Premessa. Questa storia è parte della serie “Il
Pilota e la cometa”. È ambientata a diversi anni di distanza dall’epilogo
di Mockingjay; Gale Hawthorne è tornato a vivere nel Distretto 12 assieme a suo
figlio, Joel, e alla sua fidanzata, Johanna Mason. Haley è la primogenita di
Katniss e Peeta ed è anche la migliore amica del piccolo Joel.
La storia partecipa alla fase due
dell’iniziativa “Ready, set, prompt” indetta dal gruppo Facebook “The
Capitol”; è stata scritta con il prompt “Haley/Gale - ho fatto un
brutto” sogno, lasciatomi da Kyrean is on Fire.
«E così pensavo io: “Succede
sempre verso sera, quando tutti i bambini lontani da un genitore sono più
tristi.
Se
riescono a stare vicino a qualcuno che li aiuta a cullarsi nei ricordi belli
anche senza parlare,
non
hanno più paura della paura, perché quella arriva con il buio e loro sono già
addormentati.»
Il
bambino di Cioccolato. Roberto Grande
Resti
con me?
Gale si rigirò nel letto e cambiò lato al
cuscino per cercare un po’ di freschezza. Il sonno, come ogni sera, tardava ad
avvolgerlo e la sua mente arrancava fra pensieri scomodi e ricordi
lontani.
Sentì Johanna borbottare qualcosa nel sonno e si
voltò verso di lei, sorridendo appena. In quel momento un rumore leggero di
passi lo sorprese alle spalle. La porta della stanza si aprì e una
figurina minuta si disegnò nel buio, avanzando incerta.
“Gale?” soffiò poco dopo una voce infantile.
L’uomo si passò una mano sul volto in un vano
tentativo di cancellarne la stanchezza.
“Che cosa c’è, Haley?”
La figurina azzardò qualche passo verso il letto
e, quando Gale accese la lampada sul comodino, le ombre sfumarono e al loro
posto comparve una bambina. Haley Mellark aveva una guancia striata di rosso
per via dei segni lasciati dal cuscino e gli occhi contesi tra la l’imbarazzo e
l’inquietudine. Era la prima volta che la ragazzina trascorreva la notte in
casa Hawthorne, complici le sue suppliche e quelle di Joel.
Dormire in una casa diversa dalla propria non
era sempre semplice, per questo Gale non si stupì quando la bambina appoggiò la
schiena al bordo del letto, mordicchiandosi una manica del pigiama.
“Che succede, Hales?” chiese ancora l’uomo,
tentando di addolcire il tono di voce.
La ragazzina tentennò, prima di rispondergli.
“Ho fatto un brutto sogno” sussurrò infine,
azzardando un’occhiata intimorita a Johanna. Quando si accorse che stava ancora
dormendo, sembrò rilassarsi leggermente. “Non ti volevo svegliare, però avevo
paura e Joel dormiva e non volevo restare da sola.”
“Non mi hai svegliato, ero già sveglio” la
rassicurò l’uomo, sfilando la manica del pigiama dalla bocca della ragazzina.
“Che cosa hai sognato?”
Haley sospirò e si sedette sul bordo del letto.
“Ho sognato che la mamma doveva andare di nuovo
agli Hunger Games” mormorò, fissandosi i piedi scalzi. “Il papà piangeva, poi
hanno portato via anche lui e io e Rowan rimanevamo soli. E loro li vedevamo in
televisione, ma io avevo tanta paura che morivano e…”
“Shhh…”
Gale si premette un dito sulle labbra e le
indicò Johanna con un cenno del capo. La bambina, che aveva alzato il tono di voce, tornò a sussurrare.
“È stato un sogno bruttissimo, papà di Joel”
riprese, mentre l’uomo si sedeva di fianco a lei.
“Sembrava proprio vero...”
“Adesso, però, è tutto finito.”
Gale le accarezzò i capelli e Haley ne
approfittò per appoggiarsi a lui.
“I tuoi genitori stanno bene e gli Hunger Games
non esistono più.”
“E se li rifanno?” sussurrò la ragazzina,
fissandolo allarmata. “E se poi siamo io e Rowan a dover andare agli Hunger
Games? Io ho paura.”
Gale scosse la testa.
“Non accadrà” promise in tono di voce fermo.
“Tu e tuo fratello siete al sicuro, Haley. I tuoi genitori non permetterebbero
mai a nessuno di farvi del male.”
La bambina annuì, visibilmente rincuorata.
“E tu, papà di Joel?” azzardò poi in un soffio,
sollevando una mano dell’uomo. Incominciò a giocare con le sue dita, piegandole
e riaprendole, come aveva fatto spesso Joel quando era più piccolo. “Anche
tu mi proteggeresti se arrivassero quelli che mi vogliono mandare agli Hunger
Games mentre sono qui?”
“Haley, nessuno ti manderà agli Hunger Games”
ribadì l’uomo, sollevando il mento della bambina, per poterla guardare negli
occhi. “Hai solo fatto un brutto sogno.”
“Ma se succedesse…” insistette la ragazzina, “…
Mi proteggeresti, vero? Come fanno gli angeli custodi?”
L’uomo sospirò; le prime avvisaglie di
nervosismo, miste alla stanchezza, erano arrivate a infastidirlo.
“Sì” promise infine, passandosi una mano sul
volto. “Certo che ti proteggerei.”
Anche se non ne sono capace, aggiunse
mentalmente mentre si voltava verso Johanna; controllò che non si stesse
agitando nel sonno, come le capitava di fare spesso mentre stava avendo un incubo. Anche
se non ho potuto fare nulla per salvare tua zia, che era solo una bambina; una
bambina come te.
“Dai, torniamo a letto, adesso” chiuse il
discorso, prendendola in braccio.
Attraversò il corridoio che dava sulla camera di
Joel, con le braccia di Haley aggrappate al proprio collo. Stava per depositare la
ragazzina nel suo letto, quando si accorse che le dita di Haley stavano
inseguendo qualcosa lungo la parte alta della sua schiena. Una linea biancastra
e in rilievo che partiva dal collo e si estendeva storta verso il basso.
Un brivido di rabbia lo scosse, prima che
potesse fare in tempo a reprimerlo.
“No” dichiarò secco, posando la bambina sul
letto.
Haley lo squadrò intimorita per qualche istante,
tormentandosi la manica del pigiama.
Nel riconoscere l’inquietudine negli occhi della
bambina, Gale si sentì in colpa.
“Che cos’hai sulla schiena?” chiese in un soffio
Haley.
“Niente” liquidò la questione l’uomo, facendole
segno di mettersi sotto il lenzuolo.
La bambina lasciò che gli rimboccasse le
coperte, ma continuò a fissarlo guardinga. Gale sostenne
infastidito quello sguardo: in quel momento ricordava così tanto la madre che
non poté fare a meno di distogliere gli occhi dai suoi.
“Non è vero” mormorò la ragazzina, appoggiando
la testa al cuscino. “Io lo so che cos’hai: sono delle cicatrici.”
Gale non disse nulla; finì di rimboccarle le
coperte e attraversò la stanza per dare un’occhiata al figlio, ancora
profondamente addormentato. Si chinò su di lui per dargli un bacio sui capelli
e il contatto lo fece istintivamente sentire meglio. La presenza di Joel era
una delle poche cose che non falliva mai nell’allontanare la tensione dal suo
corpo. Suo figlio, almeno per il momento, non sembrava portarsi dentro quel
vento
di cui invece era fatto lui e che alimentava da sempre il fuoco del padre.
“Come te le sei fatte?” chiese ancora Haley, sedendosi
sul letto. Si strinse nelle spalle, quando lo sguardo teso di Gale tornò a
posarsi su di lei. “A me piacciono tanto le cicatrici. Gioco sempre con quelle
della mamma e del papà, ci passo sopra le dita!”
L’uomo serrò la mascella, avvertendo il
nervosismo crescere; non amava parlare dei segni che gli sfregiavano la schiena
e, ancor meno, tollerava che qualcuno li toccasse. C’era il suo fuoco in quei
segni, le fiamme del ribelle che era stato e che gli anni avevano cercato di soffocare,
di nascondere. Non poteva permettere che fosse proprio la figlia di Katniss a
scottarsi per colpa sua. Doveva tenerla alla larga da quel passato che aveva già
ferito sua madre e sua zia. Doveva proteggerla, così come non era riuscito a
fare con Joel, che spesso prendeva le veci del padre per rassicurare lui e Johanna, quando li sentiva sussurrare nel sonno.
“Buonanotte, Haley” mormorò con voce ferma,
dando le spalle ai due letti.
Non aveva ancora raggiunto la porta che l’ostinazione
della piccola Mellark si era già messa d’impegno per trattenerlo.
“Aspetta!” lo richiamò la ragazzina, sgusciando
fuori dal letto. Nella penombra, la vide cercare a tentoni la lampada sul
comodino. “Non mi lasciare sola, per favore!”
La luce si accese e gli occhi spaventati di
Haley trapassarono quelli di Gale come frecce appuntite. L’uomo tornò a
irrigidirsi, conteso fra il nervosismo e il senso di colpa. Faceva male quello
sguardo intimorito, perché era stato lui a disegnarlo sul suo volto. Stava abbandonando
una bambina di sette anni in pasto ai propri incubi per paura di trasmetterle
anche i propri.
“Per favore…” ripeté Haley, raggiungendolo a
testa china. Gli prese una mano, ma non cercò di trascinarlo come faceva di
solito, quando s’intestardiva su qualcosa che doveva mostrargli.
Aspettava, supplicandolo con quella stretta
esile aggrappata alle sue dita.
Gale si accovacciò di fronte a lei; ancora una
volta lo sguardo spaurito di Haley gli fece bruciare gli occhi, ma lui sostenne
ugualmente il proprio.
“Non sei sola” cercò di rassicurarla, addolcendo
il tono di voce. “C’è Joel qui vicino. Lui è molto bravo a difendere le persone
dagli incubi. Se dovessi averne un altro, ti proteggerà.”
Haley esitò; le lacrime incominciarono a
formarsi agli angoli dei suoi occhi atterriti.
“Voglio il mio angelo custode” mormorò infine in
un soffio, appoggiando la testa al petto di Gale. “Non essere arrabbiato con
me, non te lo chiedo più delle cicatrici” promise, stropicciandosi un occhio
umido con la manica del pigiama.
Gale sentì la canottiera inumidirsi di lacrime;
la rabbia e il senso di colpa si fecero strada attraverso quel contatto, mescolandosi
al dolore di episodi che facevano parte del suo passato.
Ricordò una ragazzina spaurita dagli occhi azzurri
come quelli di Haley, che piangeva con il capo sulla sua spalla, terrorizzata
dalla partenza della sorella agli Hunger Games.
Ricordò una giovane in lacrime perché il ragazzo
che amava – non lui, non Gale – era tenuto prigioniero a Capitol City; forse
vivo, forse morto.
Ricordò e vide Haley, ma anche Prim e poi
Katniss, aggrappate alla sua canottiera, che lo imploravano alla ricerca di
conforto.
Allargò le braccia; Haley allacciò i polsi
attorno al suo collo e si lasciò prendere in braccio, mentre il primo
singhiozzo le percuoteva il petto.
“Sono qui” le sussurrò Gale, cullandola per
qualche istante, prima di adagiarla nuovamente sul letto. “Sono qui.”
La bambina tirò su col naso e annuì; oppose un
po’ di resistenza, ma alla fine si staccò dall’uomo e si rannicchiò sul
materasso.
“Non andare via” mormorò, mentre Gale le
rimboccava le coperte.
L’uomo si sedette di fianco a lei; la guardò
come si guarda qualcosa di cui si ha paura, ma che non si può fare a meno di
proteggere, anche se c’è il rischio di farsi male.
“Non vado da nessuna parte” promise,
accarezzando i capelli della bambina.
Haley sorrise, scacciando un po’ di quella
sofferenza che si era arenata nei suoi occhi. Una sofferenza che Gale non aveva
mai incontrato nel suo sguardo, prima di quella sera.
“Resti sempre con me?” sussurrò la ragazzina, cercando
la sua mano. “Anche quando mi addormento?”
Gale esaminò come assorto quelle dita esili
intrecciate alle sue; il fantasma di Prim e quello della Katniss di un tempo si
avvinghiarono al suo polso, premendo con forza, quasi a volerglielo spezzare.
Tuttavia, quando Haley gli agitò la mano per attirare la sua attenzione, i
fantasmi svanirono.
Rimasero solo una bambina spaventata che aveva
bisogno di lui e un incubo che aleggiava vizioso nella sua testa. Un incubo a
cui, almeno per quella notte, avrebbe proibito di tormentarlo.
“Resti con me?” ripeté ancora la bambina,
socchiudendo gli occhi.
Gale annuì, accarezzando la mano di Haley con il
dorso del pollice.
“Sempre.”
Note Finali.
Sì, le ultime righe contengono un
parallelismo pericolosissimo con l’Everlark, non me ne vogliate ** *scappa
per difendersi da pomodori* Non era previsto, ma si è infilato in mezzo mentre
plottavo, complice il legame forte e particolare che si è ormai instaurato fra
Gale e la piccola Mellark, come si può notare soprattutto in “Forse sbagliano
anche gli angeli” e “Heart Keeper”.
Questa è forse la prima storia in cui Gale si comporta più da “Gale” mentre è
con Haley, e al tempo stesso Haley non è così “Haley” – leggasi sfacciata,
allegra e rompipalle - come al solito. Li ho pescati in un momento in cui sono
entrambi piuttosto vulnerabili; specie Gale, che nella mia testa l’ho sempre
immaginato molto insonne e tormentato dagli incubi, nel periodo post-rivolta,
forse anche perché gli strascichi del suo DPTS (raccontato in “Credo negli
esseri umani”) sono sempre presenti.
Voglio veramente tanto bene a
questi due e al loro legame, e scrivere one-shot dedicate a questa strana
accoppiata è un po’ come andare a rifugiarsi su un terreno sicuro, nel senso
che mi rilassa e mi diverte proprio tanto immaginare le loro conversazioni, e
le situazioni in cui compaiono assieme. Spero tanto che la storia possa esservi
piaciuta!
Un abbraccio e a presto!
Laura