That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.002
- Smistamento
Severus
Snape
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 1 settembre
1971
Mi ero immaginato diversamente quella giornata da passare in treno:
pensavo che avrei ammirato la mia odiata vita scivolare via dai
finestrini, mentre la mia nuova vita mi correva incontro; avevo
immaginato di parlare tutto il tempo con Lily, di confrontare le nostre
emozioni e le aspettative, avevo immaginato di confortarla e di
dividere con lei tutte le caramelle che avevo acquistato a Diagon
Alley. Per lei. Non avevo tenuto conto che Petunia potesse rovinarci il
viaggio, lasciando in lacrime Lily con la sua cattiveria e,
soprattutto, non avrei di certo immaginato che Lily se la prendesse con
me per il litigio con sua sorella. È vero, avevamo
sbagliato,
entrare nella stanza di Petunia, scoprire e leggere la lettera di
Dumbledore, ma mai avremmo immaginato che lei, proprio lei, che
disprezzava tanto la magia, che ci considerava fenomeni da baraccone,
avesse implorato il preside di accettarla a Hogwarts. Molto avevamo
discusso, sul significato di quel fatto, e secondo me,
l’unica
possibilità era che Petunia fosse gelosa di noi, e adesso si
vendicava definendoci mostri. Alla fine sembrava che Lily si fosse
calmata un po’, in fondo eravamo davvero arrivati a Hogwarts,
il
nostro sogno comune da ormai molto tempo, presto la cattiveria di
Petunia sarebbe stato solo un pallido ricordo, in confronto a tutte le
meraviglie che avremmo vissuto. Insieme. In un certo senso la ritrovata
armonia era merito proprio di quei due sbruffoni, erano stati talmente
odiosi che io e Lily avevamo fatto di nuovo fronte comune, dimostrando
che, insieme, eravamo davvero più forti. Sarebbe stata dura,
lo
sapevo, per due come noi, un mezzosangue e una nata babbana: avrei
scommesso che quei due erano invece purosangue, così
altezzosi,
così spacconi, con quell’aria snob con cui
criticavano la
sacra casa del mago più forte mai visto nel mondo magico,
Salazar Slytherin. Chissà quanti altri a Hogwarts erano come
quei due. Se non fossimo rimasti insieme, per me e Lily, sarebbe stata
davvero dura.
Ormai allo smistamento mancava pochissimo: una volta scesi dal treno
eravamo stati accompagnati alle barche e avevamo attraversato, sotto la
pioggia, il lago, ammirando da quella posizione così
spettacolare il castello che prendeva forma nella notte, con le tante
torri e le luci e quell’aria di fiaba che si sprigionava da
ogni
guglia e da ogni gargoyle. Ci eravamo stretti uno accanto
all’altra sulla piccola barchetta, avvolti nei nostri
mantelli,
sotto la pioggia: tremavamo per il freddo e il timore, ma guardando le
luci del castello riflesse nei suoi occhi carichi di meraviglia, mi
sentivo più forte. Avevamo poi risalito il sentiero e la
scalinata fino alla grande porta, dove una strega, la professoressa
McGonagall, ci aveva istruito su come ci si comporta, quindi eravamo
entrati. Ora eravamo nel salone, con tutti gli altri ragazzi
più
grandi già disposti lungo la tavolate delle rispettive case
e
noi, le matricole, in piedi davanti al tavolo degli insegnanti: era
meraviglioso quel luogo, con quel soffitto in cui le stelle facevano
capolino tra le nuvole ancora cariche di pioggia, le luci che
sembravano galleggiare nella stanza, e quei fantasmi, che avevano
impressionato alcuni ragazzini all’arrivo, ma che a me erano
sembrati così esaltanti. Il preside si era rivolto a noi
calorosamente, dandoci il benvenuto, poi era stato portato uno sgabello
con quel cappello strano, il famoso Cappello Parlante: sapevo tutto,
perché, da quando avevo comprato i libri di scuola, aveva
già letto tre volte “La storia di
Hogwarts” e ogni
volta rimanevo estasiato per qualche particolare. Ma nulla era tanto
bello quanto il racconto che mia madre mi aveva fatto fin da bambino
degli anni meravigliosi che lei stessa aveva trascorso in quel castello.
Sentii un brivido di eccitazione, la gola secca e le mani sudate,
quando all’improvviso intorno a me calò il
silenzio, smisi
subito di rincorrere i miei pensieri: era iniziato lo smistamento. Uno
dei primi ragazzi a sedersi sullo sgabello fu proprio lo sbruffone che
mi aveva chiamato “Snivellus”. Rimasi colpito
quando ne
sentii il nome: Black, Sirius Black, il rampollo di una delle famiglie
slytherins più ricche e famose d’Inghilterra, non
solo, ma
la sua era la famiglia più amica e più intima
degli
Sherton. Il mio cuore perse un colpo: se era un Black, sicuramente me
lo sarei ritrovato a Serpeverde e la situazione non sarebbe stata molto
piacevole. Il cappello parlante, però, tra lo stupore
generale
della sala, gridò a chiara voce
”Grifondoro” e il
mio cuore fece una capriola entusiasta: se tutto fosse andato come
speravo, non l’avrei avuto tra i piedi come compagno di casa.
Quell’idiota, sotto lo sguardo sconvolto della tavolata dei
serpeverde, si alzò dallo sgabello, avviandosi tutto
baldanzoso
dai grifoni, facendo il cenno “V” di vittoria al
suo amico
spettinato ancora incolonnato in attesa, e rivolgendo un occhiolino a
Meissa Sherton, appena più avanti di me. Avrei dato non so
cosa
per vedere l’espressione di Meissa in quel momento e capire
cosa
davvero stesse passando a entrambi per la testa. Poco dopo, di nuovo,
rimasi in spasmodica attesa, perché era arrivato il turno di
Lily: questa volta fu con un tuffo al cuore che sentii ripetere
inaspettatamente dal Cappello Parlante
“Grifondoro”. Ci fu
delusione nei suoi occhi, come nei miei, quando ci guardammo mentre
Lily si dirigeva al suo tavolo, ma le feci un sorriso:
chissà,
magari tra poco poteva esserci una straordinaria e inattesa sorpresa
anche per me. Avevo sempre sperato di essere un serpeverde, ma ora, mi
vergognavo ad ammetterlo, era tutto diverso, avrei accettato di tutto,
pur di restare accanto a Lily. I nomi intanto si susseguivano, vidi
anche altri due dei ragazzi dello scompartimento, Remus Lupin e Peter
Pettigrew, finire tra i Grifondoro, finché anche
quell’altro borioso, che si chiamava James Potter,
andò a
far compagnia ai primi tre. Per un attimo mi sentii euforico a un
pensiero che si stava facendo largo nella mia mente: Salazar, che in
quello scompartimento fossimo tutti destinati a Grifondoro?
C’era poi stato lo smistamento di Meissa Sherton. E quei
momenti
d’attesa, di sospensione dal tempo, che avevo sentito
stringersi
su tutti i presenti e su tutte le cose intorno a me, mi avevano dato
uno strano senso d’eternità, come se fossi stato
chiamato
ad assistere a un momento importante per la storia di tutto il mondo
magico. Mia madre alla fine mi aveva raccontato tutta la storia, tutte
le leggende: gli Sherton non si erano più visti per alcune
settimane perché doveva nascere loro un altro bambino e,
inaspettatamente, era nata proprio la figlia femmina che sembrava aver
cambiato la loro storia. Ed ora, quella sera, tutti eravamo
lì
per vedere se l’ipotesi avrebbe trovato conferma, se la
famosa
maledizione fosse stata spezzata per sempre. Come tutti gli altri
guardai curioso la ragazzina sedersi sullo sgabello, chiaramente
intimorita e notai che il cappello impiegò più
tempo per
emettere la sua sentenza con lei: non era strano, era accaduto con
altri già prima. Anche con Sirius Black. Ma al contrario di
altri, a me non faceva nè caldo nè freddo sapere
il
risultato del suo smistamento. Poco dopo arrivò finalmente
il
mio turno: quando la professoressa McGonagall pronunciò il
mio
nome, mi sentii tutti gli occhi addosso, cercai di nascondere
l’emozione mostrando un passo falsamente pomposo e deciso, mi
sedetti sullo sgabello, mi sentii appoggiare appena il cappello sulla
testa e subito una voce gridò, senza alcuna esitazione,
”Serpeverde!” Il tavolo delle serpi mi
festeggiò,
come aveva già festeggiato altre matricole smistate prima di
me:
con passo indeciso mi voltai verso i miei nuovi compagni, dove mi fece
posto, con un sorriso di benvenuto, un ragazzo dagli occhi taglienti e
dai capelli tanto biondi da sembrare bianchi, con la spilla da prefetto
sul petto. Attraversando la sala avevo però lanciato uno
sguardo
verso il tavolo dei grifondoro, per incrociare gli occhi di Lily: era
delusa e triste quanto me e, con orrore, vidi che le stavano seduti
accanto proprio quei due odiosi ragazzi del treno, mentre lei,
ostinata, dava loro le spalle. Non avrei mai creduto di poter
apprezzare tanto poco la mia prima cena nel famigerato castello di
Hogwarts.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 1 settembre
1971
“Meissa, vieni, prendiamo
questa barca!”
Noi del primo anno fummo divisi dagli altri e condotti alle
imbarcazioni con cui avremmo raggiunto il castello, mentre gli studenti
più grandi sarebbero saliti dalla stazione con delle
carrozze.
Eravamo guidati da una figura monumentale e dalla voce tonante, che
dalle descrizioni di mio fratello doveva essere il guardiacaccia,
Rubeus Hagrid: così grande, grosso e decisamente selvatico,
sembrava spaventoso, ma quando intercettai per un attimo i suoi occhi
pressoché mascherati da una foresta di barba, capelli e
baffi,
mi rivolse uno sguardo gentile, a cui risposi con un sorriso, che parve
sorprenderlo ma fargli anche piacere. Salii sulla barca con Sirius :
una volta persi di vista James e gli altri, aveva smesso
quell’atteggiamento iperprotettivo e soffocante che mi aveva
rovinato ulteriormente l’ultima parte del viaggio, forse
perché, anche se non voleva ammetterlo, anche lui si stava
emozionando e spaventando un po’. Con noi salirono anche
altri
due ragazzini, Alice e Frank, che non avevo visto neppure in stazione e
che sembravano straordinariamente simpatici e molto più di
compagnia di quanto non fosse Sirius. Ma appena la barca si mosse e,
incolonnati sotto la pioggia, attraversammo il lago, rimanemmo tutti
muti per l’emozione: strinsi la mano a Sirius che mi
guardò un po’ trasognato, e divisi con lui, in
silenzio,
quel momento di autentica meraviglia.
Arrivati al moletto del castello, fummo incolonnati e fatti salire
lungo una scalinata, in cima alla quale una strega, che si
presentò come “professoressa
McGonagall”, ci
raccomandò di fare silenzio ed entrare con rispetto nella
sala
del banchetto: poco dopo ci ritrovammo in una sala grandissima, il cui
soffitto, che sembrava aprirsi sul cielo di nuovo stellato,
rapì
subito il mio sguardo e la mia ammirazione. Camminavo estasiata tra i
tavoli già pieni dei ragazzi più grandi,
incrociai lo
sguardo di Rigel che mi fece un sorriso d’incoraggiamento e
andai
avanti, fino al tavolo dei professori, con un po’
più di
autocontrollo. Il preside, il professor Dumbledore, ci accolse con un
breve discorso, mentre uno sgabello e il famigerato Cappello Parlante,
protagonista dei miei peggiori incubi da vari anni, venivano introdotti
nella sala: ebbi un tuffo al cuore, alla fine era arrivato il momento
della verità. Rapidamente, vidi nello stupore generale
Sirius
assegnato alla casa del Grifondoro, contro tutte le più
logiche
aspettative, ma non mi parve che ne rimanesse particolarmente
sconvolto, guardò verso Rigel e fece un’alzata di
spalle,
e mio fratello gli fece un cenno d’incoraggiamento, sapevo
che a
lui interessavano più che altro le sorti di Regulus, a causa
del
futuro della sua squadra di Quidditch. Sirius fece un incredibile gesto
"V" di vittoria a qualcuno davanti a me, forse a uno dei ragazzi dello
scompartimeto, guardò anche me, rivolgendomi prima
l’occhietto poi un sorriso strano: la bocca era atteggiata al
solito sorriso spensierato, ma i suoi occhi erano colmi di tristezza, e
sentii un brivido strano percorrermi da cima a piedi. A me quello non
parve un segno di buon auspicio: già immaginavo come Orion e
Walburga avrebbero preso male l’ennesima guaio in cui si era
ficcato il loro figlio. Per un attimo temetti anche per la storia del
Cammino, ma sapevo che la casa di appartenenza non era condizionante:
mio padre non avrebbe negato al suo figlioccio le rune del Nord solo
per questo, inoltre la famiglia di Emerson, uno dei suoi migliori
amici, pur essendo da secoli Corvonero, aveva il suo stesso potere
decisionale al consiglio del Nord. Ed io stessa, pur a corvonero, avrei
continuato tranquillamente a prendere le rune.
Tornai al presente, vidi assegnata anche Lily Evans al Grifondoro con
sommo disappunto di Severus che, dietro di me, per tutto il tempo in
cui restammo incolonnati, aveva decantato come fosse una litania le
alte qualità dei serpeverde e pregato non so quale
divinità di ritrovarsi con lei in quella casa. Ed ora si
trovava
a sperare di diventare a sua volte un grifone, borbottando frasi
sconnesse a mezza bocca. Anche gli altri ragazzini dello scompartimento
Potter, Remus e Peter, finirono a Grifondoro: io iniziai a pensare che,
per lo meno, non avrei avuto tra i piedi a Corvonero
quell’idiota
di Potter e questo mi sembrava già un buon motivo per
rallegrarmi… Almeno quello… Quando ormai eravamo
rimasti
appena in dieci, la McGonagall pronunciò il mio nome. Mi
accorsi
che non stavo più respirando.
“Sherton, Meissa
Sherton!”
Lo ripetè di nuovo. Qualcuno dietro di me mi diede una
spinta
per farmi avanzare, di sicuro avevo appena fatto la figura da idiota,
come se dovessi andare in cerca di altri motivi per vergognarmi!
Guardai verso il tavolo di Serpeverde, dove il Capocasa Malfoy non mi
toglieva gli occhi di dosso, con quello che, da lì, mi
sembrava
un ghigno sinistro. Sentì dei brusii salire sia dalla tavola
di
serpeverde che da quella dei corvonero, il preside, che fino a quel
momento aveva parlato col professore Sloughorn, mi puntò gli
occhi celesti addosso, quasi fosse curioso, anche lui, di vedere cosa
sarebbe successo di lì apoco, mi rivolsi di nuovo verso i
serpeverde e mi accorsi che Rigel si stava torturando un labbro per
l’impazienza e ormai non calcolava più Avery, che
si dava
tanto da fare per farsi notare. Tutti a quella tavola erano molto
interessati, ed io, di colpo mi sentii incapace di muovermi,
schiacciata dal peso delle aspettative che si erano accumulate per
settecento anni, tutte lì, per piovermi sulle spalle.
Guardai
verso i grifondoro e ricevetti lo sguardo di sostegno di Sirius, ancora
più teso di mio fratello. Sentì una fitta di
paura e mi
sedetti quasi di peso sullo sgabello. La McGonagall mi
appoggiò
il cappello sulla testa, sentii il cuore battere a vuoto. Il vecchio
cappello, che da quanto avevo letto e mi era stato raccontato, era
niente di meno che il cappello di Godric Grifondoro, emise un sospiro e
iniziò a sussurrare; alzai gli occhi cercando la fonte di
quella
voce, voelvo tra l’altro capire se quel discorso lo sentissi
solo
io, o se la mia pubblica umiliazione fosse destinata a tingersi di
tinte ancora più ridicole e miserabili.
"Ecco qua, un’altra scelta
difficile questa
sera… Vediamo… Sei Serpeverde come tutta la tua
famiglia,
o sei Corvonero, come la tradizione vorrebbe? Mmm, sei diversa, val la
pena di leggerti dentro, ragazzina…"
“Serpeverde,
Serpeverde…”
“No, nononono... non ci siamo,
mi avevi quasi
ingannato, come quell'altro... Potresti essere un Grifondoro, lo sai?
Coraggio, impazienza, una certa dose di sconsideratezza… Non
sei
come le tue antenate, no… niente Corvonero!”
Io tirai un sospiro di sollievo, Grifondoro era già meglio
di
Corvonero, per lo meno c’era Sirius e sarei stata a sette
piani
di distanza da Lucius; stavo già per concedermi un timido
sorriso di felicità non dando più ascolto agli
ulteriori
borbottii del cappello, che stava elencando altre mie
qualità e
debolezze, quando la sua voce gridò in modo che tutti
sentissero:
"SERPEVERDE!"
Un "ohhhhhhh" di stupore si levò dai Corvonero, Grifondoro e
Tassorosso iniziarono a bisbigliare, mentre dai Serpeverde si levarono
fischi e urla di gioia da parte di mio fratello e dei suoi amici, e
subito dopo grida festose da buona parte di tutti gli altri, infine un
forte applauso si levò da tutta la tavolata, guidata dalla
bionda figura di Malfoy che applaudiva in piedi, sorridendo e
borbottando qualcosa all'orecchio di mio fratello, come se davvero le
nostre fossero due famiglie unite. Mi voltai verso la McGonagall prima,
poi verso il preside, smarrita, quasi a chiedere di poter ripetere la
cosa, perché non ci credevo, perchè non poteva
essere
vero: io davvero non ero come le mie antenate, ma potevo essere una
grifondoro, così aveva detto il cappello…Che
cos’era accaduto poi? La professoressa si chinò su
di me
parlandomi piano, così che nessuno sentisse:
"Va tutto bene, signorina Sherton...
Puoi andare al tuo tavolo, tuo fratello ti aspetta... "
Dunque era vero, levai lo sguardo verso Dumbledore e poi di nuovo verso
Sloughorn, ancora un po’ attonita. Mi avviai al tavolo di
Serpeverde, seguita da occhi e mani di sconosciuti che si
congratulavano, alcuni cercavano di trattenermi, ma appena fui vicino a
Rigel, lui si alzò, mi tirò via da tutti e mi
prese sotto
la sua ala protettiva.
"Temevo di dover salire su a
prenderti… Che cosa ti succede, piccolina? Ti tremano le
gambe?"
"È vero Rigel?"
"Sì, è tutto vero,
ci sei riuscita, e adesso è davvero finita..."
Mi diede un bacio, con tutto il calore che non mi aveva mostrato mai in
tutta la vita. Ero felice, soprattutto di uscire da
quell’odioso
momento di disagio, da tutta quell’attenzione e di potermi
mettere seduta, non più esspota agli occhi di tutti.
"Grazie… "
Finimmo di seguire lo smistamento: vidi anche Sev smistato nella casa
di Salazar, accolto dal sorriso glaciale di Lucius Malfoy, che per
tutto il resto della cena non fece altro che fissarmi, senza dire una
parola, rimuginando Merlino sapeva cosa. Io gli avrei volentieri riso
in faccia, ricordandogli come mi aveva trattata con Bellatrix Black,
avevo voglia di sputargli di nuovo in faccia dicendogli "Allora? Hai visto che sono
riuscita a sbatterti fuori dal mio destino?”
Ma qualcosa in quello sguardo mi diceva che era meglio non festeggiare,
non ancora. Gli scherzi del fato potevano ancora essere molteplici.
Anzi capii subito che anche la felicità più
agognata
aveva un retrogusto amaro, che ne disperdeva la più profonda
essenza: per un lungo anno, infatti, me lo sarei trovata davanti
continuamente, dovendo condividere con lui gli spazi, per me ancora
misteriosi, dei sotterranei di Hogwarts. E il pensiero di Sirius
lontano mi faceva venir voglia di piangere. Al termine del banchetto i
prefetti ebbero l’ordine di accompagnare i ragazzi nelle
rispettive sale comuni e m'avviai con gli altri nei sotterranei dove
avrei abitato per i successivi sette anni. Ora che il pericolo era
passato, provai un senso di tristezza per essere finita lì,
sottoterra, io che amavo i luoghi aperti, i boschi, l'aria…
Mi
immaginai cosa potevo perdermi a non essere finita davvero a
Grifondoro... e fu allora che mi resi anche conto di essere sola:
Sirius era sette piani più in alto, accanto a me
c’era un
fratello che dopo l’entusiasmo iniziale mi avrebbe
allontanata,
perché troppo piccola, un cugino che amava perseguitarmi e,
tra
tutti gli altri, le uniche persone che conoscevo un po’ di
più erano la cugina di Black, bellissima e glaciale, e
Severus,
che non mi aveva degnato di uno sguardo per tutto il tempo.
L’unica cosa positiva era che i miei genitori sarebbero stati
felici.
Attraversai la sala comune, che aveva un arredamento molto familiare,
con tutti quei fregi a motivi serpenteschi, il verde e
l’argento
che ovunque vibravano, mi diressi verso l’ala assegnata alle
ragazze, entrai nella stanza in cui erano già stati
sistemati
dagli elfi i miei bagagli: con me c’erano altre quattro
ragazze,
due purosangue, Maela Dickens e Georgina Parkinson, e due mezzosangue,
Penny Edwards e Zelda Tobiatt. Le salutai con un sorriso ma solo una di
loro, Zelda, sembrò ricambiare per me, e non per il fatto
che
ero la figlia di mio padre. Disfeci la valigia, appoggiando sul letto
ciò che mi serviva per la notte e gli altri vestiti
nell’armadio, poi disposi i libri sul tavolino vicino al mio
letto, presi le cioccorane e gli altri dolci rimasti e li
offrì
alle ragazze, ma nemmeno questo sembrò addolcirle, e iniziai
a
credere che davvero sarebbe stata una brutta avventura. Nel baule
lasciai la maggior parte degli accessori acquistati da Madame 0,
l'astuccio con l’occorrente per scrivere, gli ingredienti per
pozioni, la scopa di Rigel e le stranezze acquistate da Sinister,
infine presi la scatola che conteneva la bacchetta e la deposi sul
comodino. Andai in bagno, mi lavai, mi pettinai i capelli e mi rivestii
indossando una leggera tunica, e sopra una toga verde da strega. Diedi
un’occhiata alla fedina di Salazar, e seguii Zelda nella sala
comune. La trovai quasi vuota, c’erano solo dei ragazzi
dell’ultimo anno che si scambiavano confidenze sulle ultime
vacanze e la squadra di Quidditch che si organizzava in vista dei
futuri allenamenti, ovvero il gruppetto degli amici più cari
di
Rigel: come mi vide apparire, mio fratello si allontanò
dagli
altri, probabilmente aveva giurato a mio padre di non farmi frequentare
Lestrange, e mi venne incontro con un’aria felice.
"Mey, ti va se scriviamo insieme una
lettera a casa?
Sarebbe bello che lo sapessero da noi, prima che da altri..."
"Sì, credo di
sì..."
"Intanto ti presento qualcuno: Anthony
Cox, Julian
Beckett e Sawyer Mills, ti volevano fare i complimenti e dirti che sono
contenti che sei stata smistata qui "
"Grazie, grazie a tutti!"
Mi sporsi a salutare il gruppo che si era alzato, mentre
l’altra
metà della squadra faceva fronte compatto attorno
all’inconfondibile figura di Basty Lestrange. Avevo evitato
il
suo sguardo per tutto il tempo, ma sapevo benissimo che, al pari di
Malfoy, non mi aveva mai staccato gli occhi da dosso.
“Anche io volevo farti i
complimenti, purtroppo sai, i doveri di prefetto…”
Lucius era uscito dalla sua stanza, aveva appena fatto la doccia e per
la felicità delle sue ammiratrici stava dinanzi a noi
avvolto in
un superbo accappatoio, le ultime goccioline d’acqua a
imperlare
ancora la sua pelle diafana...
“Puoi fare con comodo, Malfoy,
mia sorella non
si lamenterà se riceverà i tuoi complimenti
domattina o
quando non avrai di meglio da fare, non è necessario uscire
di
corsa dalla doccia solo per questo. Mey vai in camera tua, la scriviamo
domattina la lettera!"
Mi spinse verso l’ala femminile e per la seconda volta in
quella
giornata, si mise tra me e Lucius. Mi voltai, sull’uscio, a
osservare la scena: mio fratello stava fulminando Malfoy, che lo
guardava ghignante.
"Ma che cosa ti prende Sherton?"
Lucius si esercitava in uno dei suoi sorrisi più radiosi e
falsi.
"Succede che questo è il
primo avvertimento, Malfoy. Stai lontano da mia sorella!"
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 1 settembre
1971
“Black, Sirius
Black…”
La strega, la professoressa Minerva McGonagall se avevo ben capito,
pronunciò il mio nome ed io, senza troppi timori, mi staccai
dalla fila delle matricole per avanzare verso lo sgabello, sotto gli
occhi interessati di molti. Vidi Narcissa al tavolo di Serpeverde
alzare la testa e fissarmi, fredda e altera: non aveva lo sguardo
amorevole di Meda, ma tra i parenti “rimasti” era
quella
che, alla fine, nei miei confronti manteneva l’atteggiamento
più incoraggiante. Per lo meno non mi abbaiava addosso i
peggiori epiteti e maledizioni, come Bella la pazza. Tutti quanti, in
realtà, mi osservavano attenti, ma senza particolare
emozione,
in attesa si compisse ciò che da secoli avveniva senza
sorprese.
Il sangue dei Black era intimamente connesso alla casa di Serpeverde:
mio padre, poche sere prima della mia partenza, me ne aveva parlato,
più diffusamente di quanto avesse mai fatto. Alla fine avevo
compreso che, esattamente come avevamo da generazioni quello sguardo
inconfondibile, così, da sempre, avevamo quel sangue,
pressoché unico per purezza e nobiltà. Dovevo
soltanto
accettare quelle parole e quella realtà, come il colore dei
miei
occhi: non c’era via di scampo.
Mi sedetti e attesi che il cappello di Godric mi fosse messo in testa.
Sapevo da Andromeda quello che sarebbe accaduto: il cappello diceva
qualche parola per capire cosa ci fosse nel cuore del ragazzino che gli
era proposto. Nel mio caso, il discorso sarebbe stato piuttosto breve,
quello che avevamo nel cuore noi Black era qualcosa di unico, come il
sangue delle nostre vene e il colore dei nostri occhi. Anche se, una
volta, Meda mi aveva confidato che, forse, con lei il cappello aveva
commesso un errore. Tutte le speranze (o paure, a secondo dello stato
d’animo momentaneo) che avevo nutrito nel corso degli ultimi
mesi, o forse, meno chiaramente, nel corso dei miei ultimi anni, mi
avevano portato a immaginare spesso, per me stesso, un futuro diverso:
ricordavo ancora il turbamento, l’inverno precedente, quando,
guardando le barche babbane al largo di Zennor, avevo immaginato di
essere uno di loro. Un turbamento analogo a quello provato quando avevo
visto cosa era capitato a Meda, per non aver rispettato i valori dei
Black: un misto di sacro terrore e folle esaltazione. Da quando,
però, ero venuto a conoscenza della bizzarra storia della
Maledizione capace di mutare il destino di sangue di una parte degli
Sherton, quel pensiero era ritornato ad accarezzare i miei sogni e la
mia mente, apparendomi foriero di mille avventure, più che
di
disperazione e inquietudine. Era stato così, cercando di
ottenere informazioni sulla Maledizione, che avevo attirato mio padre
in una conversazione davvero inedita per noi, ed era stato lui, alla
fine, che mi aveva fatto comprendere
l’inevitabilità del
futuro che mi attendeva. Io ero come gli altri, al di là
delle
mie bizzarre ribellioni infantili, prima o poi sarei diventato come uno
di loro, perché quello che non erano riusciti a farmi in
undici
anni mio padre e mia madre, l’avrebbe fatto la scuola, con
gli
insegnamenti, le amicizie, la visione del mondo che avevano quelli come
noi. Una volta che l’avessi capito, sarebbe stato facile
anche
accettarlo, perché in fondo c’era una nota
positiva: anche
Alshain e la sua famiglia erano come noi, magari potevo diventare
più simile a lui che a mio padre, standogli accanto. Era
quello
che avevo imparato a desiderare quell’estate: sarei stato
comunque uno Slytherin, io avrei avuto ciò che desideravo,
ma i
miei non avrebbero avuto più motivi per lamentarsi di me.
Era un
buon compromesso. Un ottimo compromesso. Eppure, nemmeno leggendolo in
questo modo, il mio futuro predeterminato mi rendeva felice.
L’ultima scintilla di ribellione me l’avevano
strappata il
confronto con l’emozione e l’orgoglio dimostrato da
quello
strano ragazzino dai capelli cespugliosi, al pensiero di finire nella
casa di suo padre. Io, al contrario, non sentivo nessun orgoglio a
essere come gli altri, così, per un semplice istante, avevo
creduto sinceramente alle mie parole
“Forse io andrò contro la
tradizione…”.
Poi era arrivata Meissa e avevo ricordato, al di là dei miei
sentimenti per la mia famiglia, qual era l’unica
realtà
che avesse valore per me: quella in cui lei fosse stata al mio fianco.
Avevo ricacciato indietro quel turbinio di pensieri sconnessi per tutto
il viaggio, cercando di mantenermi il più razionale
possibile,
perché per il momento c’era qualcosa di
assolutamente
più importante: quella poteva essere l’ultima
volta che
stavamo insieme. Se Meissa fosse finita a Corvonero, mia madre ci
avrebbe diviso senza troppe esitazioni e riguardi, e anche se fosse
finita a Serpeverde, c’erano alte probabilità che
non
fossi io il Black a lei destinato… Per questo avevo preso la
sua
mano, incurante degli sguardi ironici dei nostri compagni di viaggio,
stringendola come ci si aggrappa alla propria salvezza…
Se solo esistesse un modo…Se solo trovassi il
modo…Se solo…
Dopo un tempo che mi sembrò breve come il battito
d’ali di
una farfalla, il viaggio si era concluso: Mei era diventata nervosa e
mi era sfuggita, era sceso un silenzio carico d’attesa tra
noi,
mentre sistemavamo i nostri bagagli e ci preparavamo a scendere. Infine
avevamo affrontato il Lago Oscuro sotto la pioggia: non avrei
più dimenticato, per tutta la mia vita, l’emozione
che
avevo provato attraversando quelle acque oscure su quella piccola
barca, tenendo, sempre tra le mie, la mano di Meissa. Le luci del
magico castello si erano stagliate all’improvviso
nell’oscurità, la mole imponente del castello,
carico di
storia e segreti, mi aveva fatto riflettere: là dentro la
mia
vita sarebbe cambiata per sempre. Con un brivido mi resi conto che,
qualsiasi cosa fosse successa, avevo dinanzi a me non solo
l’opportunità di stare lontano dalla mia famiglia,
ma
sarei diventato un mago, un vero mago. E, soprattutto, stavo entrando
bambino e sarei uscito da lì trasformato in un uomo. Quel
luogo
avrebbe mutato per sempre la mia vita, tutto quello che aveva
importanza per me, quello che, in quel momento, mi dava sicurezza o
paura sarebbe stato trasformato ai miei occhi da quanto avrei vissuto,
imparato e sperimentato negli anni seguenti. Guardai Meissa e compresi
che sarebbe cambiato tutto, ma lei sarebbe stata sempre la mia stella
polare, era l’unica presenza che per me avesse davvero
valore.
Non importava il modo, importava solo lei.
“Benvenuto,
mio giovane amico…”
La voce antica del cappello di Godric mi riportò al
presente,
squarciando i sogni in cui mi ero rifugiato, con gli occhi sempre
puntati su di lei. Ero arrivato al dunque, finalmente tutte le tessere
si sarebbero messe al proprio posto: dubbi, certezze e speranze
avrebbero lasciato il posto alla realtà. In quel mare
d’incognite e variabili, io avevo già la mia
costante cui
tener fede.
“… Eccoci qui, il tanto atteso erede dei
Black…”
Ghignai tra me ascoltando il modo in cui mi aveva apostrofato il
vecchio cappellaccio: il tanto agognato erede, certo… Quello
che
i propri genitori non amavano... Quello che non vedeva l’ora
di
essere il più lontano possibile dalla sua dannata
casa…
“Ah
davvero?
L’unica cosa che t’interessa è stare
lontano dagli
altri Black? Non t’interessa la grandezza, la fama,
l’onore? La purezza di sangue?”
“Se davvero
riuscissi a vedermi dentro, come dicono, sapresti benissimo che ho
un’unica cosa nel cuore e non è nulla di tutto
questo…”
Lanciai uno sguardo nella sala, alcuni iniziavano a rumoreggiare,
Narcissa disse qualcosa al suo vicino di tavolo: di sicuro, visto il
mio nome, la lentezza del cappello appariva a tutti quanti a dir poco
inaudita. Rapido scorsi la tavolata e sorrisi a Rigel, anche lui mi
guardava perplesso, poi tornai a sfilare lungo le fila delle altre
matricole fino a lei: era preoccupata, ma era difficile dire se per me
o per se stessa. Avrei dato qualsiasi cosa per ridarle il sorriso.
“Che strani pensieri nella mente di questo Black…
davvero arriveresti a tanto per lei?”
Ghignai tra me, sapevo bene che mi stava prendendo in giro, mai si era
visto un Black generoso, questo aveva detto mio padre.
“Per
lei, offrirei anche la mia vita…”
“…
questo non è il modo di pensare di un serpeverde, lo sai,
vero,
mio giovane amico? Mostri ardore e coraggio, e sprezzo per i guai in
cui vorresti volontariamente cacciarti… so che sto per
complicarti la vita ma… tu non puoi che essere …"
"GRIFONDORO!”
La parola mi esplose dentro lasciandomi devastato. Io, Sirius Black,
erede dell’antichissima e nobile casata dei Black, erede
doppiamente Black del grande Phineas Nigellus, ero stato smistato nella
casa di Godric Grifondoro? Nella casa di quelli che mi avevano sempre
insegnato a disprezzare? Quelli noti in tutto il mondo magico
perché traditori del sangue puro? Allora i miei sospetti
erano
fondati, dentro di me c’era davvero quanto avevo intuito a
Zennor?
Ero rimasto senza fiato, mi resi conto che non ero l’unico a
essere impietrito, ma dovevo, da bravo Black, fingere di non essere
toccato dagli eventi, così mi alzai, mostrando naturale
baldanza, mi guardai attorno, mostrandomi addirittura strafottente e
vittorioso, finché non intercettai lo sguardo sgomento di
Meissa
e a quel punto non riuscii più a fingere appieno. In
realtà ero davvero perplesso e spaventato, non tanto per la
reazione dei miei, che non stentavo a immaginare ma perché
non
avevo idea delle altre conseguenze di quanto era avvenuto. La nostra
amicizia, almeno la nostra amicizia, avrebbe resistito? E Alshain mi
avrebbe voluto ancora a Herrengton, o per lui sarei stato solo uno dei
tanti grifoni che disprezzava fin da quando era un ragazzo? Sapevo che
potevo comunque prendere le rune, ma Alshain mi avrebbe ancora
accettato? E difeso e sostenuto? E che valore dare alle parole del
cappello? Offrendogli la mia vita ero forse riuscito a mutare il
destino di Meissa?
Mi sedetti e con aria indifferente accolsi insieme ai miei nuovi
compagni via via i nuovi grifoni che si aggiungevano: poco dopo
arrivarono Lily e Alice, Frank e Remus, James e Peter. Vidi scorrere
minuti e facce, nascosto dietro una maschera di supponenza, con cui
rigettavo indietro le occhiate ostili e dubbiose dei grifoni
più
grandi e le facce sconvolte e sprezzanti di buona parte dei serpeverde:
Narcissa non osava nemmeno guardarmi, come se fossi talmente sporco che
osservandomi potesse macchiarsi il suo bello sguardo, Rigel mi
osservava con un’aria enigmatica, ma ancora benevolente, come
se,
in fondo, per lui non fosse poi una grande sorpresa. Quella sua
espressione un poco mi risollevò, forse almeno quelli della
sua
famiglia l’avrebbero presa bene, magari mi avrebbero ospitato
loro, visto che di sicuro mia madre mi avrebbe fatto trovare le mie
cose fuori da Grimmauld Place. Quando vidi la ragazzina che precedeva
Meissa avviarsi a tassorosso, e sentii la professoressa chiamarla, i
miei pensieri si azzerarono di nuovo, appena la vidi avanzare incerta e
sedersi, sentii bruciare dentro di me un fuoco, ero pronto a salire e
puntare la bacchetta contro quel dannato cappello, incendiarlo magari,
minacciarlo, perché a quel punto doveva farsi bastare quello
che
gli avevo appena dato io, per quella sera non doveva più
esibirsi in altre uscite a sorpresa. Scorsi lo sguardo famelico di
Malfoy e quello ancor più inquietante di Lestrange su Meissa
mentre il cappello esistava e lei cambiava espressione. Per un attimo
mi parve di cogliere del sollievo sul suo viso. Infine, come tutti, ne
capii il motivo: la voce si levò e tra lo stupore generale
la
smistò a Serpeverde ed io sospirai sollevato: era salva. Era
scesa con qualche esitazione, probabilmente sconvolta e stupita, eppure
quando, durante il banchetto, mi guardò il suo non era uno
sguardo sereno, ma pieno di tristezza. Probabilmente nei suoi occhi si
specchiavano i miei. Rigirai a lungo le pietanze nel piatto, fingendo
di scherzare con James, che mi sfotteva, scommettendo che entro la
mattina seguente i miei genitori sarebbero venuti a protestare con il
preside pretendendo un nuovo smistamento, ma oltre a quello non sentii
una sola parola che fu detta a quel tavolo, né qualcosa del
lungo discorso del preside.
I miei non sarebbero venuti a protestare con il preside. Sapevo che
faccia avrebbe fatto mia madre appena Phineas le avesse raccontato la
verità. Avrebbero litigato e sarebbero stati
convocati
tutti i Black, per decidere il da farsi, per decidere come prendere
quella sventura. E solo se avessero avuto misericordia di me, mi
avrebbero dato un’altra possibilità. Mio padre non
mi
aveva nascosto nulla. E nessun altro a quel tavolo poteva immaginare
quanto diverso dagli altri io fossi. Quanto diversi dagli altri fossero
i rapporti tra genitori e figli a Grimmauld Place. Ero solo felice per
Mei… Avevo contribuito in qualche modo al suo destino? O le
nostre sorti erano già state decise da qualcun altro al di
sopra
di noi? Che cosa importava ormai?
Lei è salva... Ed io l’ho perduta per sempre...
Come mi aveva detto mio padre.
"Un Black
che non segue la sua famiglia è solo un rinnegato."
Mi addormentai per la prima volta tra i colori rosso oro della torre
dei grifondoro, nel buio di quella stanza anonima, che sarebbe stata la
mia per sette lunghi anni. Una lacrima scivolò lungo la mia
guancia. Mai mi ero sentito così solo e sperduto. La mia
vita,
per come la conoscevo fino a quel momento, giusta o sbagliata che
fosse, era finita. Per sempre. Al mattino mi sarei svegliato
semplicemente Sirius, un me stesso completamente diverso. Avrei dovuto
trovare la forza di creare il mio mondo tutto da capo.
Da solo.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010). L'immagine di inizio
capitolo è stata realizzata per me da Ary Yuna
(che ringrazio), potete trovare i suoi lavori su DeviantArt
e nella sua pagina
Artista su FB.
Valeria
Scheda
Immagine
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