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Autore: Luke_White    10/05/2015    1 recensioni
Maggio 1998: fine della Seconda Guerra Magica. Molte persone hanno perso la vita cercando di proteggere la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e tutto il mondo magico dal tiranno Lord Voldemort. Fra queste vittime, spiccano di sicuro i Malandrini, maghi potenti e dotati. L’ultimo a perire fu Remus Lupin, insieme alla moglie Ninfadora Tonks… ma se non fosse così?
7 Settembre 1977: uno scombussolato Remus si risveglia in quella che sembra l’infermeria della sua scuola e rimane stupefatto vedendo, intorno a lui, tutti gli amici che sa essere morti, con la presenza di facce nuove e inaspettate.
Una possibilità di vivere in un mondo senza Voldemort si presenta al licantropo, un mondo che, tuttavia, presenta un razzismo ancora più radicato rispetto a quello che si è lasciato alle spalle, e in cui, forse, non è l'unico a essere tornato dall'aldilà.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Mary MacDonald, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Who (parte 2)
PREVIOUSLY ON THE STORYTELLERS

«What are you, really? I know you are not the true James, even if he's still buried inside there»
«Oh, so you call me James now. I'm amazed»

«My name is Remus Lupin, I'm thirty-eight, a Werewolf and... I'm dead»
«I'm Ninfadora Tonks, I'm twenty-five, a Metamorphmagus and I'm dead too... And I'm... I was an only child»

«James, what's going on?»
«There was a man, in the pub and... when I did see it, I felt like when... like after Mason's punsihment»

«However, there is a second Aether's source»
«Exactly. Inside wizards exists something like a magic core. You can say that all of us have a little Aether's source within ourselves»

«Remus, I had...»
«Please, shut up... Once, you said that we need to choose between waht's right and what's easy, Harry told me. I think you have choosed what's easy, this time»

«It would be nice if everything was like before, wouldn't it? Before the Other and before Mason...»
«It would be nice just forget that»

«The Storytellers?»
«Yeah, that's how she calls people who have travelled, people who know their History and who can rewrite it»

«Oh, come on! Don't say that you haven't noticed that?! When did you stop to be the god of dark to become a...»
«Be careful, Loki, another wrong word and I swear I'll blow up your head!»

«That's a nightmare, isn't it? So... I just need to wake up, right?»
«It isn't so easy to get rid from Nightmare. Our Abilities are difficoult to break. Maybe yes, you can excape from it, somehow, but you can be sure that you won't be the same. Your friend, the blond one... Well, she proved that on herself»


NOW



11. Who (part 2)

Dora si risvegliò di soprassalto, scattando a sedere, ansimando rumorosamente e guardandosi intorno a occhi sgranati.
«Calma, è tutto okay» le sussurrò Remus, mettendole le mani sulle spalle. Lei lo fissò per qualche secondo, cercando di elaborare ciò che stava accadendo. Fino a cinque secondi prima, si aspettava di cadere all’infinito nel buio. Era stato un suo incubo ricorrente, quand’era bambina, ma la consapevolezza di essere in un mondo totalmente fittizio e che alle spalle si lasciava mali ben peggiori l’aveva tranquillizzata. Poi il buio aveva cominciato a sgretolarsi, facendo spazio a un bianco accecante; era in quel momento che la Tassorosso aveva cominciato ad andare nel panico.
«Dove siamo?» chiese Dora, distogliendo con un po’ di fatica lo sguardo dal volto di Remus.
«Nel labirinto… quello vero, stavolta» rispose un’altra voce. James era appoggiato con la schiena al muro e giocherellava con la bacchetta con sguardo assente. Solo in quel momento Tonks notò gli altri e vide che Lily stava parlando a bassa voce con Emmeline, che aveva gli occhi sgranati e fissava il vuoto, e Sirius si guardava intorno, digrignando i denti e assumendo un’espressione sempre più di disperata. «È molto poco labirintico, ma molto più concreto».
Dora ci mise qualche secondo per capire che quello che stava parlando doveva essere John. Incrociò di nuovo lo sguardo di Remus e lui scosse leggermente la testa, facendole capire che non era il momento adatto. La Tassorosso non si sentiva affatto d’accordo ma decise di fare come diceva e si guardò intorno.
Erano in una caverna circolare di pietra nera all’apparenza naturale, al contrario dei mattoni ben definiti che componevano il “falso” labirinto, e la luce proveniva da tre torce dalla fiamma azzurrina e, dalla parte opposta a cui si trovava, un corridoio conduceva a un’altra sezione del dedalo.
«Dai, ti aiuto ad alzarti» le disse Remus, con un mezzo sorriso, porgendole una mano. Lei la prese e si puntellò sui talloni. Anche dopo che si fu alzata (e che fu quasi caduta dalla parte opposta), il ragazzo non accennò a lasciarla. Dora gli strinse la mano con dolcezza, cercando di comunicargli un po’ del suo supporto.
Sirius, intanto, si faceva sempre più irrequieto.
«Dov’è Mary?» chiese, alla fine, passandosi una mano sui capelli. «Perché non è qui con noi?».
«Mary si è già svegliata» disse Remus. Sirius aggrottò all’istante le sopracciglia e lo guardò fisso, chiedendogli spiegazioni senza aprire bocca. «Ho incontrato Piton… anzi, Loki» guardò John per qualche secondo ma quello si limitò a esaminarsi le unghie con noncuranza. «Mi ha riferito che Mary è riuscita a spezzare Nightmare ma ha anche detto che, testuali parole, ora “non è più la stessa” … o una cosa del genere».
«Quindi che significa?» chiese Sirius, confuso.
«Che quasi sicuramente se l’è presa Phobos per preparare una trappola per noi» spiegò John. Sirius digrignò i denti e aprì la bocca come per insultarlo, ma quello lo fermò con un gesto della mano. «Sta’ tranquillo, sicuramente è viva. Non posso essere sicuro che sia incolume, ma è senza dubbio viva».
«E perché dovrebbe? Non sarebbe più facile ucciderla subito?» chiese Emmeline, in un sussurro udibile solo grazie alla leggera eco della camera. Dora si voltò nuovamente a guardarla: la ragazza tremava ancora terribilmente ed era seduta a terra ma lo sguardo era diventato più sveglio. Non sapeva cosa avesse affrontato nella magione, prima che lei e Sirius arrivassero, ma avrebbe voluto davvero aiutarla; la conosceva così poco, tuttavia, che non si mosse, temendo di peggiorare la situazione.
«Perché altrimenti non sarebbe una trappola» rispose una voce risoluta, proveniente dalla tasca della Tassorosso che, frettolosamente, prese lo specchio.
«Un punto per la Tonks in miniatura» esclamò John. Dora, Evelyn e Lily lo fulminarono con lo sguardo contemporaneamente, ma il ragazzo le ignorò.
«Ma che senso ha tutto questo?» chiese Emmeline, mentre delle lacrime cominciavano a formarsi agli angoli dei suoi occhi. «Prima era Regulus, poi Mary ha detto che non era lui, è comparso e ci ha addormentate con… quella cosa. E adesso mi dite che questo tizio ha una cosa dentro di sé come James («Ehi, vacci piano con le parole! Non sono una cosa!» borbottò John, offeso) e che ha tipo i superpoteri e che… Cosa cazzo sta succedendo?».
Dora lasciò la mano di Remus e si chinò accanto alla Grifondoro, «Em, anche noi non capiamo quasi nulla di tutto questo casino: molte poche cose sono chiare e la maggior parte ci vengono tenute nascoste. Quello di cui posso essere sicura, però, è che quello che dobbiamo affrontare è solo un altro ennesimo figlio di puttana comparso da chissà dove solo per renderci le vite un inferno. E, credimi, una vita mi è bastata e non ho la minima intenzione di ripetere di nuovo l’esperienza né farla vivere a voi. Tutti noi, in questi pochi giorni, abbiamo visto cose che dovrebbero essere impossibili e ci stiamo facendo migliaia di domande, ma adesso non abbiamo tempo per rispondere. Quindi tutto ciò che possiamo fare è pazientare un po’ e concentrarci sull’unica certezza che abbiamo… prendendo a calci in culo quel bastardo».
Emmeline la guardò per qualche secondo, poi fece un mezzo sorriso e annuì. Dora fece un gran sorriso e le strinse una mano. Vide Lily ringraziarla con lo sguardo mentre si alzava.
«Quindi che si fa ora?» chiese la ragazza.
«Direi di seguire il suggerimento di Ninfadora» disse Remus, lanciandole un’occhiata veloce. «Facciamo fuori Dolohov… per la seconda volta».
«E la battaglia finale ebbe inizio» fece John, solenne.
«E con lui?» chiese Sirius, scrutandolo con attenzione.
«Potrebbe servirci» disse Lily. «Per il momento è dalla nostra parte e il suo potere ci farebbe comodo».
«Sei sicura che possiamo fidarci?» le chiese Remus, indeciso.
«Mi ha salvato la vita» rispose lei, con sicurezza. I due si guardarono per qualche secondo e Dora avvertì una leggera punta di gelosia, che ignorò facilmente. Alla fine, Remus annuì.
«Evvai! Avevo proprio voglia di battermi un po’» esclamò quello, tutto contento.
«Una volta finito tutto, però, non azzardarti a sparire» ordinò Remus. «Ci hai nascosto molte cose e mentito su altrettante: Dora ha completamente ragione, ora non abbiamo tempo, ma più tardi risponderai a parecchie domande».
«Sissignore!» fece John, mettendosi sull’attenti e facendo il saluto.
«E James?» chiese Sirius, preoccupato.
«Tranquillo, lui è sveglio e vede tutto quanto. Ha deciso lui di farsi dare il cambio, quindi l’ho sistemato in tribuna d’onore» rispose John, con un sorriso a trentadue denti fastidiosamente simile a quello di Allock. Lily, a quelle parole, chinò leggermente la testa e guardò a terra, come vergognandosi di qualcosa.
«Ragazzi, non vorrei fare la guastafeste ma…» cominciò Eve.
«Ma?» chiese Dora.
«Ma avete solo tre ore, quindi dovete sbrigarvi» concluse David, comparendo a un lato dello specchio. Gli altri ragazzi, escluso Remus, lo riconobbero e lo salutarono con sorpresa.
«Abbiamo dormito per nove ore?» chiese Sirius, stupefatto.
«Già» rispose Eve. «E la cosa più strana è che anche io sono stata colpita dall’incantesimo».
«La cosa più strana è che sono stato colpito anch’io, che sono entrato mentre era già in atto e non mi sono reso conto di niente» replicò l’altro.
«Ragazzi!» li riprese Lily, facendoli zittire. «Domande e risposte: dopo. Smaciullamento del bastardo: ora. Chiaro?».
«“Smaciullamento”?» chiese Eve, trattenendo una risatina.
«Sta’ zitta, tu!» esclamò quella, piccata, arrossendo leggermente sulle orecchie.

«Ehi, aspetta un secondo» mormorò Remus, prendendole la mano. Dopo una mezz’oretta di riposo, in cui il ragazzo si era fatto sempre più dolorante a causa della vicinissima luna piena (la Pozione Antilupo non stava affatto attenuando i dolori della malattia), tutta la truppa si stava dirigendo nel corridoio adiacente, pronti a combattere e con un piccolo piano in mente che alla Tassorosso non piaceva assolutamente.
«Che c’è?» chiese lei, preoccupata che qualcosa non andasse.
«Niente… è solo che…».
«Dimmi» lo incoraggiò.
«Quando mi trasformerò, prendi tutti quelli che puoi e andatevene… per favore» disse Remus, quasi supplicandola con lo sguardo. «Non voglio che mi vediate… che tu mi veda fare… certe cose».
Lei lo guardò qualche istante, poi gli prese il volto fra le mani e lo baciò. Lui rimase interdetto per qualche istante, poi rispose mettendole le mani attorno alla vita e avvicinandola a sé.
«Immagino di aver perso» mormorò lui dopo qualche secondo. Lei lo fissò negli occhi verdi che di lì a poco sarebbero diventati dorati.
«Abbiamo cominciato questa cosa tutti insieme. La finiremo allo stesso modo» dichiarò. Lui la baciò nuovamente.
Avrebbero potuto andare avanti forse all’infinito, se John non avesse esclamato: «Ehi, stiamo per andare in battaglia! Se non volete venire con noi, perlomeno andate a prendervi una camera a Hogsmeade: farlo qua dentro sarebbe davvero squallido!».
I due si separarono e si osservarono per qualche istante.
«Lo ammazzo quando finiamo con Dolohov» dichiarò Dora.
«Ti do una mano» concluse lui, incamminandosi con le sopracciglia aggrottate.

Il corridoio terminava una decina di metri più avanti in una grande camera circolare, monocromatica come il resto. Le fiaccole ne illuminavano tutto il perimetro privo di altre uscite; per il resto, la stanza era completamente vuota. I ragazzi entrarono, guardandosi intorno con circospezione e sguainando le bacchette.
«Solo a me preoccupa il fatto che non ci sia nessuno?» chiese Sirius, setacciando più volte la sala con lo sguardo. Remus aggrottò le sopracciglia ma non disse nulla, pensando a quante volte l’Istinto di Felpato si fosse rivelato esatto: era quasi sicuro che questa volta lo sarebbe stato altrettanto.
«Non ne sarei così sicuro» risponde John, guardandosi intorno anche lui. Aveva un’aria molto più rilassata degli altri, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni del completo e l’immancabile ghigno malizioso. Tuttavia, aveva lo sguardo assottigliato e, a osservarlo bene, la mascella gli tremava leggermente. Remus non sapeva se fosse per paura o per l’eccitazione per lo scontro. «Phobos è furbo e tiene segrete parecchie delle sue abilità. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere già qui».
«Rassicurante» replicò Lily a denti stretti, lanciando un’occhiata a Emmeline accanto a lei che, probabilmente ancora per poco, manteneva saldi lo sguardo e la bacchetta.
«Vuoi essere rassicurata?» fece il daimon, fingendo innocenza. «Oh, be’, allora non preoccuparti! Non c’è nessun essere magico pronto a ucciderci tutti, assolutamente no! Non c’è niente di cui aver paura!».
Una Fattura Tagliente gli passò accanto all’orecchio, facendolo voltare di scatto. Dora lo stava squadrando con gli occhi che riservava solo ai peggiori criminali quando era in procinto di arrestarli. John si limitò a sorridere con fare strafottente.
«Comunque» proseguì. «L’ultima frase può essere anche un buon consiglio».
«Sul serio?» fece Sirius, voltandosi verso di lui con aria scettica. «Fingere che non stia accadendo nulla sarebbe la nostra chiave per la vittoria?».
«Fossi in te non mi girerei così velocemente, rischi che il cervello ti esca dall’orecchio» disse John. Remus trattenne Sirius per una spalla, facendogli cenno di lasciarlo fare. Quello non era momento né luogo adatto per una lite fra alleati. «Il potere di Phobos si basa sulle paure che già si hanno, amplificandole. Se non si ha paura, Phobos non ha potere. Quindi sì, cucciolo, il mio consiglio è “non c’è niente di cui aver paura”».
«Tranne che della Paura stessa» concluse Emmeline, in tono tetro.
«Dovresti far poesia, sai? Sei molto portata» commentò John, con il suo solito sorrisetto. Lily gli fu davanti all’istante, la bacchetta puntata sotto il mento del ragazzo mentre sembrava cercare di bruciarlo con lo sguardo.
«Adesso basta» sibilò. «Non un’altra parola».
John sembrò voler dire qualcosa, ma si limitò ad alzare le mani, sorridendo, e a mormorare: «Come desideri, principessa». Lily si staccò da lui rapidamente, continuando a fulminarlo con gli occhi.
«David?» chiamò Remus. «Come sta procedendo?».
«Abbastanza bene» rispose la voce del Corvonero dalla tasca di Dora. «Mi sto aggrappando alla scia di etere che collega i due specchi: sono abbastanza sicuro di riuscire a trovarvi entro una decina di minuti».
«Bene, quando ci riesci faccelo sapere» disse il ragazzo.
«Ehi…» chiamò Evelyn.
«Sì?» chiese Dora, con dolcezza, estraendo lo specchio dalla tasca e guardando il volto preoccupato della sorella che evitava i suoi occhi. Eve si morse un labbro, guardando verso gli schermi del Laboratorio, titubante.
«Niente» disse, infine. «Non importa…».
«Va bene…» fece la Tassorosso, un po’ perplessa. «Torneremo presto, okay?».
«Okay» rispose Evelyn, a occhi bassi, spegnendo poi lo schermo. Dora lanciò un’occhiata preoccupata a Remus, che fece una smorfia triste ma non disse nulla.
«Meglio dare un’occhiata in giro, magari troviamo qualcosa» suggerì Lily, facendo qualche passo avanti. Gli altri, alcuni annuendo, cominciarono a guardarsi intorno, avvicinandosi alle pareti di pietra solida e controllando pavimento e soffitto.
«Potrebbe essersene andato» disse Emmeline, insicura.
«Non credo» rispose John, inaspettatamente serio. «Ci ha attirati qui per un motivo, e sicuramente non è quello di farci perdere tempo».
«Perché no?» replicò invece Sirius, come se avesse appena ricevuto l’illuminazione del secolo. «Dopotutto noi siamo gli unici nella scuola che sanno che ci sono loro: toglierci di mezzo per un po’ significherebbe attaccare una scuola indifesa!».
«Adesso però non ti mettere a scodinzolare, eh» lo rimproverò John, guadagnandosi un ringhio dal giovane Black.
«No, non può essere così» disse Remus, amaramente. Continuò prima che Sirius potesse aprire bocca, notando la sua faccia offesa. «Ai daimon non interessa la scuola, il loro obbiettivo… siamo io e Dora, probabilmente. Da quanto ho capito, vogliono farci fuori». Si voltò verso Emmeline con occhi tristi. «Avrei dovuto dirlo prima ma… mi dispiace che tu e Mary siate finite in mezzo a questa storia. Non potevo immaginare che sarebbe accaduto qualcosa del genere».
John sembrò voler dire qualcosa, ma chiuse la bocca a un’occhiataccia di Lily. Emmeline, invece, sembrava non aver nemmeno ascoltato l’ultima frase, sembrava, piuttosto, pensierosa.
«Invece non penso sia solo contro di voi» ribatté, stupendo il ragazzo. «Regulus… scusa, Sirius, intendevo Dolohov, mi ha messo un biglietto in tasca, parlando di “sangue degli intrusi sparso sulla pietra nera” o qualcosa del genere. Credo ce l’abbia anche con i Nati Babbani».
«Oppure» s’intromise Dora. «Intendeva un altro genere di “intrusi” …».
«E allora perché venire a prendere me e Mary? Avrebbe potuto rapire voi due, piuttosto, senza tante scenate» replicò la Grifondoro, fermamente convinta… sebbene molto inquietata dalla situazione.
«Le “scenate” probabilmente fanno parte del suo modo di agire» suggerì Sirius. «Dopotutto è il “dio della paura”, o almeno si fa chiamare così. Magari cercava solo di spaventare il più possibile».
«E perché farlo? Spaventare significa farci capire che c’è qualcosa che non va» disse Lily, riflettendo anche lei sulla strana situazione.
«O magari, tutto questo è stato fatto per attirarvi tutti insieme qui per spargere il vostro sangue in questa sala sacra». Tutti si voltarono all’istante verso l’entrata. Abbassando il cappuccio del suo soprabito nero, Dolohov, detto Phobos (ma anche “Scassaboccini” per Sirius era piuttosto adeguato), li guardava con un sorriso volgare dipinto sul volto storto e sadicamente divertito. In meno di un secondo, i ragazzi si riunirono, quasi al centro della stanza, per fronteggiarlo.
«In ogni caso» proseguì, «si può dire che il mio piano sia riuscito alla perfezione».
«Riunirci tutti insieme per una sorta di “battaglia finale” sarebbe il tuo grande piano?» chiese Sirius, scettico. «Morgana, neanche io sono così stupido!».
Gli altri si trattennero dal guardarlo, tenendo gli occhi sul nemico, ma un sorrisetto fra lo stupito e il divertito comparve su quasi tutti loro.
«Esatto, cane, il mio piano era portarvi qui. Tutti insieme: Narratori, Sanguesporco e traditori del proprio sangue, riuniti e lontani da ogni aiuto, pronti a essere sacrificati» disse Dolohov, calmo, e Sirius impallidì leggermente: non l’aveva vista sotto quell’ottica. «Apophis pensava di dover arrivare alla Guerra… ma così è molto più semplice, non trovate?».
«Sì, sì, come ti pare» fece John, all’apparenza tremendamente annoiato. «Adesso dacci Mary e Regulus, così ti ammazziamo e andiamo tutti a farci una bella dormita».
«Regulus? Ormai lui non è più con me…» disse l’altro, osservandolo con occhi socchiusi.
«Cosa gli hai fatto?» ringhiò Sirius, preparando la bacchetta.
«Oh, sai com’è, non serviva più e quindi…»
«Stronzate» lo interruppe una voce proveniente dalla tasca di Dora. «Ho trovato Regulus qualche ora fa e l’ho portato in Infermeria. Scusa, mi sono dimenticato di dirtelo prima».
«Ne parliamo dopo…» sibilò Sirius, ancora arrabbiato e preoccupato, ma con un peso in meno.
«Okay, è vero, Regulus è salvo» ammise Dolohov, scrollando le spalle. «E, a voler essere sinceri, anche lei lo è». Così dicendo, il daimon agitò una mano e, in un rapido vortice di nubi, Mary apparve, svenuta a un lato della stanza, proprio di fianco a Sirius, che corse istintivamente accanto a lei mentre i suoi compagni continuavano a osservare il nemico. Chino sulla Grifondoro, il ragazzo studiò con rabbia i vestiti strappati e i numerosi graffi ed escoriazioni che la ricoprivano.
«Sì, ci siamo divertiti molto con lei…» disse l’uomo, osservando i due con un ghigno. Sirius si voltò a guardarlo solo dopo aver constatato che Mary respirava. Si alzò in piedi, voltandosi a guardare l’ex-Mangiamorte. «E credo proprio che lei si divertirà altrettanto, con te».
«Sirius, attento!» l’urlo di Remus gli arrivò leggermente in ritardo e Sirius venne colpito dall’incantesimo della ragazza a un fianco.
Mentre Sirius si girava, stupefatto, a osservare la ragazza che, tenendo in alto la bacchetta, si alzava, guardandolo negli occhi con aria selvaggia, e gli altri rimanevano impietriti a osservarli, Dolohov scoppiò. Letteralmente. Una cortina di fumo grigio cominciò a sprigionarsi da dove si trovava, avvolgendo tutta la sala. In breve tempo, la visuale di tutti venne di molto ridotta.

Intanto, Sirius continuava a indietreggiare, tenendosi il lato colpito e sanguinante, mentre la sua ragazza gli puntava la sua arma verso il volto. Cercò con gli occhi l’aiuto dei suoi amici, sentendosi tremendamente impotente in quella situazione, ma senza trovarli. Quel fumo, molto probabilmente, li aveva separati tutti. Puntò gli occhi su Mary, che continuava a camminare ostentando una fredda decisione che non le vedeva da circa un anno…
«Mary…» tentò, timoroso. La ragazza fece un rapido gesto con la bacchetta e Sirius riuscì per un soffio a schivare il lampo rosso che ne seguì, sentendolo infrangersi a pochi metri da lui.
Una voce senza corpo gli arrivò all’orecchio.
«Soteriofobia» disse, sibilando. «La paura di dipendere dagli altri. Lascia che la tua amata affronti le proprie paure…».
Sirius sgranò gli occhi. Sicuramente quella era la voce di Phobos e sapeva per certo che era meglio non fidarsi, ma chi meglio del dio della paura sapeva riconoscerle e sfruttarle a proprio vantaggio? E poi, “paura di dipendere dagli altri” … e quella freddezza che il ragazzo non vedeva da tempo… Più precisamente, da quando lui e Mary avevano cominciato a uscire insieme seriamente.
In genere, le altre persone (e fino a qualche tempo prima anche i suoi stessi amici), a pelle, lo giudicavano come un po’ “lento”. Brillante e affascinante, eh! Ma un po’ lento nel comprendere le situazioni. E lui non aveva mai potuto dargli torto. Con Mary, invece, il discorso era ben diverso… ed era anche vero che l’indizio lasciatogli dal daimon era difficilmente fraintendibile. Se la paura di Mary era veramente quella descritta, era evidente che aveva paura di dipendere troppo da lui… Dopotutto, era sempre stata molto indipendente, prima della loro relazione.
Mentre Mary continuava a scrutarlo con la bacchetta puntata, come in attesa di qualcosa, Sirius cominciò a sentire urla e scoppi provenire dal denso fumo che li circondava e, di tanto in tanto, lampi colorati passavano a poca distanza dai due, dissolvendosi nelle vicinanze. Un ruggito scosse l’intera sala. Evidentemente, Phobos aveva sguinzagliato la sua Chimera da compagnia giusto in tempo per la pappa.
Sirius tornò a studiare con attenzione la ragazza, cercando di non andare nel panico e provando a pensare razionalmente… Non che fosse facile, in quel momento, ma una voce nella sua testa (stranamente simile a quella di Remus) gli sembrava consigliargli di riflettere e non lasciarsi trasportare dalle emozioni come suo solito. Non trovando soluzioni sul momento, però, Sirius tentò di nuovo un approccio calmo, cercando di far parlare la ragazza.
«Mary…» provò nuovamente. Non riuscì nemmeno a compiere una frase di senso compiuto che la ragazza fece roteare la bacchetta come una frusta. Il ragazzo non aveva idea di che incantesimo si trattasse, ma gli bastò il gesto per convincerlo a scattare di lato, evitando la scia della bacchetta che rapidamente si abbassava. Sul pavimento comparve una lunga crepa nera nella roccia. Sirius sgranò gli occhi. Quell’incantesimo era fatto per uccidere, decisamente.
«Dolohoferio» sussurrò nuovamente la voce di Phobos. «Un piccolo incantesimo che ha inventato l’altro me… ovviamente con qualche miglioria».
Sirius si morse le labbra per non mandare a quel paese l’uomo e dirgli di stare zitto: doveva concentrarsi su Mary. Era ovvio che i poteri di Phobos, incentrati sulla Paura, avessero un ruolo chiave in quella storia, ma doveva capire fino a che punto. La Grifondoro non smetteva di guardarlo con una terrorizzante calma fredda… terrorizzante. Ecco, era quello il punto! Ovviamente, Phobos stava sfruttando la Paura di Mary, ma in questo modo cercava di instaurarla anche all’interno di lui! Maledisse mentalmente il daimon quando capì il suo piano. Metterli uno contro l’altro.
Se Phobos aveva il potere, come aveva detto John, di accrescere la Paura di una persona e usarla per manipolarlo, bastava far nascere in due persone la paura dell’altro, in modo da farle ammazzare fra loro senza sporcarsi le mani.
È disgustoso, pensò Sirius, arricciando le labbra. Ora aveva compreso ciò che stava accadendo, mancava solo un passo: capire come risolvere il problema. Sirius digrignò i denti e si guardò intorno, come in cerca di un appiglio nelle nubi di Phobos. Che, ovviamente, non trovò.
Sapeva, comunque, che era meglio non fare nulla finché non avesse trovato un sistema sicuro, altrimenti quella sorta di ipnosi (era ancora Nightmare? O forse qualcos’altro di molto peggiore?) avrebbe indotto Mary ad attaccarlo. Probabilmente anche questo faceva parte del piano di Phobos: associare un suo tentativo di aiutare Mary con un attacco da parte sua. C’era anche un termine psicologico per questo, ma in quel momento non lo ricordava (Remus aveva detto, anni prima, che poteva usarlo per educarlo e fargli fare i compiti… fallì miseramente, ma questa è un’altra storia). In ogni caso, per quanto ne sapeva ci voleva molto tempo perché quest’associazione facesse effetto, ma magari i poteri di Phobos accorciavano i tempi. O magari stava pensando troppo… strano a dirsi per Sirius, ma in quel momento il suo cervello era a mille.
Una nuova esplosione, molto più forte delle precedenti, e un ruggito rabbioso riportarono i suoi pensieri sull’azione. Guardò negli occhi Mary, cercando di capire cosa fare. L’idea gli venne all’improvviso: non c’è nulla di cui aver paura, tranne la Paura stessa. Allora, forse, un modo c’era! Se Phobos controllava Mary tramite la sua paura, allora poteva aiutarla rimuovendola. Ora, ciò che Mary temeva era, in un certo senso, lui e, considerando che il suicidio sarebbe stata l’ultimissima opzione, doveva trovare un modo per non farsi vedere come una minaccia.
Rinfoderò, quindi, la bacchetta, e guardò la ragazza negli occhi. Quella sembrò accorgersi di qualcosa, perché assottigliò lo sguardo e rinforzò la presa sulla sua arma. Sirius non sapeva bene come muoversi né cosa fare di preciso, quindi fece ciò che faceva di solito: spense il cervello. Assunse il suo solito sorriso strafottente e continuò a studiare Mary che, stranamente, sembrava leggermente a disagio, continuando a non emettere un fiato.
Quando Sirius fece un passo avanti, la ragazza sussultò e ne fece uno indietro. Il Grifondoro non si fermò e continuò a proseguire verso di lei che, piuttosto che tentare di scagliargli contro un incantesimo, come aveva temuto, sembrava particolarmente confusa. Mary indietreggiò fino a poggiare la schiena sul muro circolare. Sirius continuò ad avanzare, ignorando la bacchetta che continuava a venir puntata contro il suo petto. Fece scivolare con nonchalance il braccio teso sopra la propria spalla e si avvicinò ancora. Mary sgranava gli occhi, sorpresa e confusa. Evidentemente, Phobos non si aspettava che avrebbe osato avvicinarsi. Quell’essere conosceva veramente poco gli umani, nonostante lo fosse stato, in passato.
Sirius continuò ad avvicinarsi, lentamente, e, fermo di fronte a lei, le passò una mano fra i lunghi capelli biondi, arrivando a carezzarle il viso. Poi, senza che nessuno dei due dicesse nulla e con la battaglia che infuriava sempre più violenta nella nebbia alle sue spalle, Sirius si chinò su di lei e la baciò.
Quasi immediatamente, calde lacrime cominciarono a sgorgare dal volto di Mary, bagnando anche quello del ragazzo, che non se ne curò, mentre il suo cuore trionfava doppiamente: una volta per aver salvato Mary, la seconda per averla riavuta con sé. Perché sì, ne era sicuro, la ragazza che ora ricambiava appassionatamente il suo bacio era sicuramente Mary MacDonald, la Grifondoro dal cuore d’oro che aveva rapito il suo.
«Mi dispiace» mormorò la ragazza, separandosi leggermente da lui per guardarlo in volto. Sirius gioì nuovamente nel vedere di nuovo quegli occhi accesi di vita, nonostante le lacrime che continuavano a sgorgare.
«Non importa» rispose Sirius. «Tu non hai fatto nulla».
E la baciò nuovamente. Non sapeva, esattamente, quanto sarebbero andati avanti se Remus e gli altri non avessero sconfitto la Chimera. Capì ciò che era successo dall’ultimo ruggito straziante della creatura, che risuonò nella stanza, e dall’urlo di rabbia e sofferenza che apparteneva a Dolohov. Evidentemente non gli stava piacendo la piega che stava prendendo la situazione. Due a zero per Hogwarts!
E poi il terremoto scosse tutta la stanza.

Il fatto che l’animaletto di Phobos non fosse una Chimera era stato chiaro a tutti non appena questa aveva fatto la sua comparsa. Dopotutto, le Chimere, seppur selvagge, pericolose e magiche, erano pur sempre animali, e soprattutto non avevano il pelo color dell’inchiostro e gli occhi cremisi. E voi avete mai sentito parlare di un animale che emergeva da una pozza di sangue nero ribollente nel bel mezzo di una stanza costruita con solidissima pietra? Be’, i presenti erano abbastanza informati da sapere che no, non era affatto normale.
Sommergendoli di scuse durante il combattimento, Evelyn aveva continuato a cercare informazioni sulla creatura insieme a David con controlli incrociati e Merlino solo sa cosa. I ragazzi avevano facilmente ignorato i suoi balbettii costernati e frenetici, impegnati com’erano a non farsi scuoiare con una zampata della belva. A sorpresa, fu proprio la voce di Phobos, nelle loro teste, a spiegargli cos’era quell’essere (evidentemente, i daimon erano tremendamente esibizionisti).
«Vi piace?» aveva chiesto la voce, quasi ironicamente. Probabilmente erano volati molti insulti mentali, in quel momento. «Questo è ciò che potrei definire mio figlio: l’Atromorfo. È uno dei primi Mutaforma della storia, sapete? È in grado di trasformarsi in qualsiasi cosa il suo padrone desideri ,in ogni momento, assumendone tutte le caratteristiche, genoma compreso. Interessante, non trovate?».
Probabilmente, le uniche a trovarlo interessante erano state Lily, che con un incantesimo cercava di far cadere la creatura insieme a Emmeline, e Evelyn, che sicuramente non aveva sentito la spiegazione da documentario, considerando che ancora si stava affannando nelle ricerche.
I ragazzi capirono poco dopo cosa volesse dire “in qualsiasi cosa, in qualunque momento”: mentre l’Atromorfo alzava una zampa in un tentativo di colpirli, quella assunse le sembianze (e gli artigli) di quella di un drago, allungando non di poco il suo raggio e rischiando di mozzare la testa a Dora, che fortunatamente decise di inciampare proprio in quel momento. Remus rispose con una lunga serie di incantesimi mischiate a colorite imprecazioni che tennero occupata la bestia per qualche minuto, mentre gli altri recuperavano le forze e cercavano di elaborare un piano.
John, mentre gli altri combattevano, sembrava studiare la creatura, lanciando di tanto in tanto qualche incantesimo con il solo ausilio delle mani. I suoi colpi erano molto potenti, poco più di quelli di Remus, ma la lenta cadenza con cui li scagliava permetteva all’Atromorfo di rimanere stabile e continuare con i suoi mutevoli (in tutti i sensi) attacchi. Alla fine, fu proprio lui a trovare una soluzione… all’incirca.
«Lily, Emmeline» ordinò, con voce chiara, in modo che lo sentissero anche sopra ai ruggiti dell’Atromorfo. «Mettetevi alle sue spalle e cercate di bloccargli le zampe posteriori, e attente alla coda. Remus, Tonks, voi pensate alle anteriori e al muso. Al resto ci penso io».
Non che fosse, poi, un gran piano. Anzi, a dirla tutta sembrava quasi li stesse prendendo in giro. Ma il suo volto era così serio e la sua voce così autoritaria da indurli a fidarsi. Più che John, in quel momento sembrava un James estremamente serio.
Lily ed Emmeline, quindi, cominciarono a scagliare incantesimi contro le zampe, cercando di evitare i colpi della coda, che cambiava forma in continuazione, mentre Remus e Dora si diedero da fare con la testa, colpendola con i più potenti incantesimi di cui erano a conoscenza (fra cui, inutilmente, anche le Maledizioni Senza Perdono). John, invece, si tramutò in una cortina di fumo nero, mischiandosi alle nubi che li avvolgevano, e volò sopra la schiena dell’Atromorfo. Gli altri non seppero mai cosa accadde lì in alto ma, nella nebbia, sentirono chiaramente numerose esplosioni e Lily giurò di aver visto delle catene uscire dal terreno e conficcarsi nei fianchi della creatura. La violenza di quegli attacchi era tale che la bestia non riuscì a riformare le parti colpite e, pian piano, con un ultima, violenta esplosione, quella si dissolse nel nulla con un ruggito straziante, seguito a breve da un urlo rabbioso di Dolohov.
«Grazie» disse Remus, con il fiatone, a John, quando questo gli si Materializzò accanto.
«Non è ancora finita» disse lui, cupo. Il terremoto venne immediatamente dopo.
Frammenti di pietra caddero dal soffitto, graffiando volti e braccia dei ragazzi. Remus sentì, nel trambusto, Dora chiedere a David quanto tempo mancasse e la risposta non gli piacque affatto.
«Molto bene, allora» ringhiò Phobos, nell’aria. «Siete arrivati fin qui e avete deciso di sfidare il dio. Ora avrete la vostra punizione».
Altre pozze nere comparvero sul pavimento, ognuna di fronte a una persona; in un ribollio inquietante, da queste uscirono persone che, in un istante, assunsero l’aspetto dei ragazzi, che si allontanarono dalle copie con le bacchette sguainate.
«Prodofobia» disse la voce. «La paura del tradimento. Ora, avrete il coraggio di puntare la bacchetta verso il nemico senza sapere se lo sia veramente?».

All’inizio sembrava piuttosto semplice affrontare i propri doppioni, specie quando apparivano proprio di fronte a sé, ma, dopo che i primi incantesimi furono scagliati da entrambe le parti (misteriosamente, Dolohov era riuscito a replicare anche le loro bacchette), tutti si dispersero nella nebbia, che si era fatta più fitta.
Lily teneva la bacchetta alzata e si guardava intorno, mentre si muoveva alla cieca a piccoli passi, cauta, cercando di avvertire ogni minimo rumore. Ogni tanto, uno scoppio e un lampo colorato nel grigio le facevano capire che qualcuno aveva incontrato una copia… o forse era una copia ad aver incontrato uno di loro. Preferiva non pensare a quell’eventualità.
Quando si scontrò, di schiena, contro qualcuno, sobbalzò vistosamente e, voltandosi di scatto, gli puntò la bacchetta al volto. Lei e Tonks rimasero a osservarsi, immobili, studiandosi a vicenda e cercando di capire se fossero copie o no. Camminarono in circolo, continuando a puntarsi la bacchetta contro, aspettando il minimo segno per colpire. Lily cominciò a innervosirsi quando capì quanto fosse assurda la cosa: se erano entrambi gli originali, avrebbero potuto continuare così all’infinito senza risolvere alcunché. Con un ringhio di stizza si allontanò da Dora, abbassando la bacchetta. Quella la guardò, sorpresa.
«Tutto questo è assurdo!» esclamò Lily, furibonda. «Questa storia non finirà mai! Come faccio a capire se sei una copia o no?».
La Tassorosso la guardò, inclinando leggermente la testa con un sorrisetto divertito. Poi sgranò leggermente gli occhi e urlò «Giù!».
Lily ubbidì e l’incantesimo lanciato dall’Auror volò oltre la propria spalla e a quello seguì un tonfo. La Grifondoro si voltò, giusto in tempo per vedere una seconda Ninfadora tenersi una ferita sul braccio da cui sgorgava sangue nero.
«Oh» fece Lily, inarcando un sopracciglio. «Ecco come».
E Schiantò la copia, colpendola in pieno volto.
«Bel colpo, principessa!» esclamò John, apparendo dalla nebbia. Entrambe le ragazze si voltarono a guardarlo, puntandogli e bacchette contro il petto. Quello alzò le mani, assumendo un’espressione di finta sorpresa, e indietreggiò di un passo. «Tranquille, sono il solo e unico».
«Be’, non possiamo esserne certi senza fare una piccola prova, no?» fece Lily, sorridendo amabilmente e senza celare una certa punta di sadismo nella voce. Dora la guardò con un ghigno divertito: non sapeva cosa fosse accaduto di preciso tra i due, ma sembrava proprio che la ragazza stesse cercando una piccola vendetta… e non sarebbe certo stata lei a fermarla.
«Ehm… no, non credo proprio» replicò lui.
«Oh, dai, solo un piccolo taglietto che male può fare?» ribatté lei, avvicinandosi minacciosamente. Nonostante tutto, era sicura che stesse dicendo la verità.
«Piantatela, tutti e due» disse Remus. Comparire dalla nebbia cominciava a sembrare un hobby. «Non è il momento… e lui è a posto, l’odore è quello giusto».
«Odore?» chiesero Lily e John in coro, con la differenza che lui assunse un ghigno compiaciuto mentre la ragazza lo trucidava con lo sguardo.
«Sono troppo vicino alla luna piena» spiegò il Grifondoro, grattandosi il naso. «Fra non molto mi trasformerò… dobbiamo sperare che i calcoli siano giusti».
«Comunque Dolohov non mi sembra poi così pericoloso» intervenne Dora, passandosi una mano fra i capelli (diventati di un violento arancione) e guardandosi attorno nella nebbia. «I suoi poteri non sono un granché…».
«Credo abbia toppato» disse John. «Dovrebbe essere molto più potente di così, ma sembra che qualcosa lo trattenga. Probabilmente, le cose non stanno andando come avrebbe voluto».
Remus fece una piccola smorfia, arricciando il naso. «Anche a me aveva dato l’impressione di un piano creato sul momento…».
«Pensiamoci dopo» fece Lily, seria. «Meglio trovare Emmeline e i piccioncini».
«Chi è che stava flirtando col demone, cinque secondi fa?» borbottò Remus, un po’ risentito, seguendo la Grifondoro che si addentrava nella nebbia. Dora, l’unica sentirlo, ridacchiò dandogli una scherzosa pacca sulla spalla. Lui le sorrise di rimando.
Camminarono nella nebbia senza una meta visibile e tenendo le bacchette spente per paura di essere trovati dalle copie mancanti. Non ci volle molto, tuttavia, a capire che la nebbia stava cambiando la loro percezione dello spazio: la stanza era sì grande, ma non tanto da camminare per minuti interi senza trovare la parete opposta!
«Qualcosa mi dice che non sarà poi così facile trovarli» commentò Lily, con aria sconsolata. «Potremmo anche star girando in tondo senza saperlo…».
«Purtroppo la nebbia blocca gli odori troppo distanti» disse Remus. «Non riesco a sentirli da nessuna parte».
«E, stranamente, anche io sono bloccato» aggiunse John, infastidito. «Non percepisco niente a parte voi».
«Allora credo ci sia una sola cosa che si può fare» disse Dora, con espressione saggia. Remus aggrottò le sopracciglia, improvvisamente molto preoccupato.
«Di che stai parlando?» chiese, cauto.
«Be’, i superpoteri non si possono usare, la visibilità è poca, la stanza è tutta incasinata, quindi non rimane che…» prese un bel respiro e poi, a pieni polmoni, urlò: «Emmeline! Sirius! Mary! Dove siete?».
Gli altri tre la guardarono a occhi spalancati. John fece un gesto di stizza con le braccia.
«Bene, tanti saluti allo stealth. Adesso ci ritroveremo tutte le copie addosso» commentò.
«E quindi?» replicò lei con un sorriso innocente. «Non riuscite a percepirli a distanza, ma se sono vicini potete capire se sono loro o no».
Remus la guardò per qualche istante, prima di posarle le mani sulle spalle e guardarla fissa negli occhi. «Sei un genio» disse, serio, prima di baciarla.
«Forse dovremmo imitarli, sai?» fece John, guardando Lily con aria maliziosa. «Giusto per mimetizzarci eccetera».
Lei inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia. «Con te? Non accadrà mai».
«Dai, alla fine sono James, no?» replicò lui, quasi supplicante. Il sopracciglio di Lily si alzò ancora di più.
«No, tu sei John» rispose, ferma.
«È lo stesso!».
«Non è vero!».
«Confringo!» esclamò Remus. Il raggio dell’Incantesimo Esplosivo passò accanto ai due, andando a colpire in pieno petto un secondo Remus. Una voragine di sangue nero si aprì in seguito alla violenta esplosione e il corpo cadde a terra. In un breve istante, quello si tramutò in cenere.
«Meno due» fece il Grifondoro, abbassando la bacchetta. Lily lo guardò, stupefatta dalla violenza dell’incantesimo appena usato, mentre John sembrava più interessato al mucchietto di cenere che stava sopra.
«Penso siano altri Atromorfi… che strano…» commentò.
«Perché “strano”?» chiese Remus, avvicinandosi di poco a lui.
«Perché per quanto ne sapevo, Phobos non aveva bisogno di creature per concretizzare le paure» spiegò. Rimase in silenzio per qualche secondo, per poi aprirsi in un sorriso raggiante. «Forse ho capito… e se è così, siamo davvero molto fortunati!».
Non fece quasi in tempo a finire di parlare che un lampo di luce verde gli passò accanto al viso, mancandolo di un soffio. John si girò ringhiando verso l’assalitore. James (perché quello era decisamente James) lo stava fissando con la bacchetta puntata e un sorriso strafottente.
«Figlio di un bolide!» esclamò John, guardandolo. L’Atromorfo mosse la bacchetta e un secondo Anatema ne fuoriuscì. Il daimon non si dette nemmeno la pena di schivarlo. La sua mano si coprì di un velo di oscurità e, in un rapido movimento, afferrò la maledizione in volo appena prima che lo colpisse. Tenne in mano per un istante quella che sembrava una fiamma smeraldina, per poi chiuderla nel pugno. L’Anatema si dissolse in scintille verdi.
Con la stessa mano, John indicò la copia con l’indice, tenendo alzato il pollice nel classico segno di pistola. Una pistola che, tuttavia, sparò davvero. In un breve istante, il velo di oscurità corse lungo il dito e ne fuoriuscì in una minuscola pallottola nera, rompendo una lente dei finti occhiali dell’Atromorfo, che si dissolse ancora prima di toccare terra.
«Fuori tre. Ne restano quattro» disse John, con tranquillità. Poi si volto a guardare i compagni. «Non fissatemi così, potrei arrossire!».

Proprio in quel momento, Sirius ed Emmeline avevano ingaggiato una violenta battaglia contro i propri doppioni e quello di Mary, che, troppo debole per combattere, se ne stava dietro di loro, fornendo un poco di supporto tramite deboli incantesimi difensivi.
Nonostante l’innata bravura di Sirius nei duelli, i tre Atromorfi erano decisamente più potenti ed Emmeline non era poi molto abile: alla fine, era lei che più aveva bisogno degli incantesimi di Mary.
Sirius mosse la bacchetta in un moto circolare e un raggio arancione andò a colpire la gamba del suo doppione, che cadde a terra. La copia di Mary gli si pose immediatamente davanti, bloccando il suo tentativo di finirlo. Nonostante fosse quasi doloroso combattere contro qualcuno con le sembianze della sua ragazza, la presenza dietro di lui riusciva a mantenergli la mente lucida, quindi non fu troppo difficile contrastare l’offensiva della creatura.
Emmeline, invece, rischiava sempre di fare un passo falso. Combatteva meglio che poteva, ma aveva così tante aperture che, senza Mary, l’Atromorfo l’avrebbe già uccisa. Provò a scagliare uno Schiantesimo contro la copia, ma quella parò il colpo senza problemi, ricambiando con un Incantesimo Elettro, prontamente parato da Mary, che ormai aveva cominciato a duellare più attivamente insieme alla compagna.
In pochi secondi, le due Grifondoro riuscirono a ribaltare la situazione. Mary tentò di lanciare una semplice Fattura Orcovolante che, naturalmente, l’Atromorfo-Emmeline riuscì a parare senza alcun problema. Prima che la creatura potesse fare qualcosa, Emmeline scagliò un Incantesimo di Ostacolo, superando con successo la sua guardia. Approfittando dell’improvvisa paralisi del nemico, Mary mosse la bacchetta come una frusta. L’Incantesimo di Dolohov squarciò l’Atromorfo, riducendolo in cenere.
Mary non si sentiva affatto felice di aver usato una maledizione così oscura e appresa in un modo tanto orrendo, ma non vedeva cosa ci fosse di male nell’usare gli incantesimi del creatore di quelle creature per distruggerle. In altri momenti, probabilmente avrebbe urlato qualcosa sul genere: «questo è karma, stronzo!». Tuttavia, non le sembrava il caso di far infuriare ancora di più il nemico.
Sirius era ormai impegnato in un rapidissimo testa a testa con la copia di Mary, che duellava ancora meglio della ragazza. Gli incantesimi che non venivano bloccati da uno difensivo si scontravano a mezz’aria con un altro dell’avversario, sprigionando lampi dai mille colori che illuminavano la nebbia attorno a loro. La copia di Sirius, stava ancora a terra, tenendosi la ferita da cui sgorgava sangue nero. Quando Mary lo vide riprendere la bacchetta e puntarla contro Sirius, gli lanciò un rapido Incantesimo di Confusione. L’Atromorfo-Mary si tramutò in cenere, colpita dall’Anatema del compagno, che lo seguì dopo un istante grazie a una maledizione di Sirius.
«Grazie» disse Sirius, con il fiatone, sorridendo alla ragazza. Lei fece un sorrisetto, compiaciuta, prima di mettersi a sedere per terra. I due Grifondoro le furono immediatamente accanto ma lei li tranquillizzò con un gesto della mano.
«È finita l’adrenalina, tutto qua» spiegò, affaticata. «Penso di essere fuori gioco, mi dispiace».
«Non ti preoccupare» disse Sirius, dandole un bacio. «Sei stata grandiosa».
«Ragazzi! Vi ho trovato!» esclamò una voce dietro di loro. Si voltarono giusto in tempo per vedere Lily, i capelli rossi in disordine e arruffati, venire verso di loro correndo piano con aria sfinita.
«Lily!» esclamò Emmeline, correndole incontro per abbracciarla. Le due rimasero per qualche secondo in quella posizione, poi Lily si liberò dall’abbraccio e, con un altro sorriso all’amica, si diresse verso Mary, ancora a terra.
«Merlino, Mary! Tutto okay?» chiese, preoccupatissima. Mary la guardò, inarcando le sopracciglia.
«Potrei stare meglio» disse, osservandola con attenzione. Lily sembrò non curarsene ma Sirius se ne accorse, guardando la ragazza con una muta domanda negli occhi.
«Vi ho sentito combattere e sono corsa qui» spiegò la rossa, affannata.
«Hai incontrato qualcuno qui in giro?» chiese Mary, in tono neutro. Ancora una volta, Lily non diede segno di essersene accorta.
«No, nessuno, purtroppo… Solo la mia copia» rispose, con occhi tristi.
«E dov’è la copia, ora?» chiese ancora Mary, gli occhi che si affilavano sempre di più e un sorrisetto scaltro che nasceva a un angolo della bocca.
«Morta. Non darà più fastidio» disse con fredda sicurezza.
«Eh, già, sono sicurissima che non darai più alcun fastidio» disse Mary, con un sorriso amabile. Lily la guardò, confusa, ed Emmeline le diede un colpetto sulla spalla per farla voltare. Lily ubbidì, trovandosi faccia a faccia con un gruppetto capitanato da… Lily, che aveva la bacchetta puntata contro di lei.
L’Atromorfo saltò in piedi, estraendo la bacchetta e cercando di scattare verso l’originale che, tuttavia, fu più veloce.
«Glaciellus» mormorò quella. Un proiettile di ghiaccio trafisse la spalla dell’Atromorfo, facendone sgorgare sangue nero. L’essere venne sbilanciato e cadde in ginocchio. Lily, guardandola con rabbia, abbasso rapidamente la bacchetta in un gesto verticale. «Propagat».
Assecondando l’ordine della ragazza, dalla ferita cominciò a diffondersi ghiaccio su tutto il corpo della creatura e, in pochi secondi, nei quali si lamentava in lacrime per il freddo, venne completamente congelata.
John fischiò il suo apprezzamento. «Figo».
«Se fanno una copia di me ci posso anche stare. Che sia più potente di me anche. Che sia una creatura oscura un po’ meno. Ma una Lily Evans che inganna le mie amiche deve solo morire» disse, piena di fredda rabbia, osservando il ghiaccio entrare sempre più in profondità, fino a tramutare l’intero cadavere in acqua gelata con le sue sofferenti sembianze.
«Come state?» chiese Dora, facendo qualche passo verso i tre Grifondoro, che ancora osservavano l’amica con occhi sgranati.
«Io e Sirius stiamo bene, ma Mary…» cominciò Emmeline. La bionda le lanciò un’occhiataccia.
«Mary sta bene, è solo molto stanca» concluse, con una smorfia infastidita.
«E adesso…?» chiese Sirius. «Cosa facciamo?».
«Adesso si concluderanno i giochi» sibilò Phobos nelle loro orecchie. I ragazzi non si diedero neanche la pena di guardarsi attorno, sicuri che era la nebbia stessa a trasmettergli i pensieri del daimon. «Come vi avevo promesso, avete riabbracciato i vostri cari perduti e, adesso, è giunta l’ora di morire. Tutti».
«Credici» commentò John, annoiato. «Sei solo un patetico codardo che si nasconde dietro i suoi pupazzetti. Non sei degno di portare il nome di daimon».
«Come osi?» ruggì la voce. «Proprio tu parli in questo modo? Sei tu che hai tradito la tua stessa specie, alleandoti con questi intrusi».
«Tecnicamente, siete voi gli intrusi» replicò tranquillamente l’altro, cominciando a camminare nella nebbia, come se non riuscisse a rimanere fermo. «Hogwarts appartiene ai suoi studenti, voi vi siete inseriti e ora volete uccidere i suoi stesso abitanti».
«Anche tu sei un intruso, allora» disse Phobos. Remus, più di tutti, riuscì a vedere distintamente che la nebbia stava calando di poco in poco, raggruppandosi in una massa in quello che doveva essere il centro della stanza, proprio dove John era diretto. «Come noi, hai cercato di uccidere questi umani a cui ora tieni tanto».
«Lo ero» rispose con tranquillità. «Per le prime ore in cui sono stato in questo corpo. Poi mi sono state fatte capire parecchie cose su questi umani… a suon d’insulti, a dirla tutta».
Phobos sbuffò, diventando sempre più consistente. «Lo avevo detto che era uno sbaglio mandare te. Sei stato troppo tempo senza un ospite, era normale che l’osmosi ti facesse impazzire».
John rise. «Impazzire? Mio disgustoso fratello, sono sempre stato pazzo! Solo adesso, però, ho capito che il tipo di pazzia che voglio è proprio questa!».
«Ti consumerai, Mot» disse l’altro daimon. «Sai cosa accadrà se continuerai in questo modo. Dovresti stare dalla parte giusta, ottenere ciò che ti spetta di diritto. Invece tu e Loki continuate a mandare tutto a puttane. Per cosa, poi? Per questa insulsa feccia!».
«Sai una cosa?» chiese John, fermandosi a un passo da Phobos. «Se dovessi scommettere su questa Guerra, scommetterei sulla feccia».
Così dicendo, mosse in un lampo la mano destra, poggiandola sul petto ancora non pienamente formato del dio della Paura. Come se fosse una mina, la mano, avvolta dal velo di oscurità, sprigionò uno scoppio di luce nera, facendo volar via Phobos che, a terra, riassorbì tutta la nebbia presente nella stanza, riassumendo la forma umana.
John corse verso i compagni che lo osservavano, sorpresi dal suo comportamento. Tutti tranne Remus, che aveva capito perfettamente cosa Mot gli aveva appena offerto: una finestra.
«David, hai fatto?» esclamò il Grifondoro. La voce gli giunse dalla tasca di Dora.
«Ancora pochi secondi…» rispose.
«Non ce li abbiamo pochi secondi, è la nostra unica occasione» ringhiò Remus.
«Aspetta un secondo!» esclamò a sua volta il Corvonero. «Aspetta… aspetta… Okay! Ci sono! Siete fuori dalla Foresta, a poca distanza da Hogsmeade. Se i calcoli sono giusti, dovreste essere accanto al cimitero del paese!».
«Se? David, devi essere sicuro, non possiamo contare sui “se”!» esclamò il ragazzo.
«Fatelo!» urlò il Dottore.

L’esplosione scosse tutta Hogsmeade.
Mancavano circa dieci minuti alla mezzanotte e una candida luna piena cercava di affacciarsi sul paese. Era in sere come quelle che anche i più incalliti bevitori cercavano di rientrare in casa relativamente presto dai vari pub, mentre, magari, i fratelli maggiori si divertivano a raccontare storie sui Lupi Mannari della Foresta Proibita ai più piccoli. In verità, quasi nessuno credeva che ci fossero veramente dei Lupi, ma in quel Mondo Magico non si era mai troppo sicuri.
Quando ci fu l’esplosione, tutte le finestre si accesero quasi contemporaneamente e gli abitanti cominciarono ad affacciarsi o a uscire in strada, chi con la bacchetta illuminata, chi con lanterne accese, per cercare di capire cosa avesse provocato quel baccano. I più attenti notarono quasi subito il fumo che proveniva dalla periferia della città, in direzione dell’antico cimitero di Hogsmeade, ormai abbandonato. Più che un luogo di culto, era ritenuto dai paesani un posto da evitare, soprattutto per la possibilità d’incontrare qualche creatura Oscura. I corpi sepolti erano lì da così tanto tempo da essere ormai ridotti in cenere e i loro nomi erano scomparsi da decenni dalle lapidi di marmo, incrostate dalla vegetazione che aveva preso il sopravvento sul luogo.
Vedendo quei segni e interpretandoli come cattivi presagi, alcuni fra i più anziani abitanti del luogo si diedero a gesti scaramantici e, gli ex-Corvonero in primis, a una rapida lista di tutti gli incantesimi che conoscevano. Non ci volle molto prima che un gruppo di adulti si radunasse per andare a controllare, inconsapevoli e terrorizzati da ciò che avrebbero potuto vedere.

I calcoli di David, effettivamente, non erano perfetti. I sette ragazzi, infatti, erano ora in piedi esattamente dove sorgeva l’antico cimitero del paese.
Lo scudo creato da John, Remus e Dora aveva tenuti tutti in salvo e ora erano circondati da macerie di pietra nera, lapidi spezzate e cenere, mentre un’enorme nuvola di polvere si levava verso il cielo. Per Remus, era stato stranamente semplice far saltare in aria la sala nera: si era aspettato una qualche resistenza magica, ma evidentemente Phobos aveva creduto che a nessuno sarebbe saltato in mente di far crollare tutto quanto. Che illuso…
I ragazzi si guardarono intorno, assaporando l’aria fresca sulla pelle e respirando più ossigeno possibile: come se fossero stati sott’acqua per tutto il tempo, erano affamati d’aria fresca. Remus sentì il vento pungente rinvigorirlo e i dolori dovuti alla vicinissima trasformazione si fecero sempre più blandi, forse grazie anche alla Pozione Antilupo che cominciava ad agire, leggermente in ritardo.
Lo sguardo di tutti si spostò poi sulla devastazione che avevano causato. Muovendo qualche passo, calpestarono antiche macerie, vedendo che tutto quanto, nel raggio di una trentina di metri, era crollato su se stesso, facendo a pezzi quello che fino a pochi secondi prima era stato un terreno lasciato alla natura. Tutto intorno al grigio delle lapidi, mischiato al marrone della terra e al nero della pietra sottostante, il cimitero, nel suo verde abbandono, continuava per un’altra decina di metri, fino a un alto recinto di roccia, sormontato da punte di metallo dorato che, sotto la luce della luna, rilucevano come fiaccole. Qua e là, lungo il perimetro, c’erano lanterne magiche accese su alti pali di metallo e, a quanto sembrava dai resti, ce ne dovevano essere alcune anche all’interno del cimitero. La zona in cui si trovavano era, invece, illuminata solo dal satellite.
«È morto?» chiese Lily, speranzosa, osservando la parte che corrispondeva al centro della sala, scalando insieme agli altri le macerie per portarsi al livello del terreno.
«Non credo proprio» disse amaramente John, togliendosi la polvere dal completo. Una volta che tutti riuscirono a salire (Mary dovette essere aiutata da Sirius e Dora), il daimon mosse la bacchetta e delle macerie andarono a chiudere la fessura da cui erano saliti, rendendo la voragine più o meno uniforme. «Per non caderci dentro» spiegò agli altri, che lo guardavano incuriositi.
«E adesso?» chiese Mary, guardandosi intorno ma, soprattutto, verso il cancello nero che portava al villaggio. Le sarebbe davvero piaciuto andarsene di lì, tornare a Hogwarts e sdraiarsi sotto le coperte del suo letto a baldacchino.
«Adesso vediamo cosa succede» rispose Remus. «Sperando che accada in fretta».
«Quanto tempo manca?» chiese dolcemente Dora, avvicinandosi a lui.
«Pochi minuti, dobbiamo sperare di fare in tempo» le disse, preoccupato.
«E anche di riuscire a farlo fuori prima che arrivino i cittadini» commentò John. «Phobos potrebbe benissimo prenderli tutti come ostaggi o mandarli contro di noi.
«Ottima idea» disse Phobos, emergendo dalle macerie solo con qualche graffio sulla faccia volgare. «Perché non aspettarli e vedere che riesco a fare con loro, no?».
«Sai» commentò Sirius, guardandolo con disprezzo. «La tua abitudine di apparire con queste frasi a effetto di merda mi ha davvero rotto».
E, prima che Phobos potesse uscirsene con un’altra di quelle sue “frasi a effetto”, Sirius lanciò il primo incantesimo, che il daimon evitò facilmente. Phobos allargò le braccia e un forte vento cominciò a soffiare nel cimitero.
«Hai ragione, Black, perché aspettare?» fece, battendo le palpebre. Gli occhi diventarono color cenere, esattamente come quella che veniva trasportata dal vento per tutta la zona. «Morirete tutti, qui e ora».
All’istante, dalle macerie cominciarono a fuoriuscire spessi rovi grigiastri, crescendo rapidamente e allungandosi verso il gruppo. Subito, Remus e Lily lanciarono Incantesimi di Fuoco, cercando inutilmente di bruciarli. Alla fine, il gruppo dovette separarsi per evitare l’assalto di ciò che era, indiscutibilmente, pietra. Phobos mosse le mani in complicati gesti e, sul terreno intorno a lui, cominciarono a crearsi pozze nere da cui fuoriuscirono ciò nuovi Atromorfi, questa volta dalle sembianze di rettile, che si avventarono contro i ragazzi senza curarsi dei rovi che gli passavano accanto.
Sirius cominciò una sorta di strana danza, passando velocemente dalla forma Animagus per evitare più facilmente i rovi a quella umana per lanciare violenti Incantesimi Esplosivi contro le creature. Mary ed Emmeline, allo stesso modo, cercavano di proteggersi a vicenda dalle pietre, colpendo gli Atromorfi da dietro gli scudi indeboliti della prima. Similmente facevano Remus, Dora e Lily, mentre la Caposcuola cercava di raggiungere le amiche per aiutarle.
John, invece, stava andando direttamente alla fonte, rompendo i rovi con colpi delle mani intrise di oscurità, evitandone agilmente la maggior parte e tramutandosi in ombra per schivare colpi diretti verso di lui. Quando fu abbastanza vicino per sferrare un attacco diretto, Phobos scomparve come cenere, riformandosi giusto dietro di lui. Fortunatamente, i rovi avevano fermato la loro avanzata e, proprio com’era previsto, il daimon non era in grado di mantenere la sua forma alternativa per molto tempo. Se tutto stava andando come previsto, allora avevano tolto anche un'altra carta a Dolohov…
Mot riuscì a schivare per un soffio l’assalto di Phobos e cominciarono a duellare a una velocità inumana. Colpi d’oscurità e di quella che sembrava cenere cominciarono a scontrarsi a mezz’aria, con potenza e dimensioni differenti, in una danza mortale generata da due divinità oscure.
Gli altri, ora liberi dal peso dei rovi, cominciarono a distruggere i vari Atromorfi.
Remus e Dora, più di tutti, riuscivano egregiamente a fare a pezzi le creature Oscure, senza battere ciglio e con un’eleganza e potenza che solo loro avrebbero potuto avere. Per Remus fu una passeggiata ignorare i dolori della trasformazione che sarebbe avvenuta a breve, agitando la bacchetta a formare simboli vari e complicati, sfruttando la potenza di incantesimi che neanche ricordava di aver mai conosciuto. Tonks, invece, dava prova del suo compito di Auror, lanciando incanti e maledizioni che gli studenti presenti in quel momento a Hogwarts avrebbero solo potuto sognare, enunciando formule complicate e ricorrendo a tutti gli insegnamenti di Malocchio.
Proprio quando Remus e Dora riuscirono a liberarsi dall’assalto delle creature, videro Mot volare in aria, tramutarsi in oscurità e riatterrare con un lungo taglio sulla guancia. Phobos si avvicinò a lui, galleggiando a pochi centimetri da terra, i piedi e la parte inferiore del soprabito tramutati in cenere.
Remus si morse il labbro, chiedendosi se andare ad aiutare il daimon o i suoi amici, ancora alle prese con gli Atromorfi.
«Vai da John» gli urlò Dora, sovrastando il rumore della tempesta di polvere. «Devi essere il più vicino possibile quando sarà il momento».
Lui annuì, serio, e, dandole un bacio, le disse: «Solo se mi prometti che passeremo le vacanze di Natale insieme».
Lei lo guardò un secondo, stupefatta. Poi sorrise, con aria furba, mentre i capelli le tornavano del consueto rosa acceso. Aveva capito cosa intendeva Remus. «Puoi contarci».

Lo Schiantesimo di Remus colpì Phobos su una spalla, sbilanciandolo all’indietro per qualche istante mentre il ragazzo arrivava accanto a Mot, che si rialzò rapidamente.
In un ruggito di rabbia, Phobos alzò una mano in aria e la tempesta di cenere accelerò. Scariche elettriche cominciarono a formarsi nel vento, colpendo il terreno casualmente. Remus ne dovette schivare uno che stava per bruciargli il petto.
«Astrafobia» ruggì il daimon. «Paura di tuoni e fulmini!».
«Merda» imprecò Remus a mezza voce. Evidentemente i poteri di Phobos erano molto più grandi di quanto pensasse, se era in grado di materializzare ogni paura esistente, anche senza che appartenessero a qualcuno dei presenti.
Insieme a Mot, cominciò a scagliare gli incantesimi più potenti che conosceva verso il daimon che, tuttavia, riuscì a pararli con attacchi di uguale potere magico. Muovendo le braccia, Phobos era sia in grado di muovere la sua tempesta che direzionare i fulmini provenienti da essa, creando piccoli crateri fumanti ogni volta che uno si abbatteva sulle macerie. Alcuni fulmini globulari di tanto in tanto cominciarono ad attraversare la tempesta, rischiando di colpire Remus più e più volte, tanto che fu costretto a Smaterializzarsi per riapparire dietro a Dolohov, cercando di colpirlo con una nuova e violenta raffica di maledizioni. John dovette cominciare a imitare la stessa tattica, trasformandosi in nubi nere per poter aggirare le Paure e lanciare nuovi proiettili di oscurità.
Dopo poco, tuttavia, entrambi cominciarono a capire che la battaglia non stava andando per il verso giusto e loro erano sempre più stanchi mentre i dolori di Remus cominciarono a riapparire, più prepotenti che mai. Nessuno dei due era in grado di capire come facesse Phobos ad annullare i loro attacchi, ma, in qualche modo, sembrava gli bastasse muovere una mano per far sparire nel nulla gli incantesimi. In un impeto di rabbia, Remus pensò che, se non poteva attaccare il daimon con la magia, allora ne avrebbe fatto a meno.
Con un lungo gesto della bacchetta, come una stoccata, macerie e lapidi spezzate si alzarono da terra, andando a schiantarsi verso Phobos che, tuttavia, riuscì a scomparire e a riapparire poco più in là. Remus sorrise, trionfante. Dopotutto, rifletté, quella era la Paura: era in grado di annichilire il pensiero, bloccare le azioni controllando il sistema nervoso, quindi che riuscisse a fermare le arti magiche non era poi così innaturale; ma contro ciò che è strettamente fisico, la Paura può fare ben poco. Certo, ciò non significava che alla Paura si dovesse obbligatoriamente ribattere con la forza ma… bah, cosa importava? Non erano lì per fare filosofia, ma per uccidere quel bastardo. E ora avevano tutti i mezzi per farlo.
«John, colpisci forte» esclamò il Grifondoro, incrociando lo sguardo del daimon. Quello lo guardò con un sorriso a trentadue denti e, dopo aver ricoperto i propri arti di oscurità, si lanciò verso Phobos, evitando i fulmini che lo stavano evidentemente mirando. John provò a sferrare un pugno, ma Dolohov riuscì a schivarlo, diventando cenere in un istante. Non riuscì a evitare, tuttavia, la lapide che lo colpì a un fianco, facendolo cadere a terra; Remus fece un gesto di vittoria. Mot corse verso Phobos e, mentre era ancora a terra, lo calciò sul volto. Il colpo, rivestito d’oscurità, fece volare in aria il daimon, che riatterrò mezza dozzina di metri più avanti. La tempesta si calmò un poco e i fulmini smisero di cadere, nonostante l’aria fosse ancora piena di elettricità statica.
Mot corse di nuovo verso di lui, desideroso d’infliggergli il colpo finale. Un nuovo rovo nacque da terra, a poca distanza dalla mano di Dolohov, e trafisse la spalla di Mot, bloccando la sua avanzata e facendolo urlare di dolore. Mentre Phobos si alzava in piedi, la pietra portò John sempre più in alto, aumentando anche le sue urla strazianti. Una sottile scia di sangue gli macchiava il completo, ma Remus sapeva che, quando il rovo fosse sparito James sarebbe potuto morire dissanguato in pochi minuti.
Remus stesso stava guardando, inorridito e immobile, mentre Phobos, con il volto coperto di sangue, osservava, ridendo, Mot che si dimenava, bloccato anch’esso dal dolore.
«Diffindo!» urlò Lily. L’incantesimo recise il rovo, lasciando cadere a terra John in un tonfo, a cui seguì un nuovo urlo di dolore. Dora, Emmeline e Sirius cominciarono a bersagliare Phobos con una raffica d’incantesimi, prontamente assorbiti, mentre Lily trascinava via il daimon ferito.
Remus volle approfittare dell’apertura che i suoi compagni gli stavano fornendo, ma sapeva benissimo che gli sarebbe servito molto più potere magico di quanto disponeva al momento. Tuttavia, non poteva buttare al vento quell’opportunità: Phobos era lì, girato di spalle a una dozzina di metri da lui. Non poteva non tentare. Quindi decise di provarlo. Quell'incantesimo. Quello a cui non osava più pensare da tantissimo tempo.


La gravità è uno degli elementi primordiali, ciò che ha permesso di portare vita nell’universo, raggruppando gli altri elementi e fondendoli insieme. Tutto, nel cosmo, possiede un campo gravitazionale, anche i corpi più piccoli; questo campo è in genere, tuttavia, troppo debole da poter essere percepito, se non in particolari, soggettive e molto obiettabili condizioni. E so dell’esistenza di questo incantesimo. Non so se sia effettivamente proibito, come le Maledizioni Senza Perdono, o se ne è perso l’uso perché praticamente impossibile da gestire.
Ne sono venuto a conoscenza durante uno dei tanti lavori da cui sono stato licenziato. Per la mia passione, spesso sono riuscito a farmi assumere in librerie e biblioteche, spesso entrando in contatto con volumi magici di cui gli stessi proprietari non conoscevano a pieno il valore. Mi capitava, quindi, durante le poche pause, di leggere alcuni dei libri che avrei dovuto sistemare. La cosa che più mi aveva colpito di quell’incantesimo era che si trovava in un semplicissimo volume di Astronomia. Piuttosto antico, certo, ma non c’era altro a indicare cosa potesse nascondersi al suo interne.
L’ho provato, un paio di volte, nell’altra dimensione, ma ho sempre fallito, rischiando anche di farmi parecchio male. Ma direi che questo è il momento giusto per vincere questa mia piccola sfida.
Stringo il polso destro con l’altra mano, facendo da sostegno alla destra, mentre alzo il braccio e mi concentro più che posso. È un incantesimo estremamente difficile, lo so… ma so anche di poterlo gestire.
Allectum, penso. Cerco di concentrarmi sull’effetto che dovrei ottenere.
Visualizzo, nella mia mente, le macerie che mi circondano, limitandomi a quelle attorno e dietro di me, per non attirare l’attenzione di Dolohov. Immagino, quindi, il minuscolo campo che circonda ogni singolo pezzo di lapide, ogni zolla di terra smossa, ogni pezzo di ferro o frammento di ossa; lo vedo come una sfera dorata crepitante d’energia.
Comincio a sudare per lo sforzo.
Con il solo aiuto della mia mente, collego ogni singolo campo sopra alla punta della mia bacchetta, alzata verso il cielo, in unico punto di raduno.
Sento la testa che comincia a martellare.
Pian piano, percepisco gli oggetti alzarsi e seguire la traiettoria che gli ho imposto, raccogliendosi sopra la mia testa. Passo, quindi, allo strato successivo di detriti. So già che solo questo non basterà. Il mio obiettivo è annientare, non ferire.
Sento gli occhi pizzicarmi sotto le palpebre chiuse.
La sfera di macerie comincia a prendere forma. Ora grande come un pugno, continua a ingrandirsi, raggiungendo prima il diametro di un pallone da calcio, poi quello di una Pluffa.
Sento un rivolo caldo e denso scendermi sopra le labbra.
Continuo ad attingere da tutto ciò che il terreno ha da offrirmi. Amplifico il campo gravitazione di ogni cosa trovino i miei sensi, acuiti dalla trasformazione, ormai veramente troppo vicina. La sfera comincia ad assumere le dimensioni che desidero. Un diametro di mezzo metro… un metro intero.
No.
Lo sento. La sto perdendo. M’impongo di rimanere concentrato, di pensare a ciò che voglio ottenere, al mio obiettivo finale, a ciò che Dolohov ha fatto ai miei cari e il mio desiderio di ripagarlo con una moneta ben più pesante.
Tuttavia, sento di star cedendo. Mi dico che devo farcela, che posso farcela. Il mio corpo, tuttavia, comincia a incurvarsi sotto quel peso. Sotto quella gravità.
Maledico il mio pensiero, il mio tentativo. Avrei dovuto attaccare Dolohov come potevo, piuttosto che cercare di usare una magia più grande di me. E ora rimarrò schiacciato dal mio stesso incantesimo.
Maledico me stesso per la mia impotenza. È tutto qui quello che posso fare? È tutta qui la mia forza? Sono morto e resuscitato per questo, per morire un’altra volta contro lo stesso nemico? A cosa serve essere un Narratore se non si può far sì che il futuro cambi?
Non so cosa sia stato, ma lo sento cambiare. È come un fiume in piena. Non so di preciso né quando né da dove sia arrivato. Ma so cos’è. L’Etere percorre il mio corpo. Percepisco questa sorta di particelle di pura magia scorrermi dentro come un secondo sangue, arrivando a diffondersi in ogni muscolo, in ogni organo, rinvigorendomi dall’interno. Sento l’energia magica scorrermi dentro. E mi sento in grado di smuovere le montagne a mani nude.
Apro gli occhi e guardo verso l’alto.
La sfera di detriti ha raggiunto le dimensioni di una piccola meteora. I miei occhi si spostano poi sulle mie stesse braccia.
Brillo, penso, divertito, osservando la luce dorata che mi circonda. Etere, come quello incanalato del Laboratorio. Mi circonda, senza essere vincolato a me. Aiutandomi, come se avesse una volontà propria. Come se avesse deciso da che parte stare.
Sento gli incantesimi continuare a essere bloccati da Dolohov. Evidentemente, o i miei amici non mi hanno visto, oppure stanno ignorando tutto questo per potermi aiutare. E non posso deluderli.
Fisso Dolohov, che ancora mi dà le spalle. Mi viene istintivo chiamarlo, farlo voltare e colpirlo in pieno volto. Ma poi, penso, l’aiuto degli altri sarebbe stato inutile. E, dopotutto, non vedo quale cortesia dovrei fare a quel figlio di puttana.
Tuttavia, la formula finale la pronuncio ad alta voce.
La sfera si alza più in alto, come percependo in anticipo cosa sto per dire.
«Bolis Corruit». A dirla tutta, la formula e i gesti sono molto semplici. Ciò che è più difficile dell’Incanto Meteora è la concentrazione e l’enorme potere magico necessario. Ma con l’Etere dalla mia parte, so per certo di non poter fallire. Abbasso quindi la bacchetta.
Un istante prima che Phobos si volti, la meteora fatta in casa si abbatte su di lui, distruggendosi a contatto con il terreno e sommergendo il daimon di macerie.
Gli altri si bloccano a osservarmi a distanza. Ho il fiatone a causa dell’incantesimo, ma l’aura dorata ancora mi circonda, come se avessi tante piccole lucciole attaccate alla pelle.
Cado in ginocchio, sfinito.
«È finita» sussurro, sentendo un peso che vola via dal mio stomaco. «È finita».
Penso di essere stato poche volte così felice nella mia vita.
Alcuni metri più in là, vedo che è Dora la prima a rompere la sua immobilità. La vedo avvicinarsi a me con passo tramante. Aggrotto le sopracciglia, preoccupato, vedendo un profondo taglio sulla gamba. Sposto lo sguardo anche sugli altri. A parte John, anche gli altri mostrano ferite più o meno gravi. Sento come una mano che mi stringe il cuore. Mentre io mi preoccupavo dell’Etere e del rispettare un po’ di cordialità, loro venivano feriti a quel modo. Quanto posso essere ipocrita?
Mi alzo in piedi e comincio ad andare incontro a Dora. Poi, dal centro del cratere, Phobos riemerge, allontanando la maggior parte delle macerie che lo circondano in uno scoppio di magia.
Lo osservo, tremando dallo stupore. È coperto di sangue da testa a piedi, eppure è ancora lì, in vita, ringhiando la sua furia e guardandomi negli occhi con l’odio più profondo che sia possibile provare.
«Tu» sputa sangue. «Tu osi ferire me? Un essere così disgustoso che cerca di ribellarsi a chi gli è superiore per natura? Con quale diritto? Come osi?».
Alla domanda segue un nuovo lampo di magia. Riesco a rimanere in piedi solo grazie all’Etere che mi sostiene. Una nuova scarica magica mi tiene in forze, permettendomi di essere più lucido che mai, di affrontare il pericolo a testa alta e usare tutti i miei sensi fino al limite umano. Sento, tuttavia, che qualcosa inizia a cambiare, in me.
«Feccia! Vuoi provare a uccidermi nel tentativo di sentirti più grande di ciò che sei, nel tentativo di uccidere la tua Paura! Non puoi liberarti della Paura, lupetto: il coraggio non è che un’illusione di coloro che sono troppo spaventati dalla Paura per accettarla!» ringhia il daimon.
«Sai, Phobos, anche se sei vecchio di millenni posso dire con certezza di aver vissuto più di te» rispondo, sentendo che il momento sta arrivando. Comincio a tremare, solo in parte per l’emozione. «Mi sono serviti una trentina d’anni, ma ho capito che il coraggio non è l’assenza di Paura, ma il trionfo su essa. E, fidati, tu che sei la Paura, hai scelto il gruppo peggiore contro cui combattere».
Non so come sia possibile, ma Dora e Sirius sanno esattamente cosa fare nel momento esatto, mentre io subisco la trasformazione più breve che abbia mai avuto. Non sento neanche dolore, e per questo penso che sia stato l’Etere ad aiutarmi.
In un paio di brevi secondi mi ritrovo a quattro zampe, fissando il daimon dall’altezza del Lupo. Sento ancora l’Etere scorrere in me e, difatti, riesco ad avere un controllo perfetto della mia forma animalesca, anche superiore a quello concessomi dalla Pozione.
Dolohov mi guarda e per un istante lo vedo trionfante. Temo che qualcosa stia andando storto, che tutto facesse parte del suo piano fin dall’inizio, compresa la mia trasformazione. Alza le braccia nuovamente, circondandosi di un’aura grigia, preparandosi a un qualche incantesimo. Preparo i miei muscoli a scattare fuori dalla sua portata ma non ce n’è bisogno. Le corde legano all’istante i suoi polsi, interrompendo il suo incantesimo.
Dolohov ringhia, frustrato e sorpreso, mentre Dora e Sirius tendono le corde, sprigionate dalle punte delle loro bacchette. Non essendo una vera e propria magia, Dolohov non ha potuto bloccarle. E so di dover approfittare di questo momento. Mi basta guardarlo per capire che è troppo debole per Smaterializzarsi o fare altro.
Lui sembra capire i miei pensieri. Si volta verso di me. Fisso i miei occhi nei suoi. Ciò che vedo è Paura. Un’espressione pienamente degna, devo ammetterlo.
Fletto i muscoli delle zampe, preparandomi. Corro. Salto. Mordo. Il corpo di Phobos cade a terra, senza vita e senza mente.
E il sangue degli intrusi la nera pietra bagna. E anche un po' di terriccio, a dirla tutta.

Non sono soddisfatto né fiero. Ma neanche dispiaciuto. Quello che ora è a terra è l’uomo che ha ucciso me e migliaia di altri innocenti di un’altra dimensione. Quello è l’uomo che ha rapito due delle persone che mi sono più vicine, cercando di uccidere tutte loro per una stupida ideologia in una storia già sentita. Non sono soddisfatto né fiero, ma sento di aver fatto ciò che dovevo.

Non vorrei essere al posto dei poveri abitanti di Hogsmeade, piuttosto, che osservano questo stravagante gruppo. Sei ragazzi feriti (di cui una dai capelli rosa semi-luminescenti) e un Lupo Mannaro dalla bocca sporca di sangue che rimangono a fissarli dopo aver distrutto il loro cimitero. Perché ho l’impressione che qualcuno si procurerà torce e forconi?

*****

«Quindi?» chiese Apophis, sulla sua poltrona di velluto. Perché le poltrone di velluto rosso sono le preferite dai cattivi, si sa. E, ovviamente, ha in mano un calice di cristallo pieno di vino rosso. Perché il rosso, poi? Se l’era chiesto spesso, ma non capiva perché gli umani lo trovassero elegante. Eppure un certo fascino lo aveva, o non avrebbe comprato quell’arredamento.
«Phobos è andato e io sono fuori dalla scuola» commentò Maya, abbandonandosi su una sedia del tavolo di mogano dietro di lui. Poggiò la testa su una mano e chiuse gli occhi, stanca. «Tutto va come previsto».
«E l’Etere?» fece il daimon.
«Una volta terminato l’effetto della Luna, inizierà la trasfusione» spiegò la donna. Apophis sospirò, soddisfatto.
«Loki e Mot sono ancora dentro?» chiese l’uomo, bevendo un sorso.
«Mot è ancora nel gruppo dei Narratori, mentre Loki fa di testa sua, come al solito» disse lei, tamburellando sulla superficie di legno con le dita.
«Oh, Loki!» esclamò Apophis, ridacchiando. «Sarebbe tutto così noioso senza di lui… E chi ci rimane?».
«Ermes» sibilò l’altra, pronunciando il nome con disgusto. «Ancora non so perché ce lo portiamo dietro. Quanto potere potrebbe dare?».
«Oh, a chi importa? Il “segretissimo” piano di Loki gli si ritorcerà contro e i Narratori saranno divisi dall’interno» replicò Apophis, ridacchiando. «Sì, sarà divertente».
«Come vuole che procediamo?» chiese Maya, leggermente annoiata. Probabilmente voleva solo andare a letto.
«Lasciamo che le acque si tranquillizzino. Ate si darà da fare dopo le vacanze di Natale, per il momento possiamo prenderci tutti un periodo di riposo» disse l’uomo, sorridendo amabilmente.
Maya sembrò piuttosto soddisfatta. «Sono completamente d’accordo» disse. «C’è altro?».
«Oh, vorrei solo un consiglio».
Maya drizzò improvvisamente la testa, attenta. Apophis che voleva un consiglio? Era come avere sole a Glasgow in pieno gennaio.
«Mi dica».
«Secondo te, e voglio la tua più sincera opinione… dovrei comprare un gatto bianco? Sai, da accarezzare minacciosamente mentre sono sulla poltrona rossa…».
Maya rimase in silenzio per qualche istante. «Buonanotte».
Apophis sbuffò mentre la donna si chiudeva la porta alle spalle. «Non si può neanche scherzare, in questo covo».



Sala Comune di Tassoverde

E quindi ci siamo. Who, di cui, come avete visto, ho mantenuto inalterato il nome in entrambe le parti, è stato il capitolo più lungo e faticoso che abbia mai scritto e, onestamente, trovo molti (moltissimi) difetti che, tuttavia, non saprei bene come poter aggiustare. In ogni caso, Who non è, come previsto inizialmente, il capitolo finale della Prima Parte della fanfiction: tale capitolo sarà infatti il prossimo, After, che dovrebbe dare qualche spiegazione a ciò che è accaduto, specie a questo strano e fin troppo debole Phobos che avete visto in questo capitolo... e, piccolo spoiler, anche su Dolohov stesso. Poi, sicuro al 100%, fra un paio di giorni uscirà un inedito su Pottermore che manderà a farsi friggere tutto ciò che ho immaginato su di lui, ma vabbe', sarà destino. Onestamente, il combattimento finale non mi è piaciuto granché come l'ho scritto (credo di non essere portato per certe scene) e gradirei una vostra opione in particolare su quella parte, se non vi dispiace.
Prima del piccolo elenco di modifiche di cui vi avevo parlato nelle note dello scorso capitolo, vorrei passare a ringraziarvi. Ringraziare voi, fedeli lettori/lettrici/meta-umani/inumani e quant'altro, grazie per essere rimasti nonostante il precedente capitolo non fosse granché (anzi, lasciava abbastanza a desiderare), grazie per essere rimasti con me e vorrei, inoltre, ringraziare in particolar modo tony_tropcold e flavia1008, che mi hanno lasciato due graditissime recensioni, operazione che mi vorrei invitare a fare tutti voi che mi seguite, nella speranza di fare meno errori possibile e far sì che la fanfiction non vi deluda. Grazie, davvero grazie mille.
Passo, quindi, all'elenco:
-La prima modifica si trova nel Chapter III, proprio nel paragrafo iniziale: da quando ho cambiato l'età di Evelyn (15), lei e Dora hanno solo un anno di differenza, e io avevo scritto che la maggiore aveva combattuto strenuamente per dare alla più piccola un nome decente... ma a un anno mi sembra un po' difficile. Ho quindi fatto una piccola modifica, che v'inviterei ad andare a leggere.
-Poi passiamo al Chapter V: avete presente la parte finale di Jily, in cui loro si trovano seduti sul divano di fronte al camino? No? Be', non importa: la modifica è molto leggera, ho solo migliorato (a parer mio) il dialogo fra i due, senza inserire o togliere alcuna informazione rilevante, quindi potete star tranquilli.
-Chapter VII: nel famigerato incontro fra Harry e James, c'era una parte che non mi aveva mai convinto, portandomi, infatti, a modificarla più e più volte: la sepoltura di Voldemort. Avevo inventato una storia assurda e contorta sul fuoco ecc... Be', ho eliminato quella parte: lo zio Voldy è stato cremato. Perché avessi inventato quell'assurda storia mi è oscuro ancora adesso.
-Per finire, nei vari capitoli della fanfiction ho fatto molti accenni alle varie fasi lunari, giusto per far capire che il tempo stesse passando. Be', a quel tempo ancora non avevo in mente di porre la luna piena proprio in Who (spiegazioni in After, don't worry), quindi non coincideva un ciufolo. Adesso dovrei aver sistemato tutto, dando una parvenza di realisticità al tutto (spero).
Direi, quindi, di poter terminare qui le mie note. Se avete qualche dubbio, chiedetemi pure e provvederò a togliervelo! Nel frattempo, grazie ancora per essere arrivati fin qua giù, sopportando il parto della mia mente malata.
Al prossimo capitolo,
hufflerin



P.S.: A chi può interessare, ho scritto una piccola "linea del tempo", se così la si vuole chiamare, della storia, molto semplice a dire il vero.
Chapter 0-V: Settembre
Chapter VI-VIII: Ottobre
Chapter IX-XII: Novembre (forse anche Dicembre, se deciderò d'inserire qualcosa in After o se farò una sorta di Speciale di Natale a cavallo fra le due parti)
P.P.S.: Le citazioni iniziali provengono dai capitoli da Ideals in poi, ovvero da quando entrano in gioco i daimon.

   
 
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