Capitolo
7
Roy
sedeva, in completo silenzio. Sentiva dentro di sé quegli strani
sentimenti che lo avevano posseduto sino a quel momento. Erano però
più soffusi, quasi spenti in quell’impeto di violenza che lo aveva
posseduto. Rifletteva intensamente a quegli ultimi eventi. Ora che
era di nuovo calmo, ora che era di nuovo quasi cosciente di ciò che
aveva fatto, rabbrividiva terrorizzato. Ma aveva dovuto farlo,
altrimenti non avrebbe mai potuto salvarla, se non avesse assunto
quel comportamento non avrebbe potuto in nessun modo tentare di
levarla completamente da quella situazione. Eppure se soltanto non
fosse stato così accecato dalla rabbia all’arrivo di Kimblee
sicuramente non avrebbe mai potuto mettere davvero in pratica quel
piano. Anche se detestava ammetterlo in un certo senso doveva
ringraziarlo, nonostante fossero lui medesimo e Bradley a obbligarlo
a tutto quello. Scosse il capo, freddamente. Doveva trovare al più
presto una soluzione. Adesso che aveva assaggiato il dolce gusto
della violenza non voleva sperimentarla di nuovo, nel timore di
cadere completamente in suo potere.
Si
era preoccupato di ricondurre Riza nella sua cella. Magra
consolazione dalle violenze che le aveva inferto. Si era preoccupato
di coprirle la schiena, tremava ancora agli strani simboli che vi
erano impressi. Se soltanto qualcuno li avesse visti probabilmente
avrebbe trovato un’accusa in più per condannarla per eresia. Erano
simboli strani che sfuggivano alla normale comprensione dell’uomo e
un messaggio cifrato come quello di certo non poteva non essere
aggiunto come scusa a un possibile processo. Mustang doveva
velocizzare i tempi, doveva trovare un qualcosa che la potesse
salvare, ma più si arrovellava più non riusciva a trovare qualcosa
di plausibile. L’unico fine era la morte e sembrava inevitabile…
Eppure doveva esistere un modo per gabbare Bradley e Kimblee… Si
rendeva conto della pazzia del piano ma doveva trovare qualcosa,
qualcosa di insolito e soprattutto senza alcun errore, altrimenti la
morte avrebbe tinto per sempre le sue azioni.
Abbassò
lo sguardo verso la sua debolezza, trattenendo fieramente le lacrime,
tuttavia il suo volto velato da quell’aria di stentata tristezza
ancora si atteggiava in una calma freddezza. In un fazzoletto teneva
i capelli biondi di Riza che la sua furia avevano strappato. La
stoffa era lievemente macchiata di sangue ormai tendente al rosato.
Non
aveva smesso di tenerli con sé nemmeno per un secondo. Senza che lei
lo avesse notato li aveva nascosti in una tasca del suo abito da
inquisitore bianco e nero e li aveva ritirati fuori solo in quella
completa solitudine. Il suo era un alloggio modesto, situato vicino
al tribunale, in un complesso di edifici riservati per coloro che si
occupavano di giustizia divina e terrena. Almeno lì dentro era
sicuro che nessuno sarebbe venuto ad importunarlo.
Le
parole di Zolf Kimblee erano impresse a fuoco nella sua mente. Riza e
lui stesso erano ora in pericolo più che mai, tuttavia lui se lo
sentiva che quella ragazza era assolutamente innocente! I simboli e
le lettere tatuate malamente sulla sua schiena non bastavano a
convincerlo. Di certo non aveva potuto farseli da sola, c’era
sicuramente una spiegazione razionale a tutto questo, e non aveva
voluto toccare l’argomento con lei in quegli attimi orrendi.
L’aveva riportata nella sua cella un tale stato di
semi-incoscienza...
L’uomo
strinse convulsamente quei capelli biondi mentre una lacrima gli
rigava il viso.
Era
stato costretto a farle qualcosa di terrificante, eppure qualcosa di
peggio, qualcosa che non riusciva a perdonarsi in alcun modo e che lo
faceva sentire sporco. Quando l’aveva posata sul pavimento della
piccola prigione, delicatamente, i suoi soliti pensieri avevano
iniziato a tormentarlo. Forse era troppo abituato a essere
condizionato dalle bellezze femminili, forse era davvero una specie
di morbo malsano che lo aveva intaccato a causa di Kimblee e della
sua negatività, con la mente ottenebrata da una forza eccitatoria ed
oscura. Quel corpo inerme e fragile che contrastava pesantemente con
la personalità determinata, forte e inflessibile di lei lo aveva
attirato come una calamita.
L’
aveva scoperta in quel momento di debolezza, aveva scostato le sue
vesti lacere mentre le sue gote diventavano rubizze e bollenti, e le
sue mani tremavano lievemente, febbricitanti.
Lui,
estimatore implacabile di corpi di donne, aveva osservato prima il
suo viso, i secchi rivoli vermigli che le sporcavano le guance e le
narici, le palpebre chiuse, e subito dopo con ingordigia era passato
ai suoi fianchi pallidi, alle sue costole lievemente in rilievo sotto
la pelle, alle cosce scarne, al suo ventre piatto, ai suoi seni
torniti e perfetti, al suo inguine virginale. Era rimasto alcuni
minuti in quello stato catatonico, estasiato e accaldato, prima di
rendersi conto tutto ad un tratto di quello che stava facendo.
L’aveva quindi immediatamente ricoperta, mentre le sue fantasie
galoppavano nella sua testa in modo quasi doloroso. Si rendeva conto
che di lei avrebbe potuto fare ciò che voleva in quel momento. Aveva
detenuto e assaporato un potere che mai gli era sembrato piacevole
come in quegli istanti. Quella ragazza era così bella, e avrebbe
potuto essere sua… Eppure il buonsenso aveva agito, anche se in
ritardo, facendolo vergognare intimamente. La sua lotta interiore gli
faceva pulsare il cranio.
Si
rendeva conto di mentire a se stesso, lui aveva provato sì piacere
nel torturarla, aveva desiderato fare quello. Eppure non era stata la
pazzia e la foga del momento a spingerlo a fare quello ma lui era
stato consapevole di ciò che aveva fatto. Che avesse deciso
volontariamente di torturarla lo stava facendo impazzire. Mai aveva
usato una tale violenza che, seppure contenuta, non sapeva
perdonarsi. Aveva usato tutta quella veemenza per la prima volta
contro l’unica persona in tutta la sua carriera che voleva
proteggere con tutto se stesso. Sarebbe stato tutto più facile se
avesse potuto affibbiare tutta la colpa a una pazzia incontrollabile.
Invece no, lei lo avrebbe temuto, lo avrebbe ritenuto come un nemico
e lui avrebbe dovuto leggere quella paura nei suoi occhi, avrebbe
dovuto piangere in solitudine quella repulsione che lei gli avrebbe
dimostrato. Eppure lui si era pur trattenuto, non aveva ceduto
completamente, rimanendo lucido per non ucciderla, ma lei non le
avrebbe mai riconosciuto nemmeno quello e per sempre lo avrebbe
condannato solo perché cercava disperatamente di sottrarla a
qualcosa di peggio.
Avrebbe
voluto non conoscerla, avrebbe voluto quasi che rimanesse per le
strade, senza che si ritrovasse coinvolta in quella rivolta… Non
l’avrebbe mai conosciuta certo ma non l’avrebbe vista soffrire…
Per di più a causa sua.
Era
completamente freddo, calmo e impassibile ma avrebbe voluto compiere
atti disperati, avrebbe voluto strapparsi i capelli, avrebbe voluto
urlare e piangere ma non stava facendo altro che rimanere
completamente immobile, lievemente imbronciato. E con quelle immagini
nella sua mente, quelle in cui vedeva Riza gemere, la sua pelle
stracciarsi, il suo sangue fuoriuscire, i suoi occhi piangere,
involontariamente non poteva pensare a niente che non fosse quel
dolore. Avrebbe voluto trovare una soluzione, avrebbe voluto davvero
trovare un modo per scagionarla, farsi in qualche modo perdonare e
farle vivere in modo più o meno agiato. Ma non poteva davvero
pensare a nient’altro. Era solo, solo con quella ciocca di capelli
a ricordargli costantemente ciò che aveva fatto. Doveva
assolutamente cercare di riprendere il controllo. Non doveva perdere
se stesso, non doveva in alcun modo cedere a quella debolezza che lo
avrebbe portato davvero alla follia.
In
quel momento sentì dei passi avvicinarsi e quasi avvertendo che si
dirigessero proprio in quel modo, cercà di continuare a essere
mortalmente serio. Fortunatamente con quella disciplina che gli era
stata insegnata riuscì a trattenere quel controllo.
Maes
Hughes,
senza nemmeno bussare, tutto contento, fece irruzione nella stanza.
Roy fece scivolare velocemente le ciocche di capelli nel suo abito:
non poteva di certo permettere che il suo gaio amico si accorgesse
anche solo lontanamente del tormento che lo stava assalendo.
Non
era ancora riuscito a capire come facesse il capitano delle guardie
ad essere sempre così di buon umore nonostante lo conoscesse da
anni. A volte quel suo comportamento sfiorava quasi l'irritante,
eppure non riusciva a non essergli affezionato. Quella sua
personalità alla fine era tutto sommato perfino affascinante, ed era
una delle persone più oneste e leali che conoscesse in quella città
popolata maggiormente da traditori e ruffiani. Era una persona su cui
avrebbe sempre potuto contare.
«Ma
buon pomeriggio, Mustang!» lo salutò tutto festoso come sempre,
evitando ovviamente tutti i noiosi convenevoli solitamente
obbligatori tra cariche elevate «Adesso mi devi proprio dire dove ti
sei cacciato in questi giorni! No, non voglio nemmeno sapere come
stai, non puoi sparire in questo modo!»
Hughes
si andò a sedere a grandi falcate sulla sedia di legno che stava
vicino ad un piccolo scrittoio senza chiedere il permesso. Era
ovviamente fintamente arrabbiato con lui, eppure sinceramente curioso
di capire perché l'amico aveva iniziato a comportarsi in modo tanto
strano. Si erano a malapena salutati quella mattina e non si erano
scambiati nemmeno due parole.
Dal
canto suo, Roy provò a sorridere facendo finta di nulla. Doveva
cercare di apparire sereno, per non dare sospetti all'amico della
battaglia che si stava consumando all'interno del suo cranio. Non che
non si fidasse di lui, ma non era davvero il caso di metterlo al
corrente di una questione tanto delicata e pericolosa. Gli avrebbe
spiegato tutto a tempo debito.
«Ho
avuto solo molto da fare, ho diversi casi a cui pensare e sono pieno
di lavoro. » cercò di giustificarsi sempre cercando di apparire
rilassato «E poi il numero di celebrazioni sta aumentando di
settimana in settimana, devo presenziare, lo sai come sono fatto...»
«Sì,
certo che lo so... Cosa non faresti per rifarti gli occhi su qualche
pollastrella tutta elegante, genuflessa ed immersa nella preghiera...
Per favore, amico mio, niente corbellerie tra noi, si vede che c'è
qualcosa che non va, per questo ho preferito venire qui e parlarti in
privato. C'è qualcosa che ti sta preoccupando e sono sicuro che
c'entra la bella biondina che sono stato costretto ad arrestare tempo
fa. Le guardie hanno il brutto vizio di parlare e di farsi sentire,
sai? Peccato che io voglia sapere da te la verità. Non vorrei
mai che tu ti cacciassi in qualche guaio più grosso di te, o almeno,
non senza il mio aiuto. Le voci che ho sentito non sono per nulla
lusinghiere nei tuoi confronti, sappilo.»
«Lo
sai che il mio lavoro non è apprezzato, così come il tuo. Siamo
troppo buoni, troppo idealisti, questa è la verità.»
rispose l'inquisitore facendo spallucce e sedendosi sul proprio
letto, puntellandosi il mento con la mano com'era solito fare.
«Ma
qui non si sta parlando di idealismo o di scaramucce di poco conto,
Mustang! La posta in gioco è decisamente alta! Qualche soldatino da
quattro soldi è andato a fare delle confidenze a Bradley a proposito
di una tua fantomatica condotta poco nobile. Vorrei semplicemente
avvertirti di fare attenzione e se per caso io possa fare qualcosa
per te.»
Mustang
lo guardò, riflettendo, completamente immerso nei suoi pensieri. Sì,
avrebbe desiderato quell’aiuto, lo avrebbe desiderato come il
viandante cerca un luogo in cui riposare. Ma semplicemente non poteva
parlarne, non poteva confidarsi. Non perché non si fidasse del suo
amico ma perché sapeva che anche soltanto il silenzio della sua
anima non bastava per mantenere la segretezza. L’Inquisizione aveva
occhi ovunque, la religione era un arma potente e se soltanto avesse
fatto un passo falso avrebbe sofferto, orribilmente e con lui avrebbe
portato alla dannazione anche agli altri. No, non poteva
assolutamente permettere questo, eppure non sapeva come stroncare
quell’invadenza inopportuna. Se soltanto avesse saputo come fare,
se soltanto avesse saputo come agire… Di certo sarebbe stato tutto
più semplice. Hughes probabilmente non conosceva neanche cosa aveva
fatto quella mattina altrimenti sarebbe scappato da lui, lo avrebbe
guardato con diffidenza, lo avrebbe evitato. Roy era incompreso ma al
contempo non poteva neanche trovare una giustificazione alla sua
violenza. Sapeva egli stesso di essere un mostro, di essere stato
disumano. Sentiva quelle ciocche di capelli bruciargli
irrimediabilmente nel petto, corrodendolo dall’interno. Sentiva
quell’intimo dolore spossarlo e ucciderlo, tuttavia se soltanto
avesse osato accennarvi, se soltanto avesse osato confessare il suo
dolore ecco che tutto il mondo gli sarebbe crollato addosso.
King
Bradley e Kimblee avrebbero trovato una prova alle loro accuse,
Hughes lo avrebbe rimproverato della sua azione e Riza… Riza
semplicemente non lo avrebbe creduto e non avrebbe mai capito il suo
gesto, dopotutto aveva osato farle del male… Come poteva mai
sperare che potesse comprendere le sue azioni? Non avrebbe potuto
trovare comprensione, pietà o clemenza, perché lui stesso non ne
aveva avute per lei quando il suo unico desiderio era stata sottrarla
dalle mani di Kimblee e quindi da una morte certa, lenta e dolorosa.
In
quel momento sentiva ancora la furia non completamente assopita nel
suo animo tanto era agitato, sicuramente se non si fosse controllato
avrebbe cacciato via il capitano. Vedeva il suo volto teso eppure
sorridente e allegro, come faceva a essere così? Come poteva trovare
la felicità in quel mondo tanto oscuro e tetro? Proprio non riusciva
a capacitarsene. Avrebbe voluto scuoterlo, convincerlo a rivelargli
il suo segreto, sì lo avrebbe anche torturato se necessario.
Si
scatenò una lotta interiore in cui fieramente cercava di trattenere
quell’ansia, quell’istinto che lo spingeva a quel bisogno. Come
aveva solo pensato di agire in quel modo contro quell’amico che
voleva soltanto salvarlo dal suo stesso stato d’animo? Non riusciva
a spiegarsi ciò che stava accadendo dentro di lui ma si sentiva
deperire a quel continuo assalto degli eventi. Sarebbe stato molto
più semplice farsi completamente dominare da quei sentimenti
piuttosto che reprimerli e controllarli con la ferma razionalità.
Ma
tutto gli scorreva davanti agli occhi, no, semplicemente non poteva.
C’era altro per cui combattere che lo spingeva a non arrendersi. Si
sarebbe opposto contro quella tempesta furiosa, si sarebbe opposto a
quel mare tempestoso. Conosceva a mala pena il prezzo da pagare ma
non poteva fare nient’altro che lottare e sperare, sperare di
costruire un futuro migliore.
«Ti
stai preoccupando troppo.»
Quella
fu l'unica frase che riuscì a pronunciare dopo una manciata di
secondi in cui aveva riflettuto guardando ostinatamente il pavimento.
Quella guerra che si stava scatenando furibonda nella sua testa non
traspariva quasi dal suo viso su cui spiccava un'espressione quasi
canzonatoria nei confronti del comandante delle guardie, che invece
pareva aver preso un viso molto più serio del solito, preoccupato
com'era per le sorti del suo amico. Hughes era incredulo. Non
riusciva a capire se Mustang fosse davvero così avventato o se
stesse veramente nascondendo qualcosa di grosso che riguardava lei.
Pensava di conoscerlo abbastanza bene, eppure si stava trovando in
difficoltà. Era testardo, maledizione...
«Ascolta,
Mustang... Te lo dico chiaramente, devi fare attenzione, ma
attenzione per davvero. Se hai perso la testa per quella ragazza,
posso capirti, ma cerca di essere discreto nei tuoi comportamenti!
Sei diventato troppo strano! Non parli più con nessuno, sei stato a
messa pochissime volte, sei sempre nel tuo studio a fare non si sa
bene che cosa, e intanto la ragazza se ne sta bella tranquilla nella
sua cella senza che le venga fatto nulla... Se credessi a tutte le
frottole che ci vengono propinate dalla Chiesa vedendoti in questo
stato inizierei a pensare che quella strega abbia usato qualche sua
fattura o non so cosa per friggerti il cervello e farti diventare il
suo schiavo! E sai che c'è davvero un sacco di gentaglia che crede a
queste stupidaggini di magie e simili... Io invece potrei capirti,
sono innamorato perso della mia dolce Gracia, per me è la donna più
bella del mondo! Quando l'ho conosciuta ho fatto di tutto per
conquistarla, per caso te l'ho già raccontato?»
«Almeno
una cinquantina di volte...»
«Sono
andato sotto casa sua tutte le sere cercando di attirare la sua
attenzione e le lasciavo dei fiori sull'uscio di casa, poi le cantavo
le serenate e...»
«...E
suo padre si era infuriato così tanto che decise di chiamare il
capitano delle guardie una sera che non ne poteva più... Peccato che
scoprì che si trattava proprio di quell'uomo che stava importunando
la sua dolce figliola, e dopo aver compreso che il suo era un cuore
nobile e il suo amore era sincero acconsentì alle nozze, eccetera
eccetera... Vissero tutti felici e contenti.» cantilenò
l'inquisitore imitando la voce di Hughes.
Il
capitano era solito decantare le lodi della moglie e della figlia
nelle circostanze più disparate e soprattutto inopportune. Mustang
conosceva la storia a menadito.
«
Eh sì, Gracia è adorabile, così come Elicia, che è la bambina più
bella del mondo, dovresti venire più spesso a trovarci...» sospirò
l'amico prima di tornare nuovamente molto serio «Ma quella Riza...
Ascolta, lo so che sono stato io a portarla da te perché credevo che
tu avresti potuto aiutarla... Però adesso ho paura che non troverai
un modo per scagionarla purtroppo, e se non sarai tu a condannarla lo
farà un altro inquisitore, magari mandandola al rogo dopo averla
torturata e stuprata per giorni... Perché non la mandi in esilio e
in pellegrinaggio, lo hai fatto spesso con un sacco di altri casi,
non capisco quale sia il problema questa volta! E' vero che non
potrai vederla mai più, tuttavia almeno l'avrai salvata... Poi lo
sai che a me puoi dire tutto quello che ti passa per quella tua
maledetta testa di legno, forse sono l'unico in questa dannata città
di cui ti puoi fidare e che può aiutarti!”
A
quelle parole, Mustang sollevò il viso, fissando Hughes dritto negli
occhi. Le sue iridi nere come pece parevano quasi scintillare. Gli
era venuta in mente finalmente un'idea che avrebbe potuto funzionare,
grazie alle parole che il capitano delle guardie aveva appena
pronunciato. Sì, era solo un pensiero, ma se l'avesse studiata nei
minimi dettagli forse sarebbe stata l'unica soluzione plausibile.
Avrebbe dovuto mobilitarsi in fretta però, perché tutto avrebbe
dovuto svolgersi all'insaputa di tutti, di Hughes in primis,
che non avrebbe dovuto sospettare nulla, così come di Riza. Era un
piano troppo folle, una come lei non avrebbe mai collaborato di sua
spontanea volontà, soprattutto dopo il male che le aveva fatto. Sì,
non aveva alcuna scelta, anche se era terribilmente rischioso...
I
suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, Hughes a mala pena
riusciva a riconoscere l’amico di sempre. L’ingegno di Mustang
stava lavorando, sistemando e progettando. Sentiva quell’idea e
quel progetto delinearsi sempre più nettamente nel suo cervello…
se soltanto ci fosse riuscito… sì se ci fosse riuscito
probabilmente avrebbe avuto la vittoria in pugno. Era folle,
terribilmente folle, ma non tanto folle quanto lo era quella stessa
istituzione. Non aveva tempo da perdere, sentiva gli sguardi di
Kimblee e di Bradley fissi su di lui, avrebbe dovuto agire alla
svelta. In tutti quegli anni aveva sempre avuto il vantaggio di non
essersi mai ribellato, almeno apertamente e sfacciatamente, ai loro
piani e proprio per questo forse ancora non era sospettato
abbastanza. Certo, era stravagante ma in fondo aveva sempre svolto il
suo lavoro senza falli.
Aveva
sbagliato a farsi cogliere in quell’atto di debolezza, il rimedio
che stava elaborando era drastico e purtroppo… strano.
Kimblee era furbo, di certo se non avesse saputo bene fare la parte
avrebbe capito il suo inganno.
Divenne
cupo. Anche Hughes non poteva sospettare della sua bontà, se avesse
continuato a essergli amico probabilmente allora… Sì, tutti
avrebbero creduto che in lui non sarebbe cambiato niente. Il distacco
avrebbe dovuto essere totale e se avesse ingannato a fin di bene il
suo amico forse ce l’avrebbe fatta.
Eppure
una parte di lui ancora esitava. Perché doveva privarsi anche di
quel sentimento? Certo odiava quando Hughes lo interrompeva ogni
volta narrandogli le peripezie della sua famiglia eppure aveva capito
che era soltanto un modo per distrarlo dai suoi rigidi doveri.
Avrebbe dovuto davvero ingannare anche lui? Se Hughes lo
avesse capito, sarebbe stato al suo gioco? W anche se non avesse
compreso, lo avrebbe perdonato dopo?
Si
ritrovava in una situazione pessima e la sua presenza in quel momento
lo irritava, quell’aura allegra che lo circondava gli impediva di
pensare coerentemente. Per salvare Riza, se stesso e anche Hughes
avrebbe dovuto ingannare tutti e diventare sporco quanto lo erano le
persone che detestava? Probabilmente sì, e la risposta gli faceva
davvero male. Non voleva costruire un futuro migliore su fondamenta
insicure, immorali e peccaminose. Con quale autorità poi avrebbe
potuto considerarsi migliore o peggiore dell’Inquisizione e del
Braccio Secolare? No, non voleva tuttavia non aveva scelta e in quel
momento di assoluta disperazione in cui era di nuovo sprofondato non
aveva davvero altro da fare. Era l’unico modo per non tradire sul
serio i suoi amici, anche se apparentemente li avrebbe disprezzati.
Non avrebbe mai permesso che qualcuno avrebbe fatto loro del male,
che qualcuno li avrebbe danneggiati, né Hughes, né i suoi
collaboratori, quali Jean Havoc la guardia, o il giovane Kain Fury,
il suo segretario…
Sì,
forse non era tanto diverso dagli altri umani. Aveva le stesse
debolezze, le stesse propensioni al potere ma lui non lo faceva per
egoismo, voleva proteggere chi poteva salvare.
«L’esilio?
Il suo caso purtroppo non può richiedere un mezzo tanto futile. Le
accuse sono gravi e il popolo stesso vuole solo una cosa: la sua
morte.»
Era
apparentemente calmo ma si reggeva e continuava a ostentare
quell’atteggiamento solo grazie al grande nervosismo che lo reggeva
e lo faceva andare avanti. Vedeva davanti a sé quel miraggio
incrollabile, avrebbe solo dovuto guardare in quel punto, cercando di
raggiungerlo e non corrompere e perdere la sua anima. Era
terribilmente difficile ma sperava di potercela fare, ma da solo
senza quei pochi sostegni e consensi che aveva in realtà si sentiva
anche debole, svuotato. Avrebbe dovuto godere dei ricordi e della
fiducia che loro gli riponevano dentro. Sperava, sperava ardentemente
che Hughes capisse e il suo sguardo forse lasciava intravedere quella
scintilla di compassione che gli emergeva involontariamente. Se
soltanto Hughes avesse saputo coglierla allora… Allora forse vi era
speranza anche di mantenere la loro amicizia. Ma doveva essere brusco
e inflessibile.
«Ho
studiato un sacco di carte, ma non ne vengo a capo. Credo che prima o
poi sarò costretto ad accontentarli.» Era stato duro, sprezzante,
le aveva pronunciate con un tono forte, come se volesse cacciare via
quelle parole lontane da lui, infondo non le appartenevano.
«Probabilmente non lo sai, ma oggi ho avuto delle conferme da lei
stessa, ed io non posso ignorare ciò che mi si para davanti, devo
fare ciò che va fatto. Non vi è possibilità di salvezza. Se dovrà
morire non mi tirerò indietro dal fare il mio lavoro.»
Non
aveva neanche il coraggio di guardare il suo amico e al solo pensiero
che in pubblico avrebbe dovuto guardarlo e dirgli quelle cose
orribili… no, non poteva sopportarlo.
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