PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 1
O
▬
“ Vite parallele
„
{ Now you’re adrift
in the sea of lies
A
foolish villain in an endless chapter
The
demons running behind your eyes
A simple
shadow
We can
fight together }
Unbroken –
Black Veil Brides
Tamburellavano
ritmicamente dando vita a una melodia scrosciante, ricca di
tonalità diverse a seconda di dove le gocce
d’acqua battevano con insistenza. Sulla sabbia
dell’arena, sul marmo che la circondava, sui vetri delle
finestre e sul metallo delle armature dei soldati rimessi in fila nello
spazio circolare, schiena dritta e braccia tese lungo i fianchi nel
silenzio forzato davanti allo sguardo esaminatore di Lady Sigyn. Erano
perle nere gli occhi neri della donna, il Capitano della squadra che
stava assemblando in quel momento, cercando tra le fila dei cadetti
coloro che fossero dotati della tempra adatta per essere suo sottoposto.
Le due settimane trascorse dal ritorno delle memorie, Sigyn le aveva
sfruttate per riconquistare la famigliarità
nell’arte del combattimento persa in quegli anni in cui, per
quanto non avesse scordato le fondamenta e mantenuto una forma di base,
non aveva sostenuto gli allenamenti quotidiani. Prima degli anni di
lontananza forzata, con Loki non aveva mai avuto troppe occasioni di
confrontarsi, tutt’altro, erano stati rari momenti rubati
alla notte e mai lasciati a sciogliersi sotto le onde del sole caldo di
Asgard. Al contrario, era stato il principe stesso in quei rinnovati
giorni di convivenza a occuparsi personalmente di farle da avversario,
soppiantando la prima fissa presenza di Lady Sif. E sotto gli sguardi
lievemente sbarrati e mascelle tirate per evitare di lasciar trapelare
lo stupore, si erano affrontati nel cuore dell’arena fino a
quando Loki non ebbe decretato che era pronta a riprendere le redini di
un proprio manipolo di uomini come in passato. Il Padre degli Dei aveva
concesso a Lady Sigyn di decidere in tutta autonomia le
modalità della selezione, così la donna aveva
optato per intessere una prova poco convenzionale – o almeno
lo era agli occhi degli spettatori appostati a osservare la scena dalla
piazzola poco distante.
«Certo che ha un modo innovativo per creare il suo
reggimento, eh?» domandò retoricamente Volstagg,
osservando la scena di una Lady Sigyn che aveva affrontato uno ad uno i
possibili suoi sottoposti, senza concedere nemmeno l’anfratto
di un attimo ai giovani cadetti per difendersi. Li aveva messi al
tappeto tutti in meno di una ventina di secondi, arrivando alla fine di
quella che prima era stata una lunga coda di sfidanti, sfoltita di
volta in volta da un giudizio rapido - un approvato fugace quanto un
respinto altrettanto tagliente.
«Un test psicologico rapido perché non ha il tempo
di selezionare chi le aggrada come aveva fatto, con tutta la calma
possibile» chiosò Fandral, appoggiandosi alla
balaustra di bianco marmo con gli occhi fissi sulla loro giovane amica,
intenta a camminare avanti indietro scrutando le file dei guerrieri
rimasti. Li aveva selezionati a seconda di quanto il loro sguardo, nel
rialzarsi, fosse pregno di una qual certa determinazione: fuoco ad
ardere di un’insana bramosia di vendetta per
l’affronto ricevuto nell’essere stati ridicolizzati
tanto impunemente. E Fandral non riusciva a non sentire un fremito
negativo nell’assistere a una tale risoluzione –
premiare l’impeto di rancore, la sete rovente di rivalsa, era
un segnale nel quale non riusciva a non avvertire una lieve misura di
minaccia. Sigyn era pacata, priva di qualsiasi onda d’urto
prepotente, un oceano imperituramente calmo da cui fluiva una condensa
di serenità serafica, ma che insieme celava i propri segreti
fondali, relegandoli unicamente ad un uomo; e proprio per tale sua
caratteristica era impossibile classificare in un modo preciso la
volontà di tenere ai propri servizi uomini facilmente
inclini all’animosità del rancore a lei estranea,
ma di cui aveva sondato gli abissi, imparando a conoscerne i meccanismi
per controllarli.
Il passo meccanico non si era minimamente intaccato con
l’intensificarsi dell’acquazzone, tracciando un
solco con i propri passi a posarsi su altri mentre lasciava
incrementare il silenzio passando in rassegna con i propri occhi
– puri abissi d’ossidiana – le sagome dei
cadetti. A qualche metro di distanza, al riparo, il Dio degli Inganni
assisteva sornione al susseguirsi dello spettacolo, senza interferire,
incollando alla donna il proprio sguardo, incatramato da maschere con
le quale teneva lontani i tentativi altrui di sondarlo.
Piegò le labbra in una crepa soddisfatta quando la voce di
Sigyn prese a porre interrogativi alle giovane reclute, decretando a
seconda delle risposte chi poteva rimanere e chi avrebbe seguito coloro
che precedentemente non aveva superato la prima prova.
«Le sue domande sono sotto un certo punto di vista
preoccupanti» osservò Fandral scambiandosi
un’occhiata d’intesa con Lady Sif, la quale fino ad
allora si era rinchiusa in un silenzio scuro. Con diligenza, aveva
tenuto d’occhio la giovane amica, studiandone ogni
più piccolo gesto e movenza, provando invano –
come sempre – a scoprire cosa vi fosse sotto la superficie di
luce ovattata di cui era composta. Non erano solo i suoi capelli ad
essere di condense di raggi freddi, svuotati di qualsiasi traccia di
calore, ma anche il suo intero essere, tanto da rendere impossibile
poter comprendere quello che si muoveva al di là –
impenetrabile. Erano diventate confidenti, alleate, amiche, ma non
avrebbe saputo dire nulla di più di quello che Sigyn
mostrava, non una sola sillaba su ciò che si celava nel suo
cuore – nemmeno il suo amore per Loki le era stato chiaro
nella sua definizione prettamente romantica, fino a quando loro avevano
deciso di dichiararlo, solo supposizioni relegate
all’indeterminatezza.
«È sempre stata preoccupante la sua
fedeltà a Loki. Mi chiedo a volte quando la conosciamo
davvero» sussurrò muovendo appena le labbra,
indecisa se potesse davvero pronunciare a voce alta una simile
constatazione. Non aveva mai compreso l’attaccamento verso il
Dio degli Inganni, e per quando Sigyn avesse sempre risposto che
avrebbe potuto dire la stessa di quello di lei verso Thor, entrambe
sapevano che si trattava di due modi di star accanto a qualcuno assai
divergenti. Era una crepatura di differenza appena visibile,
soprattutto all’inizio, ma più si evolveva il
rapporto tra Loki e Sigyn, più era chiaro fino a quale punto
di follia fosse stata spinta la sua devozione nei confronti del dio
– una
fedeltà cieca, testarda, ferrea, e che forse
non aveva alcun limite, nemmeno quello della nefandezza. Ed era
ciò a preoccupare Lady Sif, la possibilità che la
sua cara amica non avesse mai davvero scelto di servire la giustizia
che Asgard incarnava, ma unicamente Loki –
l’Inganno, il
Caos.
«Dai, Sif, non fare così. È tornata la
solita Sigyn di sempre, e per di più finalmente hanno deciso
di sposarsi, dovremmo essere più che contenti»
asserì scoppiando in una rauca risata, Volstagg, battendo
una mano sulla spalla della guerriera con fare bonario.
«E infatti lo sono, davvero.
Probabilmente sono solo preoccupata per Thor.»
«Puoi provare a chiedere a Sigyn se intercede lei verso Loki,
per andare a parlare con Odino» propose nuovamente il Leone
di Asgard[1], non accorgendosi delle espressioni assai poco convinte di
Fandral e Hogun – entrambi ritenevano l’idea non
tanto malevola, quanto del tutto uno spreco di tempo, visto che nemmeno
per Sigyn stessa aveva mosso una sola piccola lieve recriminazione o
supplica. Non avrebbe compiuto tale sforzo anche se si trattava di suo
fratello, perché Loki non si sarebbe mai abbassato a pregare
alcuno – e suo padre, Odino, non rientrava in alcuna
eccezione a quella dura presa di posizione nei confronti del mondo.
La voce d’un tratto potente di Sigyn li distolse dalla
conversazione. Tuonò come avrebbero fatto le scariche
d’elettricità a squarciare il cielo plumbeo,
accompagnando una tempesta dalla prepotenza cieca – tamburi
di battaglia racchiusi nelle gocce d’acqua a cozzare contro
qualsiasi cosa, con furiosa perseveranza. Le sue parole si ersero
vibranti nell’aria, sovrastando i tumulti del vento a
sferzare tra corridoi, cunicoli naturali, rami e pareti
d’oro, innalzandosi al di sopra dell’ululato che
risuonava nella giornata resa crepuscolare dall’assenza di
sole, carica di sfumature decise, impresse di un autocontrollo freddo
che rivelava il carattere incline alla leadership.
«Avete giurato di servire Asgard e il vostre Re sopra ogni
altra cosa. Ora giurerete a
me, la Dea della Fedeltà, di servirmi con
lealtà, e chiunque di voi sa a chi va la mia. Se pensiate
che siano due giuramenti equivalenti, potete andarvene.»
Non fu grida o urla, fu costatazione espressa con timbro perentorio a
monito per chiunque, non solo i cadetti ad ascoltarli muti come se mai
avessero avuto una lingua, ma chiunque potesse udirla. Era una sfida,
una dichiarazione, era un invito a non provocarla, perché
non vi era una scelta ardua se da un lato vi era Loki e
dall’altra qualsiasi altra cosa.
Fu solo Fandral a scuotere lievemente il capo, senza riuscire a dar
forma ai pensieri informi che invadevano la sua mente
nell’udire una simile affermazione. Si alzò dando
una lieve gomitata a Volstagg, indicandogli con il capo di tornare
dentro, perché ormai non vi era più nulla da
dover osservare – non importava quante reclute rimanessero o
se lo sfoltimento delle loro fila sarebbe durato ancora, ciò
che andava visto lo era stato. Provò a cercare lo sguardo di
Lady Sif, ma la malsana idea di Volstagg l’aveva ormai
catturata e non si sarebbe mossa di lì fino a quando non
fosse stata in grado di poter scambiare qualche chiacchiera, condita
con preghiere nei riguardi di Thor, all’amica.
Ebbe appena il tempo di scorgere Sigyn lasciar andare i cadetti rimasti
fino all’ultimo, ora facenti parti del suo reggimento, e
intuire lo spostamento scuro di Loki verso di lei, prima di rientrare
all’interno del palazzo, accompagnato dai due compagni e dal
pessimo presentimento che molto presto avrebbero scoperto parti della
Dea della Fedeltà che avrebbero preferito ignorare per
sempre.
«Che ne dici, Sigyn, un po’ di vero
allenamento?», con gli imperiosi refoli di vento ad alzare la
polvere dell’arena e il ghigno meno rassicurante di cui fosse
in possesso ad accompagnarlo, Loki si avvicinò infine alla
sua devota guerriera ammantato dalla soddisfazione recata ogni volta
dalle sue gesta. Sigyn sapeva cosa lui desiderasse senza
necessità di pronunciarsi al riguardo, non vi era alcuna
necessità per lui di spiegarle quale ruolo dovesse ricoprire
nelle sue macchinazioni e né tanto meno ordini da parte sua,
perché la donna non era un suo sottoposto, un servo
ammaestrato o una marionetta da spostare. Prendeva la parte che
definiva per se stessa, arricchendola e costruendola in modo da poter
essere più adeguata a lei – sceglieva ogni giorno,
ogni attimo di camminare al suo fianco e non le interessava quale fosse
la direzione. Non per disinteresse verso la meta, ma per maggior
concentrazione sul presente, sul momento che poteva trascorrere insieme
a lui.
«Come desiderate, mio principe» rispose
pacatamente, estraendo la propria lama dal fodero, prendendo posizione.
Ferma dove era stata lasciata dai Tre Guerrieri, Sif rimase a
osservarli combattere senza posa. Nonostante l’uso della
magia per trarla in inganno, Sigyn era sempre stata in possesso di una
naturale capacità di sguazzare nelle sue menzogne come
nessun altro e con il tempo tale abilità si era affinata a
tal punto da renderla in grado di potersi confrontare con lui in uno
scontro emozionante. La Dea della Guerra dubitava persino che si
trattenessero, se c’era da ferirsi non si ritraevano,
martoriavano e colpivano la pelle dell’altro non mostrando
alcun frammento di incertezza. Era incomprensibile la sostanza del loro
rapporto, era qualcosa formato da elementi di degenerazione che a
tratti spaventavano Sif per le ripercussioni a cui avrebbe potuto
assistere. Trattenne un brivido di orrore al nascere di un pensiero su
possibili risvolti futuri, troppo mesti e tremendi per consentirle di
abbracciarli anche solo come sua propria fantasia –
combattere contro Sigyn, invece che al suo fianco, era
bestialità a cui non voleva porgere orecchio.
Fu quando un pugnale di Loki sfiorò la guancia della sua
promessa sposa, lasciando impressa su di essa una scia rossa dalla
quale affiorarono piccole lacrime di sangue scarlatte, che il gioco si
concluse. Li osservò riprendere posizioni rilassate,
rifoderare le armi e scambiarsi sorrisi compiaciuti, divertiti persino,
nonostante le ammaccature che i loro corpi avevano provocato
– una forma di rispetto che Sif non comprendeva, quello di
non concedere sconti alla persona amata perché ci si fidava
delle sue potenzialità a sufficienza da non doverla
schernirla con lo smacco di limitarsi. Distolse le iridi scure
– non abissi insondabili come quelli di Sigyn, ma cristalli
trasparenti dai quali affioravano i pensieri ramisti ad emozioni con
estrema semplicità – solo quando Loki
portò alle proprie labbra la mano della Dea della
Fedeltà, sporca di terra e sangue di entrambi, per
depositarvi sopra un flebile bacio.
Li attese dov’era, alzandosi in piedi unicamente per
prepararsi all’arrivo dei due in modo da rendere maggiormente
palese ad entrambi il suo desiderio di poter parlare per un
po’ con Sigyn. Con i vestiti zuppi, lasciavano scie
d’acqua macchiate di altre cremisi ad ogni passo, producendo
un lieve suono metallico per via delle armi appese ai fianchi, e una
naturale stanchezza che non deturpava i loro volti, vi era
serenità serafica su quello di lei e sogghigno dai melliflui
risvolti su quello del compagno.
«Non fare tardi, Sigyn, mia madre ti vuole vedere
dopo» asserì semplicemente Loki, quando giunsero
in prossimità della Dea della Guerra, limitandosi a un
coinciso saluto verso la stessa accompagnato da un cenno del capo.
«Lady Sif.»
Sigyn si limitò a tirare il sorriso annuendo appena,
aspettando che le spalle dell’uomo sparissero dietro le porte
dell’ingresso, prima di riprendere a camminare, facendo segno
a Sif di seguirla, dirigendosi verso i giardini più vicini
alle arene. I portici che li circondavano erano ampi, archi a sesto
acuto possenti, a rendere edotto a chiunque, anche in
quell’anfratto di palazzo in cui in pochi si recavano, della
magnificenza su cui Asgard era fondata, anche quando le tempeste
perduravano e il vento graffiava qualsiasi superficie con cattiveria.
«Dimmi, amica mia, come mai hai l’aria tanto
cruciata? Non credo sia più io a provocarti tale
tensione» domandò con pacatezza Sigyn, dopo aver
lasciato consumarsi vari minuti nel silenzio. Con i capelli bagnati tra
le dita, tentava di riportare ordine tra di essi in modo da riprendere
a intrecciarli nella consueta treccia, la cui bellezza era stata
disfatta dai combattimenti e dalle intemperie. Li strizzava, con i
soliti gesti tranquilli intrisi di una nobiltà palese, una
regalità che non le era derivata unicamente per via di
nascita, ma di cui era cosparsa nelle profondità
dell’anima – grazia, una forma di delicatezza tutta
sua, come a volte le ricordava Loki.
«Sono veramente contenta che tu sia tornata in te, amica mia,
non immagini quanto tu ci sia mancata. Non posso che rinnovare anche la
mia felicità per quanto riguarda le nozze» prese a
parlare mantenendo l’aria ferma della guerriera, ma con la
morbidezza che le provocava naturalmente Sigyn. Da quando
l’aveva incontrata secoli prima, si era lasciata prendere
dalla ragazzina che era stata, impregnata di una strana dedizione
incomprensibile, e aveva desiderato conoscerla, sin anco allenarla
personalmente, pur di comprenderla. E da quel tempo erano diventate
amiche, dunque non vi poteva essere sincera felicità
più grande nel poterla riavere al proprio fianco e
soprattutto nel poter assistere alla realizzazione del suo amore per
Loki. Ma a macchiarle tali considerazioni vi erano le riflessioni su
primogenito di Odino, perduto in una terra lontana.
«Tuttavia, sono preoccupata per Thor. Credo che la punizione
del Padre degli Dei sia stata troppo severa, ma Loki non ha intenzione
di protestare in alcun modo e la mia parola non ha alcun peso,
quindi-»
«Quindi vuoi che lo convinca a discuterne con
Odino» concluse da sé Sigyn, poggiando una mano
sulla spalla di Sif. Per quanto vederla con le sopracciglia ad
affossarsi, le rughe di preoccupazione a cospargere la sua fronte e gli
occhi adombrati le procurasse non poco dispiacere, Sigyn non poteva
accogliere la sua richiesta. «Loki non ha in alcun modo mosso
mezza parola per me, e a quanto mi risulta né tu
né Thor né i Tre Guerrieri avete fatto
altrettanto, dunque non capisco perché dovrebbe essere ora
diverso.»
«Perché lui-»
«Per i tuoi sentimenti, certo» la interruppe
nuovamente Sigyn, con parole fluenti cariche di compassione empatica
per i suoi crucci personali, ma riversando in esse anche la sua ferra
decisione a non accontentarla. Anche se non ci fosse stato di mezzo
Loki, non avrebbe mai supplicato alcuno per concederle qualcosa in
cambio. «Ma la decisione del Re è la decisione del
Re. Se è per via di essi, dovresti essere solo tu a prendere
posizione, non altri al tuo posto, come io feci per Loki.»
La lasciò dopo aver stretto tra le propria dita affusolate,
cosparse di calli macchiati di grumi scarlatti, quelle di Sif. Non
aveva altro da aggiungere e l’altra sapeva che non sarebbe
occorso un eone di vita a convincerla del contrario di ciò
che affermava – e per quanto avvertisse una
quantità non indifferente di verità in quelle sue
parole, per quanto sapesse che vi era del giusto e che non si sarebbe
dovuta prendere la libertà di contraddire Odino unicamente
per amore di suo figlio, non riuscì a non sentire un fremito
di insoddisfazione nervosa. Rassegnarsi alla lontananza di Thor, come
aveva fatto con quella di Sigyn, era ben diversa cosa per quanto vi
fosse uno fondo di similitudine non trascurabile e non riusciva a non
pensare a quanto pericoloso fosse tenere il più valoroso
guerriero di Asgard lontano – per quanto arrogante, tal volta
ottuso e pieno di sé, Thor rimaneva un deterrente
formidabile per i nemici di tutti i Nove Regni.
Rimase a passeggiare in solitudine, uscendo dal riparo dei portici per
cercare un conforto delle carezze veementi della pioggia, cercando in
quel sanguinamento del cielo un posto nel quale potersi sentire al
sicuro. Strinse i pugni, nella speranza di trarre da quel piccolo gesto
una forza della quale si era sempre reputata detentrice, ma di cui si
sentiva prosciugare – e si chiese come avesse fatto Loki a
nascondere tanto egregiamente lo struggimento per la lontananza di
Sigyn, tanto da far pensare talvolta che nemmeno si ricordasse di lei.
Ma d’altronde lui era il Dio degli Inganni, mentre Sif
prendeva il titolo dalla sua abilità nelle guerre condotte
con spade ed altri armi, non ne aveva mai conosciute altre ed ora era
condannata a provare a resistere a un attacco invisibile.
Sapeva che non sarebbero bastati il trascorrere dei mesi successivi,
per quanto i preparativi del matrimonio di Loki e Sigyn avrebbe potuto
impegnarla, per quanto sempre possibili disordini potessero distrarla,
per quanto gli allenamenti riempire i vuoti di tempo, a nulla sarebbe
valso. Anche quando il sole sarebbe tornato a sgorgare come nuova fonte
di cristallina luce tra le nubi, nel suo cuore sarebbe imperversata la
tempesta nei giorni a venire, ignorando di come invece sulla piccola
Midgard l’oggetto del suo cruccio fosse molto meno intento a
rivolgere i suoi pensieri ad Asgard.
Non era stato semplice, d’altronde gli inizi non potevano mai
esserlo per intrinseco senso. Tuttavia Thor poteva affermare di aver
avuto più che un colpo di fortuna, una stella doveva aver
guidato il gesto di suo padre nel depredarlo dei poteri prima di
gettarlo nel New Mexico. Solo la sorte intrecciata tra i rami
dell’Albero Cosmico poteva spiegare il suo incontro con Jane
Foster e ciò che da esso ne era conseguito nei mesi a
venire.
Abituarsi a una normalità diversa di quella di Asgard e
comprendere le usanze differenti era stata la parte meno difficile di
quell’inaspettato viaggio non richiesto. E mentre guardava
fuori dal veicolo volante sul quale viaggiava di ritorno alla base
principale dello S.H.I.E.L.D., gli venne naturale domandarsi se mai la
punizione di suo padre avrebbe avuto un termine ultimo. Aveva ormai
accettato tale condizione, per quanto arduo fosse stato, grazie
all’aiuto della brillante astrofisica Jane Foster e di Eric
Selvig che lo avevano accolto su Midgard con più domande che
risposte, ma concedendogli un posto nel quale restare; doveva molto
anche al direttore Fury e alla sua divisione speciale che non aveva
impiegato troppo tempo ad accorgersi degli strani eventi che la caduta
di un dio provocava. Aveva trovato tra le fila di
quell’esercito segreto di Midgard un luogo nel quale forse
riuscire ad ottenere la sua occasione per mostrare di essere ancora
degno, non del trono al quale aveva tanto anelato per la maggior parte
della sua vita, ma di essere figlio del grande Odino.
Combatteva ora al servizio di un popolo che aveva sempre ritenuto
inferiore unicamente perché non dotato di abilità
fisiche eccezionali come gli asgardiani, rimettendosi al di sopra di
loro solamente perché in possesso di qualità che
dalla nascita aveva avuto per meriti non propri, senza rendersi conto,
fino a quando non era stato costretto ad unirsi ai mortali, di come
fossero altre le qualità a determinare la grandezza di un
popolo – e delle persone. Forse, aiutando chi aveva
classificato tanto inferiore a tal punto da doverlo venerare, avrebbe
trovato una via per riscattarsi – e anche se così
non fosse stato, qualcosa di buono la sua vita avrebbe creato.
La mano del Capitano Rogers poggiata sulla spalla lo riscosse dallo
scivolare dei pensieri rivolti al futuro, indicandogli nel silenzioso
gesto del capo lo stagliarsi all’orizzonte di Washington ad
accoglierli. Molti mesi erano trascorsi e ancora trovava strana la
vista dell’imponente metropoli profilarsi nel tramonto
sereno, e nelle sue pieghe aveva scovato una vita differente da quella
quotidianità nella quale era cresciuto – niente
guerre sanguinarie, niente banchetti sfarzosi, niente risse. Nel suo
abituarsi a Midgard aveva scoperto il piacere di una ricchezza diversa,
di una pace composta di piccoli gesti, in cui Jane ricopriva il centro
di quel nuovo equilibrio in cui bastava un suo sorriso a calmare
giornate difficili.
Non solo la sua vita era mutata drasticamente, ma anche quella di Jane
Foster con l’arrivo di Thor aveva subito non pochi
scombussolamenti – per quanto di ovvie minori dimensioni.
Prima tutto il materiale contenente le ricerche condotte durante
l’intera sua carriera accademica le erano state sottratte da
sconosciuti uomini in nero, di evidente stampo governativo; poi aveva
scoperto che l’uomo che aveva accidentalmente investito in
mezzo a una tempesta prodotta da inspiegabili fattori, era un
visitatore di un altro mondo appartenente a miti norreni; ancora un
po’ più avanti erano riusciti a trovare un modo
per riottenere un po’ di normalità dopo qualche
colpo di testa di Thor; e infine erano stati tutti assunti in blocco
dallo S.H.I.E.L.D che trovava decisamente più proficuo avere
tra le sue fila un decaduto dio e due astrofisici dalle indubbie
capacità, le cui ricerche si erano dimostrate capaci di
prevedere l’arrivo del lontano visitatore.
Sicuramente Jane aveva guadagnato uno studio decisamente più
amplio, ben fornito di attrezzature di cui prima si sarebbe solo
sognata di entrare in possesso e a disposizione di qualsiasi cosa
chiedesse per poter costruirsi da sola ciò di cui
abbisognava. Un notevole passo in avanti nella sua carriera, anche se
con cambiamenti che qualsiasi altra persona avrebbe ritenuto drastici,
ma non lei, che d’altronde di vita sociale esterna a quella
dei numeri, pianeti e particelle non aveva condotto nemmeno
precedentemente. In un certo senso, quasi per ironia della sorte, aveva
qualcos’altro oltre il lavoro a cui badare, per quanto
continuasse a sostenere orari del tutto personali e spesso si
ritrovasse a cenare a notte tarda senza rendersi conto che il letto era
ancora intonso. Ma quando Thor era lontano, in qualche missione dalle
quali ritornava sempre vivo e sempre ammaccato, Jane perdeva totalmente
di vista lo scorrere sano della vita, si smarriva tra numeri ed
equazioni e giusto la sua assistente riusciva talvolta a ricordarle
dell’esistenza di un mondo al di là della porta
dello studio.
«Seriamente, Jane, ma non senti la necessità di
uscire da queste segrete?» le domandò Darcy,
avvicinandosi all’amica con l’aria annoiata,
alzando e abbassando i fogli per cercare di comprendere a cosa stesse
lavorando in quel momento la giovane astrofisica – senza
successo. Non aveva ancora ben chiaro se avesse veramente accettato
liberamente di continuare a fare l’assistente di Jane Foster
e di Eric Selvig, o se lo SHIELD l’avrebbe costretta anche
nel caso si fosse rifiutata di trasferirsi insieme a loro. Tuttavia a
Darcy non importava eccessivamente di quel dettaglio, sicuramente non
avrebbe lasciato sola Jane, che già si dimenticava di
mangiare se non glielo si ricordava, figuriamoci se la si portava in un
laboratorio super accessoriato in cui aveva a disposizione giocattoli
ultratecnologici per i suoi esperimenti. Qualcuno doveva pur badarle e
lei non aveva niente di meglio da fare – o forse, lo aveva,
ma la salute della sua amica aveva sicuramente la precedenza.
«Si chiama ufficio,
Darcy. Dovresti avere una certa famigliarità con tale luogo,
dato che è qui che dovresti essermi
d’aiuto» chiosò Jane rivolgendole uno
sguardo eloquente.
«Sto cercando di essere d’aiuto, facendoti notare
che fuori c’è un mondo! E c’è
mister dio-decaduto-tutto-muscoli.
Insomma, non avrete intenzione di seppellirvi insieme qui
sotto?»
«Dammi una mano a spostare queste cartelle»
svicolò la studiosa, posandogli tra le braccia una pila di
cartelle nel tentativo di metterla a tacere in quel modo – ma
era eccessivamente semplice spegnere l’interruttore di Darcy,
lo sapeva fin troppo bene.
«Non mi hai ancora detto come procede la vostra... Relazione,
perché è una relazione, giusto?»
«Sì. Sì, Darcy, lo è. Ora
puoi cercare di essermi di una pur vaga utilità?»
«E come va?»
«Bene. Direi» si rassegnò
all’evidenza di doverle dare una risposta, perché
Darcy non si schiodava dalla piastrella sualla quale si era collocata,
tenendo fermamente tra le braccia le carte, oltre le quali spuntavano
giusto gli occhi dietro la montatura scura. Non le avrebbe dato alcuna
tregua e Jane era sfinita dopo le ore di lavoro – delle quali
aveva perduto il conto, accorgendosi solo in quel momento che il
tramonto era ormai scemato per far spazio alla notte rischiarata dalle
insegne al neon, luci di appartamento e lampioni della capitale.
«Insomma, per due che hanno parecchio da fare, riusciamo
comunque a vederci e a... Voglio dire, abbiamo un rapporto
stabile.»
«I dettagli li devo cavare con un reattore
nucleare?»
«Di qualsiasi dettagli stia parlando, signorina Lewis,
dovrà attendere. Il direttore Fury vi attende»,
prima che Jane Foster potesse aggiungere parole alle sopracciglia tese
verso l’alto in archi marcati e agli occhi nocciola in cui
era chiara tutta la sua volontà di chiudere in quel momento
il discorso, l’agente Phil Coulson le interruppe con il
candore educato di chi non ammetteva repliche di alcun tipo.
Felice di potersi liberare rapidamente della torre di scartoffie tra le
mani, Darcy le mollò sulla sedia per avviarsi insieme a Jane
nell’ufficio del direttore, seguendo Coulson. Con i passi a
rimbombare tra i corridoi semideserti della struttura governativa, lo
sguardo della donna era rivolta alle enormi finestre attraverso cui la
città continuava a vivere anche sotto la coltre scura delle
nubi oltre le quali stelle e mondi distanti si muovevano in punta di
piedi. Da quando Thor era entrato nulla sua vita, le sue percezioni e
concezioni avevano subito più di un terremoto, aveva dovuto
rivedere e ampliare il significato di impossibile per ridurlo a un
improbabile, fino a trasformarlo a possibile. Era merito di
quell’uomo se era andata avanti così tanto nelle
sue ricerche – e non solo perché aveva negoziato
per il suo ingresso nello S.H.I.E.L.D. un lavoro anche per lei, ma per
averle regalato ciò che più abbisognava uno
scienziato, ovvero non avere preclusioni mentali.
Sotto la cascata di luci artificiali dell’ufficio, voltato
verso i lontani scintillii della città, il direttore Fury
rimaneva in piedi permeato dal silenzio colmo di attesa in compagnia di
Steve Rogers e Thor. Dovette ricorrere a buona parte del proprio
autocontrollo, Jane, per evitarsi di fiondarsi vicino al decaduto Dio
del Tuono per potersi assicurare delle sue condizioni. Si
limitò a scrutarlo con viscerale preoccupazione, passando in
rassegna ogni centimetro del suo corpo alla ricerca di ogni
più piccolo dettaglio che potesse rivelare quali infortuni
si fosse procurato quella volta. Per quanto conoscesse la sua
incredibile forza e preparazione fisica, per il momento rimaneva un
essere umano dotato di abilità incredibili, ma non
inconcepibili – fino a quando Mjolnir fosse rimasta
incastrata nel pezzo di roccia sulla quale era precipitata, spostata
interamente per essere trasportata lì a Washington in modo
che fosse tenuta vicino al suo proprietario, tali sarebbero rimaste le
sue condizioni.
Il sorriso di Thor era un infuso di calma, quiete scintillante
d’oro colato, una cura efficace contro ogni ansia di cui Jane
fosse afflitta ed era più che sufficiente a rilassarle i
muscoli tesi del corpo, nel momento stesso in cui lo poteva finalmente
rivedere. Il respiro profondo che trasse finalmente la donna fu di
sollievo, mentre ricambiava silenziosamente il saluto di benvenuto di
Thor, senza proferire parola per non rompere l’attesa a cui
Fury li stava incatenando.
Quando la porta dell’ufficio fu chiusa dall’agente
Coulson, Fury si voltò verso il piccolo gruppo azionando con
un microscopico telecomando lo schermo enorme appeso alla parete.
Immagini di riprese ad alta quota di un edificio collocato in mezzo
alla boscaglia in un pezzo di terra non classificato, si affiancavano
dati che sottolineavano come tra quelle mura si fossero registrati
strani fenomeni inconciliabili con quello che appariva un cantiere
abbandonato, a poco tempo dal completamento.
«C’è un tasso di attività di
energia dalla dubbia fonte. I dati riscontrati sono sospetti e diciamo
che non mi fanno dormire sonni tranquilli»
cominciò a spiegare con voce atona Fury, illustrando il
susseguirsi delle riprese. «Si tratta di una nostra base
dismessa da qualche tempo, ormai abbandonata. Non sembra ci sia alcuno
nei dintorni, quindi pensavo di mandare voi, signorina Foster e Thor in
caso di visite inaspettate. Pensate di potercela fare?»
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed eccoci all’inizio della seconda parte della storia.
E Thor è tornato tra noi – e con un cameo anche
del nostro Steve Rogers. Anche se non gli ho fatto spiccicare mezza
parola, perdonatemi, ma mi sembrava più utile concentrarmi
sui suoi pensieri. Come dissi all’inizio di questa
storia-raccolta, essendo strutturata come varie one-shot, mi concentro
su alcuni punti importanti delle vicende, lasciando in secondo piano
ciò che ha portato ad esse. Per questo i mesi precedenti di
Thor sulla Terra, il suo arrivo e tutti gli eventi ai quali ho
accennato, non sono stati descritti – nella long, mi ero
messa a raccontare tutto quanto per filo e per segno, ma sinceramente
in questa struttura a raccolta sarebbe del tutto insensato,
perché altrimenti diventerebbe una vera e propria long.
Sulla parte di Loki, Sigyn e Sif, invece non ho molto da dire. Anche
lì ho fatto trascorrere un po’ di tempo, ma le
vicende sono collocate anteriormente a quelle riprese
nell’ultimo pezzo del capitolo, ovvero quelle che si svolgono
sulla Terra. Dalla mia modesta esperienza in fatto di organizzazione di
matrimoni, so che ci vuole il suo bel tempo, e Loki è un
principe, dunque credo che i tempi siano ancora più dilatati
– dunque no, non sono ancora sposati. Thor tornerà
su Asgard prima del lieto evento? Chissà.
Bene, vorrei dire di aver trovato una canzone che possa assolvere allo
stesso compito della prima parte, ma no, non è
così. Nel senso che non sarà una sola
probabilmente, perché temo che sarà di poco
più lunga questa seconda parte e niente, quindi
probabilmente ne userò due.
E le canzoni saranno: “Unbroken”
dei Black Veil Brides
- che con sommo colpo di inventiva, è nella colonna sonora
di “The Avengers” - e “Redemption Song”
di Bob Marley.
Vi prego di non leggere come un suggerimento per una
“redenzione” di Loki – o di qualche altro
personaggio. Credo che nemmeno sotto tortura potrei mai scrivere del
Dio degli Inganni che si vuole redimere. Va inteso in senso
“distorto”, una redenzione non classica nel termine
e verrà spiegata più avanti nel corso della
storia – che poi credo si sia capito che io Loki non posso
proprio vederlo come uno che è cattivo perché ha
ricevuto poco amore e quindi è possibile che torni ad essere
buono, quando non lo è mai stato. Su, è ispirato
al Dio del Male e del Caos, per Odino!
Come sempre io ringrazio tutti coloro che seguono la storia, chi l'ha aggiunta ai preferiti/ricordate/seguite e soprattutto chi l'ha commentata l'ultima volta, ovvero: Lakky, Yoan Siyryu, Kikka_67 e Chiocciola! Grazie, mille volte grazie♥
Come sempre vi lascio la mia pagina Facebook, dove qualche
anticipazione la metterò: M
A N I A
(Chiedo
venia, che ho riletto il capitolo meno del solito, penso di aver
correto tutti gli errori più macroscopici, ma se continuavo
ad aspettare di aver tempo per rileggere ancora, non pubblicavo
più!)
Alla prossima,
Mania
|