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Ruka continuò a pigiare sull’acceleratore
del bulldog per mettere quanta più distanza possibile tra loro e l’accampamento,
e vani furono i tentativi di Mayu di convincerla a
tornare indietro a cercare Ashley e Sylvia.
«Come fai ad essere così tranquilla?» domandò Mayu ad Helen, notando la sua apparente imperturbabilità.
«La tua padrona, Sylvia, potrebbe essere morta.»
«Se è così, piangere e disperarsi non la farà
tornare in vita» rispose lei volgendo gli occhi verso i bambini raggruppati sul
fondo del veicolo. «Ora la priorità è portare in salvo questi bambini, che
Sylvia, Ashley, Viktor e la Signora Carmody hanno
difeso fino alla morte.»
Quindi, le sue labbra si piegarono in un
confortante sorriso.
«E comunque, sono sicura che la signorina ed Ashley
stanno bene. Dopo quello che hanno passato in questi ultimi venti mesi, ci
vuole ben altro per ucciderle.»
Purtroppo il bulldog aveva ricevuto una riparazione
di fortuna, sufficiente abbastanza per permettergli di muoversi, e fatto
qualche altro chilometro si ruppe un’altra volta, costringendo il gruppo a
fermarsi nuovamente.
«Maledetto ferrovecchio!» strillò la sua stessa
costruttrice assestandogli un calcione. «E dire che ti avevo progettato per
superarne di ben peggiori!»
«Puoi ripararlo?» domandò Mayu
«Sperando di aver portato via i pezzi necessari.» e
si mise subito al lavoro supportata da un paio di meccanici come lei.
L’occasione si rivelò propizia anche per fare una
conta di chi era riuscito a salvarsi, e il bilancio, malgrado tutto, fu
abbastanza confortante: i bambini orfani erano quasi tutti presenti, e così
anche molte Norma con le loro famiglie.
Il punto in cui il bulldog si era fermato, lungo una
strada sterrata che aggirava la collina prospiciente Sophia
per poi puntare verso nord, era sufficientemente riparato da risultare un buon
nascondiglio, ma anche abbastanza in alto da poter scorgere senza difficoltà
l’accampamento che, in lontananza, bruciava ancora, illuminando la notte come
un faro.
Vedendo quella luce vermiglia alzarsi nel mezzo del
nulla, a molti dei sopravvissuti venne da piangere; erano riusciti a salvarsi,
ma molti dei loro amici erano rimasti lì, uccisi da quelle macchine assassine.
«Detesto ammetterlo» disse Helen serrando i pugni.
«Ma forse quello che dicevano sul conto delle Norma non era del tutto
sbagliato. Quale essere umano sarebbe capace di compiere un simile massacro?»
«Non abbandoniamoci a facili colpevolismi, Helen»
la ammonì Mayu raggiungendola sul bordo della strada
sospesa sul precipizio dopo aver terminato la conta dei sopravvissuti. «Come
hai detto tu, per ora pensiamo solo a restare vivi.»
«Qual è il bilancio?»
«Oltre ai bambini, abbiamo con noi altri
venticinque superstiti. Ma forse qualcun altro è riuscito a lasciare Sophia in tempo.»
«Lo spero» rispose la cameriera guardando verso
l’accampamento che bruciava. «Lo spero con tutto il cuore.»
Sylvia non avrebbe mai immaginato di potersi risvegliare.
Mentre quel mostro d’argento la colpiva già si
vedeva nell’aldilà, di fronte a tutti coloro che erano morti quella notte, a
dover rendere conto della sua scelta sconsiderata di rimanere.
Invece, prima ancora di riaprire gli occhi, avvertì
un dolore generalizzato in tutto il corpo; il segno più tangibile del fatto che
fosse sopravvissuta.
Sentiva erba umida sotto di sé, e qualcosa di
ruvido dietro la schiena.
Lottando con l’intorpidimento, riuscì infine a
sollevare faticosamente le palpebre, e grande fu il suo stupore quando si rese
conto di trovarsi nel mezzo della foresta, probabilmente non troppo lontano da Sophia.
Qualcuno doveva averla spostata, poggiandola con
una certa delicatezza contro un albero pendente e mettendole delle foglie sotto
la testa.
Provò a mettersi in piedi, ma le girava ancora la
testa, e vedendosi circondata da rottami mezzi carbonizzati si domandò cosa mai
dovesse essere successo: l’ultima cosa che ricordava era quell’urto tremendo
contro il muro e il para-mail argentato che la sovrastava, ma per il resto non
aveva idea di come fosse finita lì.
Stava cercando di fare mente locale quando sentì un
rumore alla propria sinistra, e istintivamente mise una mano dietro la schiena
alla ricerca della pistola.
Ma non fece in tempo ad estrarla, perché di lì a
breve, da dietro un cespuglio, comparve l’ultima persona che si sarebbe
aspettata di vedere in un posto e in una circostanza simili.
Era una bambina. Di dieci, forse addirittura nove
anni. I capelli di un candido color lilla, quasi tendente all’argenteo, gli
occhi grandi e azzurri pieni di vita, i lineamenti delicati come quelli di una
bambola di porcellana.
Vestiva in modo semplice, con solo un abitino
bianco senza maniche che scendeva fino alle caviglie, quasi una camicia da
notte, bella da vedere malgrado gli strappi e le macchie. Ai piedi portava
delle scarpette da ospedale, bianche anch’esse, e teneva maldestramente in
mano, cercando di non rovesciarlo, un pezzo di corteccia vombato pieno
dell’acqua raccolta da un vicino ruscello.
Come la vide, Sylvia nascose immediatamente l’arma
dietro la schiena, guadagnandosi un’occhiata perplessa.
«Onee-san, sveglia!»
esclamò la bambina con un sorriso disarmante.
«O… onee-san!?»
ribatté Sylvia incredula.
Per nulla intimorita la bambina le si avvicinò,
porgendole la sua brocca improvvisata.
«Preso per te. Bevi. Starai meglio.»
Sylvia era effettivamente molto assetata, così,
malgrado quella situazione ai limiti dell’assurdo, accettò il dono della sua
insolita salvatrice, lasciando che l’acqua le scendesse lungo la gola
arrecandole un piacevole sollievo.
«Grazie» disse, ricevendo in cambio un sorriso.
«Come ti chiami?»
«Io, Mary. E tu?»
«Io mi chiamo Sylvia.»
«Felice conoscerti, Sylvia onee-san.»
Quella bambina sembrava l’ultima persona in grado
di vivere in un mondo come il loro, pensò Sylvia notando la sua espressione
felice ed innocente.
Di sicuro non era una superstite di Sophia, perché non ricordava di averla mai vista, ma allora
la domanda sorgeva spontanea.
«Mary, da dove vieni?»
«Io vengo da culla.»
«Culla?»
«Io dormito. Tanto tempo. Poi Eric onii-chan ha svegliato me. Ora noi viaggiamo verso nord.
Lui dice io al sicuro quando saremo a nord.»
«Al sicuro da cosa?»
«Non lo so. Ma lui dice molte persone cattive che
vogliono me. E così lui protegge.»
«È un bravo onii-chan
allora. Protegge la sua sorellina.»
«Lui migliore di tutti. Lui fa zac,
e poi bum, e tutti i cattivi scappano via.»
Vederla mimare sguaiatamente le prodezze di un
fratello a cui voleva palesemente un gran bene scaldava il cuore, e per un
attimo Sylvia quasi si perse ad ascoltare le sue storie.
Poi, però, il ricordo di quanto era successo prese
il sopravvento, e capì che non potevano restare oltre da quelle parti.
«Onee-san, tu no alzare»
disse Mary quando la ragazza, faticosamente, riuscì a rimettersi in piedi. «Tu
ancora debole.»
«Devo raggiungere i miei compagni. E sicuramente
quei para-mail ci stanno ancora cercando. Non posso restare qui. Tu invece è
meglio che torni dal tuo onii-chan.»
Al che Mary, dopo un attimo di smarrimento, abbassò
gli occhi come mortificata.
«Io non ricordo più dove sta Eric onii-chan. Temo io persa…»
Sylvia la fissò attonita.
«Ti sei persa?»
«Io vista luce nel cielo mentre onii-chan
dormiva. Entrata nel bosco e ho trovato te. Ma quando io andata a prendere
acqua, resa conto che io persa la strada.»
Ovviamente non era ipotizzabile di lasciarla lì da
sola nel bel mezzo del niente, così Sylvia si risolse a prendere l’unica
decisione possibile.
«Ascolta, vieni con me» le disse carezzandole
amorevolmente la testa. «Quando avrò trovato i miei compagni, ti aiuterò a
ritrovare il tuo onii-chan. D’accordo?»
Lei la guardò come perplessa, ma poi fece un cenno
di assenso.
«Sì. Anche Sylvia onee-san
sembra forte e buona, dopotutto. Io fido di te.»
Detto questo, e presa la bambina per mano, Sylvia
si incamminò in direzione di Sophia; sapeva di stare
andando in bocca al nemico, ma era anche l’unico modo per capire se qualcun
altro si fosse salvato.
Intanto, al campo, tutto era ormai finito.
Gli edifici erano tutti crollati divorati dal
fuoco, e di quella che sarebbe dovuta diventare la nuova capitale di Misurugi non rimaneva ormai che un inferno di fuoco e
cenere circondato da un recinto di lamiere arroventate; quelle mura sarebbero
dovute essere una difesa per gli abitanti contro i pericoli esterni, e invece,
per molti di loro, si erano trasformate in una trappola.
Le strade erano un tappeto di corpi senza vita:
uomini, donne, bambini e vecchi.
Nessuno era stato risparmiato.
Terminato il massacro, i para-mail si erano posati
per la maggior parte a terra, con solo un piccolo gruppo rimasto a sorvegliare
il perimetro, ma era stato solo allora che il vero orrore aveva avuto inizio.
I tre comandanti atterrarono uno accanto all’altro
nella piazza centrale, ed la prima a scendere fu la Norma che pilotava il
para-mail nero: era molto bella, coi capelli neri e grandi occhi scuri, ma al
tempo stesso nel suo sguardo dimorava una fredda, quasi glaciale
determinazione, tale da lasciarla indifferente al macabro spettacolo che aveva
di fronte.
Di tutt’altro genere erano invece le emozioni che
trasparivano dagli occhi verde smeraldo della pilota del para-mail vermiglio, una
giovane a prima vista poco più anziana delle sue due compagne, con lunghi
capelli rosati raccolti in una coda sopra la nuca e un fisico scolpito, quasi
da modella.
«L’area è sicura» disse la mora alla radio. «Date
inizio al recupero.»
I due aerei cargo che avevano lanciato i
paracadutisti a quel punto atterrarono a loro volta, e da essi scesero una
ventina di Norma armate di una specie di enorme siringa elettronica collegata
con un tubo ad una sorta di zaino portato dietro la schiena.
Uno ad uno, cominciarono a dissanguare tutti i
corpi, trafiggendoli con i loro apparecchi ed assorbendo loro, oltre al sangue,
anche tutti gli altri liquidi, lasciando dietro di sé niente altro che corpi
mummificati e scheletrici che poi venivano carbonizzati da alcuni loro compagni
provvisti di lanciafiamme.
A quella vista, la ragazza dai capelli rosa
distolse lo sguardo, e delle lacrime sembrarono comparire nei suoi occhi.
«Controllati, Jamie» la
rimproverò la mora
«Possibile che non ci sia davvero altra soluzione, Yuko? Voglio dire… stiamo
massacrando persone innocenti.»
«Lo sai bene che questa è l’unica possibilità che
abbiamo. Ne va’ del destino di noi tutti.»
«Però… pensare di dover fare
una cosa del genere… cosa ci rende degni di essere
salvati se ci comportiamo così?»
«Mettiamola così, è una questione di vita o di
morte. È vero, uccidiamo delle persone, ma ne salveremo infinitamente di più
quando tutto questo sarà finito.»
«Forse, ma a quale prezzo?»
Yuko poi rivolse la sua
attenzione alla donna dai capelli d’argento, intenta a fissare il proprio
para-mail con aria decisamente contrariata; l’esplosione del razzo alla fine
non era stata troppo grave, ma aveva provocato un’ammaccatura molto vistosa e
annerito parte della fusoliera, oltre a danneggiare sensibilmente la
manovrabilità del braccio destro.
«Quella schifosa sgualdrina me la pagherà.»
«È solo colpa tua, Ingrid. E comunque, hai
contravvenuto un’altra volta agli ordini. Svolgere la missione che ci è stata
assegnata è un conto, ma non comportarti sempre in modo tanto sadico. È già
vergognoso quello che siamo costrette a fare, ma scherzarci addirittura su come
stavi facendo con quei bambini và oltre ogni buon senso.»
«Loro hanno avuto buon senso quando hanno distrutto
le nostre vite e fatto di noi carne da cannone?» strillò lei con gli occhi
fuori dalle orbite «Quel che è fatto è reso!»
«Comandante Ingrid!» disse uno dei para-mail al suo
servizio tornando in quel momento da un giro di perlustrazione. «Ho trovato
delle tracce di veicolo che si allontanano in direzione nord.
Deve trattarsi di quel blindato che è fuggito.»
«Che cosa!?» esclamò la donna sorridendo
malevolmente. «Perfetto! Raduna le altre!»
Detto questo, e restando sorda ai richiami di Yuko, Ingrid risalì in tutta fretta sul suo para-mail,
allontanandosi a gran velocità seguita da tre sue compagne.
«Vado con lei» disse Jamie
prima di andarle dietro. «Quella quando si scatena non la fermi più.»
«Buona idea. Almeno a te qualche volta dà retta.»
A bordo del bulldog, le riparazioni stavano andando piuttosto a
rilento.
Mayu aveva ordinato di
fare il massimo silenzio e spegnere tutte le luci non necessarie, perché
malgrado fossero relativamente lontani e ben coperti dalla vegetazione il
rischio di essere notati dal nemico c’era ancora, così a parte lei, i meccanici
e qualche vedetta tutti gli altri sopravvissuti erano tornati all’interno del
blindato, immersi nell’oscurità.
I bambini in particolare erano comprensibilmente
agitati, e si guardavano tra di loro alla ricerca di un conforto.
«Sylvia onee-chan non
tornerà, vero?» disse ad un certo punto una piccola Norma
«Non ditelo neanche per scherzo» li ammonì Hilda vedendo come tutti si stessero lasciando prendere
dallo sconforto. «Sono sicura che Sylvia-sama è
ancora viva! Lei tornerà, senza alcun dubbio.»
«Però… Mayu onee-chan e gli altri dicono
che è precipitata nel bosco assieme ad Ashley onee-chan,
e che quei mostri le hanno colpite.
Se è così…»
«Vi dico che Sylvia-sama
tornerà. Ne sono sicura. Lei è più forte di quei barbari senza cuore.»
Nel mentre, all’esterno, la situazione non
accennava a migliorare.
«Quanto vi manca ancora?» domandò Mayu per l’ennesima volta. «Qui siamo troppo esposti.»
«Qualche altro minuto e dovremmo quantomeno
riuscire a muoverci» rispose Ruka senza sospendere il
lavoro. «Rimettere insieme i pezzi di questo mostro non è esattamente come
cambiare le candele di una macchina.»
Sylvia non riusciva a capire come fosse possibile, ma dopo appena
pochi minuti da che lei e Mary si erano messe in cammino il dolore che le aveva
augurato il buon risveglio era quasi completamente sparito.
Per non parlare delle ferite; per qualcuno che, a
sentire Mary, era caduto dal cielo, salvandosi probabilmente solo grazie ai
rami degli alberi che avevano attutito la caduta, se l’era cavata davvero con
poco.
Ma per il momento questo non aveva importanza: ciò
che contava era ritrovare i suoi compagni, a tutto il resto ci avrebbe pensato
in seguito.
Dal canto suo Mary si stava rivelando una persona
davvero particolare. La sua semplicità era a tratti disarmante, quasi non si
rendesse conto del mondo corrotto e ostile in cui viveva.
«Quindi» domandò Sylvia ad un certo punto. «Tu non
ricordi niente? I tuoi genitori? La tua casa?»
«Io niente ricordare prima di risveglio da culla»
rispose lei avvilita. «Primo ricordo che io ho è volto di Eric onii-chan. Lui svegliato me.»
«Capisco. Mi dispiace.»
«Tu no deve essere triste. Io no triste. Eric onii-chan è bravissima persona. Lui detto porta me da altre
brave persone.»
«Tu vuoi molto bene al tuo onii-chan,
vero?»
«Conoscere lui da poco, ma io so che lui è molto
buono. Lui difeso me tante volte in questi mesi, ma mai ucciso nessuno. Lui
dice che uccidere è brutta cosa.»
«È un pensiero giusto. Purtroppo, alle volte,
uccidere diventa l’unica soluzione possibile, anche se non si vorrebbe mai
farlo.»
«Eric onii-chan dice che
lui ucciso in passato, ma ha giurato di non farlo più. E lui sta mantenendo
promessa.»
Camminavano al buio, guidate solo alla luce delle
stelle, e Sylvia prestava la massima attenzione ad ogni più piccolo rumore, nel
timore di veder ricomparire da un momento all’altro quelle macchine infernali.
Per questo, quando avvertì un tremolio tra alcuni cespugli accanto al sentiero,
fu lesta a prendere la pistola, portando con uno scatto del braccio Mary alle
proprie spalle per tenerla al sicuro.
Nello stesso istante, però, un’altra arma comparve
dall’oscurità, puntata su di loro, ma riconoscendone il proprietario la ragazza
spalancò gli occhi per lo stupore.
«Allora ce l’hai fatta anche tu» digrignò i denti
Ashley prima di crollare in ginocchio, sfinita dalla fatica.
Le ferite in tutto il corpo e i vestiti anneriti dicevano
che doveva essersela vista davvero brutta, ma era risaputo che ci voleva ben
altro per uccidere l’indistruttibile Ashley Lescott,
l’unica Norma nella storia ad essere mai riuscita a fuggire da Arzenal.
«Giuro che non mi lamenterò mai più dei
combattimenti contro i draghi» disse mentre Sylvia cercava di aiutarla.
«Affrontare altri para-mail è tutta un’altra cosa, porca miseria.»
«Come ti senti? Riesci ad alzarti?»
«Onestamente mi domando come ho fatto a venirne
fuori. Quando c’è stata l’esplosione la cabina di guida è rimasta
miracolosamente intatta, ma sono andata giù come una meteora. Per poco non sono
anche finita in un precipizio. Ho fatto appena in tempo a uscire da quella
trappola mortale, e subito dopo quello che restava del para-mail è bruciato
fino alla cenere.»
«Mi dispiace che io no potere aiutare te» disse
Mary mortificata aiutandola a sua volta a stare in piedi. «Ma usata tutta mia
forza per aiutare Sylvia onee-chan.»
«Non preoccuparti. La nostra Ashley non morirà
certamente per così poco.»
«Scusa la domanda fuori luogo, ma chi è questa
ragazzina?»
«È una lunga storia. Te la racconterò in un altro
momento. Ora dobbiamo scoprire se possiamo ancora salvare qualcuno.»
«Mayu e gli altri sono
riusciti a scappare, e non dovrebbero essere troppo lontani. Poco prima di
venire abbattuta ho visto il bulldog allontanarsi verso la collina a nord.»
«E allora sbrighiamoci. Quando sorgerà il sole sarà
meglio essere il più lontano possibile da qui.»
Le due ragazze quindi si misero in marcia.
La collina dove secondo Ashley il bulldog si era
diretto non era troppo distante, e infatti nel giro di qualche ora vi furono
praticamente a ridosso, con solo poche centinaia di metri a separarle dalla
vecchia strada che sicuramente le loro compagne avevano imboccato per cercare
di passare la catena e dirigersi a nord.
Il problema semmai era capire se le avevano
aspettate, o se invece avessero scelto di proseguire, ed in quel caso
significava che da quel momento erano sole.
Stavano per iniziare la salita, quando, come un
fulmine a ciel sereno, una luce si levò proprio dalla strada sopra le loro
teste, puntando con fare incerto prima nel cielo e poi direttamente sulla
foresta.
«Ma cosa…» imprecò
Ashley, abbassandosi per sfuggire al cono luminoso
«Lo riconosco, è il faro di segnalazione del
bulldog!» esclamò Sylvia. «Forse ci stanno cercando!»
«Sono impazzite!? Così si faranno vedere anche dai
para-mail!»
Hilda alla fine aveva convinto anche gli
altri bambini che Sylvia era viva, e che perciò dovevano assolutamente
ritrovarle.
Così, di nascosto, lei e alcuni altri erano saliti
sul tetto del bulldog, e armeggiando un po’ con i comandi Hilda
era riuscita ad accendere l’enorme faro a torretta girevole, puntandolo subito
non senza qualche difficoltà verso il bosco sottostante alla ricerca di qualche
segnale, qualche movimento; qualunque cosa potesse essere segno della presenza
della loro leader.
Come Mayu e gli altri se
ne accorsero, sudarono freddo.
«Che state facendo!» strillò Ruka
arrampicandosi in cima e strappando letteralmente i cavi di alimentazione.
«Spegnetelo subito!»
«Ma dobbiamo trovare Sylvia onee-san…»
tentò di protestare Hilda
Ma era troppo tardi.
Una luce così forte in una zona dominata dall’assoluta
oscurità non poteva passare inosservata, e come la vide accendersi sui bordi
della collina anche gli occhi di Ingrid si illuminarono di un bagliore
sinistro.
«Trovate» sogghignò. «Andiamo!»
Come avvoltoi su di una carcassa, nel giro di pochi
attimi Ingrid e le sue tre subalterne furono addosso al bulldog, il quale
fortunatamente nel frattempo era stato completamente riparato.
«Presto, entrate!» urlò Ruka.
Ingrid era così eccitata e fuori di sé che per poco
un missile terra-aria non la centrò in pieno, ma all’ultimo momento Jamie riuscì ad intercettarlo e ad abbatterlo con un preciso
colpo di fucile.
«Ingrid, sei troppo vicina!»
«Levati dai piedi, loro sono miei!»
Il bulldog intanto era partito a tutta velocità,
sparando nel contempo tutto quello che aveva in direzione degli inseguitori, ma
la sua mole e la strada stretta lo rendevano talmente lento che per Ingrid e le
altre non era un problema riuscire a stargli dietro.
«In altri tempi mi sarei eccitata ad inseguirvi, ma
stavolta mi avete fatto proprio girare le palle!»
Così, senza perdere altro tempo, Ingrid sparò
subito una coppia di missili.
«Andate all’inferno!»
Fortunatamente il bulldog era provvisto di un
sistema elettronico di emergenza che entrò subito in funzione, producendo una
nube elettromagnetica che disturbò il segnale dei missili deviandone la
traiettoria; purtroppo, pur andando fuori controllo, i due ordigni proseguirono
la loro corsa in un’altra direzione, oltrepassando il veicolo per poi andare ad
infrangersi sulla strada poro più avanti e portandosela via.
Ruka riuscì a fermarsi
appena in tempo, con le ruote anteriori e il muso del bulldog che si
ritrovarono sospesi sull’abisso, ma a quel punto ogni via d’uscita era
preclusa.
«Fine dei giochi, belle mie. E adesso facciamo i
conti.»
«Non esagerare, Ingrid» la ammonì Jamie. «Ci serve la loro energia.»
«Ci basta il loro sangue, che i corpi rimangano
interi è secondario!»
Dei due phalanx solo
quello di prua aveva ancora munizioni, che pur riuscendo a distruggere uno dei
para-mail di scorta venne a sua volta fatto esplodere da uno dei suoi due
compagni.
Uno dei superstiti, in preda al panico, aprì la
porta cercando di fuggire, ma Ingrid gli arrivò sopra, arpionandolo con
entrambi i guanti corazzati ed alzandoselo sopra la testa per poi squartarlo
orribilmente, lasciandosi inondare da una pioggia di sangue.
«Stupendo! Davvero stupendo! Non c’è colore più
bello al mondo di questo!»
Ruka e gli altri non
poterono fare altro che osservare inorriditi, consapevoli che fosse ormai la
fine.
Ingrid, ancora ricoperta di sangue, si alzò verso l’alto,
pronta a vibrare il colpo di grazia.
«Andate all’inferno!»
In quel momento, Sylvia, Ashley e Mary raggiunsero
la strada, ma erano troppo lontane per poter fare qualcosa, né Ashley né Sylvia
avevano le armi necessarie a fermare quel bestione.
Così, tutto quello che poterono fare fu restare
immobili ed impotenti ad osservare.
Ma non Mary.
«Aiutali, mia luce!» urlò distendendo il braccio.
Si udì un suono, come una specie di fischio, poi vi
fu un bagliore.
Poi, d’incanto, una gigantesca barriera circolare
si frappose tra il bulldog ed il para-mail, e Ingrid, colta completamente di
sorpresa, vi andò a sbattere contro, ritrovandosi intrappolata come all’interno
di un campo magnetico.
«Co… cosa!?» esclamò
attonita
Dopo averla intrappolata, la barriera allo stesso
modo la respinse, non prima però di aver provocato una scossa elettrica tale da
provocare un corto circuito all’interno del para-mail friggendo letteralmente i
comandi del braccio destro; quindi, come era apparso, si dissolse, mentre nella
zona si abbatteva un silenzio tombale carico di stupore.
Come lo scudo si dissolse Mary fece per cadere riversa
a terra apparentemente svenuta, venendo però raccolta al volo da Sylvia.
«Non ci credo» esclamò. «Questa ragazzina…
ha il mana!?»
Nota dell’Autore
Eccomi qua a tempo di
record!^_^
Questo capitolo in
pratica è quello che ha ispirato la nascita stessa della mia storia, di
conseguenza scriverlo è stato particolarmente semplice.
Ora però sono
costretto a prendermi qualche giorno di tempo. In primis, perché dovrò prima di
tutto tradurlo in inglese per postarlo su di un altro sito, in secondo luogo perché,
su suggerimento di un amico, approfitterò di questo lungo ponte per iniziare a
scrivere un’altra breve fan fiction.
Grazie come sempre a Taiga per i suoi suggerimenti e le sue
recensioni.
Ps. Lo strano modo di parlare di Mary è
volutamente ispirato a quello di Chaika!^_^
A presto!^_^
Carlos Olivera