Distanze
01
# Tauriel
Tauriel
era accovacciata sulle sponde del fiume Lhûn. Davanti
a lei, si stagliava il profilo dentellato delle Montagne Azzurre. Il
suo sguardo, tuttavia, era puntato sui pesci che aveva appena catturato
e che stava sistemando in un morbido cesto di erbe intrecciate.
Quando
ebbe finito, si sciacquò le mani nel fiume, quindi si
toccò istintivamente i capelli ramati come per valutarne la
lunghezza.
In
seguito alla Battaglia delle Cinque Armate, ormai otto anni prima,
li aveva tagliati all’altezza delle spalle, e da allora li
aveva accorciati regolarmente, seppur con una punta di rimpianto. Non
si era mai interessata molto al proprio aspetto, ma aveva sempre amato
prendersi cura della propria capigliatura.
Quando
si era ritrovata a vivere a Dale e ad aiutare gli Uomini a
ricostruire la loro città, però, aveva dovuto
ammettere a malincuore che portare i capelli lunghi sarebbe stato
estremamente poco pratico. Ora che aveva preso a viaggiare, poi, aveva
a disposizione ancor meno tempo per lavarli e pettinarli.
Udendo
un rumore di zoccoli alle proprie spalle, si irrigidì
appena, e mise le mani sui pugnali che portava alla cintura. Dubitava
che si trattasse di qualcuno di più pericoloso di un innocuo
pescatore, ma in caso contrario sarebbe stata pronta.
I
passi alle sue spalle si arrestarono bruscamente.
«Capi…!
Tauriel?»
chiese una voce
incredula. Incredula e… familiare.
Tauriel
voltò di scatto la testa.
Davanti
a lei si trovava un Elfo Silvano dai capelli lisci, castano
scuro, e gli occhi grigi. Era a piedi, ma teneva per le redini un
cavallo dal manto scuro.
«Merion?»
domandò Tauriel, sorpresa,
alzandosi lentamente e girandosi del tutto verso di lui. Fece per
chiedere come mai si trovava lì, ma l’altro non
gliene diede il tempo.
«Sei
viva» constatò, un po’
rigidamente.
«Sei
lontano da Bosco Atro» replicò
Tauriel, cercando di non dar peso al suo tono aspro.
Merion
era più vecchio di lei di qualche secolo, ed era
entrato a far parte delle guardie solo alcuni anni prima della
Battaglia delle Cinque Armate. Perché mai si trovava
così lontano dal Reame Boscoso?
Merion
alzò il mento. «Io eseguo gli
ordini del
mio re».
Quell’accusa
punse Tauriel sul vivo. Un tempo, avrebbe
reagito con fare piccato, ma ora si trattenne.
Aveva
messo i propri ideali davanti ai propri doveri e se
n’era andata da Bosco Atro. Non poteva biasimare Merion per
la sua animosità.
In
silenzio, lo osservò. Lui indossava abiti comodi, adatti
a viaggiare, ed un ampio mantello con cappuccio che poteva tornare
utile per nascondere le sue orecchie a punta.
«Mi
dispiace» gli disse Tauriel, a bruciapelo.
Merion
la fissò con una punta di sospetto.
«Come?»
«Mi
dispiace» ripeté lei. «Mi
dispiace di non essere stata al vostro fianco».
Non
rimpiangeva di aver seguito gli Orchi sino a Pontelagolungo. Senza
di lei, Kíli sarebbe morto quella notte, e probabilmente
sarebbero stati uccisi anche i figli di Bard. Ma le dispiaceva di aver
fatto un torto alle guardie sotto il suo comando.
Merion
si accigliò maggiormente, poi le rivolse un cenno del
capo.
«Come
sta la gente del Reame Boscoso?» chiese
Tauriel, dopo un momento di silenzio.
«Ci
sono stati dei caduti nell’esercito»
rispose Merion. «E il lutto ha fatto vittime tra coloro che
li amavano».
Tauriel
avvertì una fitta dolorosa al ventre.
Pensò a Feren, ai gemelli, e a molti altri che avevano
combattuto al suo fianco per secoli. Avrebbe voluto chiedere chi era
stato sopraffatto dal dolore, ma vedeva con chiarezza che era un
argomento su cui Merion preferiva non soffermarsi, così non
insistette.
«Il
principe Legolas?» chiese invece.
L’ultima
cosa che aveva saputo di lui era che si era recato
alla ricerca dei Dúnedain.
Merion
la valutò in silenzio. «Non è
ancora tornato» le disse poi, «ma sappiamo che
è vivo ed in buona salute».
Tauriel
emise un respiro di puro sollievo. «E il
re?» osò chiedere, col cuore che batteva un
po’ più forte.
«È…?»
«Anche
lui è vivo e in buona salute, per grazia
dei Valar».
Lei
tacque un istante, come per assorbire quelle informazioni.
«Ti ringrazio».
Merion
annuì, lanciando uno sguardo verso le Montagne
Azzurre. «Boe
annin gwad» affermò poi,
girandosi verso il proprio cavallo.
«Garo lend vaer»
rispose Tauriel, la voce
più soffice nel parlare di nuovo in Sindarin dopo tanto
tempo.
Merion
montò agilmente sul proprio cavallo,
sistemò le redini ed indossò il cappuccio in modo
da nascondere le proprie orecchie a punta. Prima di spronare il proprio
destriero con un colpo di talloni ed allontanarsi rapidamente,
lanciò un’ultima occhiata a Tauriel.
Lei
rimase ferma a fissarlo finché non scomparve
all’orizzonte. A quel punto, sospirò e si
chinò a raccogliere il cesto dei pesci.
Non
sapeva come sentirsi riguardo a quell’incontro, né
come spiegarsi la presenza di un Elfo di Bosco Atro tanto ad ovest, ma
era un
sollievo sapere che Legolas e Thranduil stavano bene.
In
silenzio, si ritrovò a ricordare la propria vita
prima della Battaglia delle Cinque Armate, le notti in cui era
sgusciata fuori dalle sale del Reame Boscoso e si era arrampicata sugli
alberi, così da poter contemplare il cielo nero punteggiato
di stelle.
In
quei momenti, i suoi polmoni si dilatavano per l’aria
fredda che li riempiva, e tutto il suo corpo doleva per il desiderio di
protendersi oltre i confini del suo mondo, viaggiare, visitare terre
sconosciute.
Allora,
provava una strana ed infinita nostalgia per luoghi che non
avrebbe mai visto.
Forse
era questo il suo destino, pensò, e il petto le si
strinse in una morsa. Desiderare ciò che non poteva avere.
Con
un respiro tremulo, infilò la mano in una tasca interna
all’altezza del seno e ne tirò fuori la pietra
runica di Kíli. La soppesò sul proprio palmo, il
cuore che martellava tanto forte da far male, poi serrò il
pugno e la rimise al suo posto.
Indugiò
un istante, tornando a reggere il cesto dei pesci
con entrambe le mani, quindi si incamminò.
Dopo
un po’, giunse in vista di una modesta capanna, e
rallentò il passo. Sapeva bene che di guardia non vi era
alcun cane, ma in compenso c’era un’oca che
starnazzava ed arruffava le piume e tentava di beccare le dita di
qualsiasi sconosciuto.
Tauriel
assottigliò lo sguardo. Dov’era quella
bestiaccia?
Non
la vide, ma in compenso notò la padrona di casa che
usciva dalla porta, ed avanzò di un paio di passi.
«Álof!» chiamò.
La
donna alzò la testa e la individuò, per poi
venirle incontro. Aveva una cinquantina d’anni, ed i suoi
capelli scuri erano spruzzati di grigio, mentre metà del suo
volto era sfregiata da una bruciatura.
«Eccoti
di nuovo» affermò, giungendole
accanto.
Parlava
strascicando un po’ le parole, siccome la pelle
indurita dal fuoco le tirava l’angolo destro delle labbra.
Tauriel
non le aveva mai chiesto cosa le fosse successo. Era una sorta
di tacito accordo che vigeva tra loro da quando si erano incontrate per
la prima volta, un paio di mesi prima.
Quel
giorno, Tauriel era stata assalita dall’oca, ed era
verosimilmente prossima a tirarle il collo e a farla arrosto, quando
Álof era uscita per calmare la bestia.
La
donna non aveva battuto ciglio di fronte alle spropositate orecchie
a punta di Tauriel, ma l’aveva trattata sin da subito con una
rozza ma amichevole familiarità.
In
seguito, si erano incontrate regolarmente – Tauriel le
portava gli animali che catturava e in cambio Álof le
forniva alcune erbe. Talvolta si scambiavano qualche parola, ma non si
erano mai rivolte domande sul loro passato.
«Ho
portato alcuni pesci» annunciò
Tauriel, mostrando il contenuto del proprio cesto.
Álof
li contemplò, poi le fece cenno di seguirla.
«Vieni, entriamo in casa».
Insieme,
si diressero verso la capanna. A metà strada,
l’oca spuntò da dietro l’angolo,
starnazzando infuriata all’indirizzo di Tauriel.
Quest’ultima strinse gli occhi, portando istintivamente la
mano ad uno dei pugnali.
Provava
compassione per quasi ogni essere vivente, ma sembrava che tra
lei e quell’animale non ci sarebbe mai stata una tregua.
Álof
ammansì l’oca con uno schiocco di
dita e la cacciò via. «Bestiaccia
indisponente» commentò, seppur senza rancore.
Tauriel
concordava pienamente con quell’appellativo, ma
mentre entravano si limitò a dire: «È
un’ottima guardiana».
Questo,
almeno, poteva riconoscerglielo.
La
capanna non era molto ampia. C’era una stanza principale,
che fungeva da cucina e salotto insieme, con un tavolo, un
sofà, un caminetto ed un’ampia dispensa, ed una
porta che doveva condurre alla camera da letto di Álof.
Alcune
erbe erano appese al soffitto a seccare, e su una parete era
sistemato il ritratto di una donna fiera, dalla pelle scura. Aveva
labbra carnose, occhi luminosi, e corti capelli corvini.
Da
alcuni accenni, Tauriel aveva dedotto che si trattasse di
un’amante proveniente da terre lontane, partita un giorno e
mai più tornata.
«Perché
non pulisci i pesci?» propose
Álof, indicando il tavolo. «Puoi usare quel
coltello. Io intanto tiro fuori le erbe. Vuoi le solite, non
è vero?»
Tauriel
annuì, dirigendosi verso il tavolo e sedendosi su
una sedia sgangherata, per poi disporre i pesci davanti a sé
e prendere il coltellaccio posato lì accanto.
Iniziò a sventrare e a decapitare i pesci in modo rapido ed
efficiente, seppur con una lieve smorfia al viscidume che le
impiastricciava le mani.
Improvvisamente,
forse a causa dell’incontro con Merion,
pensò a Thranduil. Ricordò il modo in cui il re
si era preso cura di lei dopo la Battaglia delle Cinque Armate, e si
morse con forza le labbra.
«A
voialtri Elfi vengono le rughe?»
Tauriel
sbatté le palpebre ed alzò lo sguardo su
Álof, che si era girata verso di lei con una mano ancora
nella dispensa.
«Cosa?»
«Ho
sentito che agli Elfi non vengono le rughe»
rispose la donna, «e spero per il tuo bene che sia vero.
Cos’è che ti fa corrucciare tanto? A cosa stavi
pensando?»
Tauriel
rimase un momento senza parole. Non era molto propensa a
parlare dei propri pensieri, senza contare che Álof non
sapeva né che lei era stata bandita né il
perché.
Allungò
una mano verso un pesce che non aveva ancora pulito.
«Pensavo… a mio padre» mentì,
automaticamente, ma nemmeno lei sapeva sino a quanto fosse una bugia.
Ricordò
il tocco di Thranduil mentre si occupava della sua
spalla lussata, mentre tastava le sue costole incrinate. Era stato
così delicato, così confortante,
così… familiare.
Quando
Tauriel pensava alla propria infanzia dopo l’uccisione
dei suoi genitori, rammentava soprattutto Legolas. Legolas che le
consentiva di seguirlo pressoché ovunque, che le narrava
storie sui Valar e sulla creazione del mondo, che le permetteva di
salirgli sulla schiena quando era troppo stanca per camminare.
Thranduil
era stato una figura più distante, in qualche
modo, ma infinitamente rassicurante. Come un guardiano silenzioso che
la osservava da lontano e si assicurava che lei stesse bene.
Álof
scosse la testa. «Un padre non dovrebbe farti
corrucciare così tanto… Se non è un
padre cattivo».
Dalla
piega dura delle sue labbra, Tauriel pensò che lei
sapesse perfettamente cosa significava avere un padre cattivo.
«Non
si tratta di questo» si affrettò a
replicare. «È solo che abbiamo avuto dei
contrasti, in passato. Delle opinioni divergenti».
E
non solo al tempo della Battaglia delle Cinque Armate. A Tauriel
venne in mente un episodio risalente a qualche secolo prima, quando a
Pontelagolungo era scoppiata un’epidemia di febbre.
Il
governatore di allora aveva inviato a re Thranduil una richiesta di
aiuto, ma lui aveva rifiutato categoricamente di inviare i propri
guaritori.
All’epoca,
Tauriel non aveva saputo spiegarsi la decisione
del suo signore. Gli Elfi non potevano essere contagiati, dunque che
pericolo c’era?
Sventrò
il pesce sotto la propria mano con un taglio netto e
deciso e ripensò all’epidemia che era scoppiata a
Dale l’anno in cui lei se n’era andata.
Ora
capiva, pensò. Thranduil non aveva agito tanto per
sprezzo dei mortali quanto per amore della sua gente. Non temeva per la
loro salute fisica, ma per il loro spirito.
Se
li avesse mandati in aiuto a Pontelagolungo, e loro si fossero
affezionati a chi stavano curando e non fossero riusciti ad impedirne
la morte? Che effetto avrebbe avuto su di loro?
Tauriel
chiuse per un attimo gli occhi, e le sue mani si fermarono. Non
condivideva tuttora la decisione del re – per lei valeva
sempre la pena di correre il rischio, se c’erano delle vite
in gioco – ma almeno adesso la comprendeva.
Avrebbe
dovuto proporgli un compromesso, ad esempio lasciar andare chi
si fosse offerto volontario per quell’incarico…
Chissà, forse questo Thranduil l’avrebbe accettato.
«Avere
dei contrasti è normale»
dichiarò Álof, componendo un mazzolino di erbe.
«Nessuno ha la testa uguale a quella del suo
vicino».
«Lo
so». Tauriel si morse le labbra. «Ma
ho tradito la sua fiducia. Gli ho rivolto accuse crudeli».
Davanti
alle parole sprezzanti di Thranduil verso i mortali, si era
sentita raggelare.
Era
stato come guardare qualcuno e non riconoscerlo. Tutte le
incomprensioni che avevano avuto nel corso dei secoli, persino quelle
più insignificanti, si erano assommate le une alle
altre… La manifestata indifferenza del re per il destino dei
Nani era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Razionalmente,
Tauriel avrebbe potuto riconoscere che Thranduil dava la
priorità alla salvezza della propria gente, ma lei non era
mai stata una persona razionale. E in quel momento, circondata da una
guerra e con l’incertezza per la sorte di Kíli nel
cuore, aveva agito senza pensare.
Aveva
perso il controllo sulle proprie emozioni, aveva puntato il
proprio arco contro il re che aveva giurato di difendere, gli aveva
sibilato che era privo di amore.
Le
era servito sperimentare un dolore simile al suo, per capire quanto
si era sbagliata.
Álof
si avvicinò e posò le erbe sul
tavolo. «Poi ti sei chiarita con lui?»
domandò.
Tauriel
fissò le scaglie argentee che si erano attaccate
alle sue mani e scosse la testa. «No»
mormorò, «avrei voluto, ma… erano
successe molte cose».
I
corpi riversi nella neve. Il cielo oscurato da orde di enormi
pipistrelli. Kili che veniva sopraffatto così facilmente,
che si sforzava di muovere le labbra, di continuare a respirare.
Il
suo cuore che si spezzava con impeccabile precisione.
Non
era stata abbastanza forte. Non era stata abbastanza pronta. Aveva
creduto di poterlo salvare ma aveva sbagliato tutto.
Quando
Thranduil l’aveva confortata e si era occupato delle
sue ferite, Tauriel aveva ritrovato un lato di lui che non vedeva da
quando era bambina. Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, ma non
aveva trovato le parole giuste – le era difficile persino
pensare, sballottata com’era dalle ondate del proprio dolore.
E
poi lui era tornato a Bosco Atro, e lei non aveva potuto seguirlo
perché era stata esiliata per dodici anni. Dodici anni
– Tauriel non riusciva nemmeno a pensarci. Era un lasso di
tempo ridicolo, specie se paragonato alla gravità delle sue
azioni.
«E
poi mi ha… cacciata di casa a causa del mio
comportamento» concluse.
Álof
prese i pesci puliti e li osservò con aria
soddisfatta. «Tuo padre ti ama?» chiese, senza
alzare lo sguardo.
Tauriel
inghiottì. Nei secoli passati, era stata rosa dal
dubbio che la gentilezza di Thranduil fosse stata dettata dal suo senso
del dovere, non da un affetto sincero. Ora pensò allo
sguardo del re quando l’aveva trovata accanto al corpo di
Kíli. «Sì»
sussurrò.
Álof
la guardò. «Allora torna da lui.
Chiaritevi adesso».
Tauriel
non rispose subito. Tornare prima dello scadere dei dodici anni
era fuori discussione, e preferiva non chiedersi cosa avrebbe fatto
quando l’esilio fosse finito. Non era ancora certa della
risposta.
Bosco
Atro le mancava, ma al momento non era ciò di cui
aveva bisogno. Aveva bisogno di muoversi, di vedere cose nuove. Aveva
bisogno di capire.
«Seguirò
il tuo consiglio» disse
comunque, per rendere felice la donna.
Álof
sorrise – un sorriso un po’ storto,
ma autentico – e le diede un colpetto sul dorso della mano.
«Brava ragazza» approvò, e le
passò le erbe. «Qui la tua parte».
Tauriel
le prese, osservandole per un momento. Pezzi di corteccia da
masticare dopo i pasti per la pulizia dei denti, foglie triturate che
le piaceva aggiungere al cibo per insaporirlo… ed erbe
mediche per disinfettare tagli e vesciche.
Non
che le fosse successo di restare coinvolta in uno scontro,
ultimamente, ma spesso si allenava sino allo sfinimento, sino a farsi
sanguinare le mani.
Non
importava quanti anni fossero passati, ogni volta che ripensava al
suo scontro con Bolg le veniva da rabbrividire per la vergogna e
l’angoscia. Non le era mai successo di essere tanto impotente
di fronte ad un nemico. Voleva essere certa che non capitasse mai
più.
Si
alzò in piedi. «Ti ringrazio».
Álof
scosse la testa. «Grazie a te per il
pesce».
Tauriel
non le disse che il suo ringraziamento non era dovuto soltanto
alle erbe. La permanenza degli Uomini nel mondo era davvero breve, ma
alcuni possedevano una brusca saggezza tutta loro.
Forse
le cose sarebbero state più semplici, se lei non
avesse avuto davanti l’eternità.
Note:
Ho una tonnellata di headcanon riguardanti il destino di Tauriel dopo
BotFA, perciò ho deciso di iniziare a buttar giù
qualcosa prima che la mia testa esploda.
Feren è uno degli
Elfi Silvani presenti nel film (il suonatore di corno, per intenderci). Per quanto
riguarda i gemelli… niente, mi piace
l’idea che
nelle guardie ci fossero due Elfi Silvani gemelli :D
Non sono pienamente soddisfatta di come mi è uscito questo
testo, ma spero sia per colpa del mio essere insicura e ipercritica.
Sia come sia, il prossimo capitolo sarà incentrato su
Thranduil, e sarà pubblicato mercoledì
17 giugno (se tutto va bene).
Sindarin:
Boe annin gwad: Devo andare
(letteralmente “è
necessario che io vada”)⇑
Garo lend vaer: Fa’
buon viaggio⇑
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