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Capitolo 7PICCOLA
PREMESSA:
Prima di iniziare, ci tenevo a precisare alcune cose.
Innanzitutto, quando si parla del passato dei personaggi e del loro
aspetto esteriore, faccio sempre riferimento alla loro vecchia
versione, per
esempio Max da bambino non portava ancora gli occhiali, Ada aveva i
capelli rossi ecc
Ho
adottato questo sistema più per un fattore cronologico:
difatti la
storia si sviluppa più o meno dopo qualche mese dagli eventi
di ORAS,
che a loro volta si sono sviluppati dopo dieci anni dagli avvenimenti
di RZS. Quindi tutti gli eventi antecedenti a RZS (quindi il passato
dei personaggi) che verranno descritti prenderanno come riferimento le
old version, mentre gli avvenimenti presenti prenderanno, ovviamente,
come modello le new version.
Seconda cosa: come forse avrete capito nella storia il cognome dei
figli viene
passato dalla madre e non dal padre, così come il simbolo
della
famiglia. Questo simbolo compare dopo tre mesi dalla nascita su un
punto variabile del corpo. Questo simbolo serve a riconoscere la
provenienza della persona in caso di smarrimento o simili.
Tornerà utile nel corso della storia.
Era notte fonda, e a Cair Syltherin regnava il silenzio più
totale.
In cielo si scorgevano le luminosissime stelle e un quarto di luna,
oscurato da qualche nuvola vagante.
La pace sembrava regnare nei corridoi delle stanze, nei portici, nei
chiostri, nelle torri, insomma, niente e nessuno disturbava la quiete.
Ada però era ancora sveglia, e osservava al di sotto della
finestra della sua camera, che dava su un piccolo cortile con una
vasca, riempita da una fontana a zampillo.
Ascoltare la fontana e il suo spruzzo era molto rilassante, per la
Corsara, ma non era per quello che, a mezzanotte, lei aveva aperto le
inferriate per guardar fuori.
Di lì a poco infatti, sarebbe avvenuto uno degli
appuntamenti più importanti della vita del suo fidato Alan.
Ada già scorgeva la figura scura del suo gigante, seduta sui
bordi della vasca, ad aspettare.
La Corsara tese le orecchie, sorridente.
Ottavio s'incamminava lentamente verso il luogo dell'incontro.
Non era ancora giunto a capo della situazione.
Dentro di sè c'era un turbinio d'emozioni e pensieri
sconnessi e senza un'apparente logica.
La cosa che lo confondeva maggiormente era quello che provava stando
vicino ad Alan.
Perchè è lo stesso sentimento che, dieci anni
prima, provava per Max.
Era qualcosa di strano e inafferabile, come uno Jumpluff che,
accompagnato da una leggera brezza, vola senza peso su per le praterie
di Jotho.
Ecco, questo era per lui quella sensazione: una fresca brezza marina
nel pieno dell'estate.
Ma se quella di Max si era pian piano spenta, quella di Alan
persisteva.
Perso nei suoi pensieri, Ottavio raggiuse senza accorgersi al portico
con la fontana.
Era molto bello stare lì: lo scroscio rilassante dell'acqua,
il
venticello fresco, l'ambiente illuminato dalla fioca luce lunare, che
creava piccoli riflessi argentei nella grande vasca centrale.
Ottavio si avvicinò per osservare meglio l'opera.
Il corpo della fontana era costituito da due pokemon: Reminas, la dea
acquatica, e sotto di lei Kyogre, una delle sue manifestazioni.
La dea era rappresentata come i suoi sette fratelli: un canide (o un
felide?) dal corpo nero solcato da linee azzurre. Sulla testa era
incastronato uno zaffiro, mentre gli occhi erano fatti di smeraldo.
Tutti i Sette avevano perso quella forma, una specie di grosso lupo con
le orecchie (se si posson chiamare così) a cilindro e
attraversati da linee che si intersecavano e si incrociavano.
La leggenda vuole che quelle siano le linee della Vita, e ogni spirito
le aveva di un colore differente, perchè era solo una parte
dello Spirito originario.
Solo quando essi si sarebbero uniti, quelle linee diventeranno bianche.
Era una vecchia leggenda piuttosto diffusa.
Reminas, in particolare, lungo la coda e sulle zampe aveva delle pinne,
che la distinguevano dal resto dei fratelli.
Proprio dalla bocca della dea s'innalzava lo zampillo dell'acqua, che
si andava a tuffare poi nella vasca.
"Bello, vero?"
disse una voce alle sue spalle.
Alan s'avvicinò silenziosamente, come un'ombra. La luce
lunare
non lo illuminava gran che, ma non ce n'era bisogno: il gigante si
vedeva comunque benissimo.
"Reminas, la seconda
ad essere nata. Colei che inondò il mondo donandoci l'acqua"
disse, a voce bassa.
Rimasero per un pò ad osservare l'acqua che sgorgava, poi
Ottavio, impaziente, interruppe quel silenzio che lo opprimeva.
"Alan, senti..."
"Ottavio, lo so che
sei confuso. I tuoi gesti, il tuo tono, come ti muovi rilevano il tuo
stato d'animo".
Ottavio rimase senza parole per un momento, poi riuscì a
rispondere.
"Si, bhe, hai
ragione. Non so cosa pensare... e non riesco a decidere"
"Ho un metodo
infallibile per questo. Ma devi essere d'accordo"
sussurrò il gigante.
"Ehm...
bhè..." cominciò il Magmatenente,
non comprendendo completamente le parole dell'altro.
Non finì di dirlo che il Corsaro lo attaccò a una
colonna
del portico immobilizzandolo delicatamente intrecciando le mani con le
sue.
"Rilassati e pensa a
quello che provi" gli mormorò, prima di
poggiare di nuovo la bocca sulla sua.
Ottavio si lasciò andare completamente, seguendo il
consiglio di Alan.
Ma anche se l'idrofilo non gli avesse detto nulla, lo avrebbe fatto
comunque.
Ma si, potrebbe funzionare... pensò Ottavio, prima di
abbandonarsi completamente alla passione.
Per un attimo dimenticò tutti i problemi che lo affligevano:
Max, i demoni, la guerra, tutto scomparve nel giro di un istante,
soppiantato da un turbinio di emozioni intensissime.
Dopo un tempo che parve un giorno, un mese, un anno o semplicemente
infinito, Alan si discostò di appena qualche centimetro dal
viso
di Ottavio.
Sentiva il respiro affannato del Corsaro sul suo, vedeva distintamente
le vene del collo pulsare violentemente, sentiva il cuore dell'altro
battere all'impazzata, come il suo.
Alan fece per dire qualcosa, ma Ottavio non ci pensò due
volte
ad afferrargli delicatamente la mascella e attirarlo di nuovo a lui, in
un secondo, terzo, quarto e molti altri baci.
Quella era la sua decisione.
Se davvero poteva compiere quel viaggio, lo avrebbe fatto con
Alan.
Ada, dalla sua finestra, controllava l'andamento delle cose.
Sorrise, felice, per il successo di Alan, ricordando alcuni eventi
accaduti dieci anni fa.
Sospirò, ed uscì silenziosamente dalla stanza.
Non aveva
sonno, e forse una gita sui tetti e sulle terrazze del castello
Syltherin le avrebbe fatto bene.
Con passo felpato, corse per i corridoi bui e vuoti della fortezza,
lasciando le due falci in camera sua.
Nonostante l'oscurità fosse rischiarata solo dalla luce
lunare
che attraversava le ampie vetrate, non si vedeva molto bene.
Ma l'addestramento Corsaro aveva acuito i sensi della donna, che di
lì a poco era già fuori ad arrampicarsi su una
torre.
Qualcuno avrebbe detto che era troppo pericoloso anche a provare, ma
per lei era una cosa da nulla.
Anche perchè da lassù si godeva di un panorama
mozzafiato.
In lontananza di vedevano le luci di Asan, la capitale.
Ada pensò a Hoenn, e a quando ci tornerà.
Con chi ritornerà.
Ma soprattutto, se potrà tornare.
O se dovrà restare lì, magari a terra, circondata
da
altri cadaveri, fredda come la roccia, con una ferita troppo grave da
permettere la vita. "No"
pensò. "Non andrà
così".
E' difficile non pensare alla morte quando si ha visto un compagno
sparire.
Con la coda dell'occhio, colse un movimento sul tetto sottostante.
Dalla sua posizione apparentemente instabile, Ada aguzzò la
vista.
Non era altri che Ivan, che aveva avuto la sua stessa idea.
Il Capo Idro si era portato un paio di coperte e stava lì,
disteso sulle tegole piatte del tetto a guardare le stelle e la
luna, come faceva con lei e Alan quando erano giovani e
stavano
ancora tra i Corsari. Si sdraiavano su un campo senza erba o sul ponte
della nave di turno, a sognare gesta memorabili, a raccontarsi miti e
storie fantastiche di draghi e spiriti e creature forti e strane come i
pokemon. Parlavano dei pokemon leggendari, e dei loro smisuarti poteri.
Parlavano degli Okeanos, finchè venne il giorno in cui
tutti e tre riuscirono a instaurare un rapporto d'amicizia con queste
nobili creature.
Ada pensò a come Ivan li avesse cambiati: da quando Sirius
era
morto, Alan si chiudeva sempre di più in sè
stesso,
divorato dal senso di colpa.
Passarono circa sei anni prima che Ivan, allora tredicenne, arrivasse
al campo con una brutta ferita sul viso e ridotto in condizioni pessime.
Dapprima Alan non se ne curò, ma quando Ivan gli
salvò la
vita al fiume cominciò a considerarlo diversamente.
Un'ombra distolse la Corsara dai suoi pensieri.
Guardò quel corpo che si muoveva furtivamente, e
riuscì a
distinguere ua seconda sagoma che si avvicinava timidamente a Ivan.
Rossella.
Ada sorrise.
Notte insonne per tutti.
La donna sistemò meglio la sua posizione, in modo da vedere
senza essere vista.
Sorrise, pensando che forse quella notte fosse propizia anche per quei
due.
Ivan guardava le stelle sovrappensiero.
Quel pomeriggio Damson e la sorella gli avevano detto che c'era un nome
anche per gli Okeanos di fiume: recentemente, la comunità
scientifica li aveva chiamati Kraken.
Dragoni, Leviatani e Kraken.
Ivan sorrise lievemente, al pensiero. Alan era molto felice di quella
scoperta.
Ma subito la realtà ripiombò nella sua mente: tre
giorni ed Eskraas non tornava con Max.
Il Capo Idro cominciava a perdere le speranze.
Ma no, non potevano abbattersi in quel momento!
Ivan strinse i pugni: no, Max non poteva abbandonarlo.
Proprio ora che forse potevano andar d'accordo!!
Sentì dei passetti leggeri annunciare l'arrivo di un
intruso,
poi una voce timida da dietro richiamò la sua attenzione.
"Ehm... scusa...
posso mettermi vicino a te?" disse la voce tutto d'un
fiato.
Ivan ruotò la testa verso l'intrusa, e sobbalzò
lievemente dalla sorpresa.
Rossella. La sua amata Rossy.
La guardò per un istante, incantato, poi si accorse che
tremava leggermente per il freddo.
Dopotutto non portava la divisa, ma una semplice maglietta
bianca
che lasciava intravedere di poco le forme e dei pantaloncini grigi che
terminavano sulle ginocchia esili.
"Vieni, dai"
le rispose, facendole spazio sotto le coperte e alzandole per farle
spazio.
La ragazza si mise vicino a lui, arrossendo.
"Come mai sei venuta
qui?" le chiese gentilmente Ivan.
"Bè...
non riesco a dormire bene ultimamente... Sono un
pò agitata per Max... e ho pensato che venire qui mi
calmasse..."
"Anche io sto in
pensiero..."
Rossella si girò verso di lui, sorpresa.
"No, Rossella, io e
lui possiamo essere solo amici" precisò,
imbarazzato.
"Tranquillo...
io... non ho nulla in contrario..." balbettò
lei, rannicchiandosi su sè stessa per il freddo.
Le coperte non erano sufficientemente pesanti, forse il pirata non
soffriva più di tanto la mancanza di calore.
Ivan la osservò per un pò.
"Rossy, potevi dirmi
che continuavi a sentire freddo..." le
sussurrò, sfiorandola su un fianco per farle capire che
voleva
stringerla a lui.
Rossella non ci pensò due volte, quel contatto la faceva
fremere, e fece scorrere le braccia fini sulle grosse spalle del Capo
Idro, mentre Ivan le stringeva dolcemente i fianchi.
La Magmatenente di colpo non sentì più freddo,
forse per
il calore che il Corsaro emanava, forse per il fuoco che la bruciava
dall'interno.
Ivan rabbrividiva sentento il suo corpo al contatto col suo: il viso di
lei che affondava nel suo collo, i piedi che sfioravano i suoi, i seni
che premevano sul suo petto.
Represse i suoi istinti più bassi e primordiali, non voleva
rovinare quel bel momento con lei con cose sconcie.
Per un pò regnò la calma tra i due, confortati un
poco dalla presenza dell'altro.
"Sai, Rossella?"
mormorò Ivan, interrompendo la pace.
"Noi Corsari, per
navigare e volare, ci orientiamo con una costellazione. Guarda"
dicendo così indicò il cielo.
Rossella lo guardava mentre indicava delle stelle, alcune molto
luminose, altre no. Non sapeva molto di astronomia, solo le basi.
Notò che la costellazione ricordava un serpente alato.
"Noi la chiamiamo il
Drago Polare, perchè la testa ci guida
verso nord. Ci sono tre stelle principali: Thuban, sulla "testa",
Eltanin nel mezzo e Rastaban sulla "coda" ".
"Avete chiamato i
vostri Okeanos con nomi di stelle?"
Ivan la guardò.
"Me ne ha parlato
una vostra recluta...".
"... si, a me, Alan e
Ada sembrava bello chiamarli come le stelle che ci guidano".
Rossella sbadigliò vistosamente, per accoccolarsi
più
vicino al pirata, infreddolita. Ivan la contemplò per un
momento, così fragile e al contempo forte, anche
se forse lei non se ne rendeva conto.
Era il caso di dirglielo?
"Ehm, Rossy..."
cominciò lui.
"Mh?".
La ragazza sollevò gli occhi assonnati verso di lui.
"Ehm... io... volevo
darti questo" balbettò imbarazzato.
Dannazione, pensò Ivan. In trentotto anni solo in quel
momento doveva confondersi?
Una vita passata a prendere decisioni all'ultimo momento, compiere
gesti improvvisi e con la massima scioltezza, e ora che si doveva
dichiarare?
Ma non si scompose, aveva comunque una possibilità.
"Volglio regalarti
una cosa molto speciale" continuò, porgendo a
Rossella una Pokèball.
La ragazza lo guardò, curiosa.
"C'è
all'interno un Pokèmon molto caro e significativo per me,
ma vorrei che d'ora in poi te ne prendessi cura tu, va bene?"
Rossella annuì, non sapendo bene come fare. Non
sapeva se era all'altezza di prendersi cura di una creatura
così
importante per qualcuno.
"E' un
Pokèmon d'acqua?".
"Bè,
sì... non è neanche un pokemon raro, a dir la
verità... ma quello che rappresenta, per me, è
molto
importante".
"Grazie..."
sorrise grata la Magmatenente. Non pensava che Max avesse qualcosa in
contrario se lei teneva un Pokèmon acquatico.
"Dai, ti porto in
camera".
Senza attendere una risposta, Ivan avvolse Rossella tra le coperte e la
prese in braccio.
Non era troppo pesante, e la trasportò senza fatica su per i
tetti, attraverso l'entrata della torre e nella chiara
oscurità
dei corridoi con passo veloce e leggero.
Mezza addormentata, Rossella si faceva cullare senza
pensieri.
Semplicemente, le sarebbe piaciuto dormire insieme a lui...
Fare cose che solo le coppie fanno...
"Ecco, siamo arrivati"
le sussurrò Ivan.
Peccato, pensò con dispiacere la ragazza. Ivan
entrò
nella stanza buia della donna per adagiarla sul letto matrimoniale. Non
c'era molta luce, la finestra era sprangata, ma dei sottili raggi
lunari si proiettavano sul pavimento. Oltre a quelli, solo la porta
aperta "illuminava" il resto della stanza, decorata con un ampio
armadio, una scrivania, e due comodini con due lampade.
"Tieni pure le
coperte, me le ridarai domani" le sussurrò, per
poi avviarsi verso la porta.
"Ivan"
lo fermò lei. Lui si girò.
"Perchè fai tutto questo per me e per il Team Magma? Siamo
stati rivali per più di dieci anni".
Ivan riflettè un momento. Rossella dopotutto aveva ragione,
perchè ci teneva così tanto a coloro che per
molto tempo
erano stati i suoi nemici?
La risposta, però, non era così difficile:
ricordò
gli anni prima dei Team, quando lui, Max e gli altri si addestravano da
giovani per entrare in quello che poi sarebbe diventato il Team Rocket.
A quanto avevano condiviso in quei due mesi: paure, gioie, sconfitte,
ed infine, la serenità di avercela fatta.
Ricordò quando, tanti anni addietro, erano venuti a contatto
in
modo inconsapevole.
Alle timide occhiate di Ottavio ad Ada, molto tempo fa nelle Foreste
delle Isole Hauly.
Erano giovanissimi. Eppure...
Alla fine, lui e Max avevano legato molto, ma
quei dieci anni sembrava che avessero cancellato tutto, lasciando
posto all'odio e al rancore.
Guardò brevemente Rossella, ricordandosi di quella notte
all'addestramento che l'aveva vista per quello che era.
"Perchè lo
faccio? Perchè mi sono stufato di questo odio
che c'è tra noi. Odio che ci siamo inventati solo
perchè
avevamo idee diverse. Non voglio più avere a che fare con
voi se
devo odiarvi ancora. E poi là fuori ci sono dei mostri che
possono perfino prendere possesso dei corpi dei Pokèmon e di
esseri
umani. Rossella, io non voglio ritrovarmi a dover uccidere Max, Ottavio
o te solo perchè fuori siete morti e dentro avete
un
qualcosa che neanche è di questo mondo. Alan non
è ancora
uscito dal suo trauma di Sirius, dopo più di trent'anni
ancora
ne soffre! Io voglio solo un mondo senza quelle... cose... a portar
sofferenza e morte ovunque vadano" sbottò.
"Voglio avere
sicurezza, pace e certezze per me, Alan e Ada. Avere una ragazza,
magari una moglie. Farmi una famiglia. Ma con quelle cose ancora in
giro tutto questo non è possibile. Capisci?".
Per fortuna Rossella sorrise.
"Si, capisco".
Ivan voleva anche spiegargli una volta per tutte che era anche per lei.
Che voleva un mondo dove lui non avrebbe temuto di vederla soffrire per
un lutto, come era capitato al suo Alan. O perlomeno, avrebbe sofferto
in misura migliore. Voleva dirglielo, dirgli che nonostante
là
fuori ci fosse solo la desolazione lui l'amava come non aveva mai amato
nessuno.
Ma forse quello non era il momento giusto.
"Ehm, allora...
buonanotte".
"Buonanotte, Ivan".
E il pirata se ne andò a dormire, improvvisamente stanco.
Rossella attese per un pò dopo che il Corsaro chiuse la
porta,
poi afferrò la Pokèball che le aveva regalato.
Un pokemon speciale, aveva detto. Un Pokèmon molto
significante, per lui.
Rossella non sapeva se era all'altezza, regalare un pokemon
così importante...
Premè il pulsante della sfera per liberare il
Pokèmon all'interno, che uscì in un mare di
stelle e luci.
Un Pokèmon shiny, pensò la Magmatenente
coprendosi gli occhi con una mano.
Appena la luce si affievolì, abbassò la mano e
sgranò gli occhi. L'esemplare davanti a lei era un...
"Luv!!".
Il Luvdisc dorato la osservava con i suoi occhietti curiosi.
Rossella lo accarezzò piano, commossa.
I Luvdisc si regalavano tra due coppie particolarmente affiatate, il
fatto che Ivan le avesse regalato adirittura un esemplare cromatico...
Alla ragazza gli stavano venendo le lacrime per la felicità,
mentre il pokemon Rendezvous si accoccolava vicino a lei.
Aveva letto, in una ricerca, le voci del pokedex riguardante quel
Pokèmon, sul fatto che si regalavano alla persona amata come
simbolo
del proprio sentimento. Aveva letto che se una coppia ne trovasse
uno, sarebbe destinata a vivere una passione infinita, e che
la
colorazione cromatica significasse un cuore puro e privo di malizia.
Rossella si sdraiò sul letto, col musino del Luvdisc vicino
alla sua guancia.
Era certa del messaggio che Ivan le aveva mandato.
Si sfiorò le labbra con un dito, pensando a cosa avrebbe
sentito
se quelle stesse labbra sfiorassero quelle del pirata, che fino a quel
momento le sembrava impenetrabile.
Dimentica della situazione critica al di fuori, si
addormentò serena.
No, probabilmente Max non avrebbe approvato. Lei lo sapeva
con
certezza. Ma non ci poteva far niente, anche se lo volesse non sarebbe
riuscita a rifiutare Ivan. E lei non voleva. Aveva vissuto con Max
tutta la vita, gli voleva bene come un fratello, e sperava che almento
questo lui lo accettasse.
"Credi che mi
accetterano anche in queste condizioni?".
Eskraas osservava Max. Erano ormai davanti al portone della fortezza,
avevano superato con successo anche le protezioni mangiche.
"Hanno accettato
me, Max. E sto per avere un figlio. Rossella e Ottavio
sono due tenenti fedeli, lo sai. E poi, meglio con noi che con Kelsett,
non trovi?"
Il Capopalestra sapeva che era una realtà difficile da
affrontare. Molti venivano rifiutati.
"Eskraas, loro sono
una famiglia per me. Lo sai che non temo solo un rifiuto. Ho paura di
fargli del male".
Sotto la luna Max sembrava più magro e ossuto di quanto non
lo
fosse in realtà. Erano entrambi parecchio stanchi, e Max
dava
segni evidenti di febbre.
"Pensiamo ad
entrare, intanto".
Eskraas pronunciò una runa, che risplendè sul
portone
massiccio. Mentre si apriva, ricordò con
curiosità di
Pokèmon chiamati Unown nella regione di Jotho. Che fossero
pokemon
creati da antichi popoli stilizzando alcune rune?
Chi lo sa. Forse, appena avrà un pò di tempo
libero, si metterà a fare una ricerca in proposito.
Sostenendo Max con un braccio, lo accompagnò alla sua
stanza,
quella più a est, e lo aiutò a cambiarsi e ad
adagiarsi
sul letto.
Scottava, aveva la febbre alta, ma riuscì ad addormentarsi.
L'indomani avrebbe detto che lo aveva trovato, finalmente. Si
trasformò in lupo e si
addormentò davanti alla porta.
Rossella si svegliò di buon umore, ma non ricordava
perchè.
Si ricordava di una specie di sogno con Ivan. Sorrise al pensiero.
Era stato veramente un bel sogno.
Lo amava, ma non aveva il coraggio di palesare questo sentimento.
Tutti credevano che lei fosse attratta solo da Max.
Si chiedeva il perchè.
Forse perchè la vedevano così attaccata a lui.
Ma non conoscevano il loro passato.
Ma Ivan... per lui la cosa era diversa.
Poi un musino giallo si strofinò contro la sua guancia,
attirando la sua attenzione.
Il Luvdisc!
Rossella si girò di scatto, guardando il pokemon che si era
addormentato insieme a lei sul suo stesso cuscino, e che ora
la
leccava affettuosamente per svegliarla.
La donna si mise a sedere, con i capelli viola ancora scompigliati e
gli occhi assonnati.
"Dovrai avere
fame... dammi il tempo di sistemarmi e andiamo a fare colazione, va
bene?".
Luvdisc emise un verso gioioso, Rossella lo accarezzò per un
pò per poi lasciarlo libero di scorazzare per la stanza.
"Non lasciare
Squame Cuore in giro, ok?" ridacchiò.
Tempo di farsi una doccia e di vestirsi che già Allenatrice
e Pokèmon erano fuori dalla camera.
Per fortuna che aveva conservato l'abitudine di svegliarsi presto,
molte reclute di vari team si stavano avviando in quel momento per far
colazione, insieme a capi e tenenti.
Ma non vedeva Ivan.
Rossella si fece strada tra le reclute e adocchiò Cyrus.
Il capo Galassia le aveva sempre messo paura, a prima vista sembrava un
tossico appena uscito dal centro riabilitativo.
Rossella sapeva che era una grande mente, freddo e privo di emozioni
quasi come Max.
Ma metteva paura lo stesso.
"Cyruuuus!!"
lo chiamò.
"Mh?"
lo scienziato si voltò impassibile.
"Hai visto Ivan?".
Cyrus restò un attimo in silenzio prima di parlare. Aveva le
occhiaie, aveva passato la notte insonne, ma non dava segni di
stanchezza.
"Penso che si sia
addormentato in biblioteca. L'ho lasciato lì ieri, e non
credo che si sia mosso"
"Ok, gra... no
aspetta, cosa ci facevi in piedi?"
"Affari miei"
rispose con un tono che non ammetteva repliche, per poi sparire tra la
folla.
Rossella lo guardò, perplessa, per poi correre nella
biblioteca,
al primo sotterraneo con un Luvdisc al seguito, senza badare alle
reclute che travolgeva.
Voleva solo vedere Ivan.
Quello era il suo pensiero.
Non si chiese neanche perchè lui fosse lì.
Luvdisc, allegro, cercava di tenere il suo passo, usando
Agilità per accelerare.
Dopo un paio di rampe di scale fatte di corsa, Rossella raggiunse la
biblioteca, una vastissima sala circolare disseminata di scaffali e
tavoli e
lanterne.
Le pareti, forse in pietra, erano coperte fino al soffitto da alti
scaffali, ricolmi di libri, come quelli che occupavano i lati
della sala, formando un corridoio centrare per permettere il passaggio.
Tra uno scaffale e l'altro c'era abbastanza spazio per ospitare una
fila di tavoli con sedie.
Regnava il silenzio più assoluto, interrotto solo dal
fruscìo dei Prophergy e dei Wisetome, Pokèmon
provenienti da
Sereal a forma di fogli e di libri.
Luvdisc, rendendosi conto di dove si trovava, rimase in silenzio.
Rossella era meravigliata, tutti quei libri... chissà quanta
storia, quante nozioni, quanto sapere contenevano quei volumi.
"Luv!"
pigolò piano il pokemon, guidandola verso l'ultima fila di
scaffali non addossati alla parete.
Ivan era proprio lì, addormentato su un librone aperto, con
i
capelli neri spettinati e una pila di volumi ancora da consultare.
Russava lievemente.
Rossella rise piano, era così buffo. Si chiese cosa
l'avesse spinto ad andare fin laggiù, e cosa cercasse.
Gli sfiorò una spalla, cercando di svegliarlo nel modo meno
brusco possibile.
"Ehi, Ivan..."
Sentendo la sua voce e il suo tocco, il possente Corsaro si
svegliò di soprassalto.
"Eh? Cosa? Dove?"
"Ivan, sono io,
Rossella. Sei in biblioteca" sussurrò lei.
"Oh, già...".
Ivan si ricompose, cercando di darsi un contegno. Poi vide Luvdisc, e
il suo piano di essere serio sfumò.
"L'hai... l'hai visto
allora...".
"Ivan. E'
stupendo...".
Rossella socchiuse gli occhi, afferrando dolcemente la mascella
dell'altro e avvicinandosela. Ivan non se lo fece ripeter due volte, si
alzò e l'abbracciò sui fianchi, facendo aderire
il suo
corpo su lei, sfiorando le sue labbra con le sue, chiudendo gli occhi e
lasciandosi travolgere.
Sentì il cuore in tumulto, il sangue affluirgli al cervello,
e
quelle labbra che sapevano di salsedine pian piano affondare nelle sue.
"Capo! Tenente!".
Due voci, una maschile e una femminile, infransero l'atmosfera.
Ivan sospirò, mentre i pokemon di Sereal continuavano
indisturbati il loro lavoro.
Si sentirono dei passi veloci su per le scale, e il Capo Idro e la
Magmatenente si avvicinarono, incerti.
A un certo punto si sentì uno dei due scivolare e cadere
giù per le scale.
Ivan distinse con divertimento un giovane con la divisa Magma, che
atterrò malconcio davanti a loro.
Subito il ragazzo si rialzò, cercando di simulare sicurezza,
raggiunto poi da una recluta Idro chiamata Thunder.
"Tenente
Rossella, signor Ivan, abbiamo una notizia"
cominciò con modi professionali.
"Uh, avanti Furl,
sii più rilassato" ridacchiò la
ragazza.
"Ma Thunder...
rimango sempre una recluta Magma, anche se siamo... ehm...".
Il giovane arrossì.
"Siete cosa?"
disse Ivan, fingendo un tono minaccioso. Gli piaceva spaventare le
reclute Magma.
"Capo, io e lui
stiamo insieme. E a quanto vedo non siamo l'unica
coppietta Magma-Idro..." rispose lei, guardando maliziosa
il Luvdisc
che girava vivace intorno a Rossella, che cercava di calmarlo.
"Aehm... cosa ci
dovevate dire?" disse affrettatamente la Magmatenente per
cambiar discorso.
"Ah,
sì. Hanno ritrovato il Capo, Max!" rispose
rapido il ragazzo, che doveva chiamarsi Furl.
Non fece in tempo a dirlo che già Ivan er partito in quarta
per raggiungere il rivale.
"Ivaaaan!"
gridò Rossella, cercando di stargli dietro, seguita a ruota
dalle due reclute.
La donna riuscì a stento a raggiungere l'altro, mentre le
reclute degli altri team gli facevano spazio, incuriosite.
"Ivan, ci stanno
guardando tutti" ansimò Rossella.
"Che vadano da Luxor!
Io voglio vedere Maxie!" rispose lui determinato.
Mancava solo un piano, un piano che li separava dalla camera dove
doveva dormire Max.
... Ma le persone cambiano.
Ora più che mai.
...
"Mai!!! Mai e poi
mai!!" gracchiò Max.
Erano tutti riuniti in camera sua: il licantropo Eskraas, il solido
Elisio e l'enigmatico Blackthorn di Teyrnas.
"Oh, avanti Max, non
sei più un bambino capriccioso. Prima o
poi lo verranno a sapere. Non credi che gli piacerebbe saperlo da te?"
rispose annoiato Elisio.
Il Capo Flare si era ormai stufato di sentirlo lagnarsi. Va bene che
stava subendo qualcosa di irreversibile, ma bisognava tirare avanti.
"Facile per te!! Non
sei tu il mostro qua dentro!!" gli gridò di
rimando Max, sdraiato sul suo letto, immobile come una statua e vestito
con dei semplici vestiti di fibra vegetale.
Max aveva imparato fin da piccolo ad evitare i vestiti di pelle per
svariati motivi.
"Guarda che anche
io sono nella tua stessa situazione. Sono considerato
per caso un mostro dalla mia comunità? No. Sono stato
maltrattato e rifiutato? No. Devi capire che tutti ti accetteranno qui
a Raqalis. Ormai il cambio di forma è diventato un fenomeno
naturale per noi" disse semplicemente Eskraas, che si era
seduto sotto
a una finestra.
"Oh, certo, vogliamo
parlare anche dell' altro licantropo? Cosa gli hanno
fatto, eh? L'hanno cacciato a sassate" rispose Max,
spaventato.
Un'ombra di dolore passò sul volto del Capopalestra.
"Max, ne abbiamo
già parlato. L'hanno cacciato per accuse di tradimento,
anche se non vi erano prove sufficienti..."
"E' lui che mi ha
ferito" sibilò Max.
Dopo quell'affermazione, per un pò regnò il
silenzio.
"Suppongo che non
sappiate il perchè dell'attacco, giusto?"
chiese Blackthorn.
"Vedete, anche a
Teyrnas in passato si raccontavano fenomeni simili con gli Shreddeam
e... "
"Blackthorn, sono
due cose un pò diverse..." rispose Eskraas.
"Ma ugualmente pericolose" insistè il professore.
"Secondo me c'è un collegamento".
Eskraas fece spallucce.
In quel momento si sentì un vociare assurdo fuori alla
porta, e dei colpi potenti alla porta, seguiti dalla voce di Ivan.
"Maaax, ci sei??".
I quattro uomini guardavano la porta, stupiti.
"Che dire, tempismo
perfetto" commentò Elisio.
"Vedi, Max?
Già ti cercano. Ivan e il tuo Team erano
preoccupati per te".
"Pfff, il Team Idro
preoccupato per me, il loro rivale.
Elisio, alla fine di questa guerra torneremo ad odiarci come prima,
ammesso che riusciremo a sopravvivere".
"Max, eventi grossi come le guerre cambiano gli uomini, sconvolgono le
loro vite, mettono a nudo verità che neanche sapevamo che
esistessero. In guerra è facile legare, c'è una
situazione critica in comune, e questi legami si evolvono e maturano
diventando più forti di qualsiasi altra cosa. Tu e Ivan
avete
più cose in comune di quanto pensiate, basta guardarvi".
Max sospirò, poco convinto.
"Pensala come vuoi,
Max, ma da questa guerra ne uscirai sicuramente
cambiato. Ora, se permetti, io ed Eskraas andiamo a tranquillizzare
Ivan e gli altri..."
"E io? Cosa mi
consigliate di fare?"
Eskraas lo guardò per un momento.
"Potresti dormire
per una buona volta. Dormi sempre pochissimo".
In effetti aveva ragione: Max era abituato a dormire poco e quando ve
ne era bisogno...
"Pensa a qualcosa
di bello, Max. Che ne so, un episodio del tuo passato particolamente
caro".
Così dicendo, i tre uscirono dalla camera, lasciando il Capo
Magma da solo con i suoi pensieri.
Un evento particolarmente caro?
Max sorrise lievemente, posando gli occhiali sul comodino.
Oh si, aveva bei ricordi di quando era nelle Foreste delle Isole Hauly.
Continò a sorridere anche mentre scivolava pian piano nel
sonno, rivivendo ricordi passati.
"Allora?"
chiese in ansia Ivan.
Rossella lo abbracciava su un fianco, guardando Elisio turbata.
"Non sta bene, ma
fra poco potete vederlo. Tornate ai vostri compiti"
rispose impassibile, e si allontanò seguito dagli sguardi
dei
due e di alcune reclute curiose.
...
[...] Da
tali studi è emerso che il sonno non è costante,
ma
costituito da cicli, ciascuno dei quali consta una fase NREM, ovvero
"sonno ortodosso", e una fase REM, ovvero "sonno paradosso"
poichè sono stati osservati movimenti della pupilla; in
quest'ultima fase si hanno i sogni.
Era autunno, e le foglie rosso fuoco cadevano poco a poco
dai rami risecchiti degli alberi decidui.
Un occhio esperto avrebbe notato sicuramente un bambino di circa cinque
anni appollaiato su un ramo.
Come ci era arrivato?
Non lo sapeva neanche lui.
Max guardava le foglie danzare per poi cadere.
Non voleva ricordare.
Ricordare il "prima".
Da quell'incendio i ricordi divennero sfumati, confusi, e non sapeva
neanche più dov'era, chi era, da dove veniva.
Voleva solo restare lì, nel suo sconforto che neanche
riusciva a comprendere.
Perchè?
Perchè proprio a lui?
Si raggomitolò su sè stesso, lasciando che
sottili e silenziose lacrime gli rigassero il volto.
Gli mancava la mamma, il papà, ma soprattutto il suo
fratellino.
Suo fratello dipendeva totalmente da lui.
E Max non riusciva a capire perchè, invece di aiutarlo,
fosse fuggito.
Era spaventato, sì.
Quelle cose scure e cattive erano venute sibillando.
Avevano ucciso i suoi genitori e i loro pokemon senza tanti problemi,
incendiando la casa e finendo con i due bambini.
E loro erano riusciti a scappare. O perlomeno solo lui.
Max si strinse ancora di più su sè stesso,
singhiozzando.
Aveva sentito le urla di dolore dei suoi genitori e le grida straziate
dei pokemon caduti e di quelli che si stavano trasformando in Shining
Shadow.
E poi?
Poi ricordava un posto scuro che lo portava lontano, e alcuni che lo
abbandonarono lì, mormorando che era troppo debole.
Che sarebbe morto.
Parlavano una lingua che lui conosceva benino, era la lingua di suo
padre e ogni tanto gliela insegnava.
Il Teyrn.
Poi un cane dagli occhi di cristallo, e altra oscurità.
Max piangeva senza freni, tanto chi lo avrebbe ascoltato?
Chi lo avrebbe accolto?
Chi ormai gli avrebbe ancora voluto bene?
Chi lo avrebbe voluto?
Forse avevano ragione.
Era troppo debole.
Troppo brutto.
Troppo codardo per essere accettato.
Gli mancava terribilmente la sua famiglia.
Gli mancavano i pokemon con cui lui e suo fratello giocavano.
Piangeva a dirotto, gridando di tristezza.
Una foglia si posò sulla sua testa, incastrandosi tra i
capelli rossi del bambino.
Max la prese e la guardò per un momento, asciugandosi le
lacrime.
Poi guardò su.
Un gesto naturale, semplice.
Due grandi occhi viola lo stavano osservando e Max sobbalzò
dalla sorpresa.
Poi notò che gli occhi avevano in mezzo anche un naso, una
bocca, insomma, appartenevano a un altro essere umano.
L'altro saltò per raggiungere il robusto ramo dove Max si
era sistemato.
"Ciao!"
salutò.
Max lo osservò bene. Era più piccolo di lui,
sembrava animato da uno spirito curioso.
Occhi viola scuro vivaci e attenti, viso ben proporzionato e capelli
violacei.
Di corporatura era snello ma forte.
"Ciao"
ripetè.
Parlava un dialetto strano del Teyrn, ma Max lo sapeva capire
ugualmente.
"Ti ho visto mentre
piangevi. Cosa ti succede?".
Max non rispose.
Aveva imparato a non fidarsi.
Chi era?
"Hai una famiglia?"
continuò.
Max scuotè la testa per indicare dissenso.
"Oh..."
l'altro sembrò veramente dispiaciuto.
"Anche da noi
capita, a volte. Degli amici miei non hanno la mamma, o il
papà, o tutti e due".
Max alzò lo sguardo. Aveva detto "noi"?
"Ma noi Harlain
siamo forti!" continuò il bimbo, ergendosi in
tutta la sua minuscola statura.
"Ho altri sette
fratelli, nessuno di noi è morto, e abbiamo ancora una madre
e un padre" disse orgoglioso.
Poi rimase a guardare Max per un pò.
"E tu?"
Max abbassò la testa. Come faceva a raccontare il suo corto
passato quando nemmeno lui riusciva a sopportarlo?
"Ok, va bene, non
ne vuoi parlare. Ma almeno mi vuoi dire il tuo nome?".
Il bambino gli tese la mano.
"Sai, i grandi
fanno così quando si incontrano per la prima
volta. Possiamo farlo anche noi due, eh? Io mi chiamo Ottavio Harlain.
E tu?"
Max sapeva di quel gesto, e sorrise impercettibilmente.
Afferrò la mano del bambino chiamato Ottavio e gliela
strinse.
"Mi chiamo Max" "Non
ricordi il nome della tua famigia?".
Max dissentì una seconda volta.
"Pazienza. Avrai
ancora il simbolo della tua famiglia, no? Papà
li conosce molto bene, forse ti può aiutare. Vieni, seguimi,
ma
stai in silenzio e fà quel che faccio io".
Max seguì incerto Ottavio, che con passo veloce s'inoltrava
nelle foreste.
Max non si ne era reso ancora conto che si trovava nelle Isole Hauly.
Posti strani, con pokemon altrettanto strani.
Ma affascinanti.
E pericolosi, per gli inesperti.
Ottavio procedeva con passo svelto e sicuro, badando a non lasciare
tracce e non fare rumori.
Max lo seguiva come meglio poteva, intimorito dai rumori, dai colori,
dagli odori che aumentavano d'intensità mano a mano che
entravano
nel cuore della foresta.
Sentiva i rumori e i versi dei pokemon e degli animali attorno a lui,
eppure Max ancora non riusciva a distinguere un essere da un altro.
Ma dopo un certo punto i suoni cominciarono a decrescere,
finchè
sbucarono in una minuscola radura coperta completamente dai rami degli
alberi, in modo che la luce non filtrasse quasi per niente.
Ottavio, in silenzio, gli fece segno di stare immobile, e
iniziò a canticchiare qualche nota incerta.
Doveva essere un richiamo, perchè il bambino ripeteva sempre
la
stessa melodia sempre più sicuro e più forte.
I suoni del ragazzino si incastravano perfettamente nell'ambiente
circostante, senza attirare predatori di alcun genere.
Sembrava che evocava delle immagini fatte per tenere lontani gli
intrusi.
...
Max riuscì a prevederlo un secondo prima che accadesse.
Qualcuno lo sollevò da dietro facendo passare le mani sotto
le
braccia e cominciando a correre, un momento a terra e poi subito dopo
arrampicandosi sugli alberi, per saltare magari qualche fosso, qualche
stagno, qualche ostacolo.
Max si sentiva stretto a un corpo di qualcuno molto più
grande, più agile e più forte di lui.
Vedeva sotto di lui il terreno scorrere a una velocità
spaventosa.
Poi, sempre correndo, uscirono all'aperto un una valle troneggiata al
centro da un maestoso albero millenario su cui sorgeva una specie di
villaggio, protetto damura fatte in pali di legno. L'albero faceva
ombra a quasi la maggior parte del villaggio, ma non mancavano gli
spazzi per alcuni campi, dove uomini, donne e pokemon lavoravano la
terra.
Entrarono da una delle porte principali e il ragazzo che teneva in
braccio Max si fermò soltanto davanti a un'apertura delle
radici
dell'albero, ansimando.
"Bene, Ottavio,
ora mi dici chi ho trasportato?" disse il ragazzo con tono
beffardo.
Una ragazza sui diciassette anni posò Ottavio a terra.
"Bè,
sarà un amico, Kotick" rispose lei.
Il ragazzo che doveva chiamarsi Kotick, che non dimostrava
più di quindici anni, la guardò con aria di sfida.
"Ho chiesto a
Ottavio, non a te, Alba. Allora?" rispose beffardo.
"E' un mio amico.
Si chiama Max, non ha famiglia" rispose tranquillamente
lui.
"Oh, povero tesoro"
mormorò dispiaciuta la ragazza chiamata Alba.
"Senti, Max, io e questo testone di Kotick siamo i più
grandi
della famiglia Harlain, e ci tocca sempre badare ai più
piccoli
come la peste qui presente" indicò Ottavio, che
ridacchiò.
"Per noi non
è un problema adottarti. Non hai nessuno che si
prenda cura di te, no? Non hai un posto fisso, quidi ti va di stare
qui?"
Max si guardò intorno. Era un bel posto, le persone
lavoravano
con energia e brio, fermandosi anche per scambiarsi informazioni o
consigli. C'erano persone che evidentemente venivano dalle grandi
città, perchè non erano vestite con indumenti
naturali.
Kotick corse via, riprendendo le sue attività.
Il sole stava per calare, e Alba accompagnò i due bambini
dentro l'albero cavo all'interno.
Era sorprendente come la Natura operasse sulle sue creature, aiutata da
una bella dose di magia degli abitanti delle Foreste, che riescono a
manipolare attraverso l'energia dei loro pokemon l'ambiente
circostante.
Una specie di scala a chiocciola scolpita nel tempo sosteneva l'intera
struttura, permettendo anche di salire e scendere con comodo da un
piano all'altro.
Altre scale si srotolavano sulle pareti per permettere l'accesso alle
stanze del piano.
Dei fuochi fatui illuminavano l'interno, e sembrava che lo stesso
albero dentro brillasse debolmente.
Lì non c'erano molte persone, se non qualcuna che usciva da
una
stanza per poi rietrare in un altra, seguiti da qualche pokemon Erba.
Forse dei medici.
"Venite"
sussurrò Alba, conducendoli su una rampa ed aprendo una
porta che dava in una saletta che sembrava essere creata direttamente
dall'albero e non scavata dalla magia.
All'interno c'era qualche letto a terra, costituito da un semplice
materasso vegetale con cuscino e coperte.
C'erano solo due persone in quel momento: un uomo che parlava a una
donna al nono mese di gravidanza.
"E' arrivata qui
una settimana fa, senza dirci cosa le era successo"
spiegò Ottavio perplesso.
"Disse solamente
che il padre era scomparso. Te l'ho detto che capita spesso...".
La vocetta di Ottavio interruppe la conversazione tra i due, che si
voltarono.
La donna era giovane, ma era molto debole.
Pareva svuotata di ogni energia.
L'uomo, al contrario, era in tipo che infondeva ottimismo e allegria.
Portava un paio di occhiali neri e sottili e vestiti da esploratore.
Doveva essere il padre di Ottavio e dei suoi fratelli.
"Oh, Ottavio, sei
già tornato. Chi è il tuo nuovo amichetto?".
"Si chiama Max. Non
si ricorda la sua famiglia" rispose in fretta Ottavio.
"Oh, vieni qui".
L'uomo fece segno a Max di avvicinarsi, mettendosi in ginocchio per
abbassarsi alla sua altezza.
Gli levò la maglietta sporca che indossava chissà
da quanto, mettendo a nudo il corpicino pallido ed esile.
Sulla clavicola sinistra però spiccava un simbolo nero
raffigurante due spade incrociate con una lama rivolta verso il basso,
sovrapposte a un libro stilizzato aperto. Il tutto
era racchiuso in
un anello.
L'uomo sembrò colpito.
"I Ravenclaw...
Max, non so chi tu sia e da dove provieni, ma hai alle
spalle un'ottima famiglia. Ehi, Andromeda, guarda qui, il simbolo dei
Ravenclaw! E' da secoli che non ricompare".
La donna rivolse un sorriso stanco a Max.
"La famiglia si
estinse tempo fa" mormorò.
Il tempo passò.
La famiglia di Ottavio accolse calorosamente Max, che legò
in
particolar modo anche con Kotick, anche se era molto fastidioso a
volte, e con Toomai, che aveva la sua stessa età.
Capitava molto spesso che l'intera si muovesse nella foresta
circostante per cacciare e per istruire i più piccoli.
I più grandi, come appunto Kotick e Alba, erano
già
esperti e si muovevano silenziosamente, come se facessero parte del
sottobosco o dei rami degli alberi, a seconda dei casi.
Max era quello che invece creava più impiccio tra tutti,
superando appena Ottavio, che comunque era nato lì.
Gli mostrarono come la conoscenza fosse la chiave di tutto: lo
aiutarono a capire e a prevedere i pokemon della zona per evitare i
predatori, per richiamarli o scacciarli, gli insegnarono a come vivere
in equilibrio.
Nelle giornate di pioggia invece lui, Ottavio e Toomai rimanevano
nell'albero per evitare di bagnarsi. In quelle giornate si mettevano a
giocare agli enigmi, o a disegnare, oppure la mamma di Ottavio,
un'amazzone di tutto rispetto, gli insegnava a interpretare le rune. In
verità Max e Toomai non ci capivano un gran che, Ottavio era
invece curiosissimo e imparava in fretta. Sempre più spesso
si
rifugiavano nella stessa stanza dove la donna di nome Andromeda riposava
Era proprio un giorno di pioggia qualunque quando un altro evento
segnò Max.
"Allora? Vi
ricordate almeno questa?" chiese spazientito Ottavio,
disegnando con tratto incerto l'ennesima runa.
"Otty, devi
capire che non tutti sono appassionati di rune come te"
aggiunse un Kotick alquanto spazientito.
Il ragazzo stava cercando una cartella contenente alcuni studi sui
Folieroot del padre, aiutato da Toomai.
Ottavio continuò a disegnare.
"Comunque era la
Runa d'Unione" bofocchiò cupo.
"Fà
vedere!".
Toomai si era stancato del lavoro e aveva strappato dalle mani del
fratellino il foglio.
"Ehi!"
gridò Ottavio, cominciano a ricorrerlo in giro per la
stanza. I due bambini gridavano, uno per il divertimento e l'altro per
la rabbia.
Andromeda li osservava, silenziosa come sempre.
"Ma insomma, la
volete smettere?" disse seccato Kotick, afferrando i due
bambini.
"Non ci siete mica solo voi! Toomai, dai il foglio a Ottavio".
Max osservava la scena distratto. Capitava che i suoi due amici
litigassero.
Toomai restituì il foglio al fratello, che
ricambiò con una linguaccia.
Kotick trovò la sua cartella e stava per andarsene, quando
un gemito partì dal fondo della stanza.
Un silenzio innaturale calò per la stanza per qualche
istante.
Improvvistamente dal corpo della donna una macchia scura si allargava,
segno che le lenzuola si erano infradiciate.
Max non capiva, ma Kotick li spedì subito fuori urlando,
correndo a chiamare i genitori.
Generò una tale confusione e caos tra i tranquilli figli
della
foresta che per alcuni minuti Max, Ottavio e Toomai non capirono un
gran che.
Poi finalmente riuscirono ad aggrapparsi ad Alba e a farsi dare una
spiegazione soddisfacente.
La ragazza li trascinò in un angolo meno rumoroso, non
riusciva
neanche ad urlare, il popolo sembrava più agitato del solito.
"Che succede?"
chiese Toomai.
"Andromeda muore?".
"Forse,
fratellino. Sua figlia sta per nascere".
Tre ore.
Tre lunghissime, estenuanti ore.
I tre bambini cercavano di giocare con qualsiasi cosa gli capitasse a
tiro.
Il maltempo stava cessando, ma non potevano uscire ugualmente.
Tre ore.
Tre ore ad aspettare.
Max non capiva bene, era vagamente preoccupato, la donna non sembrava
particolarmente forte.
Ma gli avevano insegnato che non era tutto la forza.
La base di tutto era la conoscenza.
E Max lo sapeva.
Se avrebbe saputo difendersi suo fratello sarebbe vissuto.
Per questo pian piano si stava chiudendo in sè stesso,
limitando le amicizie a Toomai, Ottavio e alla loro famiglia.
Gli bastavano loro.
Tre ore.
E finalmente qualcosa accadde.
Si sentì, dopo un travaglio doloroso, un ultimo grido, e poi
dei singhiozzi di un neonato.
Le persone che erano dentro l'Albero alzarono gli occhi, senza smettere
di chiacchierare.
Erano strani, i figli della foresta.
Dalla stanza uscì il papà di Ottavio con le mani
completamente lorde di sangue, e fece ai tre bambini segno di entrare.
Dentro la stanza faceva più caldo, e Max notò
subito
Andromeda con un fagotto tra le braccia da cui provenivano alcuni
vagiti sommessi.
La donna sembrava essere ancora più smagrita e debole prima
del parto.
Max si avvicinò a lei e al neonato.
"Guardala, Max"
mormorò la donna.
Era davvero una bella bambina, era sana, pallidissima e con la prima
peluria viola/nera che ben presto avrebbe fatto posto ai capelli veri e
propri.
"Non so che nome
dargli... il padre era un appassionato del fuoco..."
sospirò.
"Max. Prometti
che te ne prenderai cura? Vero?"
Max non sapeva che fare. Sentiva le lacrime riaffiorare.
"Oh, avanti
Andromeda. Non morirai ne ora ne mai" ribattè
il papà di Ottavio mentre si ripuliva le mani.
"Qualunque cosa
accada, me lo prometti?"
Max scuotè la testa in segno d'assenso.
"Bene".
Andromeda si rilassò per un momento.
"Che ne dici di
Fiammetta?".
Max guardò la bambina che dormiva, e un ricordo gli
attraversò la mente.
Sua madre.
Che gli parlava di una sorellina.
Ne erano entusiasti, lui e suo fratello.
Non riuscì a trattenersi.
"Ti prego, chiamala
Rossella!" sbottò.
Andromeda lo guardava.
Max si asciugò una lacrima.
"E-ecco... Mamma
voleva una bambina. Voleva chiamarla Rossella. Ti prego!"
Quel ricordo improvviso lo aveva sconvolto.
Andromeda sorrise debolmente.
"Rossella
Jordis... si suona bene. Stalle accanto, Max..."
Andromeda chiuse lentamente gli occhi per sempre.
Max allungò la mano, avvolgendo la manina minuscola della
piccola Rossella.
Nel sonno, la piccola gli afferrò il dito, sorridendo come
solo i neonati sanno fare.
"Ciao Rossella.
Benvenuta fra noi".
La baciò sulla fronte, prima che la portassero nella sua
culla.
Gli anni passarono, e Rossella crebbe in fretta.
Il tempo volò, gli anni passavano.
All'improvviso Max si ritrovò a dodici anni a correre per i
sentieri delle Foreste insieme alla famiglia Harlain.
Era nel ristretto gruppo dei battitori, cercavano di catturare un
Nahzguard troppo audace.
Si era spinto fino al loro villaggio rovinando i magri raccolti e
sbranando le persone incaute.
Già si era portato via due suoi amici, e per poco Rossella,
che
allora aveva sette anni, non finiva dritta nelle fauci del Pokemon.
Era davvero una faticaccia badare a lei. Era una bambina curiosa ma
fragile, non avendo genitori sin dalla nascita si sentiva spesso sola.
Piangeva spesso e Max e Ottavio erano sempre lì a consolarla.
Lei si avvicinava solo a loro, e si calmava subito con la loro presenza.
Ma riusciva ad allontanarsi senza che nessuno se ne accorgesse, e
questo era fonte di stress per Max, che ormai la vedeva come una
sorellina che non aveva mai avuto.
Sentiva i ruggiti rabbiosi del pokemon quando il secondo gruppo di
battitori, con polveri di Parasect e getti d'acqua dei propri pokemon
lo facevano deviare.
Max correva fino quasi volare, sentiva il grosso Pokemon correre sul
sentiero parallelo al suo senza accorgersi della sua presenza.
Poi qualcosa andò storto.
Non aveva calcolato che il sottobosco finisse su una curva improvvisa
del sentiero principale.
Max si ritrovò, prima di rendersene conto, proprio davanti
al Pokemon ferito e furibondo.
Nahzguard ruggì incollerito, e appena lo vide si
slanciò
in avanti e, con un salto formidabile, lo atterrò per
ucciderlo
e portarlo nella sua tana per mangiarselo in pace.
La violenza con cui sbattè al suolo lo paralizzò,
sentiva
gli artigli del Pokemon Rovente lacerargli la pelle delle spalle con i
potenti artigli.
Sentiva perfettamente il calore opprimente della criniera di fuoco
bruciargli la pelle.
Era finita.
Non era riuscito neanche a raggiungere il suo piccolo coltello di rame,
assicurato alla cintura.
Lo stava per uccidere.
Chiuse istintivamente gli occhi, ma poi li riaprì subito
dopo: voleva guardare la sua morte in faccia.
Gli occhi violetti del Pokemon incontrarono quelli verdi del ragazzino.
Ed esitò.
Max lo guardava paralizzato: quegli occhi trasudavano rabbia ma anche
disperazione.
Aveva capito perchè il Pokemon si era spinto fino a loro,
incurante del pericolo.
Era rimasto senza parole.
Troppo tardi sentì il fischio di una freccia che
colpì in
mezzo alle costole del Nahzguard, facendolo ruggire di dolore.
Max, senza curarsi delle artigliate, rincorse il pokemon più
velocemente possibile.
Era difficile con le ferite che bruciavano e che colavano sangue.
Ma sapeva che era necessario.
Percepiva gli altri seguirli, se avessero scoperto il nascondiglio del
Pokemon avrebbero sicuramente fatto una strage.
Era comprensibile, era periodo di carestia e gli umani non erano i soli
a soffrire la fame.
Max perse di vista il Nahzguard, era giunto davanti a una piccola piana
dove la foresta finiva di botto.
Da un lato si ergevano delle basse colline in cui delle caverne buie
conducevano sottoterra.
Il ragazzino sentiva il resto dei cacciatori avvicinarsi, e doveva fare
in fretta.
Le orme irregolari accompagnate da una leggera scia di sangue
rivelavano dove il Nahzguard si era rifugiato: in una corta e bassa
caverna.
Max in quel momento ringraziò lo Spirito per avergli donato
una costituzione esile e minuta.
S'infilò dentro il cunicolo arrivando in una piccola tana
dove il Nahzguard si stava lentamente spegnendo.
La freccia lo aveva colpito in un punto vitale.
La criniera di fiamme illuminava debolmente il resto della caverna,
rivelando il corpo smagrito e senza vita della compagna, più
qualche scheletro dei cuccioli defunti.
Max li guardava triste.
Voleva che un giorno le carestie finissero.
Il maltempo e la terra sterile erano flagelli a cui nessuno poteva
sottrarsi.
Se ci fossero stati più continenti...
Se solo ci fosse stata più terra... per accontentare tutti...
Il Nazhguard ruggì debolmente, l'agonia doveva essere
straziante.
Gli stava chiedendo il colpo di grazia.
Max afferrò la piccola lama e si avvicinò al
Pokemon, sgozzandolo con un taglio preciso e netto.
Veloce e indolore.
Le fiamme della criniera si spensero con la vita del Pokemon.
Max se ne stava per andare come se nulla fosse successo (ormai riusciva
a distaccarsi dal dolore della morte) quando udì un miagolio.
Si girò, e fu colto da un bagliore più tenue e
piccolo di quello del Nahzguard.
Di nuovo un miagolio, seguito da uno starnuto.
Un Pupguard che mordicchiava l'orecchio del padre per attirare la sua
attenzione, non sapendo che quell'attenzione non ci sarebbe stata
più.
Era l'unico rimasto della famiglia.
Gli ricordava terribilmente lui.
Solo e sperduto.
Max lo prese delicatamente in braccio, per poi uscire fuori.
Il piccolo, rassicurato dal suo calore, si addormentò
placidamente, singhiozzando lievemente ogni tanto.
I cacciatori, appena lo videro, sporco di terra e con il cucciolo
Pupguard tra le braccia, non dissero niente.
I figli delle foreste capivano anche senza le parole.
Avevano intuito cosa era successo.
Il Nahzguard sapeva della sua fine, e voleva assicurarsi che l'ultimo
cucciolo fosse in mani sicure.
Quello che nessuno capì perchè Max ispirava
fiducia a ogni essere vivente.
Passarono altri due anni.
Inutile dire che Rossella si era letteralmente innamorata del cucciolo,
e passava la maggior parte del tempo a giocare con lui, o a dargli
nomignoli buffi, o semplicemente accarezzarlo finchè non si
addormentava.
Ottavio li guardava divertiti, mentre scriveva o traduceva dei testi
runici.
Max, ormai quattordicenne, cercava di addestrarlo, ma allevare un
Pupguard era semplicemente impossibile.
Prendeva tutto come un gioco.
"Pupguard, seguimi!"
gli gridava mentre correva per abituarlo alla
caccia, ma poi dopo un breve tratto di eccellente corsa il cucciolo si
girava per rincorrersi la coda o per rotolarsi a terra miagolando
soddisfatto.
O faceva entrambe le cose, prima l'una e poi l'altra.
Si distraeva facilmente: mentre inseguiva una preda bastava
un
pokemon Volante gracchiare nel cielo per distrarlo e farlo ruzzolare,
dando al Pokèmon predato la possibilità di
fuggire.
Per non parlare dei predatori.
Nelle Isole esistevano Pokèmon tanto rari quanto terribili,
che al solo sentirne il nome ti si accapponava la pelle.
Per poco il cucciolo non finì tra le mani di uno di essi.
Per poco.
Ma tutto sommato il Pokèmon stava crescendo bene.
Le regole imponevano che solo e soltanto l'allenatore doveva addestrare
i propri pokemon, al massimo poteva essere aiutato da qualche amico di
sua spontanea volontà.
Alla fine, oltre a Max anche Ottavio e Rossella finirono per educare il
piccolo Pupguard.
Anche se in verità Rossella ci giocava soltanto.
Ma aveva solamente nove anni.
In quei due anni il cucciolo, nonostante tutto, aveva fatto notevoli
miglioramenti grazie al lavoro di tutti e tre, sebbene la strada fosse
ancora lunga.
I momenti in cui però era difficile tenerlo a bada erano
però i Rituali di passaggio.
Questi si svolgevano ogni estate ed erano motivo di grande festa.
I ragazzi che compivano sedici anni prima dei mesi estivi venivano
considerati adulti, e sceglievano una prova da affrontare per
confermare il loro ruolo nella società del villaggio. O a
perderlo.
Le prove erano svariate, alcune facili altre difficili, e la scelta
avrebbe influito su quello che il ragazzo o la ragazza avrebbe potuto
fare poi.
Max non ricordava in quei quattordici anni che qualcuno avesse fallito
la sua prova.
Piuttosto, qualcuno ci era morto, il che era molto meglio.
Se la prova falliva, o che qualcosa la invalidasse, le pene erano
severissime.
Il momento migliore era quando il ragazzo che aveva superato la sua
prova veniva accolto con molte feste, e Pupguard, tra tutti quei suoni
e colori, si eccitava tantissimo.
Capitava spesso e volentieri che il cucciolo si mettesse a ruggire
seguendo tutto quello che vedeva muoversi, che siano vesti, piedi,
altri pokemon, per lui non faceva distinzione.
E rischiava di incendiare qualcosa.
Iniziava quindi l'estate con i suoi frenetici ritmi.
Max, Ottavio e Rossella solevano andare in punti precisi delle foreste
dove avevano costruito dei veri e propri nascondigli sugli alberi,
aiutati da un pò di manualità e magia.
"Allora, Max, che
te ne pare?" disse un giorno di quelli Ottavio.
Erano dentro a una casetta-albero, e Ottavio era intento a riparare uno
Styler rotto che avevano trovato qualche settimana addietro. Da allora
non se ne era più staccato.
Max posò il libro che in quel momento stava leggendo per
avvicinarsi al suo amico.
Max amava leggere.
Qualsiasi cosa.
Il popolo delle foreste avevano anche una libreria ben fornita, scavata
sotto l'Albero principale.
E i contatti con il resto del mondo c'erano, anche se non molto
frequenti.
Ottavio aveva fatto veramente un buon lavoro, ma ancora c'erano dei
difetti da riparare.
Diede un'occhiata rapida a Rossella, ma la bambina stava come al solito
giocando con Pupguard.
"Guarda, devi
migliorare questa parte qui... e questa..."
"Max?"
lo chiamò Rossella.
La bambina si era distesa sopra Pupguard. I capelli nerastri
le scendevano sulle spalle elegantemente.
Era molto carina.
"Dimmi, Rossy".
"Secondo te potrei
avere anche io un Pokèmon tutto per me?" chiese
dubbiosa.
"Sì, e
poi lasci solo il povero Pupuguard?" ribattè
ironico Ottavio, mentre apportava le modifiche al dispositivo.
"Non lo farei mai!" rispose affrettatamente lei, sgranando gli occhi.
Il Pokemon Rovente alzò la testa, sentendosi chiamato in
causa.
"Mh, voglio proprio
vedere" ridacchiò lui.
"Che
Pokèmon ti interessa" chiese invece il rosso.
Rossella fece spallucce, tornando a coccolare Pupguard.
"Uno qualsiasi..."
disse vagamente.
Pupguard agitava la coda, creando ampi archi nell'aria.
Di colpo s'immobilizzò, volse la testa verso la foresta
rizzando le orecchie.
Pareva che avesse sentito qualcosa avvicinarsi.
O allontanarsi.
Rossella lo guardava, vagamente sorpresa da quel cambiamento
repentino.
Pupguard emise un basso ringhio, alzandosi di scatto sulle quattro
zampette, per poi saltare fuori dal rifugio.
I tre fissarono per un attimo l'uscita dove il pokemon era sparito,
attoniti.
"Max, sbaglio o il
tuo gatto infuocato è appena saltato da cinque metri?"
notò Ottavio.
Rossella rimase a fissare con occhi sgranati l'uscita.
Max non capì il perchè di quel gesto.
I Pupguard cominciano a
distaccarsi
dagli affetti al momento dell'evoluzione. Scelgono di solito la cima
delle cascate o zone rialzate per evolversi, per segnalare ai nemici la
loro nuova forza.
L'idea lo folgorò.
L'aveva letta nel libro sulla fauna e flora del padre di Ottavio, che
era anche un naturalista.
Senza badare alle grida sorprese dei suoi amici si
scaraventò fuori dalla loro casetta per raggiungere un certo
posto.
La strada la ricordava, era sempre il solito grande sentiero di due
anni fa.
Ormai le Foreste non avevano più segreti per lui.
La dea Minar dopotutto l'aveva accettato già da tempo come
parte
integrante del suo popolo, sebbene ancora il suo ruolo doveva essere
confermato.
Correva, correva.
Non era mai stato un atleta, sapeva che rispetto agli altri era gracile
e debole.
Ma Max sapeva di contare su un'altra forza: quella della mente.
Correva.
In un tempo remoto sua madre gliel'aveva detto. La conoscenza
è l'unica vera grande forza dell'uomo.
E Max si impegnava con tutto sè stesso per acquisire
più conoscenze possibili.
Rallentò per riprendere fiato, oramai il posto non era
lontano...
Si mosse con estrema destrezza, a volte essere magrolini era un bel
vantaggio.
Saltellò per evitare alcune buche e tane di Pokemon
velenosi, si
fece spazio tra gli alberi e finalmente sbucò in una radura.
Due anni passati in un attimo.
Era la stessa radura dove un Nahzguard l'aveva condotto per morire.
Dove aveva adottato il suo primo pokemon.
E ora vedeva quello stesso cucciolo, e si rese conto di quanto fossero
cresciuti insieme.
Pupguard si ergeva sulla sporgenza sopra l'entrata rocciosa della
caverna dove lui era nato, dove all'interno c'erano solo che ossa.
Con tutta la dignità che aveva, mandò il ruggito
più potente che avesse mai fatto, prima di essere avvolto da
una
luce bianca.
Max, al limitare della piana, si coprì in parte gli occhi.
L'energia sprigionata dall'evoluzione poteva accecare, ma lui non
voleva perdersi un momento del genere.
Distinse la forma di Pupguard crescere, farsi più grande,
crescere, rafforzarsi.
La luce divenne troppo intensa, e Max si vide costretto a ripararsi gli
occhi.
...
Uno.
Due.
Tre.
Max tolse le mani da davanti gli occhi, aprendoli.
Nonostante sapesse cosa poteva vedere, rimase comunque a bocca aperta.
Due anni.
Due anni di assidui allenamenti.
Ne è valsa la pena solo per quel momento.
Alla fine erano cresciuti entrambi, lui e Pupguard.
Insieme.
Sulla stessa sporgenza rocciosa, un giovane Nahzguard ruggì,
scuotendo la terra.
"Max, sei pronto?"
Max osservò Ottavio dalla sua amaca.
Altri due anni erano passati.
Rossella era diventata una sanissima undicenne piena di
vitalità.
Era ormai da tempo che seguiva Max e Nazhguard nelle caccie come
seconda battitrice.
Piccola ed esile per la sua età, riusciva ad infilarsi anche
negli anfratti più minuscoli senza problemi.
Ottavio, a differenza del resto dei altri quattordicenni, preferiva
rimanere a studiare le rune ed aiutare Max e la famiglia negli studi
sul campo.
Il rosso non chiedeva di meglio.
Non aveva mai amato i giochi violenti che i suoi coetanei facevano.
Piuttosto, preferiva lo studio, anche se a volte seguiva Ottavio nelle
sue strane esplorazioni in giro per le Isole.
Il suo amico crescendo si era fatto più curioso e ardito, ed
era capace di rimanere fuori per giorni senza far ritorno.
In quei frangenti Max non lo aiutava, se non per riconoscere meglio i
percorsi e le strategie per una migliore sopravvivenza.
Lui dopotutto era più incline ai pensieri astratti, mentre
Ottavio tendeva a essere più impulsivo e concreto.
A volte, nelle esplorazioni, Rossella li seguiva.
La lasciavano fare se erano cose semplici, ma se la
difficoltà aumentava la rispedivano a casa.
Era testarda, e non sopportava separarsi da Max neanche per un momento.
Lui le voleva bene, preferiva che non si esponesse troppo.
"Chissà,
in futuro voi due potreste ritrovarvi insieme con una famiglia"
disse un giorno Ottavio ridacchiando.
"Maddai!!"
gli rispose il rosso, fingendosi seccato.
Ma vada come vada, Max rimaneva sempre il più studioso del
trio.
"Max?".
La voce di Rossella lo riportò alla realtà.
"Pronto per cosa?"
chiese distratto, mentre sfogliava un vecchio volume.
"Oh, dai. Si
avvicina l'estate, e hai già compiuto sedici anni..."
Max sentì i peli della nuca rizzarsi.
La stagione dei Rituali si stava avvicinando, e anche in fretta. E lui
ancora non aveva deciso in che prova cimentarsi.
"Bhè..."
balbettò.
"Non hai ancora
deciso" disse Ottavio. Era un'affermazione più
che una domanda.
"Non so in cosa
potrei andar meglio..." rispose triste.
"C'è
sempre la hieros. Mal che vada, l'unica ad
essere scontenta sarà la tua compagna" rise
l'altro.
Rossella
spalancò gli occhi, non credendo a quello che aveva sentito.
"Ottavio, lo sai
che Max non è tipo da fare certe cose!" lo
rimproverò.
Max non sapeva se essere più imbarazzato per quello che
aveva
detto Ottavio o più sorpreso di Rossella che aveva inteso.
"Signorinella, come
fai a sapere certe cose?" domandò Ottavio,
sospettoso.
"Toomai mi ha fatto
vedere i
Folieroot maschi montare le femmine e me lo ha spiegato, dicendo che
anche gli umani lo fanno, e che esiste una prova su questo"
rispose candidamente Rossella.
"Io lo ammazzo"
borbottò Max, alzandosi di scatto.
"Che aspetti? Hai
tutto il mio appoggio" aggiunse Ottavio.
"Tooooomaaaaai!!!"
gridò Max.
Il fratello di Ottavio era ai piani più alti, intento a
rilegare un libro.
"Max, che
c'è?"
"Hai detto a Rossella
quelle
cose!"
gli urlò.
"Chi? Io?"
gli rispose il coetaneo, fingendo un tono innocente.
"Noooo!!" gridò a sua volta Rossy.
"Oh,
bhè, dai Max. Ha undici anni, mica uno!"
"E allora?"
"Max, non sono
più una bambina" rispose lei, leggermente
seccata.
"Sì, ma..."
cominciò il rosso.
Rossella alzò gli occhi al cielo, spazientita.
"Max sei l'unico
che non gli va giù. E' una cosa naturale".
Max arrossì, ma non rispose.
Toomai scese giù fino alla loro stanza.
"Ma
perchè parlate di queste cose?"
"Ottavio ha
proposto la hieros per Max. Come prova".
"Fratellino, no
ti facevo così malizioso! La prova dell'accoppiamento per
Max!" esclamò il sedicenne, spingendo l'amaca
dove Ottavio era adagiato.
Il ragazzo rise, cercando di fermare l'amaca.
"Tornando alle cose
serie. Max, hai deciso? Il periodo si sta avvicinando".
Max sospirò, facendo un cenno di diniego, per poi spostarsi
sul corpo di Nahzguard.
Il Pokèmon era addormentato nonostante il baccano.
"Mi piacerebbe fare
una di quelle prove di cattura, ma non ne ho la fantasia".
"Amico, conviene
che te la fai venire, e anche in fretta".
L'estate si avvicinava, con le sue tempeste improvvise e i torridi
giorni di sole.
Toomai aveva scelto la prova subacquea.
Le Isole Hualy, in quanto tali, erano circondate dal mare e
attraversate da vari fiumi.
Le prove subacquee potevano differire: si poteva catturare in qualche
modo un Pokèmon, recuperare qualcosa di difficile, e via
dicendo.
Il fratello di Ottavio aveva proposto a Max di scegliere la sua stessa
prova, ma il rosso rifiutò.
Semplicemente, non sapeva nuotare.
Dalla separazione dalla sua famiglia provava una fortissima repulsione
per l'acqua.
Ricordava quando era piccolo che era caduto in uno stagno e non
riusciva a riemergere. L'avevano recuperato appena in tempo.
O forse il nuotare gli ricordava troppo suo fratello.
A lui sarebbero piaciute, le prove acquatiche.
Il mese dei Rituali, agosto, pian piano si avvicinava.
Max cominciava ad aver paura: se non si fosse presentato, cosa poteva
succedere?
Qualcosa che sicuramente non era buono.
Era esile, debole, dotato solo di grande conoscenza e arguzia.
Ma quelle in quel momento non gli servivano gran che.
Gli serviva solo un pò di fortuna.
E quella arrivò.
Era una serata simile alle altre, calda e con troppe zanzare.
Il popolo delle foreste aveva rimediato una strana pianta cui l'odore
teneva lontani insetti e Pokèmon Coleottero.
Ma c'erano comunque zanzare in eccesso.
Max mangiava sempre con i suoi due amici, molte volte si aggiungevano
il fratello e la sorella di Ottavio rimasti tra loro.
C'erano due gemelle, tempo fa, morte entrambe. Una era caduta nelle
sabbie mobili che si trovavano nelle paludi, e non riuscì a
riemergere. L'altra era morta poco dopo per malaria. Aveva provato ad
aiutare la sorella, ma non fece in tempo e si prese la febbre. La sua
tomba era tra le altre, al cimitero. Ottavio non ne parlava mai.
Vi era un'altra sorella, di un anno più grande di Max e
Toomai.
Ma morì l'estate scorsa per una ferita riportata nel Rituale.
E così dei ragazzi Harlain rimanevano solo Alba, Kotick, i
ragazzi che undici anni fa avevano trasportato Max nella loro attuale
casa, Toomai e Ottavio.
Max li guardava ridere, avevano superato le morti in maniera
esemplare, come le avevano superate i loro genitori.
Fu allora che un'occasione si presentò.
Gli adulti parlavano di qualcosa, sembrava un argomento serio.
"Di cosa staranno mai
parlando" mormorò Maxie a Toomai.
"Bho"
rispose lui, masticando una fetta di pane.
"Dai, andiamo a
sentire".
Il ragazzo fece spallucce e lo seguì.
Si avvicinarono cautamente e, fingendo di parlare fra loro, origliarono
la conversazione.
"Vi dico che
è terribilmente grosso! Neanche l'Harlain col canto
riuscirebbe a calmarlo!"
Max e Toomai si scambiarono un'occhiata sorpresa.
Ottavio era nato con una strana forma di magia interna che prendeva
forma col canto.
Il ragazzo riusciva a comunicare le proprie emozioni e i suoi ricordi
semplicemente canticchiando, riuscendo a calmare i Pokèmon
furiosi, gli animali più aggressivi e le persone affette da
febbri talmente alte che scoppiavano a delirare.
Sapevano entrambi che Ottavio intendeva sviluppare questa sua dote, ma
in quel momento cosa c'entrava?
"Non
metterò mai in
mezzo mio figlio, lo sapete. Quel Folieroot è ferito
gravemente,
per questo è infuriato. Dobbiano catturarlo prima dei
Rituali,
è pericoloso. Se si avvicinasse?"
"Ma chi verrà? Un Folieroot incollerito non è
roba da poco..."
"Mi offro io!".
Max si stupì da solo. "Ma cosa fai, stupido!".
Tutti si voltarono verso di lui.
Toomai lo guardava con uno sguardo indecifrabile.
"Cos'hai detto,
ragazzo?".
A parlare era uno dei cacciatori più esperti.
Max sentì solo in quel momento il silenzio che era calato
nella comunità.
Ma era troppo tardi per tirarsi indietro.
"Catturerò
io quel Folieroot. Sarà la mia prova per il Rituale. Posso
farcela" disse ostinato, ricordandosi in quel momento
dello Styler di cattura che lui e Ottavio avevano riparato tempo
addietro.
Non osò guardare nè l'amico nè
Rossella. Probabilmente lo stavano guardando con disperazione.
Ma ormai era fatta.
"Bene, ragazzo,
se proprio ci tieni..." disse noncurante il cacciatore.
E in quel momento Max giurò con sè stesso di non
giocare più con la Morte.
Mai. Più.
...
Le imposte filtrarono debolmente le prime luci dell'alba.
Max aprì debolmente gli occhi.
Aveva sognato il suo passato.
Si alzò a sedere, sentendo la testa pulsare terribilmente.
Riuscì ad afferrare gli occhiali e a metterseli senza
incidenti.
Decise di risdraiarsi un attimo, non se la sentiva di alzarsi.
Di fronte a lui c'era uno specchio.
Guardò il suo riflesso: un uomo di trentanove anni smagrito
e stanco.
Ripensò a quello che era successo vicino a Ravenclaw,
portanto la mano sotto la maglietta per sfiorare le cicatrici.
Se ne scordava sempre.
Il suo corpo era quello che era.
Anche con tutti gli sforzi del mondo non aveva forza a sufficienza
nemmeno per difendere sè stesso.
Poteva essere intelligente e cauto quanto voleva, ma a volte invidiava
Ivan e la sua forza.
Si ricordò della tregua, e sospirò desolato.
Poteva valere per quella situazione critica.
Ma a fine guerra torneranno sicuramente a scannarsi a vicenda.
Si ricordò di Ada, ma anche lei lo aveva odiato. Quindi
perchè dovrebbe smettere solo perchè si trovava
costretta
a combattere a fianco a lui?
Per un attimo Max aveva sperato in una loro vita insieme, seppur remota.
Ma era un sogno futile, lei e lui erano troppo diversi, c'era stato
troppo odio tra Idro e Magma per dimenticare così.
Max chiuse gli occhi, triste.
E poi, con quello che era diventato, neanche Ottavio e Rossella non lo
avrebbero più voluto con loro.
POKEDEX (Sereal)
Prophergy:
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Wisetome:
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PERSONAGGI (Teyrnas) M.
Blackthorn:
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