanti. Si diceva che fosse coetaneo del direttore -
qualche anno in meno qualche anno in più- e guardandolo in
quel momento pensai che non erano soltanto dicerie dopotutto.
Rank
un giorno disse che lui e il Vecchio
potevano essere considerati i due pilastri di tutta la barracca
– testuali parole – e non solo in senso figurativo: di
quanto erano vecchi, facevano concorrenza alle mura ammuffite del
Wammy's.
Ah, R e la sua sensibilità...
«Buonasera,
padre Anderdon. Ha bisogno di una mano?»
Il prete si voltò accigliato
nella mia direzione, e l'atto mise in risalto le sue profonde rughe.
«Oh, ciao Arlie. Non mi
aspettavo che ci fosse ancora qualcuno a quest'ora»
«Sono arrivato dieci minuti
fa, ma tra un po' vado» dissi io alzandomi dalla panca per
andare verso l'altare.
«Avevi bisogno di qualcosa?
Vuoi confessarti?» disse lui mentre si abbassò
lentamente per prendere il candelabro caduto, ma ad uno scricchiolio
preoccupante si bloccò.
Inarcai un sopracciglio interdetto,
ma presto la mia espressione mutò in una di pura sorpresa
quando il vecchio proruppe in un urlo.
«Aaaah, la mia povera schiena!
Che il Signore mi aiuti, muoio di dolore!»
Ok, se fossi stato Rank
probabilmente mi sarei sganasciato dalle risate, soprattutto alla
frase piuttosto plateale, degna di una delle migliori
rappresentazioni teatrali.
Sembrava che oltre all'età,
padre Anderson avesse qualcos'altro in comune con Roger...
Che esagerazione.
Comunque non ero Rank, quindi
invece di ridere corsi in aiuto del vecchio prete.
«Padre Anderson, faccio io»
dissi porgendo il candelabro.
«Grazie tante figliolo, grazie
tante. È davvero gentile da parte tua, ormai le mie povere
ossa non sono flessibili come un tempo!» rispose riconoscente,
mentre con una mano rugosa massaggiava la zona dolorante.
«Ad ogni modo, non sono venuto
per un preciso motivo. Volevo solo visitare la chiesa»
aggiunsi.
«Oh! Non sono in molti coloro
che visitano questa umile chiesa, ormai la religione occupa un posto
così irrisorio nelle vite di tutti da permettere che il
Signore venga trascurato! Ma sono felice di sapere che un giovane
come te trovi ancora il tempo per dedicarsi alla preghiera e alla
meditazione, nutrimento dell'anima».
In realtà, come ho già
detto, non ero giunto sin lì per pregare, ma non me la sentii
di dissentire così non dissi nulla. Annuii semplicemente con
la testa e feci per girare i tacchi.
Ma il sacerdote non era dello stesso
avviso.
«Io adesso dev...»
« No aspetta! Visto che non
devi confessarti, potrei approfittare della tua gentilezza. Posso,
figliolo, posso?»
«Beh, ecco...» guardai
il sorriso abbattuto del prete, poi il mio orologio. Quaranta minuti
e trentaquattro secondi al coprifuoco. Sospirai.
«D'accordo padre Anderson. Mi
dica»
Il prete al mio assenso si raddrizzò
con una velocità che mi fece dubitare del suo momentaneo
malessere. Mi sovvenne l'idea che ciò che era accaduto era
stata una messinscena per convincermi ad aiutarlo, dandomi chissà
quale incarico...
"Fregato, Arlie" mi disse
la mia coscienza.
Ah, io e la mia gentilezza...
Da quel momento in poi la mia serata
avrebbe preso una strana piega, ma io non potevo mica saperlo.
[Angolo
Autrice]:
...
Perdonooo!
Non aggiorno
da più di un mese, lo so. E non sono attiva nel fandom da una
settimana, so anche questo.
Purtroppo ho
avuto molti impegni, ultimamente se ne sono aggiunti altri, per cui
l'andamento della storia sarà più lento, ma ci sarà.
Motivo del mio
ritardo sono stati anche alcuni problemi che mi sono posta per il
proseguimento, ma spero di averli risolti con l'apporto di alcune
modifiche. Una tra queste riguarda il capitolo 2, dove ho cambiato il
tempo verbale (da presente a passato) perché mi è
venuta un'idea che vorrei seguire e anche perché è più
semplice da gestire, e dello schemino che ho messo a fine capitolo
(sempre lo scorso) e che ora ho sostituito.
A tal
proposito, ringrazio TheDarkLightInsideMe per avermi fatto notare
l'errore: Mello, Near e Matt appartengono alla quarta generazione e
non alla terza come pensavo, dunque Arlie, a rigor di logica,
appartiene all'ottava generazione e non alla settima. Per altre
spiegazioni, ho messo una didascalia sotto lo, sempre secondo
capitolo.
Ringrazio le
persone che hanno messo la storia tra le preferite, le seguite e le
ricordate, chi ha recensito, chi lo farà e coloro che
semplicemente leggono. ^^
Al prossimo
capitolo!
Ps: Sotto ho
messo un disegno di Arlie. Che ne pensate di questo personaggio?
Synapsis
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