11. Who (part 2)
Dora si risvegliò di soprassalto, scattando a sedere,
ansimando rumorosamente e guardandosi intorno a occhi sgranati.
«Calma, è tutto okay» le
sussurrò Remus, mettendole le mani sulle spalle. Lei lo
fissò per qualche secondo, cercando di elaborare
ciò che stava accadendo. Fino a cinque secondi prima, si
aspettava di cadere all’infinito nel buio. Era stato un suo
incubo ricorrente, quand’era bambina, ma la consapevolezza di
essere in un mondo totalmente fittizio e che alle spalle si lasciava
mali ben peggiori l’aveva tranquillizzata. Poi il buio aveva
cominciato a sgretolarsi, facendo spazio a un bianco accecante; era in
quel momento che la Tassorosso aveva cominciato ad andare nel panico.
«Dove siamo?» chiese Dora, distogliendo con un
po’ di fatica lo sguardo dal volto di Remus.
«Nel labirinto… quello vero, stavolta»
rispose un’altra voce. James era appoggiato con la schiena al
muro e giocherellava con la bacchetta con sguardo assente. Solo in quel
momento Tonks notò gli altri e vide che Lily stava parlando
a bassa voce con Emmeline, che aveva gli occhi sgranati e fissava il
vuoto, e Sirius si guardava intorno, digrignando i denti e assumendo
un’espressione sempre più di disperata.
«È molto poco labirintico, ma molto più
concreto».
Dora ci mise qualche secondo per capire che quello che stava parlando
doveva essere John. Incrociò di nuovo lo sguardo di Remus e
lui scosse leggermente la testa, facendole capire che non era il
momento adatto. La Tassorosso non si sentiva affatto
d’accordo ma decise di fare come diceva e si
guardò intorno.
Erano in una caverna circolare di pietra nera all’apparenza
naturale, al contrario dei mattoni ben definiti che componevano il
“falso” labirinto, e la luce proveniva da tre torce
dalla fiamma azzurrina e, dalla parte opposta a cui si trovava, un
corridoio conduceva a un’altra sezione del dedalo.
«Dai, ti aiuto ad alzarti» le disse Remus, con un
mezzo sorriso, porgendole una mano. Lei la prese e si
puntellò sui talloni. Anche dopo che si fu alzata (e che fu
quasi caduta dalla parte opposta), il ragazzo non accennò a
lasciarla. Dora gli strinse la mano con dolcezza, cercando di
comunicargli un po’ del suo supporto.
Sirius, intanto, si faceva sempre più irrequieto.
«Dov’è Mary?» chiese, alla
fine, passandosi una mano sui capelli. «Perché non
è qui con noi?».
«Mary si è già svegliata»
disse Remus. Sirius aggrottò all’istante le
sopracciglia e lo guardò fisso, chiedendogli spiegazioni
senza aprire bocca. «Ho incontrato Piton… anzi,
Loki»
guardò John per qualche secondo ma quello si
limitò a esaminarsi le unghie con noncuranza. «Mi
ha riferito che Mary è riuscita a spezzare
Nightmare ma ha
anche detto che, testuali parole, ora “non è
più la stessa” … o una cosa del
genere».
«Quindi che significa?» chiese Sirius, confuso.
«Che quasi sicuramente se l’è presa
Phobos per preparare una trappola per noi» spiegò
John. Sirius digrignò i denti e aprì la bocca
come per insultarlo, ma quello lo fermò con un gesto della
mano. «Sta’ tranquillo, sicuramente è
viva. Non posso essere sicuro che sia incolume, ma è senza
dubbio viva».
«E perché dovrebbe? Non sarebbe più
facile ucciderla subito?» chiese Emmeline, in un sussurro
udibile solo grazie alla leggera eco della camera. Dora si
voltò nuovamente a guardarla: la ragazza tremava ancora
terribilmente ed era seduta a terra ma lo sguardo era diventato
più sveglio. Non sapeva cosa avesse affrontato nella
magione, prima che lei e Sirius arrivassero, ma avrebbe voluto davvero
aiutarla; la conosceva così poco, tuttavia, che non si
mosse, temendo di peggiorare la situazione.
«Perché altrimenti non sarebbe una
trappola» rispose una voce risoluta, proveniente dalla tasca
della Tassorosso che, frettolosamente, prese lo specchio.
«Un punto per la Tonks in miniatura»
esclamò John. Dora, Evelyn e Lily lo fulminarono con lo
sguardo contemporaneamente, ma il ragazzo le ignorò.
«Ma che senso ha tutto questo?» chiese Emmeline,
mentre delle lacrime cominciavano a formarsi agli angoli dei suoi
occhi. «Prima era Regulus, poi Mary ha detto che non era lui,
è comparso e ci ha addormentate con…
quella cosa. E
adesso mi dite che questo tizio ha una
cosa dentro di
sé come James («Ehi, vacci piano con le parole!
Non sono una
cosa!»
borbottò John, offeso) e che ha tipo i superpoteri e
che… Cosa
cazzo
sta succedendo?».
Dora lasciò la mano di Remus e si chinò accanto
alla Grifondoro, «Em, anche noi non capiamo quasi nulla di
tutto questo casino: molte poche cose sono chiare e la maggior parte ci
vengono tenute nascoste. Quello di cui posso essere sicura,
però, è che quello che dobbiamo affrontare
è solo un altro ennesimo figlio di puttana comparso da
chissà dove solo per renderci le vite un inferno. E,
credimi, una vita mi è bastata e non ho la minima intenzione
di ripetere di nuovo l’esperienza né farla vivere
a voi. Tutti noi, in questi pochi giorni, abbiamo visto cose che
dovrebbero essere impossibili e ci stiamo facendo migliaia di domande,
ma adesso non abbiamo tempo per rispondere. Quindi tutto ciò
che possiamo fare è pazientare un po’ e
concentrarci sull’unica certezza che abbiamo…
prendendo a calci in culo quel bastardo».
Emmeline la guardò per qualche secondo, poi fece un mezzo
sorriso e annuì. Dora fece un gran sorriso e le strinse una
mano. Vide Lily ringraziarla con lo sguardo mentre si alzava.
«Quindi che si fa ora?» chiese la ragazza.
«Direi di seguire il suggerimento di Ninfadora»
disse Remus, lanciandole un’occhiata veloce.
«Facciamo fuori Dolohov… per la seconda
volta».
«E la battaglia finale ebbe inizio» fece John,
solenne.
«E con lui?» chiese Sirius, scrutandolo con
attenzione.
«Potrebbe servirci» disse Lily. «Per il
momento è dalla nostra parte e il suo potere ci farebbe
comodo».
«Sei sicura che possiamo fidarci?» le chiese Remus,
indeciso.
«Mi ha salvato la vita» rispose lei, con sicurezza.
I due si guardarono per qualche secondo e Dora avvertì una
leggera punta di gelosia, che ignorò facilmente. Alla fine,
Remus annuì.
«Evvai! Avevo proprio voglia di battermi un
po’» esclamò quello, tutto contento.
«Una volta finito tutto, però, non azzardarti a
sparire» ordinò Remus. «Ci hai nascosto
molte cose e mentito su altrettante: Dora ha completamente ragione, ora
non abbiamo tempo, ma più tardi risponderai a parecchie
domande».
«Sissignore!» fece John, mettendosi
sull’attenti e facendo il saluto.
«E James?» chiese Sirius, preoccupato.
«Tranquillo, lui è sveglio e vede tutto quanto. Ha
deciso lui di farsi dare il cambio, quindi l’ho sistemato in
tribuna d’onore» rispose John, con un sorriso a
trentadue denti fastidiosamente simile a quello di Allock. Lily, a
quelle parole, chinò leggermente la testa e
guardò a terra, come vergognandosi di qualcosa.
«Ragazzi, non vorrei fare la guastafeste
ma…» cominciò Eve.
«Ma?» chiese Dora.
«Ma avete solo tre ore, quindi dovete sbrigarvi»
concluse David, comparendo a un lato dello specchio. Gli altri ragazzi,
escluso Remus, lo riconobbero e lo salutarono con sorpresa.
«Abbiamo dormito per nove ore?» chiese Sirius,
stupefatto.
«Già» rispose Eve. «E la cosa
più strana è che anche io sono stata colpita
dall’incantesimo».
«La cosa più strana è che sono stato
colpito anch’
io,
che sono entrato mentre era già in atto e non mi sono reso
conto di niente» replicò l’altro.
«Ragazzi!» li riprese Lily, facendoli zittire.
«Domande e risposte: dopo. Smaciullamento del bastardo: ora.
Chiaro?».
«“Smaciullamento”?» chiese Eve,
trattenendo una risatina.
«Sta’ zitta, tu!» esclamò
quella, piccata, arrossendo leggermente sulle orecchie.
«Ehi, aspetta un secondo» mormorò Remus,
prendendole la mano. Dopo una mezz’oretta di riposo, in cui
il ragazzo si era fatto sempre più dolorante a causa della
vicinissima luna piena (la Pozione Antilupo non stava affatto attenuando i
dolori della malattia), tutta la truppa si stava dirigendo nel
corridoio adiacente, pronti a combattere e con un piccolo piano in
mente che alla Tassorosso non piaceva assolutamente.
«Che c’è?» chiese lei,
preoccupata che qualcosa non andasse.
«Niente… è solo
che…».
«Dimmi» lo incoraggiò.
«Quando mi trasformerò, prendi tutti quelli che
puoi e andatevene… per favore» disse Remus, quasi
supplicandola con lo sguardo. «Non voglio che mi
vediate… che tu mi veda fare… certe
cose».
Lei lo guardò qualche istante, poi gli prese il volto fra le
mani e lo baciò. Lui rimase interdetto per qualche istante,
poi rispose mettendole le mani attorno alla vita e avvicinandola a
sé.
«Immagino di aver perso» mormorò lui
dopo qualche secondo. Lei lo fissò negli occhi verdi che di
lì a poco sarebbero diventati dorati.
«Abbiamo cominciato questa cosa tutti insieme. La finiremo
allo stesso modo» dichiarò. Lui la
baciò nuovamente.
Avrebbero potuto andare avanti forse all’infinito, se John
non avesse esclamato: «Ehi, stiamo per andare in battaglia!
Se non volete venire con noi, perlomeno andate a prendervi una camera a
Hogsmeade: farlo qua dentro sarebbe davvero squallido!».
I due si separarono e si osservarono per qualche istante.
«Lo ammazzo quando finiamo con Dolohov»
dichiarò Dora.
«Ti do una mano» concluse lui, incamminandosi con
le sopracciglia aggrottate.
Il corridoio terminava una decina di metri più avanti in una
grande camera circolare, monocromatica come il resto. Le fiaccole ne
illuminavano tutto il perimetro privo di altre uscite; per il resto, la
stanza era completamente vuota. I ragazzi entrarono, guardandosi
intorno con circospezione e sguainando le bacchette.
«Solo a me preoccupa il fatto che non ci sia
nessuno?» chiese Sirius, setacciando più volte la
sala con lo sguardo. Remus aggrottò le sopracciglia ma non
disse nulla, pensando a quante volte l’Istinto di Felpato si
fosse rivelato esatto: era quasi sicuro che questa volta lo sarebbe
stato altrettanto.
«Non ne sarei così sicuro» risponde
John, guardandosi intorno anche lui. Aveva un’aria molto
più rilassata degli altri, con le mani affondate nelle
tasche dei pantaloni del completo e l’immancabile ghigno
malizioso. Tuttavia, aveva lo sguardo assottigliato e, a osservarlo
bene, la mascella gli tremava leggermente. Remus non sapeva se fosse
per paura o per l’eccitazione per lo scontro.
«Phobos è furbo e tiene segrete parecchie delle
sue abilità. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere
già qui».
«Rassicurante» replicò Lily a denti
stretti, lanciando un’occhiata a Emmeline accanto a lei che,
probabilmente ancora per poco, manteneva saldi lo sguardo e la
bacchetta.
«Vuoi essere rassicurata?» fece il
daimon, fingendo
innocenza. «Oh, be’, allora non preoccuparti! Non
c’è nessun essere magico pronto a ucciderci tutti,
assolutamente no! Non c’è niente di cui aver
paura!».
Una Fattura Tagliente gli passò accanto
all’orecchio, facendolo voltare di scatto. Dora lo stava
squadrando con gli occhi che riservava solo ai peggiori criminali
quando era in procinto di arrestarli. John si limitò a
sorridere con fare strafottente.
«Comunque» proseguì.
«L’ultima frase può essere anche un buon
consiglio».
«Sul serio?» fece Sirius, voltandosi verso di lui
con aria scettica. «Fingere che non stia accadendo nulla
sarebbe la nostra chiave per la vittoria?».
«Fossi in te non mi girerei così velocemente,
rischi che il cervello ti esca dall’orecchio» disse
John. Remus trattenne Sirius per una spalla, facendogli cenno di
lasciarlo fare. Quello non era momento né luogo adatto per
una lite fra alleati. «Il potere di Phobos si basa sulle
paure che già si hanno, amplificandole. Se non si ha paura,
Phobos non ha potere. Quindi sì, cucciolo, il mio consiglio
è “
non
c’è niente di cui aver paura”».
«Tranne che della Paura stessa» concluse Emmeline,
in tono tetro.
«Dovresti far poesia, sai? Sei molto portata»
commentò John, con il suo solito sorrisetto. Lily gli fu
davanti all’istante, la bacchetta puntata sotto il mento del
ragazzo mentre sembrava cercare di bruciarlo con lo sguardo.
«Adesso basta» sibilò. «Non
un’altra parola».
John sembrò voler dire qualcosa, ma si limitò ad
alzare le mani, sorridendo, e a mormorare: «Come desideri,
principessa». Lily si staccò da lui rapidamente,
continuando a fulminarlo con gli occhi.
«David?» chiamò Remus. «Come
sta procedendo?».
«Abbastanza bene» rispose la voce del Corvonero
dalla tasca di Dora. «Mi sto aggrappando alla scia di etere
che collega i due specchi: sono abbastanza sicuro di riuscire a
trovarvi entro una decina di minuti».
«Bene, quando ci riesci faccelo sapere» disse il
ragazzo.
«Ehi…» chiamò Evelyn.
«Sì?» chiese Dora, con dolcezza,
estraendo lo specchio dalla tasca e guardando il volto preoccupato
della sorella che evitava i suoi occhi. Eve si morse un labbro,
guardando verso gli schermi del Laboratorio, titubante.
«Niente» disse, infine. «Non
importa…».
«Va bene…» fece la Tassorosso, un
po’ perplessa. «Torneremo presto, okay?».
«Okay» rispose Evelyn, a occhi bassi, spegnendo poi
lo schermo. Dora lanciò un’occhiata preoccupata a
Remus, che fece una smorfia triste ma non disse nulla.
«Meglio dare un’occhiata in giro, magari troviamo
qualcosa» suggerì Lily, facendo qualche passo
avanti. Gli altri, alcuni annuendo, cominciarono a guardarsi intorno,
avvicinandosi alle pareti di pietra solida e controllando pavimento e
soffitto.
«Potrebbe essersene andato» disse Emmeline,
insicura.
«Non credo» rispose John, inaspettatamente serio.
«Ci ha attirati qui per un motivo, e sicuramente non
è quello di farci perdere tempo».
«Perché no?» replicò invece
Sirius, come se avesse appena ricevuto l’illuminazione del
secolo. «Dopotutto noi siamo gli unici nella scuola che sanno
che ci sono
loro:
toglierci di mezzo per un po’ significherebbe attaccare una
scuola indifesa!».
«Adesso però non ti mettere a scodinzolare,
eh» lo rimproverò John, guadagnandosi un ringhio
dal giovane Black.
«No, non può essere così»
disse Remus, amaramente. Continuò prima che Sirius potesse
aprire bocca, notando la sua faccia offesa. «Ai
daimon non
interessa la scuola, il loro obbiettivo… siamo io e Dora,
probabilmente. Da quanto ho capito, vogliono farci fuori». Si
voltò verso Emmeline con occhi tristi. «Avrei
dovuto dirlo prima ma… mi dispiace che tu e Mary siate
finite in mezzo a questa storia. Non potevo immaginare che sarebbe
accaduto qualcosa del genere».
John sembrò voler dire qualcosa, ma chiuse la bocca a
un’occhiataccia di Lily. Emmeline, invece, sembrava non aver
nemmeno ascoltato l’ultima frase, sembrava, piuttosto,
pensierosa.
«Invece non penso sia solo contro di voi»
ribatté, stupendo il ragazzo. «Regulus…
scusa, Sirius, intendevo Dolohov, mi ha messo un biglietto in tasca,
parlando di “sangue degli intrusi sparso sulla pietra
nera” o qualcosa del genere. Credo ce l’abbia anche
con i Nati Babbani».
«Oppure» s’intromise Dora.
«Intendeva un altro genere di “intrusi”
…».
«E allora perché venire a prendere me e Mary?
Avrebbe potuto rapire voi due, piuttosto, senza tante
scenate» replicò la Grifondoro, fermamente
convinta… sebbene molto inquietata dalla situazione.
«Le “scenate” probabilmente fanno parte
del suo modo di agire» suggerì Sirius.
«Dopotutto è il “dio della
paura”, o almeno si fa chiamare così. Magari
cercava solo di spaventare il più possibile».
«E perché farlo? Spaventare significa farci capire
che c’è qualcosa che non va» disse Lily,
riflettendo anche lei sulla strana situazione.
«O magari, tutto questo è stato fatto per
attirarvi
tutti insieme
qui per spargere il vostro sangue in questa sala
sacra». Tutti si voltarono all’istante verso
l’entrata. Abbassando il cappuccio del suo soprabito nero,
Dolohov, detto Phobos (ma anche “Scassaboccini” per
Sirius era piuttosto adeguato), li guardava con un sorriso volgare
dipinto sul volto storto e sadicamente divertito. In meno di un
secondo, i ragazzi si riunirono, quasi al centro della stanza, per
fronteggiarlo.
«In ogni caso» proseguì, «si
può dire che il mio piano sia riuscito alla
perfezione».
«Riunirci tutti insieme per una sorta di “battaglia
finale” sarebbe il tuo grande piano?» chiese
Sirius, scettico. «Morgana, neanche io sono così
stupido!».
Gli altri si trattennero dal guardarlo, tenendo gli occhi sul nemico,
ma un sorrisetto fra lo stupito e il divertito comparve su quasi tutti
loro.
«Esatto, cane, il mio piano era portarvi qui. Tutti insieme:
Narratori, Sanguesporco e traditori del proprio sangue, riuniti e
lontani da ogni aiuto, pronti a essere sacrificati» disse
Dolohov, calmo, e Sirius impallidì leggermente: non
l’aveva vista sotto quell’ottica.
«Apophis pensava di dover arrivare alla Guerra… ma
così è molto più semplice, non
trovate?».
«Sì, sì, come ti pare» fece
John, all’apparenza tremendamente annoiato. «Adesso
dacci Mary e Regulus, così ti ammazziamo e andiamo tutti a
farci una bella dormita».
«Regulus? Ormai lui non è più con
me…» disse l’altro, osservandolo con
occhi socchiusi.
«Cosa gli hai fatto?» ringhiò Sirius,
preparando la bacchetta.
«Oh, sai com’è, non serviva
più e quindi…»
«Stronzate» lo interruppe una voce proveniente
dalla tasca di Dora. «Ho trovato Regulus qualche ora fa e
l’ho portato in Infermeria. Scusa, mi sono dimenticato di
dirtelo prima».
«Ne parliamo dopo…» sibilò
Sirius, ancora arrabbiato e preoccupato, ma con un peso in meno.
«Okay, è vero, Regulus è
salvo» ammise Dolohov, scrollando le spalle. «E, a
voler essere sinceri, anche lei lo è».
Così dicendo, il
daimon
agitò una mano e, in un rapido vortice di nubi, Mary
apparve, svenuta a un lato della stanza, proprio di fianco a Sirius,
che corse istintivamente accanto a lei mentre i suoi compagni
continuavano a osservare il nemico. Chino sulla Grifondoro, il ragazzo
studiò con rabbia i vestiti strappati e i numerosi graffi ed
escoriazioni che la ricoprivano.
«Sì, ci siamo divertiti molto con
lei…» disse l’uomo, osservando i due con
un ghigno. Sirius si voltò a guardarlo solo dopo aver
constatato che Mary respirava. Si alzò in piedi, voltandosi
a guardare l’ex-Mangiamorte. «E credo proprio che
lei si divertirà altrettanto, con te».
«Sirius, attento!» l’urlo di Remus gli
arrivò leggermente in ritardo e Sirius venne colpito
dall’incantesimo della ragazza a un fianco.
Mentre Sirius si girava, stupefatto, a osservare la ragazza che,
tenendo in alto la bacchetta, si alzava, guardandolo negli occhi con
aria selvaggia, e gli altri rimanevano impietriti a osservarli, Dolohov
scoppiò. Letteralmente. Una cortina di fumo grigio
cominciò a sprigionarsi da dove si trovava, avvolgendo tutta
la sala. In breve tempo, la visuale di tutti venne di molto ridotta.
Intanto, Sirius continuava a indietreggiare, tenendosi il lato colpito
e sanguinante, mentre la sua ragazza gli puntava la sua arma verso il
volto. Cercò con gli occhi l’aiuto dei suoi amici,
sentendosi tremendamente impotente in quella situazione, ma senza
trovarli. Quel fumo, molto probabilmente, li aveva separati tutti.
Puntò gli occhi su Mary, che continuava a camminare
ostentando una fredda decisione che non le vedeva da circa un
anno…
«Mary…» tentò, timoroso. La
ragazza fece un rapido gesto con la bacchetta e Sirius
riuscì per un soffio a schivare il lampo rosso che ne
seguì, sentendolo infrangersi a pochi metri da lui.
Una voce senza corpo gli arrivò all’orecchio.
«Soteriofobia» disse, sibilando. «La
paura di dipendere dagli altri. Lascia che la tua amata affronti le
proprie paure…».
Sirius sgranò gli occhi. Sicuramente quella era la voce di
Phobos e sapeva per certo che era meglio non fidarsi, ma chi meglio del
dio della paura sapeva riconoscerle e sfruttarle a proprio vantaggio? E
poi, “paura di dipendere dagli altri” …
e quella freddezza che il ragazzo non vedeva da tempo…
Più precisamente, da quando lui e Mary avevano cominciato a
uscire insieme seriamente.
In genere, le altre persone (e fino a qualche tempo prima anche i suoi
stessi amici), a pelle, lo giudicavano come un po’
“lento”. Brillante e affascinante, eh! Ma un
po’ lento nel comprendere le situazioni. E lui non aveva mai
potuto dargli torto. Con Mary, invece, il discorso era ben
diverso… ed era anche vero che l’indizio
lasciatogli dal
daimon
era difficilmente fraintendibile. Se la paura di Mary era veramente
quella descritta, era evidente che aveva paura di dipendere troppo da
lui… Dopotutto, era sempre stata molto indipendente, prima
della loro relazione.
Mentre Mary continuava a scrutarlo con la bacchetta puntata, come in
attesa di qualcosa, Sirius cominciò a sentire urla e scoppi
provenire dal denso fumo che li circondava e, di tanto in tanto, lampi
colorati passavano a poca distanza dai due, dissolvendosi nelle
vicinanze. Un ruggito scosse l’intera sala. Evidentemente,
Phobos aveva sguinzagliato la sua Chimera da compagnia giusto in tempo
per la pappa.
Sirius tornò a studiare con attenzione la ragazza, cercando
di non andare nel panico e provando a pensare razionalmente…
Non che fosse facile, in quel momento, ma una voce nella sua testa
(stranamente simile a quella di Remus) gli sembrava consigliargli di
riflettere e non lasciarsi trasportare dalle emozioni come suo solito.
Non trovando soluzioni sul momento, però, Sirius
tentò di nuovo un approccio calmo, cercando di far parlare
la ragazza.
«Mary…» provò nuovamente. Non
riuscì nemmeno a compiere una frase di senso compiuto che la
ragazza fece roteare la bacchetta come una frusta. Il ragazzo non aveva
idea di che incantesimo si trattasse, ma gli bastò il gesto
per convincerlo a scattare di lato, evitando la scia della bacchetta
che rapidamente si abbassava. Sul pavimento comparve una lunga crepa
nera nella roccia. Sirius sgranò gli occhi.
Quell’incantesimo era fatto per uccidere, decisamente.
«
Dolohoferio»
sussurrò nuovamente la voce di Phobos. «Un piccolo
incantesimo che ha inventato l’altro me…
ovviamente con qualche miglioria».
Sirius si morse le labbra per non mandare a quel paese l’uomo
e dirgli di stare zitto: doveva concentrarsi su Mary. Era ovvio che i
poteri di Phobos, incentrati sulla Paura, avessero un ruolo chiave in
quella storia, ma doveva capire fino a che punto. La Grifondoro non
smetteva di guardarlo con una terrorizzante calma fredda…
terrorizzante.
Ecco, era quello il punto! Ovviamente, Phobos stava sfruttando la Paura
di Mary, ma in questo modo cercava di instaurarla anche
all’interno di lui! Maledisse mentalmente il
daimon quando
capì il suo piano.
Metterli
uno contro l’altro.
Se Phobos aveva il potere, come aveva detto John, di accrescere la
Paura di una persona e usarla per manipolarlo, bastava far nascere in
due persone la paura dell’altro, in modo da farle ammazzare
fra loro senza sporcarsi le mani.
È disgustoso,
pensò Sirius, arricciando le labbra. Ora aveva compreso
ciò che stava accadendo, mancava solo un passo: capire come
risolvere il problema. Sirius digrignò i denti e si
guardò intorno, come in cerca di un appiglio nelle nubi di
Phobos. Che, ovviamente, non trovò.
Sapeva, comunque, che era meglio non fare nulla finché non
avesse trovato un sistema sicuro, altrimenti quella sorta di ipnosi
(era ancora
Nightmare?
O forse qualcos’altro di molto peggiore?) avrebbe indotto
Mary ad attaccarlo. Probabilmente anche questo faceva parte del piano
di Phobos: associare un suo tentativo di aiutare Mary con un attacco da
parte sua. C’era anche un termine psicologico per questo, ma
in quel momento non lo ricordava (Remus aveva detto, anni prima, che
poteva usarlo per educarlo e fargli fare i compiti…
fallì miseramente, ma questa è un’altra
storia). In ogni caso, per quanto ne sapeva ci voleva molto tempo
perché quest’associazione facesse effetto, ma
magari i poteri di Phobos accorciavano i tempi. O magari stava pensando
troppo… strano a dirsi per Sirius, ma in quel momento il suo
cervello era a mille.
Una nuova esplosione, molto più forte delle precedenti, e un
ruggito rabbioso riportarono i suoi pensieri sull’azione.
Guardò negli occhi Mary, cercando di capire cosa fare.
L’idea gli venne all’improvviso:
non c’è
nulla di cui aver paura, tranne la Paura stessa. Allora,
forse, un modo c’era! Se Phobos controllava Mary tramite la
sua paura, allora poteva aiutarla rimuovendola. Ora, ciò che
Mary temeva era, in un certo senso, lui e, considerando che il suicidio
sarebbe stata l’ultimissima opzione, doveva trovare un modo
per non farsi vedere come una minaccia.
Rinfoderò, quindi, la bacchetta, e guardò la
ragazza negli occhi. Quella sembrò accorgersi di qualcosa,
perché assottigliò lo sguardo e
rinforzò la presa sulla sua arma. Sirius non sapeva bene
come muoversi né cosa fare di preciso, quindi fece
ciò che faceva di solito: spense il cervello. Assunse il suo
solito sorriso strafottente e continuò a studiare Mary che,
stranamente, sembrava leggermente a disagio, continuando a non emettere
un fiato.
Quando Sirius fece un passo avanti, la ragazza sussultò e ne
fece uno indietro. Il Grifondoro non si fermò e
continuò a proseguire verso di lei che, piuttosto che
tentare di scagliargli contro un incantesimo, come aveva temuto,
sembrava particolarmente confusa. Mary indietreggiò fino a
poggiare la schiena sul muro circolare. Sirius continuò ad
avanzare, ignorando la bacchetta che continuava a venir puntata contro
il suo petto. Fece scivolare con
nonchalance
il braccio teso sopra la propria spalla e si avvicinò
ancora. Mary sgranava gli occhi, sorpresa e confusa. Evidentemente,
Phobos non si aspettava che avrebbe osato avvicinarsi.
Quell’essere conosceva veramente poco gli umani, nonostante
lo fosse stato, in passato.
Sirius continuò ad avvicinarsi, lentamente, e, fermo di
fronte a lei, le passò una mano fra i lunghi capelli biondi,
arrivando a carezzarle il viso. Poi, senza che nessuno dei due dicesse
nulla e con la battaglia che infuriava sempre più violenta
nella nebbia alle sue spalle, Sirius si chinò su di lei e la
baciò.
Quasi immediatamente, calde lacrime cominciarono a sgorgare dal volto
di Mary, bagnando anche quello del ragazzo, che non se ne
curò, mentre il suo cuore trionfava doppiamente: una volta
per aver salvato Mary, la seconda per averla riavuta con sé.
Perché sì, ne era sicuro, la ragazza che ora
ricambiava appassionatamente il suo bacio era sicuramente Mary
MacDonald, la Grifondoro dal cuore d’oro che aveva rapito il
suo.
«Mi dispiace» mormorò la ragazza,
separandosi leggermente da lui per guardarlo in volto. Sirius
gioì nuovamente nel vedere di nuovo quegli occhi accesi di
vita, nonostante le lacrime che continuavano a sgorgare.
«Non importa» rispose Sirius. «Tu non hai
fatto nulla».
E la baciò nuovamente. Non sapeva, esattamente, quanto
sarebbero andati avanti se Remus e gli altri non avessero sconfitto la
Chimera. Capì ciò che era successo
dall’ultimo ruggito straziante della creatura, che
risuonò nella stanza, e dall’urlo di rabbia e
sofferenza che apparteneva a Dolohov. Evidentemente non gli stava
piacendo la piega che stava prendendo la situazione. Due a zero per
Hogwarts!
E poi il terremoto scosse tutta la stanza.
Il fatto che l’animaletto di Phobos non fosse una Chimera era
stato chiaro a tutti non appena questa aveva fatto la sua comparsa.
Dopotutto, le Chimere, seppur selvagge, pericolose e magiche, erano pur
sempre animali, e soprattutto non avevano il pelo color
dell’inchiostro e gli occhi cremisi. E voi avete mai sentito
parlare di un animale che emergeva da una pozza di sangue nero
ribollente nel bel mezzo di una stanza costruita con solidissima
pietra? Be’, i presenti erano abbastanza informati da sapere
che no, non era affatto normale.
Sommergendoli di scuse durante il combattimento, Evelyn aveva
continuato a cercare informazioni sulla creatura insieme a David con
controlli incrociati e Merlino solo sa cosa. I ragazzi avevano
facilmente ignorato i suoi balbettii costernati e frenetici, impegnati
com’erano a non farsi scuoiare con una zampata della belva. A
sorpresa, fu proprio la voce di Phobos, nelle loro teste, a spiegargli
cos’era quell’essere (evidentemente, i
daimon erano
tremendamente esibizionisti).
«Vi piace?» aveva chiesto la voce, quasi
ironicamente. Probabilmente erano volati molti insulti mentali, in quel
momento. «Questo è ciò che potrei
definire mio figlio: l’Atromorfo. È uno dei primi
Mutaforma della storia, sapete? È in grado di trasformarsi
in qualsiasi cosa il suo padrone desideri ,in ogni momento, assumendone
tutte le caratteristiche, genoma compreso. Interessante, non
trovate?».
Probabilmente, le uniche a trovarlo interessante erano state Lily, che
con un incantesimo cercava di far cadere la creatura insieme a
Emmeline, e Evelyn, che sicuramente non aveva sentito la spiegazione da
documentario, considerando che ancora si stava affannando nelle
ricerche.
I ragazzi capirono poco dopo cosa volesse dire “in qualsiasi
cosa, in qualunque momento”: mentre l’Atromorfo
alzava una zampa in un tentativo di colpirli, quella assunse le
sembianze (e gli artigli) di quella di un drago, allungando non di poco
il suo raggio e rischiando di mozzare la testa a Dora, che
fortunatamente decise di inciampare proprio in quel momento. Remus
rispose con una lunga serie di incantesimi mischiate a colorite
imprecazioni che tennero occupata la bestia per qualche minuto,
mentre gli altri recuperavano le forze e cercavano di elaborare un
piano.
John, mentre gli altri combattevano, sembrava studiare la creatura,
lanciando di tanto in tanto qualche incantesimo con il solo ausilio
delle mani. I suoi colpi erano molto potenti, poco più di
quelli di Remus, ma la lenta cadenza con cui li scagliava permetteva
all’Atromorfo di rimanere stabile e continuare con i suoi
mutevoli (in tutti i sensi) attacchi. Alla fine, fu proprio lui a
trovare una soluzione… all’incirca.
«Lily, Emmeline» ordinò, con voce
chiara, in modo che lo sentissero anche sopra ai ruggiti
dell’Atromorfo. «Mettetevi alle sue spalle e
cercate di bloccargli le zampe posteriori, e attente alla coda. Remus,
Tonks, voi pensate alle anteriori e al muso. Al resto ci penso
io».
Non che fosse, poi, un gran piano. Anzi, a dirla tutta sembrava quasi
li stesse prendendo in giro. Ma il suo volto era così serio
e la sua voce così autoritaria da indurli a fidarsi.
Più che John, in quel momento sembrava un James estremamente
serio.
Lily ed Emmeline, quindi, cominciarono a scagliare incantesimi contro
le zampe, cercando di evitare i colpi della coda, che cambiava forma in
continuazione, mentre Remus e Dora si diedero da fare con la testa,
colpendola con i più potenti incantesimi di cui erano a
conoscenza (fra cui, inutilmente, anche le Maledizioni Senza Perdono).
John, invece, si tramutò in una cortina di fumo nero,
mischiandosi alle nubi che li avvolgevano, e volò sopra la
schiena dell’Atromorfo. Gli altri non seppero mai cosa
accadde lì in alto ma, nella nebbia, sentirono chiaramente
numerose esplosioni e Lily giurò di aver visto delle catene
uscire dal terreno e conficcarsi nei fianchi della creatura. La
violenza di quegli attacchi era tale che la bestia non
riuscì a riformare le parti colpite e, pian piano, con un
ultima, violenta esplosione, quella si dissolse nel nulla con un
ruggito straziante, seguito a breve da un urlo rabbioso di Dolohov.
«Grazie» disse Remus, con il fiatone, a John,
quando questo gli si Materializzò accanto.
«Non è ancora finita» disse lui, cupo.
Il terremoto venne immediatamente dopo.
Frammenti di pietra caddero dal soffitto, graffiando volti e braccia
dei ragazzi. Remus sentì, nel trambusto, Dora chiedere a
David quanto tempo mancasse e la risposta non gli piacque affatto.
«Molto bene, allora» ringhiò Phobos,
nell’aria. «Siete arrivati fin qui e avete deciso
di sfidare il dio. Ora avrete la vostra punizione».
Altre pozze nere comparvero sul pavimento, ognuna di fronte a una
persona; in un ribollio inquietante, da queste uscirono persone che, in
un istante, assunsero l’aspetto dei ragazzi, che si
allontanarono dalle copie con le bacchette sguainate.
«Prodofobia» disse la voce. «La paura del
tradimento. Ora, avrete il coraggio di puntare la bacchetta verso il
nemico senza sapere se lo sia veramente?».
All’inizio sembrava piuttosto semplice affrontare i propri
doppioni, specie quando apparivano proprio di fronte a sé,
ma, dopo che i primi incantesimi furono scagliati da entrambe le parti
(misteriosamente, Dolohov era riuscito a replicare anche le loro
bacchette), tutti si dispersero nella nebbia, che si era fatta
più fitta.
Lily teneva la bacchetta alzata e si guardava intorno, mentre si
muoveva alla cieca a piccoli passi, cauta, cercando di avvertire ogni
minimo rumore. Ogni tanto, uno scoppio e un lampo colorato nel grigio
le facevano capire che qualcuno aveva incontrato una copia…
o forse era una copia ad aver incontrato uno di loro. Preferiva non
pensare a quell’eventualità.
Quando si scontrò, di schiena, contro qualcuno,
sobbalzò vistosamente e, voltandosi di scatto, gli
puntò la bacchetta al volto. Lei e Tonks rimasero a
osservarsi, immobili, studiandosi a vicenda e cercando di capire se
fossero copie o no. Camminarono in circolo, continuando a puntarsi la
bacchetta contro, aspettando il minimo segno per colpire. Lily
cominciò a innervosirsi quando capì quanto fosse
assurda la cosa: se erano entrambi gli originali, avrebbero potuto
continuare così all’infinito senza risolvere
alcunché. Con un ringhio di stizza si allontanò
da Dora, abbassando la bacchetta. Quella la guardò, sorpresa.
«Tutto questo è assurdo!»
esclamò Lily, furibonda. «Questa storia non
finirà mai! Come faccio a capire se sei una copia o
no?».
La Tassorosso la guardò, inclinando leggermente la testa con
un sorrisetto divertito. Poi sgranò leggermente gli occhi e
urlò «Giù!».
Lily ubbidì e l’incantesimo lanciato
dall’Auror volò oltre la propria spalla e a quello
seguì un tonfo. La Grifondoro si voltò, giusto in
tempo per vedere una seconda Ninfadora tenersi una ferita sul braccio
da cui sgorgava sangue nero.
«Oh» fece Lily, inarcando un sopracciglio.
«Ecco come».
E Schiantò la copia, colpendola in pieno volto.
«Bel colpo, principessa!» esclamò John,
apparendo dalla nebbia. Entrambe le ragazze si voltarono a guardarlo,
puntandogli e bacchette contro il petto. Quello alzò le
mani, assumendo un’espressione di finta sorpresa, e
indietreggiò di un passo. «Tranquille, sono il
solo e unico».
«Be’, non possiamo esserne certi senza fare una
piccola prova, no?» fece Lily, sorridendo amabilmente e senza
celare una certa punta di sadismo nella voce. Dora la guardò
con un ghigno divertito: non sapeva cosa fosse accaduto di preciso tra
i due, ma sembrava proprio che la ragazza stesse cercando una piccola
vendetta… e non sarebbe certo stata lei a fermarla.
«Ehm… no, non credo proprio»
replicò lui.
«Oh, dai, solo un piccolo taglietto che male può
fare?» ribatté lei, avvicinandosi minacciosamente.
Nonostante tutto, era sicura che stesse dicendo la verità.
«Piantatela, tutti e due» disse Remus. Comparire
dalla nebbia cominciava a sembrare un hobby. «Non
è il momento… e lui è a posto,
l’odore è quello giusto».
«Odore?» chiesero Lily e John in coro, con la
differenza che lui assunse un ghigno compiaciuto mentre la ragazza lo
trucidava con lo sguardo.
«Sono troppo vicino alla luna piena»
spiegò il Grifondoro, grattandosi il naso. «Fra
non molto mi trasformerò… dobbiamo sperare che i
calcoli siano giusti».
«Comunque Dolohov non mi sembra poi così
pericoloso» intervenne Dora, passandosi una mano fra i
capelli (diventati di un violento arancione) e guardandosi attorno
nella nebbia. «I suoi poteri non sono un
granché…».
«Credo abbia toppato» disse John.
«Dovrebbe essere molto più potente di
così, ma sembra che qualcosa lo trattenga. Probabilmente, le
cose non stanno andando come avrebbe voluto».
Remus fece una piccola smorfia, arricciando il naso. «Anche a
me aveva dato l’impressione di un piano creato sul
momento…».
«Pensiamoci dopo» fece Lily, seria.
«Meglio trovare Emmeline e i piccioncini».
«Chi è che stava flirtando col demone, cinque
secondi fa?» borbottò Remus, un po’
risentito, seguendo la Grifondoro che si addentrava nella nebbia. Dora,
l’unica sentirlo, ridacchiò dandogli una scherzosa
pacca sulla spalla. Lui le sorrise di rimando.
Camminarono nella nebbia senza una meta visibile e tenendo le bacchette
spente per paura di essere trovati dalle copie mancanti. Non ci volle
molto, tuttavia, a capire che la nebbia stava cambiando la loro
percezione dello spazio: la stanza era sì grande, ma non
tanto da camminare per minuti interi senza trovare la parete opposta!
«Qualcosa mi dice che non sarà poi così
facile trovarli» commentò Lily, con aria
sconsolata. «Potremmo anche star girando in tondo senza
saperlo…».
«Purtroppo la nebbia blocca gli odori troppo
distanti» disse Remus. «Non riesco a sentirli da
nessuna parte».
«E, stranamente, anche io sono bloccato» aggiunse
John, infastidito. «Non percepisco niente a parte
voi».
«Allora credo ci sia una sola cosa che si può
fare» disse Dora, con espressione saggia. Remus
aggrottò le sopracciglia, improvvisamente
molto preoccupato.
«Di che stai parlando?» chiese, cauto.
«Be’, i superpoteri non si possono usare, la
visibilità è poca, la stanza è tutta
incasinata, quindi non rimane che…» prese un bel
respiro e poi, a pieni polmoni, urlò: «Emmeline!
Sirius! Mary! Dove siete?».
Gli altri tre la guardarono a occhi spalancati. John fece un gesto di
stizza con le braccia.
«Bene, tanti saluti allo
stealth.
Adesso ci ritroveremo tutte le copie addosso»
commentò.
«E quindi?» replicò lei con un sorriso
innocente. «Non riuscite a percepirli a distanza, ma se sono
vicini potete capire se sono loro o no».
Remus la guardò per qualche istante, prima di posarle le
mani sulle spalle e guardarla fissa negli occhi. «Sei un
genio» disse, serio, prima di baciarla.
«Forse dovremmo imitarli, sai?» fece John,
guardando Lily con aria maliziosa. «Giusto per mimetizzarci
eccetera».
Lei inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia.
«Con te? Non accadrà mai».
«Dai, alla fine sono James, no?» replicò
lui, quasi supplicante. Il sopracciglio di Lily si alzò
ancora di più.
«No, tu sei John» rispose, ferma.
«È lo stesso!».
«Non è vero!».
«
Confringo!»
esclamò Remus. Il raggio dell’Incantesimo
Esplosivo passò accanto ai due, andando a colpire in pieno
petto un secondo Remus. Una voragine di sangue nero si aprì
in seguito alla violenta esplosione e il corpo cadde a terra. In un
breve istante, quello si tramutò in cenere.
«Meno due» fece il Grifondoro, abbassando la
bacchetta. Lily lo guardò, stupefatta dalla violenza
dell’incantesimo appena usato, mentre John sembrava
più interessato al mucchietto di cenere che stava sopra.
«Penso siano altri Atromorfi… che
strano…» commentò.
«Perché “strano”?»
chiese Remus, avvicinandosi di poco a lui.
«Perché per quanto ne sapevo, Phobos non aveva
bisogno di creature per concretizzare le paure»
spiegò. Rimase in silenzio per qualche secondo, per poi
aprirsi in un sorriso raggiante. «Forse ho capito…
e se è così, siamo davvero molto
fortunati!».
Non fece quasi in tempo a finire di parlare che un lampo di luce verde
gli passò accanto al viso, mancandolo di un soffio. John si
girò ringhiando verso l’assalitore. James
(perché quello era decisamente James) lo stava fissando con
la bacchetta puntata e un sorriso strafottente.
«Figlio di un bolide!» esclamò John,
guardandolo. L’Atromorfo mosse la bacchetta e un secondo
Anatema ne fuoriuscì. Il
daimon non si dette
nemmeno la pena di schivarlo. La sua mano si coprì di un
velo di oscurità e, in un rapido movimento,
afferrò la maledizione in volo appena prima che lo colpisse.
Tenne in mano per un istante quella che sembrava una fiamma smeraldina,
per poi chiuderla nel pugno. L’Anatema si dissolse in
scintille verdi.
Con la stessa mano, John indicò la copia con
l’indice, tenendo alzato il pollice nel classico segno di
pistola. Una pistola che, tuttavia, sparò davvero. In un
breve istante, il velo di oscurità corse lungo il dito e ne
fuoriuscì in una minuscola pallottola nera, rompendo una
lente dei finti occhiali dell’Atromorfo, che si dissolse
ancora prima di toccare terra.
«Fuori tre. Ne restano quattro» disse John, con
tranquillità. Poi si volto a guardare i compagni.
«Non fissatemi così, potrei arrossire!».
Proprio in quel momento, Sirius ed Emmeline avevano ingaggiato una
violenta battaglia contro i propri doppioni e quello di Mary, che,
troppo debole per combattere, se ne stava dietro di loro, fornendo un
poco di supporto tramite deboli incantesimi difensivi.
Nonostante l’innata bravura di Sirius nei duelli, i tre
Atromorfi erano decisamente più potenti ed Emmeline non era
poi molto abile: alla fine, era lei che più aveva bisogno
degli incantesimi di Mary.
Sirius mosse la bacchetta in un moto circolare e un raggio arancione
andò a colpire la gamba del suo doppione, che cadde a terra.
La copia di Mary gli si pose immediatamente davanti, bloccando il suo
tentativo di finirlo. Nonostante fosse quasi doloroso combattere contro
qualcuno con le sembianze della sua ragazza, la presenza dietro di lui
riusciva a mantenergli la mente lucida, quindi non fu troppo difficile
contrastare l’offensiva della creatura.
Emmeline, invece, rischiava sempre di fare un passo falso. Combatteva
meglio che poteva, ma aveva così tante aperture che, senza
Mary, l’Atromorfo l’avrebbe già uccisa.
Provò a scagliare uno Schiantesimo contro la copia, ma
quella parò il colpo senza problemi, ricambiando con un
Incantesimo Elettro, prontamente parato da Mary, che ormai aveva
cominciato a duellare più attivamente insieme alla compagna.
In pochi secondi, le due Grifondoro riuscirono a ribaltare la
situazione. Mary tentò di lanciare una semplice Fattura
Orcovolante che, naturalmente, l’Atromorfo-Emmeline
riuscì a parare senza alcun problema. Prima che la creatura
potesse fare qualcosa, Emmeline scagliò un Incantesimo di
Ostacolo, superando con successo la sua guardia. Approfittando
dell’improvvisa paralisi del nemico, Mary mosse la bacchetta
come una frusta. L’Incantesimo di Dolohov squarciò
l’Atromorfo, riducendolo in cenere.
Mary non si sentiva affatto felice di aver usato una maledizione
così oscura e appresa in un modo tanto orrendo, ma non
vedeva cosa ci fosse di male nell’usare gli incantesimi del
creatore di quelle creature per distruggerle. In altri momenti,
probabilmente avrebbe urlato qualcosa sul genere: «questo
è karma, stronzo!». Tuttavia, non le sembrava il
caso di far infuriare ancora di più il nemico.
Sirius era ormai impegnato in un rapidissimo testa a testa con la copia
di Mary, che duellava ancora meglio della ragazza. Gli incantesimi che
non venivano bloccati da uno difensivo si scontravano a
mezz’aria con un altro dell’avversario,
sprigionando lampi dai mille colori che illuminavano la nebbia attorno
a loro. La copia di Sirius, stava ancora a terra, tenendosi la ferita
da cui sgorgava sangue nero. Quando Mary lo vide riprendere la
bacchetta e puntarla contro Sirius, gli lanciò un rapido
Incantesimo di Confusione. L’Atromorfo-Mary si
tramutò in cenere, colpita dall’Anatema del
compagno, che lo seguì dopo un istante grazie a una
maledizione di Sirius.
«Grazie» disse Sirius, con il fiatone, sorridendo
alla ragazza. Lei fece un sorrisetto, compiaciuta, prima di mettersi a
sedere per terra. I due Grifondoro le furono immediatamente accanto ma
lei li tranquillizzò con un gesto della mano.
«È finita l’adrenalina, tutto
qua» spiegò, affaticata. «Penso di
essere fuori gioco, mi dispiace».
«Non ti preoccupare» disse Sirius, dandole un
bacio. «Sei stata grandiosa».
«Ragazzi! Vi ho trovato!» esclamò una
voce dietro di loro. Si voltarono giusto in tempo per vedere Lily, i
capelli rossi in disordine e arruffati, venire verso di loro correndo
piano con aria sfinita.
«Lily!» esclamò Emmeline, correndole
incontro per abbracciarla. Le due rimasero per qualche secondo in
quella posizione, poi Lily si liberò
dall’abbraccio e, con un altro sorriso all’amica,
si diresse verso Mary, ancora a terra.
«Merlino, Mary! Tutto okay?» chiese,
preoccupatissima. Mary la guardò, inarcando le sopracciglia.
«Potrei stare meglio» disse, osservandola con
attenzione. Lily sembrò non curarsene ma Sirius se ne
accorse, guardando la ragazza con una muta domanda negli occhi.
«Vi ho sentito combattere e sono corsa qui»
spiegò la rossa, affannata.
«Hai incontrato qualcuno qui in giro?» chiese Mary,
in tono neutro. Ancora una volta, Lily non diede segno di essersene
accorta.
«No, nessuno, purtroppo… Solo la mia
copia» rispose, con occhi tristi.
«E dov’è la copia, ora?»
chiese ancora Mary, gli occhi che si affilavano sempre di
più e un sorrisetto scaltro che nasceva a un angolo della
bocca.
«Morta. Non darà più
fastidio» disse con fredda sicurezza.
«Eh, già, sono sicurissima che non darai
più alcun fastidio» disse Mary, con un sorriso
amabile. Lily la guardò, confusa, ed Emmeline le diede un
colpetto sulla spalla per farla voltare. Lily ubbidì,
trovandosi faccia a faccia con un gruppetto capitanato da…
Lily, che aveva la bacchetta puntata contro di lei.
L’Atromorfo saltò in piedi, estraendo la bacchetta
e cercando di scattare verso l’originale che, tuttavia, fu
più veloce.
«
Glaciellus»
mormorò quella. Un proiettile di ghiaccio trafisse la spalla
dell’Atromorfo, facendone sgorgare sangue nero.
L’essere venne sbilanciato e cadde in ginocchio. Lily,
guardandola con rabbia, abbasso rapidamente la bacchetta in un gesto
verticale. «
Propagat».
Assecondando l’ordine della ragazza, dalla ferita
cominciò a diffondersi ghiaccio su tutto il corpo della
creatura e, in pochi secondi, nei quali si lamentava in lacrime per il
freddo, venne completamente congelata.
John fischiò il suo apprezzamento.
«Figo».
«Se fanno una copia di me ci posso anche stare. Che sia
più potente di me anche. Che sia una creatura oscura un
po’ meno. Ma una Lily Evans che inganna le mie amiche deve
solo morire» disse, piena di fredda rabbia, osservando il
ghiaccio entrare sempre più in profondità, fino a
tramutare l’intero cadavere in acqua gelata con le sue
sofferenti sembianze.
«Come state?» chiese Dora, facendo qualche passo
verso i tre Grifondoro, che ancora osservavano l’amica con
occhi sgranati.
«Io e Sirius stiamo bene, ma Mary…»
cominciò Emmeline. La bionda le lanciò
un’occhiataccia.
«Mary sta bene, è solo molto stanca»
concluse, con una smorfia infastidita.
«E adesso…?» chiese Sirius.
«Cosa facciamo?».
«Adesso si concluderanno i giochi»
sibilò Phobos nelle loro orecchie. I ragazzi non si diedero
neanche la pena di guardarsi attorno, sicuri che era la nebbia stessa a
trasmettergli i pensieri del
daimon.
«Come vi avevo promesso, avete riabbracciato i vostri cari
perduti e, adesso, è giunta l’ora di morire.
Tutti».
«Credici» commentò John, annoiato.
«Sei solo un patetico codardo che si nasconde dietro i suoi
pupazzetti. Non sei degno di portare il nome di
daimon».
«Come osi?» ruggì la voce.
«Proprio tu parli in questo modo? Sei tu che hai tradito la
tua stessa specie, alleandoti con questi intrusi».
«Tecnicamente, siete voi gli intrusi»
replicò tranquillamente l’altro, cominciando a
camminare nella nebbia, come se non riuscisse a rimanere fermo.
«Hogwarts appartiene ai suoi studenti, voi vi siete inseriti
e ora volete uccidere i suoi stesso abitanti».
«Anche tu sei un intruso, allora» disse Phobos.
Remus, più di tutti, riuscì a vedere
distintamente che la nebbia stava calando di poco in poco,
raggruppandosi in una massa in quello che doveva essere il centro della
stanza, proprio dove John era diretto. «Come noi, hai cercato
di uccidere questi umani a cui ora tieni tanto».
«Lo ero» rispose con tranquillità.
«Per le prime ore in cui sono stato in questo corpo. Poi mi
sono state fatte capire parecchie cose su questi umani… a
suon d’insulti, a dirla tutta».
Phobos sbuffò, diventando sempre più consistente.
«Lo avevo detto che era uno sbaglio mandare te. Sei stato
troppo tempo senza un ospite, era normale che l’osmosi ti
facesse impazzire».
John rise. «Impazzire? Mio disgustoso fratello, sono sempre
stato pazzo! Solo adesso, però, ho capito che il tipo di
pazzia che voglio
è
proprio questa!».
«Ti consumerai, Mot» disse l’altro
daimon.
«Sai cosa accadrà se continuerai in questo modo.
Dovresti stare dalla parte giusta, ottenere ciò che ti
spetta di diritto. Invece tu e Loki continuate a mandare tutto a
puttane. Per cosa, poi? Per questa insulsa feccia!».
«Sai una cosa?» chiese John, fermandosi a un passo
da Phobos. «Se dovessi scommettere su questa Guerra,
scommetterei sulla feccia».
Così dicendo, mosse in un lampo la mano destra, poggiandola
sul petto ancora non pienamente formato del dio della Paura. Come se
fosse una mina, la mano, avvolta dal velo di oscurità,
sprigionò uno scoppio di luce nera, facendo volar via Phobos
che, a terra, riassorbì tutta la nebbia presente nella
stanza, riassumendo la forma umana.
John corse verso i compagni che lo osservavano, sorpresi dal suo
comportamento. Tutti tranne Remus, che aveva capito perfettamente cosa
Mot gli aveva appena offerto: una finestra.
«David, hai fatto?» esclamò il
Grifondoro. La voce gli giunse dalla tasca di Dora.
«Ancora pochi secondi…» rispose.
«Non ce li abbiamo pochi secondi, è la nostra
unica occasione» ringhiò Remus.
«Aspetta un secondo!» esclamò a sua
volta il Corvonero. «Aspetta… aspetta…
Okay! Ci sono! Siete fuori dalla Foresta, a poca distanza da Hogsmeade.
Se i calcoli sono giusti, dovreste essere accanto al cimitero del
paese!».
«
Se?
David, devi essere sicuro, non possiamo contare sui
“se”!» esclamò il ragazzo.
«Fatelo!» urlò il Dottore.
L’esplosione scosse tutta Hogsmeade.
Mancavano circa dieci minuti alla mezzanotte e una candida luna piena
cercava di affacciarsi sul paese. Era in sere come quelle che anche i
più incalliti bevitori cercavano di rientrare in casa
relativamente presto dai vari pub, mentre, magari, i fratelli maggiori
si divertivano a raccontare storie sui Lupi Mannari della Foresta
Proibita ai più piccoli. In verità, quasi nessuno
credeva che ci fossero veramente dei Lupi, ma in quel Mondo Magico non
si era mai troppo sicuri.
Quando ci fu l’esplosione, tutte le finestre si accesero
quasi contemporaneamente e gli abitanti cominciarono ad affacciarsi o a
uscire in strada, chi con la bacchetta illuminata, chi con lanterne
accese, per cercare di capire cosa avesse provocato quel baccano. I
più attenti notarono quasi subito il fumo che proveniva
dalla periferia della città, in direzione
dell’antico cimitero di Hogsmeade, ormai abbandonato.
Più che un luogo di culto, era ritenuto dai paesani un posto
da evitare, soprattutto per la possibilità
d’incontrare qualche creatura Oscura. I corpi sepolti erano
lì da così tanto tempo da essere ormai ridotti in
cenere e i loro nomi erano scomparsi da decenni dalle lapidi di marmo,
incrostate dalla vegetazione che aveva preso il sopravvento sul luogo.
Vedendo quei segni e interpretandoli come cattivi presagi, alcuni fra i
più anziani abitanti del luogo si diedero a gesti
scaramantici e, gli ex-Corvonero in primis, a una rapida lista di tutti
gli incantesimi che conoscevano. Non ci volle molto prima che un gruppo
di adulti si radunasse per andare a controllare, inconsapevoli e
terrorizzati da ciò che avrebbero potuto vedere.
I calcoli di David, effettivamente, non erano perfetti. I sette
ragazzi, infatti, erano ora in piedi esattamente dove sorgeva
l’antico cimitero del paese.
Lo scudo creato da John, Remus e Dora aveva tenuti tutti in salvo e ora
erano circondati da macerie di pietra nera, lapidi spezzate e cenere,
mentre un’enorme nuvola di polvere si levava verso il cielo.
Per Remus, era stato stranamente semplice far saltare in aria la sala
nera: si era aspettato una qualche resistenza magica, ma evidentemente
Phobos aveva creduto che a nessuno sarebbe saltato in mente di far
crollare tutto quanto. Che illuso…
I ragazzi si guardarono intorno, assaporando l’aria fresca
sulla pelle e respirando più ossigeno possibile: come se
fossero stati sott’acqua per tutto il tempo, erano affamati
d’aria fresca. Remus sentì il vento pungente
rinvigorirlo e i dolori dovuti alla vicinissima trasformazione si
fecero sempre più blandi, forse grazie anche alla Pozione
Antilupo che cominciava ad agire, leggermente in ritardo.
Lo sguardo di tutti si spostò poi sulla devastazione che
avevano causato. Muovendo qualche passo, calpestarono antiche macerie,
vedendo che tutto quanto, nel raggio di una trentina di metri, era
crollato su se stesso, facendo a pezzi quello che fino a pochi secondi
prima era stato un terreno lasciato alla natura. Tutto intorno al
grigio delle lapidi, mischiato al marrone della terra e al nero della
pietra sottostante, il cimitero, nel suo verde abbandono, continuava
per un’altra decina di metri, fino a un alto recinto di
roccia, sormontato da punte di metallo dorato che, sotto la luce della
luna, rilucevano come fiaccole. Qua e là, lungo il
perimetro, c’erano lanterne magiche accese su alti pali di
metallo e, a quanto sembrava dai resti, ce ne dovevano essere alcune
anche all’interno del cimitero. La zona in cui si trovavano
era, invece, illuminata solo dal satellite.
«È morto?» chiese Lily, speranzosa,
osservando la parte che corrispondeva al centro della sala, scalando
insieme agli altri le macerie per portarsi al livello del terreno.
«Non credo proprio» disse amaramente John,
togliendosi la polvere dal completo. Una volta che tutti riuscirono a
salire (Mary dovette essere aiutata da Sirius e Dora), il
daimon mosse la
bacchetta e delle macerie andarono a chiudere la fessura da cui erano
saliti, rendendo la voragine più o meno uniforme.
«Per non caderci dentro» spiegò agli
altri, che lo guardavano incuriositi.
«E adesso?» chiese Mary, guardandosi intorno ma,
soprattutto, verso il cancello nero che portava al villaggio. Le
sarebbe davvero piaciuto andarsene di lì, tornare a Hogwarts
e sdraiarsi sotto le coperte del suo letto a baldacchino.
«Adesso vediamo cosa succede» rispose Remus.
«Sperando che accada in fretta».
«Quanto tempo manca?» chiese dolcemente Dora,
avvicinandosi a lui.
«Pochi minuti, dobbiamo sperare di fare in tempo»
le disse, preoccupato.
«E anche di riuscire a farlo fuori prima che arrivino i
cittadini» commentò John. «Phobos
potrebbe benissimo prenderli tutti come ostaggi o mandarli contro di
noi.
«Ottima idea» disse Phobos, emergendo dalle macerie
solo con qualche graffio sulla faccia volgare.
«Perché non aspettarli e vedere che riesco a fare
con loro, no?».
«Sai» commentò Sirius, guardandolo con
disprezzo. «La tua abitudine di apparire con queste frasi a
effetto di merda mi ha davvero rotto».
E, prima che Phobos potesse uscirsene con un’altra di quelle
sue “frasi a effetto”, Sirius lanciò il
primo incantesimo, che il
daimon
evitò facilmente. Phobos allargò le braccia e un
forte vento cominciò a soffiare nel cimitero.
«Hai ragione, Black, perché aspettare?»
fece, battendo le palpebre. Gli occhi diventarono color cenere,
esattamente come quella che veniva trasportata dal vento per tutta la
zona. «Morirete tutti, qui e ora».
All’istante, dalle macerie cominciarono a fuoriuscire spessi
rovi grigiastri, crescendo rapidamente e allungandosi verso il gruppo.
Subito, Remus e Lily lanciarono Incantesimi di Fuoco, cercando
inutilmente di bruciarli. Alla fine, il gruppo dovette separarsi per
evitare l’assalto di ciò che era,
indiscutibilmente, pietra. Phobos mosse le mani in complicati gesti e,
sul terreno intorno a lui, cominciarono a crearsi pozze nere da cui
fuoriuscirono ciò nuovi Atromorfi, questa volta dalle
sembianze di rettile, che si avventarono contro i ragazzi senza curarsi
dei rovi che gli passavano accanto.
Sirius cominciò una sorta di strana danza, passando
velocemente dalla forma Animagus per evitare più facilmente
i rovi a quella umana per lanciare violenti Incantesimi Esplosivi
contro le creature. Mary ed Emmeline, allo stesso modo, cercavano di
proteggersi a vicenda dalle pietre, colpendo gli Atromorfi da dietro
gli scudi indeboliti della prima. Similmente facevano Remus, Dora e
Lily, mentre la Caposcuola cercava di raggiungere le amiche per
aiutarle.
John, invece, stava andando direttamente alla fonte, rompendo i rovi
con colpi delle mani intrise di oscurità, evitandone
agilmente la maggior parte e tramutandosi in ombra per schivare colpi
diretti verso di lui. Quando fu abbastanza vicino per sferrare un
attacco diretto, Phobos scomparve come cenere, riformandosi giusto
dietro di lui. Fortunatamente, i rovi avevano fermato la loro avanzata
e, proprio com’era previsto, il
daimon non era in
grado di mantenere la sua forma alternativa per molto tempo. Se tutto
stava andando come previsto, allora avevano tolto anche un'altra carta
a Dolohov…
Mot riuscì a schivare per un soffio l’assalto di
Phobos e cominciarono a duellare a una velocità inumana.
Colpi d’oscurità e di quella che sembrava cenere
cominciarono a scontrarsi a mezz’aria, con potenza e
dimensioni differenti, in una danza mortale generata da due
divinità oscure.
Gli altri, ora liberi dal peso dei rovi, cominciarono a distruggere i
vari Atromorfi.
Remus e Dora, più di tutti, riuscivano egregiamente a fare a
pezzi le creature Oscure, senza battere ciglio e con
un’eleganza e potenza che solo loro avrebbero potuto avere.
Per Remus fu una passeggiata ignorare i dolori della trasformazione che
sarebbe avvenuta a breve, agitando la bacchetta a formare simboli vari
e complicati, sfruttando la potenza di incantesimi che neanche
ricordava di aver mai conosciuto. Tonks, invece, dava prova del suo
compito di Auror, lanciando incanti e maledizioni che gli studenti
presenti in quel momento a Hogwarts avrebbero solo potuto sognare,
enunciando formule complicate e ricorrendo a tutti gli insegnamenti di
Malocchio.
Proprio quando Remus e Dora riuscirono a liberarsi
dall’assalto delle creature, videro Mot volare in aria,
tramutarsi in oscurità e riatterrare con un lungo taglio
sulla guancia. Phobos si avvicinò a lui, galleggiando a
pochi centimetri da terra, i piedi e la parte inferiore del soprabito
tramutati in cenere.
Remus si morse il labbro, chiedendosi se andare ad aiutare il
daimon o i suoi
amici, ancora alle prese con gli Atromorfi.
«Vai da John» gli urlò Dora, sovrastando
il rumore della tempesta di polvere. «Devi essere il
più vicino possibile quando sarà il
momento».
Lui annuì, serio, e, dandole un bacio, le disse:
«Solo se mi prometti che passeremo le vacanze di Natale
insieme».
Lei lo guardò un secondo, stupefatta. Poi sorrise, con aria
furba, mentre i capelli le tornavano del consueto rosa acceso. Aveva
capito cosa intendeva Remus. «Puoi contarci».
Lo Schiantesimo di Remus colpì Phobos su una spalla,
sbilanciandolo all’indietro per qualche istante mentre il
ragazzo arrivava accanto a Mot, che si rialzò rapidamente.
In un ruggito di rabbia, Phobos alzò una mano in aria e la
tempesta di cenere accelerò. Scariche elettriche
cominciarono a formarsi nel vento, colpendo il terreno casualmente.
Remus ne dovette schivare uno che stava per bruciargli il petto.
«Astrafobia» ruggì il
daimon.
«Paura di tuoni e fulmini!».
«Merda» imprecò Remus a mezza voce.
Evidentemente i poteri di Phobos erano molto più grandi di
quanto pensasse, se era in grado di materializzare ogni paura
esistente, anche senza che appartenessero a qualcuno dei presenti.
Insieme a Mot, cominciò a scagliare gli incantesimi
più potenti che conosceva verso il
daimon che,
tuttavia, riuscì a pararli con attacchi di uguale potere
magico. Muovendo le braccia, Phobos era sia in grado di muovere la sua
tempesta che direzionare i fulmini provenienti da essa, creando piccoli
crateri fumanti ogni volta che uno si abbatteva sulle macerie. Alcuni
fulmini globulari di tanto in tanto cominciarono ad attraversare la
tempesta, rischiando di colpire Remus più e più
volte, tanto che fu costretto a Smaterializzarsi per riapparire dietro
a Dolohov, cercando di colpirlo con una nuova e violenta raffica di
maledizioni. John dovette cominciare a imitare la stessa tattica,
trasformandosi in nubi nere per poter aggirare le Paure e lanciare
nuovi proiettili di oscurità.
Dopo poco, tuttavia, entrambi cominciarono a capire che la battaglia
non stava andando per il verso giusto e loro erano sempre
più stanchi mentre i dolori di Remus cominciarono a
riapparire, più prepotenti che mai. Nessuno dei due era in
grado di capire come facesse Phobos ad annullare i loro attacchi, ma,
in qualche modo, sembrava gli bastasse muovere una mano per far sparire
nel nulla gli incantesimi. In un impeto di rabbia, Remus
pensò che, se non poteva attaccare il
daimon con la
magia, allora ne avrebbe fatto a meno.
Con un lungo gesto della bacchetta, come una stoccata, macerie e lapidi
spezzate si alzarono da terra, andando a schiantarsi verso Phobos che,
tuttavia, riuscì a scomparire e a riapparire poco
più in là. Remus sorrise, trionfante. Dopotutto,
rifletté, quella era la Paura: era in grado di annichilire
il pensiero, bloccare le azioni controllando il sistema nervoso, quindi
che riuscisse a fermare le arti magiche non era poi così
innaturale; ma contro ciò che è strettamente
fisico, la Paura può fare ben poco. Certo, ciò
non significava che alla Paura si dovesse obbligatoriamente ribattere
con la forza ma… bah, cosa importava? Non erano
lì per fare filosofia, ma per uccidere quel bastardo. E ora
avevano tutti i mezzi per farlo.
«John, colpisci forte» esclamò il
Grifondoro, incrociando lo sguardo del
daimon. Quello lo
guardò con un sorriso a trentadue denti e, dopo aver
ricoperto i propri arti di oscurità, si lanciò
verso Phobos, evitando i fulmini che lo stavano evidentemente mirando.
John provò a sferrare un pugno, ma Dolohov riuscì
a schivarlo, diventando cenere in un istante. Non riuscì a
evitare, tuttavia, la lapide che lo colpì a un fianco,
facendolo cadere a terra; Remus fece un gesto di vittoria. Mot corse
verso Phobos e, mentre era ancora a terra, lo calciò sul
volto. Il colpo, rivestito d’oscurità, fece volare
in aria il
daimon,
che riatterrò mezza dozzina di metri più avanti.
La tempesta si calmò un poco e i fulmini smisero di cadere,
nonostante l’aria fosse ancora piena di
elettricità statica.
Mot corse di nuovo verso di lui, desideroso d’infliggergli il
colpo finale. Un nuovo rovo nacque da terra, a poca distanza dalla mano
di Dolohov, e trafisse la spalla di Mot, bloccando la sua avanzata e
facendolo urlare di dolore. Mentre Phobos si alzava in piedi, la pietra
portò John sempre più in alto, aumentando anche
le sue urla strazianti. Una sottile scia di sangue gli macchiava il
completo, ma Remus sapeva che, quando il rovo fosse sparito James
sarebbe potuto morire dissanguato in pochi minuti.
Remus stesso stava guardando, inorridito e immobile, mentre Phobos, con
il volto coperto di sangue, osservava, ridendo, Mot che si dimenava,
bloccato anch’esso dal dolore.
«
Diffindo!»
urlò Lily. L’incantesimo recise il rovo, lasciando
cadere a terra John in un tonfo, a cui seguì un nuovo urlo
di dolore. Dora, Emmeline e Sirius cominciarono a bersagliare Phobos
con una raffica d’incantesimi, prontamente assorbiti, mentre
Lily trascinava via il
daimon
ferito.
Remus volle approfittare dell’apertura che i suoi compagni
gli stavano fornendo, ma sapeva benissimo che gli sarebbe servito molto
più potere magico di quanto disponeva al momento. Tuttavia,
non poteva buttare al vento quell’opportunità:
Phobos era lì, girato di spalle a una dozzina di metri da
lui. Non poteva non tentare. Quindi decise di provarlo.
Quell'incantesimo. Quello a cui non osava più pensare da
tantissimo tempo.
La gravità è uno degli elementi primordiali,
ciò che ha permesso di portare vita nell’universo,
raggruppando gli altri elementi e fondendoli insieme. Tutto, nel cosmo,
possiede un campo gravitazionale, anche i corpi più piccoli;
questo campo è in genere, tuttavia, troppo debole da poter
essere percepito, se non in particolari, soggettive e molto obiettabili
condizioni. E so dell’esistenza di questo incantesimo. Non so
se sia effettivamente proibito, come le Maledizioni Senza Perdono, o se
ne è perso l’uso perché praticamente
impossibile da gestire.
Ne sono venuto a conoscenza durante uno dei tanti lavori da cui sono
stato licenziato. Per la mia passione, spesso sono riuscito a farmi
assumere in librerie e biblioteche, spesso entrando in contatto con
volumi magici di cui gli stessi proprietari non conoscevano a pieno il
valore. Mi capitava, quindi, durante le poche pause, di leggere alcuni
dei libri che avrei dovuto sistemare. La cosa che più mi
aveva colpito di quell’incantesimo era che si trovava in un
semplicissimo volume di Astronomia. Piuttosto antico, certo, ma non
c’era altro a indicare cosa potesse nascondersi al suo
interne.
L’ho provato, un paio di volte, nell’altra
dimensione, ma ho sempre fallito, rischiando anche di farmi parecchio
male. Ma direi che questo è il momento giusto per vincere
questa mia piccola sfida.
Stringo il polso destro con l’altra mano, facendo da sostegno
alla destra, mentre alzo il braccio e mi concentro più che
posso. È un incantesimo estremamente difficile, lo
so… ma so anche di poterlo gestire.
Allectum,
penso. Cerco di concentrarmi sull’effetto che dovrei ottenere.
Visualizzo, nella mia mente, le macerie che mi circondano, limitandomi
a quelle attorno e dietro di me, per non attirare
l’attenzione di Dolohov. Immagino, quindi, il minuscolo campo
che circonda ogni singolo pezzo di lapide, ogni zolla di terra smossa,
ogni pezzo di ferro o frammento di ossa; lo vedo come una sfera dorata
crepitante d’energia.
Comincio a sudare per lo sforzo.
Con il solo aiuto della mia mente, collego ogni singolo campo sopra
alla punta della mia bacchetta, alzata verso il cielo, in unico punto
di raduno.
Sento la testa che comincia a martellare.
Pian piano, percepisco gli oggetti alzarsi e seguire la traiettoria che
gli ho imposto, raccogliendosi sopra la mia testa. Passo, quindi, allo
strato successivo di detriti. So già che solo questo non
basterà. Il mio obiettivo è annientare, non
ferire.
Sento gli occhi pizzicarmi sotto le palpebre chiuse.
La sfera di macerie comincia a prendere forma. Ora grande come un
pugno, continua a ingrandirsi, raggiungendo prima il diametro di un
pallone da calcio, poi quello di una Pluffa.
Sento un rivolo caldo e denso scendermi sopra le labbra.
Continuo ad attingere da tutto ciò che il terreno ha da
offrirmi. Amplifico il campo gravitazione di ogni cosa trovino i miei
sensi, acuiti dalla trasformazione, ormai veramente troppo vicina. La
sfera comincia ad assumere le dimensioni che desidero. Un diametro di
mezzo metro… un metro intero.
No.
Lo sento. La sto perdendo. M’impongo di rimanere concentrato,
di pensare a ciò che voglio ottenere, al mio obiettivo
finale, a ciò che Dolohov ha fatto ai miei cari e il mio
desiderio di ripagarlo con una moneta ben più pesante.
Tuttavia, sento di star cedendo. Mi dico che devo farcela, che posso
farcela. Il mio corpo, tuttavia, comincia a incurvarsi sotto quel peso.
Sotto quella
gravità.
Maledico il mio pensiero, il mio tentativo. Avrei dovuto attaccare
Dolohov come potevo, piuttosto che cercare di usare una magia
più grande di me. E ora rimarrò schiacciato dal
mio stesso incantesimo.
Maledico me stesso per la mia impotenza. È tutto qui quello
che posso fare? È tutta qui la mia forza? Sono morto e
resuscitato per questo, per morire un’altra volta contro lo
stesso nemico? A cosa serve essere un Narratore se non si
può far sì che il futuro cambi?
Non so cosa sia stato, ma lo sento cambiare. È come un fiume
in piena. Non so di preciso né quando né da dove
sia arrivato. Ma so cos’è. L’Etere
percorre il mio corpo. Percepisco questa sorta di particelle di pura
magia scorrermi dentro come un secondo sangue, arrivando a diffondersi
in ogni muscolo, in ogni organo, rinvigorendomi dall’interno.
Sento l’energia magica scorrermi dentro. E mi sento in grado
di smuovere le montagne a mani nude.
Apro gli occhi e guardo verso l’alto.
La sfera di detriti ha raggiunto le dimensioni di una piccola meteora.
I miei occhi si spostano poi sulle mie stesse braccia.
Brillo,
penso, divertito, osservando la luce dorata che mi circonda. Etere,
come quello incanalato del Laboratorio. Mi circonda, senza essere
vincolato a me. Aiutandomi, come se avesse una volontà
propria. Come se avesse deciso da che parte stare.
Sento gli incantesimi continuare a essere bloccati da Dolohov.
Evidentemente, o i miei amici non mi hanno visto, oppure stanno
ignorando tutto questo per potermi aiutare. E non posso deluderli.
Fisso Dolohov, che ancora mi dà le spalle. Mi viene
istintivo chiamarlo, farlo voltare e colpirlo in pieno volto. Ma poi,
penso, l’aiuto degli altri sarebbe stato inutile. E,
dopotutto, non vedo quale cortesia dovrei fare a quel figlio di puttana.
Tuttavia, la formula finale la pronuncio ad alta voce.
La sfera si alza più in alto, come percependo in anticipo
cosa sto per dire.
«
Bolis Corruit».
A dirla tutta, la formula e i gesti sono molto semplici. Ciò
che è più difficile dell’Incanto
Meteora è la concentrazione e l’enorme potere
magico necessario. Ma con l’Etere dalla mia parte, so per
certo di non poter fallire. Abbasso quindi la bacchetta.
Un istante prima che Phobos si volti, la meteora fatta in casa si
abbatte su di lui, distruggendosi a contatto con il terreno e
sommergendo il
daimon
di macerie.
Gli altri si bloccano a osservarmi a distanza. Ho il fiatone a causa
dell’incantesimo, ma l’aura dorata ancora mi
circonda, come se avessi tante piccole lucciole attaccate alla pelle.
Cado in ginocchio, sfinito.
«È finita» sussurro, sentendo un peso
che vola via dal mio stomaco. «È finita».
Penso di essere stato poche volte così felice nella mia vita.
Alcuni metri più in là, vedo che è
Dora la prima a rompere la sua immobilità. La vedo
avvicinarsi a me con passo tramante. Aggrotto le sopracciglia,
preoccupato, vedendo un profondo taglio sulla gamba. Sposto lo sguardo
anche sugli altri. A parte John, anche gli altri mostrano ferite
più o meno gravi. Sento come una mano che mi stringe il
cuore. Mentre io mi preoccupavo dell’Etere e del rispettare
un po’ di cordialità, loro venivano feriti a quel
modo. Quanto posso essere ipocrita?
Mi alzo in piedi e comincio ad andare incontro a Dora. Poi, dal centro
del cratere, Phobos riemerge, allontanando la maggior parte delle
macerie che lo circondano in uno scoppio di magia.
Lo osservo, tremando dallo stupore. È coperto di sangue da
testa a piedi, eppure è ancora lì, in vita,
ringhiando la sua furia e guardandomi negli occhi con l’odio
più profondo che sia possibile provare.
«Tu» sputa sangue. «Tu osi ferire
me? Un essere
così disgustoso che cerca di ribellarsi a chi gli
è superiore per natura? Con quale diritto?
Come osi?».
Alla domanda segue un nuovo lampo di magia. Riesco a rimanere in piedi
solo grazie all’Etere che mi sostiene. Una nuova scarica
magica mi tiene in forze, permettendomi di essere più lucido
che mai, di affrontare il pericolo a testa alta e usare tutti i miei
sensi fino al limite umano. Sento, tuttavia, che qualcosa inizia a
cambiare, in me.
«Feccia! Vuoi provare a uccidermi nel tentativo di sentirti
più grande di ciò che sei, nel tentativo di
uccidere la tua Paura! Non puoi liberarti della Paura, lupetto: il
coraggio non è che un’illusione di coloro che sono
troppo spaventati dalla Paura per accettarla!» ringhia il
daimon.
«Sai, Phobos, anche se sei vecchio di millenni posso dire con
certezza di aver vissuto più di te» rispondo,
sentendo che il momento sta arrivando. Comincio a tremare, solo in
parte per l’emozione. «Mi sono serviti una trentina
d’anni, ma ho capito che il coraggio non è
l’assenza di Paura, ma il trionfo su essa. E, fidati, tu che
sei la Paura, hai scelto il gruppo peggiore contro cui
combattere».
Non so come sia possibile, ma Dora e Sirius sanno esattamente cosa fare
nel momento esatto, mentre io subisco la trasformazione più
breve che abbia mai avuto. Non sento neanche dolore, e per questo penso
che sia stato l’Etere ad aiutarmi.
In un paio di brevi secondi mi ritrovo a quattro zampe, fissando il
daimon
dall’altezza del Lupo. Sento ancora l’Etere
scorrere in me e, difatti, riesco ad avere un controllo perfetto della mia forma animalesca, anche superiore a quello concessomi dalla Pozione.
Dolohov mi guarda e per un istante lo vedo trionfante. Temo che
qualcosa stia andando storto, che tutto facesse parte del suo piano fin
dall’inizio, compresa la mia trasformazione. Alza le braccia
nuovamente, circondandosi di un’aura grigia, preparandosi a
un qualche incantesimo. Preparo i miei muscoli a scattare fuori dalla
sua portata ma non ce n’è bisogno. Le corde legano
all’istante i suoi polsi, interrompendo il suo incantesimo.
Dolohov ringhia, frustrato e sorpreso, mentre Dora e Sirius tendono le
corde, sprigionate dalle punte delle loro bacchette. Non essendo una
vera e propria magia, Dolohov non ha potuto bloccarle. E so di dover
approfittare di questo momento. Mi basta guardarlo per capire che
è troppo debole per Smaterializzarsi o fare altro.
Lui sembra capire i miei pensieri. Si volta verso di me. Fisso i miei
occhi nei suoi. Ciò che vedo è Paura.
Un’espressione pienamente degna, devo ammetterlo.
Fletto i muscoli delle zampe, preparandomi. Corro. Salto. Mordo. Il
corpo di Phobos cade a terra, senza vita e senza mente.
E il sangue degli
intrusi la nera pietra bagna. E anche un po' di terriccio,
a dirla tutta.
Non sono soddisfatto né fiero. Ma neanche dispiaciuto.
Quello che ora è a terra è l’uomo che
ha ucciso me e migliaia di altri innocenti di un’altra
dimensione. Quello è l’uomo che ha rapito due
delle persone che mi sono più vicine, cercando di uccidere
tutte loro per una stupida ideologia in una storia già
sentita. Non sono soddisfatto né fiero, ma sento di aver
fatto ciò che dovevo.
Non vorrei essere al posto dei poveri abitanti di Hogsmeade, piuttosto,
che osservano questo stravagante gruppo. Sei ragazzi feriti (di cui una
dai capelli rosa semi-luminescenti) e un Lupo Mannaro dalla bocca
sporca di sangue che rimangono a fissarli dopo aver distrutto il loro
cimitero. Perché ho l’impressione che qualcuno si
procurerà torce e forconi?
«Quindi?»
chiese Apophis, sulla sua poltrona di velluto. Perché le
poltrone di velluto rosso sono le preferite dai cattivi, si sa. E,
ovviamente, ha in mano un calice di cristallo pieno di vino rosso.
Perché il rosso, poi? Se l’era chiesto spesso, ma
non capiva perché gli umani lo trovassero elegante. Eppure un
certo fascino lo aveva, o non avrebbe comprato
quell’arredamento.
«Phobos è andato e io sono fuori dalla
scuola» commentò Maya, abbandonandosi su una sedia
del tavolo di mogano dietro di lui. Poggiò la testa su una
mano e chiuse gli occhi, stanca. «Tutto va come
previsto».
«E l’Etere?» fece il daimon.
«Una volta terminato l’effetto della Luna,
inizierà la trasfusione» spiegò la
donna. Apophis sospirò, soddisfatto.
«Loki e Mot sono ancora dentro?» chiese
l’uomo, bevendo un sorso.
«Mot è ancora nel gruppo dei Narratori, mentre
Loki fa di testa sua, come al solito» disse lei,
tamburellando sulla superficie di legno con le dita.
«Oh, Loki!» esclamò Apophis,
ridacchiando. «Sarebbe tutto così noioso senza di
lui… E chi ci rimane?».
«Ermes» sibilò l’altra,
pronunciando il nome con disgusto. «Ancora non so
perché ce lo portiamo dietro. Quanto potere potrebbe
dare?».
«Oh, a chi importa? Il “segretissimo”
piano di Loki gli si ritorcerà contro e i Narratori saranno
divisi dall’interno» replicò Apophis,
ridacchiando. «Sì, sarà
divertente».
«Come vuole che procediamo?» chiese Maya,
leggermente annoiata. Probabilmente voleva solo andare a letto.
«Lasciamo che le acque si tranquillizzino. Ate si
darà da fare dopo le vacanze di Natale, per il momento
possiamo prenderci tutti un periodo di riposo» disse
l’uomo, sorridendo amabilmente.
Maya sembrò piuttosto soddisfatta. «Sono
completamente d’accordo» disse.
«C’è altro?».
«Oh, vorrei solo un consiglio».
Maya drizzò improvvisamente la testa, attenta. Apophis che
voleva un consiglio? Era come avere sole a Glasgow in pieno gennaio.
«Mi dica».
«Secondo te, e voglio la tua più sincera
opinione… dovrei comprare un gatto bianco? Sai, da
accarezzare minacciosamente mentre sono sulla poltrona
rossa…».
Maya rimase in silenzio per qualche istante.
«Buonanotte».
Apophis sbuffò mentre la donna si chiudeva la porta alle
spalle. «Non si può neanche scherzare, in questo
covo».
Sala Comune di Tassoverde
E quindi ci siamo. Who,
di cui, come avete visto, ho mantenuto inalterato il nome in entrambe
le parti, è stato il capitolo più lungo e
faticoso che abbia mai scritto e, onestamente, trovo molti (moltissimi)
difetti che, tuttavia, non saprei bene come poter aggiustare. In ogni
caso, Who
non è, come previsto inizialmente, il capitolo finale della
Prima Parte della fanfiction: tale capitolo sarà infatti il
prossimo, After,
che dovrebbe dare qualche spiegazione a ciò che è
accaduto, specie a questo strano e fin troppo debole Phobos che avete
visto in questo capitolo... e, piccolo spoiler, anche su
Dolohov stesso. Poi, sicuro al 100%, fra un paio di giorni
uscirà un inedito su Pottermore che manderà a
farsi friggere tutto ciò che ho immaginato su di lui, ma
vabbe', sarà destino. Onestamente, il combattimento finale
non mi è piaciuto granché come l'ho scritto
(credo di non essere portato per certe scene) e gradirei una vostra
opione in particolare su quella parte, se non vi dispiace.
Prima del piccolo elenco di modifiche di cui vi avevo parlato nelle
note dello scorso capitolo, vorrei passare a ringraziarvi. Ringraziare
voi, fedeli lettori/lettrici/meta-umani/inumani e quant'altro, grazie
per essere rimasti nonostante il precedente capitolo non fosse
granché (anzi, lasciava abbastanza a desiderare), grazie per
essere rimasti con me e vorrei, inoltre, ringraziare in particolar modo
tony_tropcold e flavia1008, che mi hanno lasciato due graditissime
recensioni, operazione che mi vorrei invitare a fare tutti voi che mi
seguite, nella speranza di fare meno errori possibile e far
sì che la fanfiction non vi deluda. Grazie, davvero grazie
mille.
Passo, quindi, all'elenco:
-La prima modifica si trova nel Chapter III, proprio nel paragrafo
iniziale: da quando ho cambiato l'età di Evelyn (15), lei e
Dora hanno solo un anno di differenza, e io avevo scritto che la
maggiore aveva combattuto strenuamente per dare alla più
piccola un nome decente... ma a un anno mi sembra un po' difficile. Ho
quindi fatto una piccola modifica, che v'inviterei ad andare a leggere.
-Poi passiamo al Chapter V: avete presente la parte finale di Jily, in
cui loro si trovano seduti sul divano di fronte al camino? No? Be', non
importa: la modifica è molto leggera, ho solo migliorato (a
parer mio) il dialogo fra i due, senza inserire o togliere alcuna
informazione rilevante, quindi potete star tranquilli.
-Chapter VII: nel famigerato incontro fra Harry e James, c'era una
parte che non mi aveva mai convinto, portandomi, infatti, a modificarla
più e più volte: la sepoltura di Voldemort. Avevo
inventato una storia assurda e contorta sul fuoco ecc... Be', ho
eliminato quella parte: lo zio Voldy è stato cremato.
Perché avessi inventato quell'assurda storia mi è
oscuro ancora adesso.
-Per finire, nei vari capitoli della fanfiction ho fatto molti accenni
alle varie fasi lunari, giusto per far capire che il tempo stesse
passando. Be', a quel tempo ancora non avevo in mente di porre la luna
piena proprio in Who
(spiegazioni in After,
don't worry), quindi non coincideva un ciufolo. Adesso dovrei aver
sistemato tutto, dando una parvenza di realisticità al tutto
(spero).
Direi, quindi, di poter terminare qui le mie note. Se avete qualche
dubbio, chiedetemi pure e provvederò a togliervelo! Nel
frattempo, grazie ancora per essere arrivati fin qua giù,
sopportando il parto della mia mente malata.
Al prossimo capitolo,
hufflerin
P.S.: A chi può interessare, ho scritto una piccola "linea
del tempo", se così la si vuole chiamare, della storia,
molto semplice a dire il vero.
Chapter 0-V: Settembre
Chapter VI-VIII: Ottobre
Chapter IX-XII: Novembre (forse anche Dicembre, se deciderò
d'inserire qualcosa in After
o se farò una sorta di Speciale di Natale a cavallo fra le
due parti)
P.P.S.: Le citazioni iniziali provengono dai capitoli da Ideals in poi,
ovvero da quando entrano in gioco i daimon.