PREMESSA:
Siccome è passato un po' di tempo di sicuro non ricorderete
molto
che è capitato negli scorsi, quindi eccovi un piccolo
riassunto.
Thorin,
ora reggente ma distrutto per la morte dei nipoti, accetta di
rispondere alla richiesta di aiuto di un regno di cui nessuno era a
conoscenza: quello degli Ered Mithrin, guidato dalla giovane e
orgogliosa Nora. Ella si aspettava Dain, non certo Thorin, del quale
non ha molta simpatia; si trova quindi a dover accettare il suo aiuto
anche perché la minaccia degli orchi incombe sempre
più e bisogna
rafforzare le difese e pianificare un attacco. Aiutata dal fedele
Hagan e dagli altri consiglieri – il viscido Fanus e il
figlio
Doiran, Sisil, Malir e il padre di Hagan, Ganar – Nora espone
la
situazione a Thorin e Dwalin. Nessuna delle due parti sembra fidarsi
dell'altra, però per il bene dei rispettivi regni saranno
costretti
ad aiutarsi. Inoltre Thorin, percepita la rabbia nei suoi confronti,
promette a se stesso di scoprire il motivo e cercare di rimediare.
Credo
sia tutto, buona lettura!
A
chi mi ha aiutato e dato idee per questo capitolo ^^
CAPITOLO
QUATTRO
«Mia
signora, stamattina preferite l'abito blu o quello verde?»
«Nessuno
dei due, prendi quello nero. Fai in fretta con l'acconciatura, non ho
molto tempo.»
Gilla
si affaccendò ad eseguire l'ordine dettato seccamente,
sbirciando
più di una volta la schiena della giovane sovrana mentre le
sfilava
la lunga camicia da notte bianca; mantenne lo sguardo basso,
imbarazzata come ogni qualvolta la sapeva nuda, e si impose di
rivestirla velocemente dapprima con la sottoveste di raso e poi
facendole indossare il vestito prescelto. Le allacciò il
corpetto
con dita agili, pregando non cambiasse repentinamente idea
desiderando cambiarsi; fortuna volle che i pensieri pressanti le
tenessero compagnia, e si dispiacque di quel vago senso di sollievo
nel saperla troppo impegnata per notare altro – nella
fattispecie
il suo operato.
Una
volta terminato attese si sedesse davanti alla toeletta di legno, e
riprese ad occuparsi della lunga e folta chioma castana in cuor suo
sempre invidiata. Raccolse la spazzola passandola sulla lunghezza
delle ciocche, trattenendo il labbro inferiore tra i denti quando
incontrava nodi particolarmente ostici da sbrogliare; ammirò
la
compostezza della sovrana durante quel lungo rituale, e trattenne
qualsiasi commento quando la vide ancora assorta. Poteva quasi
percepire il frastuono dei pensieri vorticanti nella sua regale
testa, ed azzardò un'occhiata al riflesso nello specchio
tondo
appeso alla parete. Lo sguardo era perso in un punto indefinito, ed
era più che certa stesse pensando ai nuovi venuti.
Il
loro arrivo era passato di bocca in bocca e tutti gli abitanti degli
Ered Mithrin ne erano ormai a conoscenza, anche se molti non avevano
avuto il privilegio di notarli; lei, invece, era riuscita a spiarli
dalla porta che separava l'ala della servitù da quella
nobile, ed
era rimasta affascinata e intimorita da quel gruppo di estranei,
giacché era da lunghi anni che il palazzo non ospitava
qualcuno.
Terminò
anche la più piccola delle trecce preparandosi a
raccoglierle sulla
nuca come di consuetudine e sospirò pianissimo pensando alle
sue,
davvero misere e poche come suggeriva la sua posizione sociale.
Non
mentiva a se stessa quando diceva di essere gelosa della sua regina,
lo era stata fin dall'infanzia. L'una, principessina che giocava
lungo i corridoi del palazzo e l'altra, figlia di un cuoco e di una
serva; era praticamente facile indovinare il loro destino. Eppure si
era scoperta smaniosa di conoscerla, parlarle anche per poco. Non
pretendeva d'esserle amica – non era così
sciocca
–, voleva solo non risultare una sconosciuta ai suoi occhi.
Perciò
era entrata presto a servizio, colpendo talmente tanto la precedente
regina da vedersi affidare il compito di affiancare la figlia.
Ricordava molto bene la felicità ogni qualvolta si svegliava
e
ripensava all'immenso privilegio capitatole. Le sue poche amiche non
erano state altrettanto fortunate, ed alcune avevano dovuto ripiegare
sul matrimonio pur di trovare qualcuno che badasse al loro
sostentamento; lei poteva ancora permettersi di rimanere sola, anche
se era stata corteggiata da qualche ragazzo.
Non
sono certo brutta, pensò,
rimirandosi per lunghi secondi allo specchio mentre appuntava delle
lunghe forcine perché la pettinatura reggesse. Sorrise un
poco a
quel momento di vanità, ma era pienamente comprensibile
quando si
aveva a che fare con una padrona come la sua: ogni abito la fasciava
alla perfezione e il viso era incantevole benché non fosse
di
particolare bellezza; inoltre, qualsiasi gioiello indossasse
–
purtroppo pochi, anche se comprendeva la ragione della sua riluttanza
– le donava un portamento ancor più elegante e
regale.
La
porta alle loro spalle si aprì e per poco non le cadde il
pettinino
di tartaruga tempestato di smeraldi, tanto era stato lo spavento; si
girò frettolosamente e si inchinò, attendendo
qualche secondo prima
di rialzarsi.
Nora,
d'altro canto, rimase seduta e volse lo sguardo allo specchio
seguendo la figura finché non le si posizionò
quasi alle spalle, ad
un paio di passi dalla serva.
«Puoi
andare, Gilla»
comandò la nuova arrivata «posso
terminare io.»
La
giovane l'osservò titubante, indecisa di risponderle che no,
non le
avrebbe mai permesso di completare quel lavoro poco nobile;
si trattenne,
girandosi verso la
regina a cercare conferma. Quella invece la congedò con un
gesto, e
non le rimase che lasciarle dopo essersi profusa in un altro inchino.
«Come
desidera, mia signora»
percorse la stanza e si chiuse la porta alle spalle, espirando. Per
alcune ore si sarebbe potuta considerare libera.
Una
volta sole la nuova venuta si avvicinò maggiormente, posando
le mani
sulle spalle della regina «Queste
occhiaie non ti donano molto, mia cara. Hai avuto difficoltà
a
dormire?»
«Non
ho proprio chiuso occhio.»
Le
strinse affettuosamente una spalla, accarezzando la pelle col pollice
«Trovi
indecoroso che mi
occupi di rifinirti le trecce e ti posi il pettinino tra i capelli?»
domandò, preferendo cambiare argomento quando si accorse
della
risposta un poco frettolosa.
Nora
scosse la testa, sorridendole «Affatto.
Ricordo che quando ero bambina lo facevi spesso.»
«Finché
non sei divenuta una vera donna era mio compito. Mi mancava, lo
confesso»
le arrotolò una
piccola treccia sulla nuca ed aggiustò una forcina sul lato
destro.
Allungò
le dita sulla toeletta prendendo in mano il pettinino d'oro con
piccole gemme preziose incastonate, rigirandoselo tra le dita «E'
meraviglioso»
sussurrò con tono affettuoso «Un
dono degno di una regina.»
La
ragazza annuì, deglutendo per scacciare il groppo alla gola «Quando
me lo donasti non potei capacitarmene, poiché ne eri molto
legata.»
«Così
come tua nonna si dispiacque quando me lo regalò»
ammise, posizionandolo con estrema cura appena sopra la treccina «ma
è un passaggio necessario, tramandato da madre a figlia.»
Nora
dapprima sorrise e poi si accigliò, poiché si
rese conto d'aver
quasi terminato quei minuti di calma.
«Immagino
tu non sia qui solo per pettinarmi. C'è altro di cui devi
parlarmi
prima che vada?»
La
Regina Madre assottigliò gli occhi, contenta d'essere giunta
dritta
al punto; Nora era sempre stata piuttosto perspicace, una
qualità
indispensabile per la sovrana di un regno.
«Sai
cosa ti chiedo, ne abbiamo già parlato.»
«Passo
forse per una persona orribile se rimango me stessa?»
«Sì»
disse, aumentando la pressione sulla spalla sinistra «Sono
ospiti. Abiteranno
sotto il nostro tetto mangiando il nostro pane e il nostro sale. Devi
ricordartelo.»
Nora
si voltò, aggrottando la fronte e stringendo le labbra «Rammenti
chi
è a capo dei nani
nostri ospiti?»
sibilò arrabbiata.
«In
fondo non è stata colpa sua.»
La
guardò allibita, schiudendo la bocca mentre una rabbia
prepotente la
infiammava veloce «Se
non si fosse scatenata quella battaglia loro sarebbero
ancora qui!»
«Ne
sono consapevole, ma ormai è passato più di un
anno.»
«E'
troppo poco tempo, non ho ancora finito di piangerli. Al contrario di
te»
sbottò furiosa. Non poteva credere davvero alle parole
ascoltate.
Era inaudito.
Finalmente la corazza composta e calma della madre
si incrinò «Credi non li
pianga? Amavo tuo fratello più della mia stessa vita. E tuo
padre...»
respirò
pesantemente per ritrovare la calma e continuò «Tu
parli ancora come la giovane principessa che eri, non come la regina
che sei. Devi pensare al bene del tuo popolo, e per questo dovrai
moderarti accanto a Scudodiquercia. Non possiamo permetterci se ne
vada prima del tempo.»
«Questo
lo so»
ammise sconfitta, passandosi il palmo della mano destra sulla fronte
«però
non posso prometterti
nulla.»
Parve
invecchiare, e ciò accrebbe la morsa al cuore della
genitrice, che
non trovò parole di conforto.
Non
stavolta. Lei era anziana – benché non volesse
ammetterlo – e il
rancore non faceva più parte del suo essere. Nora, al
contrario,
aveva ancora molto da imparare. Doveva accantonare il pregiudizio,
infantile o meno, e pensare solo al futuro. La fiamma della vendetta
e del risentimento bruciavano con assurda facilità nel suo
cuore,
così come ogni altro potente sentimento. L'amore provato nei
riguardi del padre e del fratello non le avrebbe permesso di
dimenticare il giorno infausto del passaggio di reggenza.
Vi
sarebbe stato altro tempo per ulteriori predicozzi – di
questo era
fortemente convinta – poiché conosceva bene
l'animo della sua
bambina e, certo come la sua vita, sapeva che la convivenza con gli
stranieri sarebbe stata complicata per entrambe le fazioni. Poteva
almeno sperare di placare gli attriti sul fronte della propria
famiglia e, con l'aiuto dei Valar, Thorin Scudodiquercia avrebbe
fatto la sua parte per non infrangere quel patto d'aiuto.
Inoltre,
avrebbero certamente iniziato col piede giusto se Nora si fosse
presentata in tutto il suo giovane splendore «Copriti
quelle occhiaie, tesoro»
le disse «l'aspetto
di una vera e forte regina va curato nei minimi dettagli. Ed
è
proprio indispensabile il vestito nero?»
Per
un momento, ecco tornare la Nora adolescente; alzò gli occhi
al
cielo, trattenendo uno sbuffo «Certo.
Non intendo cambiarlo.»
Così
aveva deciso, e non avrebbe mutato idea nemmeno per tutto l'oro del
mondo. Non solo riguardo lo stupido abito.
«Sei
in ritardo.»
Così
un irascibile Dwalin accolse il povero Nori non appena questi
varcò
la soglia della stanza assegnata a Thorin; il nano guerriero
stringeva le braccia muscolose al petto possente, ed il solito
cipiglio era maggiormente accentuato dalla scontentezza. Se c'era
qualcosa che non poteva sopportare erano i ritardatari, specie in
quel frangente tanto delicato e instabile.
«Di
pochi minuti, per tua informazione»
lo rimbeccò il ladro della Compagnia, rivolgendosi poi verso
il suo
sovrano «Scusami,
Thorin.»
Quello
agitò una mano con scarsa convinzione «Non
importa, ma ora che siamo tutti qui preferirei parlare in fretta,
dato che tra poco dovremo trovarci per iniziare i lavori.»
Prese
fiato, raccontando dell'incontro e di quel che avevano concordato;
nessuno parlò finché non terminò e
solo allora Gloin espresse il
suo parere.
«Tutto
questo mi puzza di imbroglio. Troppe incognite, troppi raggiri e
segreti!»
«Sono
d'accordo con te, fratello.»
«E
che proporreste? Di tirarci indietro e fuggire?»
«Sarebbe
una decisione saggia, Bofur.»
«O
molto sciocca, invece»
ribatté il giocattolaio, infervorandosi «abbiamo
dato la nostra parola e io non intendo rimangiarmela passando per
bugiardo!»
«Non
torneremo a Erebor»
chiarì Thorin, ponendo fine al battibecco «manterremo
la promessa perché è giusto.
Se
le parti fossero invertite non vorremmo sapere della fuga dei
soccorritori.»
«Da
quel che ho capito non siamo ben visti»
Dori prese la parola, guardandosi attorno nervoso «Questo
non vi fa pensare ad una soluzione... diversa?»
«Non
scapperemo»
scandì il re, stringendo i pugni «Non
mi importa cosa pensano, onoreremo il patto anche se non sarebbe
compito nostro! Lei aspettava Dain ma sono sorte delle complicazioni.
E' una nana intelligente, comprenderà e accetterà
le conseguenze.»
«Non
è tanto lei a
preoccuparmi, forse»
borbottò Dwalin, grattandosi il mento.
Come
sempre, l'amico capì «Intendi
i consiglieri?»
«Un
po' tutto, a essere sincero. Ad esempio, dove sono gli abitanti?
Perché non li abbiamo visti?»
«Parla
per te.»
Dwalin
girò il capo tatuato verso Nori «Cosa
significa?»
«Quel
che ho detto! Li ho visti durante il mio giretto di perlustrazione.
Ci sono abitazioni appena oltre le grandi sale, separate dal palazzo
tramite un gigantesco arco di roccia.»
«Sei
uscito?»
«Diciamo
sgattaiolato... ma non mi ha visto nessuno!»
esclamò veloce, notando lo sguardo carico di rimprovero di
Thorin
«Sono
stato attento.»
«E
come sono?»
gli domandò il fratello minore, curioso.
Si
strinse nelle spalle «Come
noi, che credevi? Che avessero tre braccia e fossero senza barba?»
Ori
arrossì e abbassò il capo, permettendo a Nori di
continuare «Hanno
abitazioni modeste che hanno visto tempi migliori, ma i nani sembrano
abbastanza nutriti e in salute, anche se non molto ricchi.»
«Non
vi è sfarzo, qui. Non più»
sussurrò Thorin «Hai notato
altro?»
domandò poi interessato, nonostante l'azione avventata del
compagno.
«Sono
strani. Molto
silenziosi e circospetti nonostante vi siano molti bambini. Come se
avessero timore anche solo di parlare.»
«Visto?
Sono altamente sospetti! Andiamocene finché possiamo!»
«Gloin!»
Il
nano dai capelli fulvi borbottò indignato.
«I
loro problemi non devono riguardarci»
disse duramente il capo della Compagnia «però
agiremo comunque con cautela. Non desidero problemi di sorta durante
la permanenza.»
«Giusto»
asserì Dwalin.
Il
resto annuì partecipe, e Oin prese la parola «Come
ci divideremo?»
«Decidete
ciò che più vi aggrada. Non vi è molta
scelta, dopotutto.»
«D'accordo,
Thorin.»
«Molto
bene, credo sia stata detta ogni cosa. Andiamo, non facciamoli
attendere; non sono nani molto pazienti, specialmente la sovrana.»
Si
incolonnarono e superarono la soglia, ma il Re ne richiamò
due
«Nori,
Ori, aspettate un
attimo.»
I
due si guardarono, perplessi, ma non dissero nulla attendendo fosse
lui a compiere la prima mossa.
«Nori,
ho bisogno delle tue capacità: perlustra gli Ered Mithrin
senza
farti scoprire. Intendo conoscere questo luogo, se non avrò
occasione di farlo personalmente.»
«Certo,
come vuoi.»
«E...
Ori?»
Il
giovane scrivano spostò timidamente lo sguardo sul volto del
suo
signore, col fiato sospeso.
«E'
tempo di rispolverare un po' di Khuzdul.»
La
giornata era trascorsa anche troppo in fretta. Dopo un primo momento
di sospetto e diffidenza i nani dei due regni si erano rimboccati le
maniche in vista di riparazioni di fortuna e forgiatura di armi;
certo, non parlavano granché limitandosi all'essenziale
– specie i
residenti, terribilmente guardinghi –, eppure era
già qualcosa.
Thorin si ritrovò a lavorare fianco a fianco col giovane
tirapiedi
della sovrana, laggiù nelle fucine; queste erano molto
diverse da
quelle di Erebor – più piccole e rozze, segnate
dal tempo
impietoso. Dimostravano chiaramente quanti secoli avevano passato,
quanti nani avevano lavorato nella fabbricazione di armi ed oggetti
comuni.
Quando
il Capitano – Hagar, Hanag o qualcosa del genere –
si era fermato
dicendogli che era quasi ora di pranzo si era limitato a scoccargli
una fredda occhiata, asserendo fosse il caso di rimanere a lavorare,
data la scarsità di tempo a disposizione. Il nano l'aveva
squadrato
con un'occhiata stranita chiedendosi forse se stesse scherzando, ma
lo escluse e sentenziò che, dunque, avrebbe dovuto
informarne la sua
signora perché – certamente
– li stava attendendo. Lui aveva scrollato le spalle ed aveva
continuato il suo lavoro insufflando aria col mantice finché
non era
scesa proprio lei. Era
stata coraggiosa, dovette ammetterlo, e quasi lo divertì il
lieve
battibecco con cui annunciò la sua aggraziata presenza.
Ascoltò
le sue rimostranze, dato che “Siete un
re e mio ospite,
non mi sarei aspettata lavoraste con gli altri.”
“Avrete pur
bisogno di mangiare qualcosa o vi nutrirete di aria?”
Quando
le fece notare – gentilmente, sia chiaro. Solo un po' seccato
–
che l'aiuto di un paio di braccia in più poteva creare la
differenza
ed accorciare i tempi così da risultare leggermente
più preparati
ad ogni eventualità, allora tacque. Si limitò a
guardarlo mentre ci
pensava, convenendo avesse ragione. Così lo
lasciò tornare al suo
lavoro, dicendogli – meglio, ordinandogli
– di fermarsi almeno quando un servo gli avesse portato il
pasto;
e, ultima non meno importante faccenda, la sera avrebbe presenziato a
cena.
Poté
anche concederglielo, assicurandole una perfetta puntualità.
Dovette
ricredersi quando capì di essersi perso.
Gli
altri avevano terminato poco prima ma lui aveva perso la concezione
del tempo come ogni qual volta si ritrovava a lavorare; tutto
svaniva, rimanevano lui e gli attrezzi, suoi fedeli compagni. Si era
estraniato e, per sua immensa sfortuna, avrebbe dovuto prestare
più
attenzione per scorgere quale cunicolo avessero imboccato gli altri
nani.
Illuminava
il cammino con la lanterna come unica fonte di luce, gettando uno
sguardo di pura sufficienza alle ombre danzanti e minacciose.
Sembrava volessero prenderlo per portarlo con loro nella
profondità
della montagna, come carcerieri desiderosi di occuparsi del
più
infimo dei prigionieri; lui glielo avrebbe concesso volentieri, se
non fosse stato così impegnato ad imprecare e
contemporaneamente
tentare di ricordare la strada. Si fermò, stizzito,
stringendo con
spasmi rabbiosi il manico della lanterna; annusò l'aria alla
ricerca
di un sentore di frescura, ma l'umidità laggiù
spadroneggiava al
pari del peggiore dei tiranni facendogli capire di stare inoltrandosi
piuttosto che star risalendo. Stavolta l'imprecazione si
sparpagliò
lungo i corridoi e le sale buie, accompagnandolo finché non
si
spense.
Forse
sarebbe dovuto rimanere alle forge, così che gli altri
avessero
potuto trovarlo; ma lui, cocciuto, aveva erroneamente fatto
affidamento al suo senso d'orientamento dimenticando di perdersi con
estrema facilità . Dopotutto, un paio di anni prima aveva
trovato
Casa Baggins dopo due tentativi andati a vuoto!
Anche
tornare indietro era fuori discussione, poiché aveva
svoltato così
tante volte da confondersi. Stava decisamente invecchiando.
D'improvviso
notò la sagoma di un gigantesco arco di pietra proprio
davanti a lui
e si avvicinò, pensando d'essere giunto in un luogo
quantomeno
familiare, anche se di una tale struttura avrebbe avuto memoria.
L'aria divenne quasi più pulita e numerosi spifferi
arrivarono a
scompigliargli alcuni capelli scuri.
I
pilastri a sostegno dell'arco erano in realtà due
gigantesche
sculture di nani – talmente grossi che per circondarli
sarebbero
servite quindici persone, se non una ventina –. Quello di
sinistra
era raffigurato in ginocchio, col volto affaticato coperto dalla
lunga barba come se dovesse reggere il peso anche dell'altro, posto
in piedi. Dalla corona di quest'ultimo – come una sorta di
capitello – partiva l'arco rialzato, su cui campeggiavano
spesse
rune incise.
Erano
invocazioni a Mahal, constatò senza particolare entusiasmo,
poiché
non era raro trovare edifici con quelle preghiere; in questo caso si
chiedeva di proteggere l'integrità dei sovrani che si
sarebbero
succeduti nel tempo e di preservare quel luogo sacro in cui la
storia era rappresentata.
Stese
il braccio e puntò la lanterna in alto cosicché
illuminasse un poco
di più l'ambiente circostante, senza successo. Era troppo
vasto e
quella insufficiente. Cauto, decise comunque di inoltrarsi e
curiosare, perché era cresciuto in lui un senso di
aspettativa in
ciò che si trovava al di là. Dopo pochi passi si
accorse, ad
esempio, che il suolo era mosaicato e riconobbe con stupore il nome
di un villaggio nelle vicinanze degli Ered Luin.
«La
mappa della Terra di Mezzo» si ritrovò a
bisbigliare, sgranando gli
occhi.
Continuò
ad avanzare e ammirare il pavimento ricco di dettagli e luoghi
–
alcuni non esistevano più o avevano mutato nome –
quand'ecco
mostrarglisi l'imponente sagoma di un'altra colonna. Possibile fosse
già finita? Cercò di illuminare meglio che
poté per capire se ci
fosse una porta o un passaggio che l'avrebbero condotto fuori, invece
illuminò il nulla. Il buio assoluto lo inghiottiva. Decise
comunque
di avanzare fermandosi quasi subito quando scorse il fregio istoriato
sulla lunghezza dell'intera colonna; ne seguiva l'andamento tortile e
gli parve di riconoscere alcune scene di battaglia e, più
giù –
appena sopra la base –, si celebrava una vittoria. Si
inginocchiò
illuminando quel particolare e sfiorando le forme ruvide, appena
abbozzate, in bassissimo rilievo; la maggior parte erano rovinate,
presumibilmente dal tempo, quindi ne dedusse dovessero essere molto
antiche.
Quali
altre opere si celavano lì dentro?, si
chiese. Una parte di lui gli rammentava di tornare indietro, o
perlomeno tentare, piuttosto di rimanere imbambolato ad ammirare
quell'insolito tesoro; dall'altra, bé, la
curiosità premeva per
essere assecondata.
Solo
qualche altro passo, poi basta.
Nora
odiava immensamente camminare laggiù. Era semplicemente
inaudito, lo
sapeva bene: un nano che aveva timore di scendere sottoterra?
Praticamente un affronto.
Eppure
era angoscia quella
che l'attanagliava il cuore, che la sospingeva a ribellarsi e
ripercorrere la strada per tornare ai suoi alloggi. Si sarebbe
rintanata in camera fino al suono della lugubre campana della cena e
poi sarebbe uscita come se nulla fosse successo. Si torturò
le
labbra mordendole con foga mentre si voltava per scoprire se qualcuno
la stesse seguendo, ma il buio non le permetteva di scorgere
alcunché. Inspirò per darsi coraggio e
ripuntò la lanterna avanti,
tremando perché l'umidità aveva raggiunto le
ossa. Il cigolio
prodotto fu l'unico suono tanto forte da spezzare il silenzio, tanto
forte da fermarla – ancora –, da farle riguardare
il percorso
appena compiuto – di nuovo.
Calmati,
non essere sciocca, ripeté
mentalmente, è il tuo regno. Lo
conosci come il tuo corpo.
Poteva
asserire di conoscere altrettanto bene i suoi
abitanti?
Se qualcuno si fosse rintanato in un anfratto buio – e ve
n'erano a
bizzeffe – con l'intento di aspettarla per ribellarsi e
mettere a
frutto il piano di detronizzarla?
Non
oserebbero. Non ora, così vicini alla guerra.
Ad
alcuni non importerebbe.
Le
ombre parevano più minacciose, lunghe, dagli artigli ricurvi
come
quelli di un rapace, sguainavano asce, spade, pugnali affilati.
Respira.
Andrà tutto bene, nessuno ti ucciderà oggi.
Sei
sicura?
Udiva
sghignazzare, sibilare la vittoria, il suo nome sputato con astio
privato della musicalità e del significato.
Sì!
Riprese
il cammino, gli occhi fissi sul passaggio ancora da percorrere, piena
di pensieri fino a quando non scorse il gigantesco arco del tempio.
Gli antenati la scrutavano coi loro occhi scavati e privi di pupilla,
sembravano porle quella difficile domanda: “Cosa
ci fai
tu, qui? Non è il tuo posto.” “Chi sei
per entrare?” e
anche lei, muta e ferma come loro, se lo chiedeva. Non aveva ancora
adempiuto il suo principale dovere, ed era reggente da un anno e
mezzo; eppure, ogni qual volta giungeva lì riuscendo perfino
ad
entrare il coraggio vacillava, l'infelicità e
l'incapacità la
racchiudevano. E dunque tornava indietro, sconfitta e amareggiata
nell'orgoglio, sentendo sulla schiena gli sguardi severi e ammonitori
dei sovrani che, ancora una volta, aveva disonorato.
Come
poteva dichiararsi sovrana se non riusciva nemmeno ad assolvere quel
compito, gravoso per lei?
D'improvviso
scorse un bagliore di fiamma, come un aranciato fuoco fatuo, e si
spaventò. Sentì il cuore battere all'impazzata e
le mancò il
respiro pensando fossero gli antenati risaliti dalle Aule di Mandos
solo per punirla e maledirla fino alla fine dei suoi giorni. Provava
un freddo innaturale, certamente era impallidita, lo percepiva;
avrebbe voluto scappare o inginocchiarsi e supplicare di
risparmiarla, di concederle altro tempo. Promise silenziosamente alla
luce sempre più vicina che avrebbe svolto presto il suo
dovere, che
mai nessun'altra paura avrebbe intaccato la sua persona. E quando
comprese che nessuno spirito l'avrebbe condannata ma che invece
mostrava fattezze naniche allora, solo allora, si rilassò
visibilmente; persino quando riconobbe la figura di Scudodiquercia
provò un inaspettato sollievo sfociante quasi in gioia,
nonostante
sapesse bene di doverlo redarguire.
Lui
non impiegò molto tempo a riconoscerla ed entrambi si
studiarono
attentamente, ad alcuni passi di distanza; i volti mostrarono un
insieme di sentimenti turbinanti che mai avevano provato e mai si
sarebbero ripresentati. Su tutti trasparì del
conforto, il
sapere di non essere soli
in quell'immensa oscurità desolante e fredda.
Ma
anche quel momento statico, sospeso – per quanto potesse
essere un
balsamo per le loro anime perdute – finì.
Toccò
proprio a Nora l'onere di tornare alla realtà, e di
riportarci anche
l'ospite sgradito «Cosa ci fate voi qui?»
Parlò
con timbro talmente flebile che se lui fosse stato anche solo due
passi indietro avrebbe faticato ad udirla; per un attimo
pensò di
raccontarle la verità, però si ravvide in tempo.
«Passeggiavo.»
«Non
dovevate avvicinarvi» disse seria, scoccandogli un'occhiata
di
fuoco.
Grazie
alla luce delle due lanterne Thorin vide gli occhi nocciola brillare,
le ombre e le luci impegnate in una danza al loro interno. Per
qualche secondo si perse ad ammirarli, tralasciando il tono pregno di
rimprovero con cui gli si era rivolta, come se dovesse sgridare un
bambino a cui era stato proibito qualcosa.
Fu
questo, probabilmente, a farlo rinsavire e sbottare «Nessuno
me lo
aveva detto. E le rune non specificano sia vietato visitare questo
luogo, qualunque sia.»
Nora
abbassò appena gli occhi. Era vero, né lei
né altri l'avevano
menzionato perché, sinceramente, non si aspettavano
riuscissero a
trovarlo. Quella gigantesca sala era per gli abitanti ancor
più
preziosa di qualsivoglia Stanza del Tesoro.
«Perché
nascondere una tale bellezza?» si ritrovò a
chiedere il nano, suo
malgrado. Ricordava piuttosto bene il pavimento e le colonne
scoperte, e non si capacitava dell'oscurità che, a suo
parere,
doveva essere bandita.
«Non
lo nascondiamo. Chiunque sa del tempio, ma non ci entra.»
«E'
un luogo sacro?»
Lei
annuì, umettandosi appena le labbra «Talmente
antico da esserlo. I
re vi dimorano, e noi cerchiamo di disturbarli il meno
possibile.»
«Si
tratta di un cimitero? Non ho visto sarcofagi» chiese,
aggrottando
le sopracciglia.
«Il
Tempio dei Re non è
un cimitero, poiché là tutto finisce. Qui invece
inizia e si
perpetua» notò la confusione sul volto del nano di
Erebor e,
dilaniata internamente, decise di affidarsi all'istinto riguardo la
mossa successiva.
Lo
superò, muovendosi verso destra finché non
incontrò il grosso
braciere sospeso, attaccato al soffitto tramite una spessa catena
d'acciaio. Lanciò la lanterna, il vetro infranto come suono
solitario ad accompagnarli, e l'attimo successivo una potente fiamma
arse seguita da molte altre, altri bracieri collegati al primo
mediante uno stretto passaggio percorrente il muro.
Ben
presto l'intero tempio scacciò le ombre per far posto alla
luce
calda e avvolgente che delineò il vasto perimetro in
un'immagine
difficile da dimenticare, per Thorin. Credeva d'aver visto
praticamente tutto nella sua lunga vita, ma dovette ricredersi. La
meraviglia di quel luogo ora illuminato lo lasciava senza fiato
perché ora poteva ammirarlo in tutta la sua interezza e con
i dovuti
criteri; la colonna che prima l'aveva convinto della fine della
stanza in realtà era una fra le tante che si intervallavano
a
distanza di svariati metri fino al termine del tempio. Ciascuna era
riccamente adornata di fregi e diversa dalla precedente e dalla
successiva: vi erano quelle a spirale, quelle lisce, quelle scanalate
e altre a cui non avrebbe saputo dare una descrizione, una gerarchia.
Sapeva soltanto ch'erano molte, e dividevano lo spazio in tre larghe
navate totalmente decorate. Le volte a botte del soffitto parevano
abbassarsi minacciose, fortunatamente sostenute. Ma più di
ogni
altra cosa furono le nicchie a colpirlo; spezzavano la
staticità del
muro e dei rilievi in esso raffigurati ospitando una statua diversa.
Le più lontane non erano nemmeno riconoscibili.
Capì
d'essere rimasto con le labbra leggermente socchiuse quando si
ricordò di respirare; lanciò un'occhiata al volto
di Nora –
poteva leggerle compiacimento e orgoglio nel bagliore degli occhi
pesantemente truccati – e si avvicinò.
«Questa
è la storia del mio popolo dagli albori, mio signore. Da
quando
Mahal decise di crearci in nome di Eru e ordinò ai suoi
figli di
abitare gli Ered Mithrin.»
Si
girarono verso l'arco a tutto sesto e Nora continuò
«Il nano
inginocchiato è Bagnar il Costruttore
che, per primo, decise di ideare e creare il tempio. Secondo la
leggenda impiegò trent'anni per costruirlo e morì
prima di vederlo
compiuto. Gli succedette il figlio, Kagnus il
Paziente.
Il piccone che tiene in mano diede l'ultimo colpo alla pietra
finale.»
Cambia
atteggiamento quando parla di queste cose, si
ritrovò a pensare Thorin. In effetti, Nora aveva abbandonato
il
cipiglio serio e gravoso per uno appassionato, e le parole trovavano
facile accesso in lei poiché partivano dal cuore; non le era
mai
capitato di spiegare a qualcuno il significato del tempio e delle sue
statue intimidatorie, però le risultò
estremamente facile: doveva
soltanto lasciarsi trasportare dall'amore per la storia e per l'arte,
di cui erano da sempre stati padroni.
Nessuno
parlò finché non raggiunsero la prima nicchia,
dalla quale
partivano dei bassorilievi – grandi quasi ad altezza naturale
–
fino alla successiva, dove si fermavano e ne cominciavano altri.
Thorin
si avvicinò a li osservò «Sono scene di
vita quotidiana.»
«Ogni
lastra rappresenta un momento importante della vita dei re. La
costruzione di nuove ali del palazzo, l'ideazione delle serre, scambi
commerciali con altri popoli, la venuta dei grandi Draghi del Nord e
la conseguente distruzione delle vallate seguita dalla cacciata dei
miei avi» strinse le labbra, conducendolo in
profondità.
I
pannelli tra le nicchie mutarono notevolmente in base
all'abilità
del realizzatore; da bassorilievi divennero alti, altissimi rilievi
in cui alcune parti delle figure – ora elaborate finemente,
talmente lisce da essere lucide – sporgevano completamente,
emergendo dalla linea del piano di fondo in movimenti in alcuni casi
concitati. Il periodo di maggior importanza degli Ered Mithrin era
attestato dall'inserimento di inserti d'oro o di ferro nel caso di
armi, oppure legno, argilla, osso, avorio nei primi fregi.
Ad
un certo punto il nano si bloccò, costringendo anche la
giovane
accompagnatrice ad arrestarsi e puntare gli occhi verso l'alto; sul
muro rovinato campeggiavano segni di lunghi e larghi artigli. Non gli
fu difficile intuire il colpevole di tale crudeltà.
«Draghi»
spiegò Nora, con una voce stranamente tranquilla «Per
fortuna non danneggiarono altro quaggiù, al contrario
dell'intero
regno. Come potete vedere sono presenti solo questi graffi. I Valar
protessero il nostro tesoro più prezioso» gli
lanciò un'occhiata
sfuggente che lui non notò, troppo occupato a maledire
quell'immonda
razza di bestie perché avevano causato tanto dolore e
scempio
«Sembra così irreale, eppure calcarono gli stessi
ambienti che vedo
ogni giorno, che conosco da quando ho memoria.»
«Ne
parlate quasi con ammirazione» disse, secco «Vi
ricordo che
uccisero molti vostri compaesani.»
«Questo
lo so benissimo, ma è innegabile provare una sorta di
timore...
reverenziale. So che non siete d'accordo» ribatté,
quando udì lo
sbuffo contrariato di Thorin «e pensate pure ciò
che volete. Ma
questi giganteschi e astuti
animali
vissero qui per un
periodo e–»
«Se
eravate così tanto curiosa di vederne uno potevate recarvi a
Erebor;
fino all'anno scorso il mio regno era l'abitazione di un
drago.»
Il
silenzio calò come una pesante cappa, solo il crepitio dei
fuochi
scandiva i secondi interminabili in cui Nora contenne a malapena una
rabbia inaudita. La tranquillità si frantumò di
fronte alla frase
sarcastica e la giovane si pentì d'avergli dato confidenza,
di
avergli mostrato il cuore delle Montagne Grigie. Il desiderio di
rispondergli sgarbatamente e lasciarlo marcire in uno dei contorti
corridoi prese il sopravvento.
«Il
vostro regno ha già causato abbastanza sofferenza al
mio» si
ritrovò a sibilare, mordendosi subito le labbra.
Thorin
assottigliò gli occhi mentre faville bruciavano negli occhi
blu;
avanzò qualche ipotesi puramente campata in aria, forse
arrivando
nelle vicinanze della verità che giusto il giorno prima
aveva
promesso di scoprire. Ora non ne era tanto certo dato che, molto
probabilmente, l'addentrarsi in questo campo li avrebbe portati al
punto di rottura.
«E'
molto lontana la fine di questo tempio?»
Nora
sbatté le palpebre all'udire il cuore riprendere a battere
normalmente; aveva galoppato talmente rapido da schizzarle via dal
petto. Accolse con gratitudine quel cambio d'argomento anche se non
lo dimostrò, scuotendo appena la testa bruna.
«Qui
è dove riposa l'ultimo antenato e là, addossato
alla parete di est,
si trova l'altare.»
Da
una tasca nascosta nella gonna nera prese un rametto di lavanda; il
profumo aleggiò brevemente nell'aria, e Thorin
ritornò con la
memoria a vasti campi violacei ai piedi delle Montagne Azzurre,
quando il suo popolo era esiliato e distrutto nell'orgoglio.
Ricordò
lunghe passeggiate in mezzo ai fiori, inebriato e stordito da quella
dolcezza che era riuscita ad accantonare per poco la rabbia e il
desiderio di rivalsa. Rivide i bambini rincorrersi e ridere coi
capelli scompigliati dal vento per poi raccogliere mazzolini da
portare alle madri; udì la voce di Dìs mentre
richiamava Fili e
Kili perché rincasassero e loro la pregavano di aspettare
ancora un
poco “finché il sole non fosse caduto del
tutto”.
Anche
Nora era persa nei suoi pensieri; aveva bruciato il rametto e l'aveva
posato ai piedi della scultura di gesso talmente ben levigata nei
punti lisci e sbozzata nelle vesti da risultare quasi reale e
palpabile, da non rendersi conto delle lacrime pronte a scendere
sulle guance. Chiese molte cose a suo nonno, quel nano burbero che
aveva avuto la fortuna di conoscere e capire, dei cui racconti si
beava prima d'andare a letto e delle scene ricreate con i fratelli
quando decidevano di giocare insieme – quelle rare eppure
indimenticabili volte.
A
lui domandò consiglio nei riguardi del regno ma soprattutto
degli
stranieri, così diversi nonostante
l'appartenenza alla medesima razza. Lo guardò negli occhi
alla
ricerca di un segno, ma il volto spigoloso dai tratti severi e
marcati rimase immobile, tristemente muto. Sospirante, chinò
il capo
in segno di rispetto e portò le dita a sfiorare le palpebre
abbassate per poi fletterle in avanti; solo allora rialzò la
testa e
incrociò lo sguardo curioso di Thorin.
«Che
significa quel gesto?»
«E'
un saluto. Vuol dire che vedo nel tuo cuore, nella tua anima, e tu
puoi fare altrettanto se mosso da buone intenzioni.»
«Trovo
sia molto appropriato» disse, cercando di capire se fosse
l'aggettivo corretto «Se ogni sovrano ha scolpito ci saranno
sicuramente anche delle vostre opere.»
Il
silenzio aleggiò a lungo, o così parve a Thorin.
La
giovane regina era impallidita e puntava lo sguardo ovunque tranne
che sul suo viso; strinse le labbra e le umettò prima di
rispondere
con un esile «Non ancora.»
Le
sembrò piena di vergogna e, per un momento, volle quasi
rassicurarla. Ma l'attimo successivo, quando piantò gli
occhi
nocciola sui suoi, non scorse traccia di negatività; era
tornata la
donna imperscrutabile ostentata con tanto impegno, come fosse una
maschera protettiva contro il resto del mondo. Doveva aver lottato a
lungo per mantenersi sul trono e forse ancora adesso non era
pienamente accettata dai sudditi.
Così
giovane ma così provata, pensava
il nano. Non provava pena – era sicuro che Nora l'avrebbe
aborrita
– eppure gli si strinse il cuore.
Lentamente,
senza alcuna fretta, lasciarono il tempio e i re alle loro spalle
perché, come gli confidò, non era bene attardarsi
a lungo per
non disturbare il loro riposo.
Non ci furono parole, nemmeno quando la regina riaccese l'unica
lanterna rimasta e gliela porse; solo quando oltrepassarono l'arco
dei costruttori – la sala alle loro spalle ancora illuminata
–
venne formulata un'altra domanda.
«Prima
avete detto che i re vivono nel
tempio. Esattamente che intendevate dire?»
«Voi
cosa avete intuito?» gli rispose invece, curiosa di udire la
sua
risposta.
«Parlavate
dei loro spiriti.»
«Non
solo. I re vivono davvero
laggiù. O meglio, i loro corpi.»
Thorin
ancora non capiva.
«Le
sculture furono realizzate col gesso fuso sui loro sudari.»
Il
volto del nano esplorò una vasta gamma di emozioni, su tutti
lo
sbigottimento «Sono all'interno?»
«È
tradizione per i re adornare il Tempio con il proprio corpo divenuto
statua. Non ci sono tumuli per loro, al contrario degli altri
abitanti. Da voi non è usanza?»
«No.
Ognuno ha il suo sarcofago in una grande cripta nel cuore della
montagna.»
Nora
annuì, assimilando l'ennesima diversità.
Svoltarono in un corridoio
mai calcato prima e Thorin pensò fosse una scorciatoia;
d'improvviso
sentiva il bisogno di risalire e tornare nelle stanze assegnategli
poiché non avrebbe retto ad altre scioccanti rivelazioni su
cadaveri
e sculture.
«L'ultima
statua... era vostro marito?»
Nora
si fermò di colpo, gli occhi sgranati «No. No, non
sono sposata.»
Per
l'ennesima volta le sopracciglia si aggrottarono
«Perdonatemi, devo
aver frainteso. È che la vostra pettinatura lascia intendere
siate
vedova»
Stavolta
fu il turno della ragazza di mostrarsi perplessa «Non
capisco.»
«La
nostra tradizione spiega che una nana è vedova se porta i
capelli
raccolti sulla nuca, come i vostri.»
«Per
noi è una questione di rango, anche se la leggenda non
è dello
stesso parere. Maggiori sono le trecce maggiore è la tua
importanza;
le serve solitamente ne portano una arrotolata, anche perché
non
posseggono abbastanza fermargli ed hanno poco tempo per acconciarli
come si conviene. In ogni caso non c'entrano... con il
matrimonio»
terminò in un sussurro, le guance rosate; se per
indignazione o
pudicizia non avrebbe saputo dire.
Thorin
non poté impedire alle labbra di piegarsi leggermente verso
l'alto
in una specie di sorriso, anche quando notò un grande arazzo
sulla
parete sinistra; lo catturò il colore rosso scuro, sbiadito
così
come le rune nere e dorate tra le quali spiccava il nome di Nora alla
sua fine.
«Il
vostro albero genealogico?»
Quando
la vide annuire si avvicinò per studiarlo meglio, stupendosi
sempre
più delle sue azioni; in quella mezza giornata si era
lasciato
incantare dalle decorazioni del palazzo, vedendolo sotto una luce
diversa. Ancora non capiva quel popolo, né le sue tradizioni
o
credenze, ma era indubbio ne apprezzasse l'arte, come in quel
particolare caso: l'arazzo non era nulla di sfarzoso o complicato
–
solo nomi e linee arzigogolate che li univano –
però gli parve
estremamente bello e particolare.
«Avete
preso il posto di vostro padre?»
Per
la seconda volta la rabbia schiumò ad una
velocità impressionante
«Siete molto curioso.»
«Voi
non lo siete nei miei confronti?»
«No»
rispose furiosa, muovendo alcuni passi nella speranza che la seguisse
e la smettesse d'impicciarsi di affari che non lo
riguardavano. Né adesso né mai.
A
quel punto fu impossibile anche per lui mantenere la pazienza imposta
«Quale azione ho compiuto per meritare un simile
disprezzo?»
Ecco,
era giunto il momento tanto atteso. Ogni minuto della precedente
stramba e inaspettatamente calma conversazione era stato un
accumularsi di minuti in preparazione a quella determinata
conversazione.
«Davvero
non lo capite?»
«No.»
La
regina trattenne a stento un fiume di parole in Khuzdul «Una
certa
battaglia non vi dice nulla?»
Thorin
schiuse la bocca mentre i pezzi iniziavano a combaciare uno per volta
anche se alcuni punti erano ancora oscuri; ad esempio, come era stato
possibile se solo Dain e i suoi soldati erano arrivati in loro
soccorso? Il cugino non aveva mai menzionato l'aiuto dei nani degli
Ered Mithrin dopo la Battaglia. Bé, nemmeno i reciproci
contatti
durante gli anni precedenti.
«Vostro
padre ha combattuto.»
Non
una domanda, ma una semplice e concisa constatazione alla quale Nora
non riuscì a rispondere a causa del groppo formatosi in gola
e
talmente stretto da risultare doloroso. Ebbe appena la forza di
chiudere gli occhi mentre una miriade di ricordi sgomitavano per
mostrarsi e, quando li riaprì, deglutì per
ritrovare una parvenza
d'umanità.
«Sarebbe
reggente, ora, così come mio fratello sarebbe il suo
erede.»
Tutti
abbiamo perso qualcuno quel dannato giorno.
Glielo
disse, ma la risposta tagliente gli penetrò il cuore
colpendolo con
una punta affilata e invisibile.
«Non
sarebbe successo se non fosse stato per causa vostra.»
A
questo, Thorin davvero non
seppe come replicare.
Quando
Nora chiuse la porta degli appartamenti alle spalle emise un sospiro
talmente straziante da sembrare un singhiozzo. L'altra nana presente
nella stanza le si avvicinò preoccupata, allungando una mano
nella
direzione di Nora, che l'afferrò senza indugiare e strinse
cercando
di calmarsi, cercando di sbattere velocemente le palpebre per
ricacciare le lacrime.
«Per
favore, almeno tu dimmi che faccio bene a comportarmi così
con gli
estranei. Per favore» pregò di nuovo la reggente,
stravolta.
Ancora
ricordava il precedente dialogo con Scudodiquercia, e più ci
ripensava più concordava col fatto che sfiorasse l'assurdo;
non solo
l'aveva condotto alla scoperta di un luogo normalmente precluso
persino agli abitanti, troppo spaventati per scendere ad onorare gli
antichi sovrani, ma aveva lasciato che la rabbia le afferrasse il
cuore rivelando più di quel che avrebbe dovuto.
Dèi, aveva persino
parlato del padre e del fratello!
Chiuse
gli occhi e gemette, sconsolata come mai in vita sua. L'altra nana la
condusse verso una sedia e le porse un corno di legno perché
si
dissetasse e calmasse con un po' d'acqua.
«Cosa
è capitato, Nora?»
«I
bambini dove sono?»
«Non
temere per loro» la rassicurò con un sorriso «Sono
con
Garan a studiare i primi re.»
La
regina bevve lentamente e appoggiò il corno in grembo,
seguendo le
linee che lo adornavano sia con gli occhi sia con l'indice, decidendo
in parte di mentirle perché non sapeva come avrebbe potuto
reagire
se le avesse raccontato del tempio.
«Non
potrò sopportare Scudodiquercia ancora a lungo. Ha chiesto
come sono
diventata regina, ha menzionato papà.»
«Ha
visto l'arazzo?»
«Sì.
Probabilmente si era perso perché fino al tardo pomeriggio
era alle
fucine. Deve averlo trovato per caso.»
«Capisco.
Cosa gli hai risposto?»
Le
raccontò in breve lo scambio di battute e attese in silenzio
una
replica, ma l'altra taceva «Maera, cosa devo
fare?»
«Buon
viso a cattivo gioco, sorellina.»
«E'
un assassino.»
«Lo
so» concordò Maera, stringendole una mano «ma
abbiamo
bisogno di lui. Sopportalo fino allo scontro.»
«Se
ci sarà» studiò quel volto simile al
suo anche se tra loro
intercorrevano sei anni e si sentì rigenerata nel notare un
luccichio rabbioso; anche lei non aveva ancora dimenticato i
famigliari e il periodo buio che ancora adesso le perseguitava ma, al
contrario di Nora, non era sola ad affrontarlo perché si era
creata
una nuova famiglia.
A
stento riuscì a sorriderle, riuscì a sentirsi
più leggera non
appena si tolse la corona dal capo e la poggiò sul tavolino
alla sua
sinistra.
«Ti
senti meglio?»
Nora
annuì e chiuse gli occhi quando Maera le baciò
una guancia «Credi
deciderà d'andarsene?» chiese in un soffio,
timorosa anche solo di
dirlo per paura di concretizzare il pensiero. Sarebbe scoppiato il
finimondo in quel caso.
«Non
pensare a lui ora. Cerca di concentrarti sui lavori e su te stessa;
non hai una bella cera.»
«Sono
stati giorni impegnativi, e le notti non sono state da meno. Ma hai
ragione, devo occuparmi delle difese.»
«A
quelle possono sempre pensarci i consiglieri, lo sai.»
«Preferisco
partecipare.»
«Lo
so» ribatté la maggiore senza dar peso al tono
improvvisamente
secco quando accennavano ai nani; e come biasimarla?
D'un
tratto le porte si aprirono rivelando la presenza di Doiran; non
appena si accorse della sua regina chinò il capo e
mostrò un
accenno di sorriso al di sotto dei baffi castani
«Maestà. Non
credevo di trovarti qui.»
«Non
è raro trovarmi in compagnia di tua moglie, vista la
parentela»
rispose sarcastica.
Si
alzò e guardò il figlio di Fanus raggiungere
Maera e donarle un
bacio a fior di labbra per poi servirsi con un boccale di birra.
Infine si sedette e la guardò, ragguagliandola sugli ultimi
sviluppi.
«Grazie
ai nani di Erebor la manodopera non ci manca, anche se stiamo
procedendo come se avessimo i mannari alle calcagna! Non dico sia un
male» si affrettò ad aggiungere, notando le
sopracciglia di Nora
scattare verso l'alto in un muto rimprovero «Finiremo
certamente
prima.»
«Hai
coordinato i lavori?»
«Certo,
mia cara» trangugiò un sorso di birra e si
pulì la bocca con il
dorso della mano «e ho conosciuto meglio i nuovi venuti.
Trovo siano
nani molto capaci, non è così Nora?»
L'interpellata
strinse di più le braccia al petto e cercò di
capire quali pensieri
si nascondessero dietro gli occhi scuri del cognato, troppo stanca
per riuscirci.
«Non
l'ho mai dubitato, Doiran. Dopotutto sono figli di Durin. Se volete
scusarmi, ora vi lascio; domani mattina dovrò alzarmi presto
per
parlare con Hagan del lavoro alla forge.»
«Parla
anche con mio padre» la fermò il nano, posando una
mano sulla
spalla destra di Maera come a volerla proteggere – da chi,
poi?
Nora provò quasi disgusto – e le sorrise di nuovo,
di un sorriso
sinistro e sbilenco, o così le sembrò
«Si trova a capo della
ristrutturazione di una delle porte segrete.»
Sulle
labbra le si dipinse un falso sorriso cordiale che non raggiunse gli
occhi «Non temere, so perfettamente quali sono i miei
compiti. Sono
pur sempre la regina.»
L'aria
divenne pesante, l'improvvisa voglia di uscire più forte;
recuperò
la corona e si avviò sicura verso la porta, aprendola. Prima
di
uscire del tutto si girò verso la sorella
«Salutami i bambini e dì
loro che in tarda mattinata mi raggiungano nello studio.»
«Certo.
Buonanotte Nora, vedi di dormire questa notte.»
«Buona
notte mia regina» aggiunse Doiran, inchinandosi
profondamente.
Nora
annuì appena e chiuse la porta, tornando a respirare. Di una
cosa
era assolutamente certa in quel momento: sarebbe stato difficile
dormire con tutti quei pensieri.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buona
Pasquetta a tutti voi e Buona Pasqua in ritardo! Ebbene sì,
non
posso crederci di essere tornata a pubblicare! Sembra che
l'ispirazione – almeno per questo capitolo – sia
tornata; scusate
se è lungo, ma volevo concedere un po' di spazio al
confronto tra
Nora e Thorin e volevo introdurre altri due personaggi: la madre e la
sorella della regina. Oltre ad uno scorcio su Gilla e Doiran.
Inoltre
come vedete non ho aspettato chissà quanti capitoli per
rivelarvi il
motivo della rabbia nei confronti di Thorin, e qui si spiega, anche
se non ho detto tutto ;).
Vorrei
ringraziare dal profondo del cuore tutte le ragazze che mi hanno
sostenuta, spronata, aiutata e che ho avuto la fortuna di conoscere
il mese scorso *.* <3 E' stato meraviglioso,
sapevatelo XD!
Alla
prossima, sperando di non metterci troppo tempo!
Intanto
mando un grossissimo bacione a tutte, vostra
Anna
|