10.
-Va
bene, la ringrazio comunque.- si portò nuovamente il
ghiaccio alla
faccia e posò la cornetta; altra striscia nera sugli annunci
editoriali, poi con un sol sorso mandò giù
l'aspirina. Erano almeno
tre giorni che non le passava l'emicrania e per quanto non volesse,
non aveva altra scelta che andare da un medico. L'altra notte era
rimasta svenuta per ore, era rinvenuta appoggiata per metà
sul letto
con un gran mal di testa e un forte bisogno di respirare a pieni
polmoni. Si era portata una mano alla gola istintivamente,
probabilmente ora non si sarebbe trovata lì se Mark non si
fosse
accorto da solo che stava per ammazzarla. Sentì un lungo
brivido
percorrerle la schiena: per poco non arrivava a lasciarci le penne.
Il suo aspetto, sta di fatto, che era orribile: quando l'altra
mattina si era affacciata per recuperare oggetti dalla cantinola e
trascinarli fuori, la sua vicina l'aveva squadrata per un tempo
indefinito fino a rientrare di tutta fretta pur di evitare il suo
sguardo. Certo, vedere una donna con grandi ematomi in giro per il
corpo può significare solo accollarsi dei guai, come poterle
dare
torto? La polizia per casa era l'ultimo problema alla quale avrebbe
potuto pensare in quel momento. Al suo risveglio tutti gli abiti e
gli effetti personali di Mark li aveva sigillati fuori casa sua: al
minimo passo fuori dal pianerottolo lo avrebbe fatto arrestare seduta
stante e.. Sobbalzò all'improvviso allo squillo del
cellulare, che
accorse a rispondere al seguito di carta e penna per appuntare.
-Pronto,
sono Jillian A. Gordon.-
-Jillian..
- La voce di Brian era stata così roca e sottile che le
impedirono
di parlare, si portò una mano alla bocca come ad accorgersi
che non
riusciva a pronunciare parole. -Sono giorni che cerco di contattarti,
che diavolo ti è successo? - la donna rabbrividì
colta alla
sprovvista. Nella sua mente probabilmente era come se passassero
minuti inesorabilmente lenti, che le portavano un gran vuoto e la
facevano vorticare in quel buio incerto; eppure appena aveva sentito
la sua voce prese a staccare la chiamata, rimanendo fredda al centro
della stanza cercando di capire cosa stesse succedendo.
Battè le
palpebre freneticamente per riprendere lucidità, e prima che
potesse
ripetersi di nuovo la possibilità di ascoltare la sua voce,
estrasse
la scheda dal telefonino precipitandosi verso il lavandino. Quando lo
gettò nel tritarifiuti sentì un breve crepitio
che cercò di
prolungare pur di assicurarsi che nulla di quel collegamento fra lei
e lui esistesse ancora.
-Esci
fuori. ESCI FUORI DALLA MIA VITA ANCHE TU! - Seguirono lacrime che le
bagnarono il bel viso, cosparso di lentiggini che a lui piacevano
tanto, di quei grandi occhi verdi e violacei gonfi di una tristezza
che faceva più male degli schiaffi e degli spintoni. I
lunghi
capelli rossi e lui che aveva sempre desiderato poter odorare e
tenere stretti fra le dita mentre la baciava. Jillian lo sapeva, lo
aveva sempre saputo. Lui glielo aveva sempre detto che l'aveva amata,
che mai avrebbe voluto separarsi da lei. Eppure era successo, volere
suo, sapeva che era stata la causa di tutto il male che si era fatta.
Adesso era tornata forse per accertarsi che lui non l'avesse
aspettata? Probabilmente tutti la odiavano, ecco perché in
quelle
settimane ancora nessuna consorte dei suoi amici aveva fatto in modo
di incontrarla. I ragazzi erano felici, questo lo sapeva.. ma cosa
aveva portato loro? Minacce e ripercussioni da parte di Mark se non
fosse stata attenta. Dovevano scomparire tutti, di nuovo, andare via,
cambiare aria, cambiare modo di vivere e dimenticare tutto.
Dimenticare. Si asciugò la faccia e dovette correre verso le
finestre che affacciavano alla strada, buttò giù
le persiane e
spense le luci frettolosamente, socchiuse le ante di vetro e si
accucciò contro il muro che ascoltava i suoni dell'esterno,
così da
fare in modo che nessuno sapesse che lei fosse lì.
***
-Maledizione!
- Brian attirò l'attenzione di tutti con il suo malumore,
cosa che
Matt cercò di spegnere per non innerscare una reazione a
catena fra
i ragazzi che stavano ancora accordando gli strumenti per la
registrazione del nuovo pezzo.
-Problemi
di linea? - chiese come se nulla fosse, poi con un movimento del capo
indicò l'uscita interna della sala. -Vieni, andiamo a fumare
una
sigaretta. - afferrò l'amico per un braccio e sotto l'occhio
distratto dei ragazzi che provavano i loro pezzi si dileguarono oltre
la sala.
-Che
succede? - Comincio a chiedere Matt; Brian disdì col capo e
si
accese una Marlboro divincolandosi dalla presa.
-Nulla,
perché? - mentre il cognato vagava oltre con lo sguardo, lui
cercò
di poggiarsi alla parete per investigare più comodamente.
-Sai
com'è, c'è una certa tensione in sala, come se
avessi un problema.
Davvero non vuoi parlarne? - Brian continuò a tacere come un
ragazzino colto in flagrante e rimproverato, qualcosa gli diceva che
aveva a che vedere con Michelle e che questo lo metteva in qualche
modo a disagio a parlarne con lui. Il suo migliore amico.
-Hei..
- una presa stretta alla spalla lo costrinse e guardarlo negli occhi.
-E' un problema anche mio finché non me ne parli. - Brian si
lasciò
sfuggire una nube di fumo dalle labbra sottili e ricambiò il
gesto.
-Non
credo funzioni così, amico mio. -
-Puoi
sempre scegliere di non tenertelo tutto per te comunque. -
-Il
fatto che il ritmo dei pezzi provati centinaia di volte continui ad
essere fuori tempo ti sembra abbastanza? - sbuffò irritato,
guardando altrove, ovunque potesse arrivare lo sguardo.
-Dobbiamo
solo esercitarci ancora. - L'amico disdì.
-Non
basta esercitarsi, non abbiamo più quindici anni, senza
seguire una
batteria non arriveremo da nessuna parte.-
-Brian,
cazzo, non farmi credere che sia questo il tuo problema. -
-Oh,
merda, ti sembra davvero poco? Ci stai perdendo la testa dietro
questo album. Sapevo che non era una buona idea. - mormorò
fra sé e
sé, ma l'amico l'udì scontento.
-Che
cazzo vuoi insinuare? -
-Che
Portnoy deve portare qui il culo. Non avresti dovuto pubblicizzare
l'anteprima senza un batterista che stia inchiodato qui. - Brian
scrutò bene l'espressione del leader, che divenne nervosa e
scostante.
-Vedrai
che ci aiuterà, è. impegnato con la sua di band
al momento. E non
ho ancora nessuna intenzione di sostituire Jimbo definitivamente. -
si prese un secondo di tempo. -Non ci riesco...-
-Non
è una cosa che devi fare da solo. - calò del
silenzio sottratto
solo dal rumore delle labbra che soffiavano via il fumo.
-Tutti
si chiedono cosa sta succedendo al buon, vecchio Gates. - Brian
rimase colpito e continuò dopo qualche secondo di pausa, con
un
sorrisino di sghembo che non passò inosservato.
-Il
buon, vecchio Gates non esiste senza Brian. Questa giornata
è
cominciata male: mi serve una mattina libera per risolvere alcune
cose. -
-Brian,
abbiamo altre prove da fare, non possiamo interromperci tutti. Vedrai
che riusciremo a farcela.. - Brian diede un altro paio di boccate
alla sua sigaretta.
-Solo
stavolta. - fece per rientrare per andarsene ma Matthew lo trattenne
con un'espressione che voleva essere tutto fuorché
concessiva.
-Brian
ti prego, dimmi in che guaio ti stai cacciando? Se vuoi comincio io:
Michelle è completamente distrutta a casa mia. Dice che non
ci sei
quasi mai, che sei assente quelle volte che ti incrocia, e
addirittura tuo padre venne a darti del rincoglionito per colpa della
negligenza su gli interessi familiari. Non possiamo coprirti in
eterno, ci metteresti solo nei casini. Hai voglia di metterci nei
casini? -
-Dai,
seriamente? Sono un uomo di trent'anni che non ha bisogno della
balia. Dì a tutti di stare più che tranquilli, so
cavarmela da
solo. -
-Non
ti preoccupi delle persone che ti amano? Sono tutti su di giri per
te. Dicci piuttosto a cosa dobbiamo prepararci. -
-Prepararvi?
-Brian rise e spalancò le iridi adirato. -A cosa devi
preparare tua
moglie quando verrà a farti il terzo grado, forse! Come
potrà
ancora riempire la testa della sua povera sorella che non sa come
guardare da sola al proprio matrimonio, non è
così? Lo sapevo che
era questo quello alla quale volevi arrivare! Ci sei riuscito,
complimenti! - Matt stette per ribattere ma si prese un secondo di
pausa per calmare i nervi, scuotendo comunque un dito davanti la
faccia dell'amico in tono fuorché amichevole.
-Non
parlare così di Valary, non è l'unica a capire
che il ritorno di
Jillian ti abbia dato alla testa. E' da lei che devi andare non
è
vero? Se non ci fosse nulla da nascondere lo diresti anziché
giocare
al fuggiasco.- la voce dell'amico si fece così alta che
Vengeance
chiamò dall'altra stanza, ma entrambi lo tranquillizzarono
finché
poterono. Ad un certo punto lo sguardo di Brian si oscurò e
calando
gli occhi si mostrò sprezzante, con una voce grave soffiata
fra i
denti stretti.
-Sta
tranquillo. Jillian non ne vuole sapere nulla di me, poteva
continuare a vivere tranquillamente la sua vita altrove invece
è
tornata per ricordarmi che tra noi non ci sarà mai
più quello
che... - si interruppe. -Davvero Matt, stai creando un problema che
non esiste.-
-E
cosa sarebbe successo se invece fosse stato il contrario? -Brian
dovette ascoltarlo ed interrompersi, con la grande colpa di
costringersi a dargli ragione senza poterselo permettere. Matt lo
guardò rammaricato, con la stupida colpa di aver imputato al
banco
dei colpevoli il suo vecchio amico. Vide il petto di Brian
infervorarsi contro di lui, mentre con un dito puntato gli
picchiettava sulla felpa. Il suo viso era rabbuiato, con gli occhi
alti che si muovevano tempestivamente da un lato all'altro del viso
per vederlo ben impresso: aveva colto nel segno ed entrambi si erano
scrutati meticolosamente.
-Devi
essere sincero con me! Se non vuoi farlo neanche con te stesso allora
sbotta! Dimmi che cazzo vuoi fare? - Brian si prese qualche secondo,
con la sigaretta che pendeva bruciando fra le labbra, mentre le mani
attraversavano disperatamente la chioma corvina fino a trascinarli
indietro per liberarsi un attimo e permettersi respiro.
-Sincero.
Come lo sei stato tu con la band vero? - Quel suo sguardo da bravo
ragazzo era tornato a vigilare sul suo viso cancellando l'angheria di
prima, eppure ora sembrava incoraggiato a comportarsi in modo
completamente opposto da come era partito.
-Che
vuoi dire? -
-Che
Portnoy è decollato, no? Siamo senza un fottuto batterista e
ci stai
facendo provare solo con la scusa che tornerà a soccorrerci
come se
fossimo solo un gruppetto da cabaret! Cosa facciamo nel frattempo?
Stiamo provando nella speranza che qualcuno ci bussi alla porta come
mandato dal cielo! Ti prego Jimbo, qualcuno di tua preferenza! -
esclamò esasperato, portando gli occhi al cielo e
divaricando le
braccia come a sfidarlo.
-Brian
che cazzo stai dicendo? - Matt sbottò e gli diede uno
spintone che
lo costrinse a ritornare dritto, con la sigaretta che
scivolò via
morendo sull'asfalto. Si portò appena indietro e con la
spinta delle
spalle pressò per rimanere in equilibrio una volta ver
urtato
violentemente contro la parete.
-Sapevamo
che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato: o troviamo qualcuno o
chiudiamo la serranda! Vuoi credere a qualche segnale mistico adesso?
Lo sai che gli Avenged Sevenfold stanno naufragando, forse è
arrivato il momento di mollare Matthew. Fattene una fottuta ragione
prima di portarci ad affondare insieme ai tuoi sogni!- Matt chiuse
gli occhi e si portò una mano al viso stringendo un pugno
che voleva
dirigere verso quella faccia, mentre una presa si trascinò
al
braccio di Brian e lo costrinse a voltarsi.
-Che
diavolo sta succedendo qui fuori, maledizione? - Brian
scrutò gli
occhi azzurri di Zack che cercavano seri una risposta, e si
voltò
subito dopo contro il vocalist, che cominciò a disdire col
capo non
credendo alla piega che stava assumendo la discussione.
-Coraggio,
spiegaglielo cosa sta succedendo. Avanti, Matt! Spiega che cazzo sta
succedendo! -
-Gli
Avenged Sevenfold non sono solo il mio sogno. Hai qualche problema
con la band? Se vuoi gettare la spugna sei un trentenne libero di
prendersi le sue responsabilità, lo hai detto tu no? Lascia
la band
se non riesci a controllare la tensione!- la linea del collo si
articolò di vene pulsando per la tensione; calò
un profondo
silenzio che costrinse tutti a fissarsi finché Brian
tornò a
sbottare. Quasi volevano dimenarsi l'uno contro l'altro, e la
collisione non sarebbe stata una buona piega per nessuno di loro.
-Ho
bisogno di prendere aria. - Nonostante il tono freddo Matthew rimase
impietrito dal suo comportamento, e con un cenno del capo
acconsentì
al fatto che il loro chitarrista si sarebbe preso qualche altra pausa
da chissà quale commissione. Brian non disse nulla e si
dileguò; di
lui seguirono solo le ruote dell'auto sgommare gravemente per uscire
dal vialetto principale.
***
Slittando
con gli occhi dalla strada al telefonino in modo veloce prese a
ricomporre il numero per poi portarselo all'orecchio. Il fatto che
poco dopo lo scaraventò sul sediolino posteriore non
prometteva
nulla di buono. Brian si sentì in colpa di averla
allontanata per
colpa delle stupite paranoie di cui si era presa carico Michelle. Li
aveva allontanati, forse non voleva farglielo sapere ma lei non aveva
apprezzato la cosa. Eppure l'unica cosa a cui Brian poteva pensare in
quel momento fu quel bacio che si scambiarono in spiaggia, ed era
quello a cui aveva continuato a pensare a lungo. Era quello che aveva
fermato lo scorrere quotidiano della sua vita e lo stava facendo
scorrere di nuovo al contrario, all'intreccio perfetto delle loro
vite che si ricongiungevano. Adesso, del perché, seppur
d'amico,
dovesse rinunciare a lei, non riusciva a capirlo. Acconsentiva al
fatto di potrela semplicemente rivedere nelle serate fuori casa con
gli amici, al chioschetto, al bar, allo stage dei loro concerti.
Fuori il parco per una sigaretta, a ridere con i ragazzi, che cosa
metteva tutti contro di lui? E contro di lei?
Lanciò
un'occhiata sospetta allo specchietto retrovisore e
incanalarò la
dose di velocità, slittando lungo la via principale per
vedere forte
la pioggia cominciare ad infrangersi al parabrezza, prima piano poi
più forte, più forte fino a confordergli la
mente, fino a svuotarla
del tutto.
Le
ruote dell'auto s'impiantarono all'asfalto con violenza, sotto un
aglomerato di fango e ciottoli che infestò gli anfibi appena
scese
dall'abitacolo. Il cielo s'era fatto scuro nonostante l'orario e un
violento squarcio mosse quel tetro nero che vigilava sulle loro
teste, mentre Brian si allungava verso il vialetto della casa
bussando al citofono fuori impostato. Le finestre sembravano serrate,
non vi erano luci, eppure l'auto sostava nel lato di fianco il
sempreverde. Spostò il viso giusto per osservare gli angoli
del
giardino, afferrò tenacemente nei pugni il ferro del
cancello
d'entrata e lo scosse con forza.
-Jillian!
- chiamò, con la pioggia che gli scivolava sulla faccia e
gli
penetrava fra le labbra. Si strinse nella giacca di pelle, zuppa
d'acqua e prese a premere facendo pressione.
-Lo
so che ci sei, Jillian! Cazzo, parliamone! - si guardò
intorno come
a vedere quanto spazio ci fosse tra lui e la strada del viale.
-Non
ho paura di nessuno, si faccia avanti chiunque! Chiunque voglia
mettersi contro di noi! Avanti, Jillian! Lo so che pensi lo stesso!
Dimmelo, cazzo! - sfilò la giacca abbandonandola ai lati del
marciapiede e saltò contro la ringhiera. Con la forza delle
braccia
si tirò su, fino ad attraversarla atterrando molleggiando
sulle
ginocchia con un'espressione di puro sforzo. Si portò fuori
la porta
d'ingresso con fretta, recuperò un attimo di respiro, con la
t-shirt
che aderiva come una seconda pelle contro il petto carico di respiri
e sussulti.
-Jillian?
- battè contro la porta con un filo di voce, sapendo e
sperando lo
sentisse.
-Ti
prego, sono qui.. ho solo... solo bisogno di parlarti. -
aderì la
fronte contro il freddo dell'ostacolo che si parava fra di loro. I
capelli si incollarono contro il viso contratto da una nota di
rassegnazione, con la bocca che si curvò per l'insofferenza
dei suoi
sforzi andati in fumo, della forza che ci aveva messo per sopportare
fino a quel punto e tutte le volte che aveva lottato contro se
stesso. Per lungo, lungo tempo. Tutto era lì, a dividerli da
una
porta che non voleva saperne di aprirsi, che non voleva saperne di
dargli la possibilità di poterla odorare e toccare e
stringere per
almeno un attimo, e scaldare il suo corpo sormontato dai brividi e
dalla rabbia di aver fallito. Si allungò verso gli angoli
della casa
e si affiancò alle finestre, entrava appena la luce dei
lampi e il
frastuono scoordinato dei tuoni, mentre il silenzio regnava e il buio
si faceva spazio in ogni angolo della casa. Brian potè
notare la
cucina deserta, un lato del divano, forse scorse quella che sembrava
una televisione su un tavolino basso, di quelli da salotto.
La
pioggia cominciò a battergli sempre più forte
sulle spalle,
penetrava lungo la linea della schiena: era così fredda e
spietata
che gli ricordava quanto il suo corpo fosse invece carico di fervore
e pervaso da grande foga.
Tornò
sotto la tettoia dell'ingresso per ripararsi e si lasciò
scivolare a
terra con la schiena che attraversava gli spessi intagli del portone.
Estrasse il cellulare per riprovare a chiamarla, era l'ultima
possibilità che gli era rimasta.
Il
rumore del telefono risuonava in un silenzio che non lasciava spazio
ai pensieri, che racchiudeva al suo interno un mondo ovattato che
lasciava tutto fuori da quella porta. Poteva quasi sentire i suoi
respiri, erano affaticati e violenti, seguiva qualche colpo di tosse,
poi un sospiro. Jillian si accostò con la schiena contro il
freddo
metallo, poi rabbrividendo poggiò anche il proprio orecchio
contro
la superficie, per darsi la possibilità di sentirlo
apparentemente
più vicino. Non poteva, solo Dio sapeva quanto desiderasse
porre
fine alla stupida piega che avevano preso i loro incontri. Avrebbe
voluto lasciare tutti fuori da quella porta e restare con lui, al
caldo, per un'eternità terrena alla quale di suo non
credeva, ma che
avrebbe voluto conoscere insieme a lui. Giunse le mani come in
preghiera, sperando che andasse via, che smettesse di insistere nel
cercarla, nel poterla incontrare, nel sapere dove fosse. Che perdesse
le speranze in lei, che la odiasse se possibile, che la ritenesse la
causa della sua tristezza se necessario. Avrebbe preferito che lui le
dicesse di andarsene, di smetterla di giocare con gli altri, di
lasciarlo in pace. Eppure, eppure... era lì. L'attendeva,
sapeva che
lo stava ascoltando dietro lo spessore di quindici centrimenti di
metallo spesso, che solo lei avrebbe potuto interrompere il freddo
gelo che lo stava investendo in quel momento, e sperava che lo
facesse.
-Un
nuovo messaggio di segreteria. Bip.-
-Che
cosa stai aspettando? Che mi stanchi di rincorrere i fantasmi del
passato? Che impari a crescere? Credi veramente che non ci abbia
neanche provato? Cazzo, Jillian! Pensi che voglia farmi del male
apposta? Che voglia continuare a battere la testa al muro
finché non
me la apro, solo per il gusto di farlo? Sto per perdere tutto, e dopo
aver perso Jim, ho provato le stesse sensazioni che mi avevi lasciato
tu. Mi hanno riaperto una ferita che non so se vorrò tornare
a
cucire. -
Una
lacrima le percosse i lineamenti perfetti delle gote, fino a morire
sulla lingua attraverso le labbra socchiuse.
-Non
posso riuscirci. Forse avevi ragione, non potevamo sapere cosa Jimmy
avrebbe voluto, forse è proprio lui a dirmi di mollare.
Vuole
farmelo capire, ed io invece sto facendo di testa mia, come al
solito. Se fosse qui, mi prenderebbe per pazzo. Mi trascinerebbe
via... ma lui non c'è. Sei tu a decidere.. sta a te. Cosa
devo fare,
Jillian?-
Dovette
lasciar morire un singulto in gola, per non emettere neanche un suono
che avrebbe potuto tradirla. Doveva rimanere un tutt'uno con il
freddo silenzio che vigilava, essere il nulla, sopprimere la grande
forza di urlare e battere i pugni a terra.
-Già.
Forse anche tu ti chiedi perché dovresti scegliere per me..
del
perché io abbia paura di farlo di mio. Scegliere
è sempre stato uno
dei miei più grandi grattacapi, eppure le
possibilità sono solo
due: sì o no, giusto o sbagliato, bianco o nero, con o
senza. Quel
"no" mi spaventa a morte, Jillian. E anche quello
"sbagliato" e il "nero"... Dio, quanto mi
spaventa quel "nero".-
La
voce metallica dal telefono della segreteria si interruppe per un
attimo, tanto che Jillian spalancò gli occhi per scovare nel
buio un
segnale da parte dell'apparecchio. Un segnale che le dimostrasse che
lui fosse ancora lì, a farle compagnia e parlare per lei,
suscitarle
un'emozione, farle tremare il corpo.
-I-io..
- Jillian
avvertì qualche
tentennamento, una nota roca che morì poco dopo. Poi un
sospiro
lungo.
-Ti
ho amato troppo per dimenticare tutto. Ho provato mille brividi nella
mia vita, un'adrenalina tanto forte da bloccarmi il sangue nelle
vene, cazzo, ho sentito il freddo del nord paralizzarmi il corpo, un
concerto infuocarmi la mente. Eppure, puoi anche solo immaginare
quanto tutto quello che avrei dovuto provare davvero avrei potuto
averlo solo da te? Ti odio, maledettamente! Sei solo una maledetta
stronza! Sei stata la rovina della mia vita, amore mio.. -
Jillian
cominciò a sentire il respiro pesante infuocarle il petto,
che stava
per scoppiare per il battito fornessato che avvertiva all'altezza del
cuore.
-Anche
tu lo sei stato.. - mormorò a fior di labbra, sottratta per
un
attimo al corpo astratto del silenzio che l'aveva incorporata. Eppure
quel silenzio tornò, e prima che potesse accorgersene il
rumore di
ruote sull'asfalto le fecero tremare le palpebre e drizzare in piedi
di corsa, con un respiro impiantato in gola. Le mandate della porta
batterono con tale velocità, finché non fu fuori
in un lampo
correndo contro il muro di pioggia che le si parò davanti
come un
torrente in piena. Corse contro le ferriate e si scontrò con
il
freddo che soffiava sul viso bagnato, misto alle lacrime. Quando
riuscì a liberarsi, la strada era ormai deserta, con i
fanali rossi
dei freni che scomparivano oltre il confine della strada che andava a
cambiare colore, al battere frenetico dell'acqua illuminata dalla
luce giallastra dei lampioni. Non avvertiva neanche più il
tremolio
forsennato dei denti, le dita paralizzate, le gambe tremanti sotto il
peso di un corpo gracile.
-Brian..
- soffiò via. Era la soluzione giusta, alle sue risposte.
***
Il
pianerottolo era deserto, l'eco delle scale percorsq con la gomma
pesante degli anfibi risuonava contro le pareti in marmo, con al
seguito la scia di orme di fango che lasciava in giro
indifferentemente. Attese l'ascensore in un silenzio tombale, ancora
troppo scosso e infestato dai suoi dubbi e dalle sue controversie.
Mille, evanescenti gocce d'acqua si sparpagliavano sul suo corpo,
scivolavano via, morivano in silenzio all'altezza del pavimento, e
gli graffiavano la pelle del viso come schegge infuocate. Brian non
aveva la forza neanche di lavare via il fango dal corpo, la fuliggine
dalle unghia, la linea di matita nera dalla faccia, le sue uniche
forze le aveva spese nel continuare a convincersi che quella sarebbe
stata ormai l'ultima volta in cui avrebbe potuto sperare di vederla.
Probabilmente era andata via, mille, diecimila, centomila miglia
distante da lui. Grazie a Dio, il dolore sarebbe passato, dopo
l'ennesima volta in cui aveva sperato di poterla amare. Quando si
fermò innanzi la porta d'ingresso, dopo il campanellio
sconnesso
dell'ascensore, notò un'aria strana che gli contrasse la
faccia.
Haner
Di
Benedetto
La
targhetta di casa luccicava alla luce fioca della palizzata, ai neon
ingrigiti delle scale che quasi rischiarono di spegnersi per un
sussulto. C'era uno strano silenzio, glaciale quasi,
corrucciò
ancora di più la faccia e senza nessuna voglia di indagare
oltre
infilò le chiavi di casa sbloccando il chiavistello. Nessun
guaito,
neanche un rantolo si presentò ad accoglierlo: la casa
sembrava
vuota, e questo era chiaro dal fatto che Pinkly non fosse lì
alla
porta ad attenderlo.
-Pinkly?
- fischiò, sentendo il proprio suono risuanare fra le
pareti. Si
avviò all'entrata del corridoio buio, incurante del suo
aspetto da
vagabondo che rischia quasi una polmonite. Si sfilò la
giacca con un
gesto metallico, la fece scivolare a terra, si sporse con il capo
verso la sua stanza, quasi temette di penetrarvi, poi con grande
sforzo accese la luce illuminando la camera coniugale. Gli
sfuggì un
sospiro che lo costrinse a coprirsi gli occhi: a terra vi era qualche
cornice, e le porte degli armadi completamente spalancati, vuoti e
spogli al loro interno come se qualcuno avesse portato via
più roba
possibile.
-Michelle..-
chiamò alla fine, con un filo di voce, trascinandosi per
sedersi
pesantemente sul materasso comodo che lei amava tanto.
-Complimenti
Brian "Faccia di Merda", due in una sola serata. - esclamò
con un sorriso amaro a se stesso, riflettendo sul fatto che provare a
cercare Michelle sarebbe stato solo tempo sprecato. Ormai lo odiava e
ne aveva tutte le ragioni, Matt lo stava mettendo in guardia per il
semplice fatto che sapeva... sapeva quello che probabilmente aveva
avuto intesione di fare. Adesso che se ne era andata cosa voleva
significare? Se Brian avesse potuto si sarebbe preso a schiaffi, e
dato che poteva, lo fece per davvero.
***
Chi
sono? Dove sono? Perché? D:
Mi
ha beccato un così grande e forte casino mentale e privato
che mi
sono ritirata dalla scena per un altro po' e oggi ricapito qui quasi
per caso. Il capitolo era semipronto da un po', aveva qualche rigo da
correggere e qualche situazione da dettagliare al meglio ma la base
era più che presente. Posso dire di aver letto e riletto
fino allo
svenimento eppure spero vivamente che sia bastato a correggere
nonostante la stanchezza.
Fatemi
sapere il vostro stato di gradimento, mi sento arrugginita, ho
bisogno di voi! XD Forse sono troppo autocritica sulla scrittura, o
forse troppo poco: da soli è sempre difficile munirsi di
consigli e
miglioramenti. Se qualcosa non risulta chiaro sarò lieta di
rispiegarmi, non so perché ho questa strana impressione.
A
rivederci presto, più presto, prestissimo!!!
Baci
:*
Sux
Fans
|