Ladri
di nomi
La visita
di Dáin ad Ered Luin aveva fatto a Thorin un
immenso piacere. Negli ultimi anni, si erano tenuti in contatto
attraverso una serie di missive, ma vedersi di persona era tutta
un’altra cosa.
Thorin
aveva mostrato al cugino ed al suo seguito le sale delle
Montagne Azzurre, poi gli aveva presentato i propri nipoti.
Fíli
e Kíli erano parsi piuttosto incuriositi da
quello sconosciuto, e Dáin aveva proclamato di essere
onorato di fare la loro conoscenza. Quando poi aveva visto
Dís, l’aveva stretta in un abbraccio sfracellante,
lasciandola senza fiato ma con un sorriso sulle labbra.
«Eccola,
la mia cugina preferita!» aveva tuonato.
Il
momento dopo, le aveva già proposto una sfida. A quel che
pareva, il cinghiale che lui aveva cavalcato sino alle Montagne Azzurre
era considerato da tutti una bestia indomabile.
«Ha
disarcionato ogni Nano che abbia tentato di salirgli in
groppa… a parte me. Tu riusciresti a domarlo?»
Subito,
a Thorin non parve che quella proposta si addicesse a sua
sorella, sempre così composta e orgogliosa… Si
chiese quali ricordi Dáin serbasse di Dís. Forse,
rammentava la bambina ostinata che giocava col fango e non piangeva mai
quando si sbucciava le ginocchia.
Poi
Dís mise la mano in quella di Dáin,
replicando a testa alta: «Accetto la tua sfida, caro
cugino», e Thorin pensò che forse quella proposta
inusuale era proprio ciò di cui sua sorella aveva bisogno.
Da
quando suo marito era morto, non molto tempo prima, era venuta a
mancare una certa leggerezza nella sua vita.
Certo,
i suoi sorrisi non erano scomparsi – non avrebbero mai
potuto farlo, sinché Fíli e Kíli erano
in questo mondo – ma un’ombra di tristezza
aleggiava sempre su di lei.
Durante
la sfida di Dáin, però, mentre stringeva
le ginocchia sui fianchi di un cinghiale ribelle e si aggrappava al suo
pelo nero e ispido, sorrise quasi tutto il tempo.
Thorin
non le avrebbe staccato gli occhi di dosso neanche un istante,
non fosse stato per il fatto che doveva tenere a bada i propri nipoti,
gli unici spettatori all’infuori di lui e Dáin.
Fíli
non era un grosso problema, ma Kíli
continuava a cercare di sgusciare via. Thorin stette ben attento a
trattenerlo, sapendo che probabilmente il bambino – complici
un amore smisurato per gli animali ed un istinto di conservazione pari
a quello di una prugna con aspirazioni suicide – si sarebbe
lanciato ad abbracciare il cinghiale, e la cosa non sarebbe finita bene.
Per
quanto si trattasse di un cinghiale di piccola taglia, dal punto di
vista di un Nano non era poi così minuto… Senza
contare la sua indole tutt’altro che mansueta.
Poi
Dáin rise forte e proclamò Dís
vincitrice, e lei smontò e gli andò incontro, e
addirittura rise sommessamente – un risultato che, da quando
era vedova, solo Fíli e Kíli potevano vantare di
aver ottenuto.
Dáin
le strinse vigorosamente la mano destra, e si fece
improvvisamente serio. Con voce inusualmente sommessa, le porse le
proprie condoglianze. Le aveva già incluse in una lettera a
Thorin, per la verità, ma ci teneva a fargliele di persona.
Il
marito di Dís era stato un Nano dei Colli Ferrosi, prima
di conoscerla ed unirsi al popolo di Erebor.
Lei
ringraziò suo cugino, per poi dirigersi verso Thorin ed
i bambini. Kíli, improvvisamente dimentico del cinghiale, le
tese le braccia con fare smanioso, e lei lo prese su, domandando:
«Allora? Vi piace il cugino Dáin?»
«Ha
tanta barba» rispose Fíli, in tono
di apprezzamento.
In
effetti, il signore dei Colli Ferrosi aveva una barba lunga e folta
– rossiccia, ma striata di grigio e bianco. A Fíli
doveva sembrare ancora più maestosa in confronto agli esempi
che aveva davanti tutti i giorni.
Sia
Thorin che Dís, infatti, portavano la barba corta
– il primo in memoria delle vittime di Smaug, la seconda come
segno di lutto per suo marito.
«È
vero» sorrise Dís, mentre
Kíli le accarezzava la guancia con aria beata. «Da
grande potresti averla così lunga anche tu».
Fíli
s’illuminò a quell’idea,
e Thorin pensò che la visita di Dáin era davvero
una benedizione di Mahal.
E
poi, circa un giorno più tardi e senza un motivo
apparente, l’atteggiamento di Fíli verso il loro
ospite cambiò.
Solitamente,
Fíli era un amore di bambino, anche se non
distribuiva sorrisoni a tutti come faceva Kíli. Allo stesso
tempo, però, era dotato della spiazzante capacità
di guardare gli adulti dall’alto al basso… Ed era
proprio in quel modo che si era messo a fissare Dáin.
Un
paio di volte, a Thorin parve che suo cugino si contorcesse a
disagio sotto lo sguardo truce del bambino, e non poté
proprio biasimarlo.
Persino
Dwalin se ne accorse. «Cos’è
successo con Dáin?» chiese una sera.
«Fíli lo guarda come se lo avesse offeso a
morte».
Thorin
si limitò a portarsi alle labbra la propria pipa. Non
ne aveva idea… Supponeva semplicemente che i bambini
dell’età di Fíli fossero un
po’ volubili.
Quando
giunse la sera che precedeva la partenza dei Nani dei Colli
Ferrosi, fu organizzato un banchetto nella sala grande delle Montagne
Azzurre.
«Thorin,
hai visto Fíli?»
domandò Dís, mentre Kíli –
seduto sul pavimento – cercava di infilarsi le calze da solo
senza troppo successo.
Thorin
scosse la testa, accigliandosi e guardandosi attorno.
«Fíli!»
chiamò
Dís, dirigendosi verso la stanza dei bambini.
Kíli
si infilò una calza in bocca e sorrise a
Thorin, che in quel momento si accorse di avere una manica bucata.
Imprecando
sommessamente, si affrettò a tornare nella
propria stanza, aprì le ante del guardaroba… E
dentro vi trovò Fíli, seduto sul fondo
dell’armadio e seminascosto tra i suoi vestiti.
«Fíli?»
chiese, incredulo.
«Cosa ci fai qui? Dís ti sta cercando».
Il
bambino occhieggiò prudentemente la porta.
«Perché?»
«Dobbiamo
andare a cena» rispose Thorin, pensando
che questo l’avrebbe invogliato ad uscire dal proprio
nascondiglio. «Faremo un banchetto in onore di
Dáin».
Fíli
si corrucciò, ritraendosi appena tra gli
abiti di suo zio. «Non voglio venire».
Thorin
sbatté le palpebre. Non era da Fíli fare
simili capricci. «Dobbiamo salutare
Dáin» asserì. «Domani torna a casa
sua».
«Non
voglio salutarlo».
Thorin
sospirò. «D’accordo»
disse, spostando di lato un mantello per guardar meglio il bambino,
«perché non vuoi?»
Il
labbro di Fíli tremò. «È
stato cattivo».
«Cattivo?»
ripeté Thorin, senza riuscire
ad evitare di provare un certo allarme. Possibile che Dáin
avesse…? No, era assurdo. Non avrebbe mai alzato le mani su
un bambino, figurarsi se si trattava dell’erede al trono di
Erebor.
Le
parole successive di Fíli lo presero completamente in
contropiede.
«Ti
ha rubato il nome, zio!»
Thorin
impiegò cinque secondi buoni per reagire, e a quel
punto tutto ciò che riuscì ad emettere fu uno
stupido «eh?».
«Ti
ha rubato il nome per darlo a suo figlio»
insistette Fíli, e finalmente lui provò un
barlume di comprensione.
Il
figlio di Dáin – un bambino più
piccolo di Kíli – si chiamava Thorin a sua volta.
Ripensando
agli avvenimenti dei giorni precedenti, Thorin
realizzò che l’atteggiamento di Fíli
era cambiato proprio nel momento in cui gli era stato presentato il suo
cuginetto.
Ti ha rubato il nome per darlo a suo figlio.
Thorin
non poté farne a meno. Rise, e Fíli gli
rivolse un’occhiata a metà tra
l’oltraggio e la confusione.
«Oh,
Fíli» sospirò poi
Thorin, chinandosi per tirare suo nipote fuori dall’armadio e
sollevarlo tra le proprie braccia. «Ti sono grato per quanto
vuoi difendermi, ma non ce n’è bisogno,
davvero».
Nel
girarsi, vide Dís che lo fissava dalla soglia con aria
accigliata, e le fece segno di dargli un momento.
Sua
sorella annuì, scoccando uno sguardo intenso a lui e al
bambino prima di ritirarsi.
Fíli
non si accorse affatto di quello scambio silenzioso,
impegnato com’era a tirare una ciocca dei capelli scuri di
suo zio.
«Ti
mostro una cosa» gli disse Thorin.
Posò
suo nipote sul proprio letto, e Fíli rimase
in piedi sul materasso, quindi tornò al guardaroba e ne
tirò fuori un vecchio arazzo. Sulla stoffa blu chiaro si
inseguivano gli intrecci del loro albero genealogico, a partire dal
nome di Durin il Senzamorte.
Thorin
andò a distenderlo sul proprio letto –
Fíli piegò la testa con aria curiosa, poi si
sedette per vedere meglio.
Thorin
posò la mano accanto al proprio nome. «Sai
che cos’è questo?»
Fíli
parve pensarci su. «Il tuo nome?»
«Esatto»
annuì Thorin. «E sai
mio padre da dove lo ha preso?»
Il
bambino fece segno di no, e suo zio fece risalire la propria mano di
qualche generazione.
«Dal
nonno del nonno di suo nonno»
affermò. «Vedi? Eccolo. È lo stesso
nome».
Senza
staccare gli occhi dall’arazzo, Fíli si
mordicchiò il lato della mano destra.
«Ci
sono molti Nani, nella nostra famiglia» riprese
Thorin, sommessamente, «che hanno avuto nomi uguali.
Dáin si chiama come il nostro bisnonno, lo sapevi?
È un modo per onorare i nostri antenati, è un
segno di rispetto».
Fíli
tese una manina e lisciò l’arazzo
con aria concentrata. «Allora il cugino Dáin non
è stato cattivo» disse infine.
«Il
cugino Dáin non è stato
cattivo» confermò Thorin. «Credo si
meriti il tuo perdono… E anche un buon saluto».
Fíli
fece un sorriso luminoso. «Ci sono anche
degli altri Fíli e Kíli?» chiese poi,
interessato.
Thorin
iniziò a ripiegare l’arazzo.
«No» rispose, «non tra i nostri
antenati».
In
quel momento, Dís si affacciò alla porta
tenendo per mano Kíli. «Noi siamo
pronti» annunciò. «Andiamo?»
Thorin
non mancò di notare l’occhiata soddisfatta
che sua sorella gli rivolse, e non poté fare a meno di
chiedersi se lei avesse ascoltato parte della sua conversazione con
Fíli.
Mentre
uscivano – e Thorin era certo di aver visto
Fíli infilarsi in tasca una delle sue trottoline di legno
prima di unirsi alla madre e a Kíli –
Dís fece cenno alla manica del fratello. «Ha un
buco» gli fece notare, e per poco lui non imprecò
a voce alta.
Con
tutta la questione di Fíli, si era totalmente
dimenticato di essere entrato nella propria stanza con
l’intenzione di cambiarsi d’abito.
Fece
per tornare sui propri passi, ma Dís lo
fermò. «Siamo già in ritardo»
gli ricordò. Poi, lasciando un momento la mano di
Kíli, si girò verso di lui. «Su, fammi
vedere».
Thorin
obbedì, e in poco tempo lei gli sistemò la
manica in modo che il buco non si notasse, dunque si rimisero in
cammino.
La
sala principale era una stanza dal soffitto alto, occupata da un
lungo tavolo. Non veniva utilizzata spesso, dal momento che non avevano
a disposizione le ricchezze di Erebor, ma solo in occasione di
festività particolari o, come in questo caso, per un
banchetto in onore di un ospite importante.
Dáin
ed il suo seguito si trovavano già
lì, così come gran parte dei Nani di Erebor che
erano stati invitati a partecipare.
Fíli
diede un’occhiata di traverso al piccolo
Thorin III, che dormiva sonoramente tra le braccia di sua madre, quindi
marciò con decisione sino a Dáin.
Quest’ultimo
ne parve sorpreso, e si piegò in
avanti per ascoltare il bambino.
«Cugino
Dáin» annunciò
Fíli, con voce sicura, come se stesse riferendo una
realtà universale, «sei stato un bravo ospite. Sentiremo la tua mancanza
quando andrai via».
Quindi,
senza aspettare la risposta del Nano, tornò di corsa
da Dís.
Più
tardi, durante il banchetto, dopo aver rischiato di
rovesciare un boccale di birra in seguito ad un brindisi
particolarmente sentito, Dáin si rivolse a Thorin.
«Fíli è in gamba»
affermò, quasi urlando per sovrastare il chiacchiericcio.
«Posso scommettere, cugino, che sarà un grande
re».
Thorin gli fece un cenno col mento e si
girò un momento a
guardare Fíli, che stava staccando la carne di un cosciotto
dall’osso, per poi passarla a Kíli e osservarlo
mentre la divorava contentamente. Pensò al primogenito di
Dís che, qualche momento prima di sedersi a mangiare, donava
la propria trottola a Thorin III, e quasi sorrise.
Fíli
era alto pressappoco tre mele e uno sputo, ma sembrava
già avere più talento diplomatico di suo zio.
«Sì»
concordò Thorin,
tornando a guardare Dáin. «Lo credo
anch’io».
Note:
perché Dáin è fantastico e
Fíli è il leoncino del mio cuore.
Spero vi sia piaciuta!
(E sì, per qualche motivo mi piace pensare che il padre di Kíli e Fíli non fosse originario di Erebor :D)
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