Dicerie
And
men said that the blood of the stars flowed in her veins.
~
C.S. Lewis, The Silver Chair
Tauriel
non aveva mai visitato quella parte della Terra di Mezzo.
Rohan
era una terra verdeggiante, un insieme di piane erbose e montagne
ondulate.
I
suoi abitanti, per lo più contadini ed agricoltori,
avevano guardato con diffidenza le orecchie a punta ed i capelli rossi
della giovane viaggiatrice. Non si erano mostrati rudi,
però, e talvolta le avevano persino offerto riparo.
Tauriel
sospettava che, ad ammansirli, non fossero state tanto le sue
rassicurazioni quanto la vista del suo cavallo. Sembravano approvare
come lei se ne prendeva cura.
Quando
Tauriel gli accarezzava il muso e lo ringraziava sommessamente
in Sindarin, il destriero sbuffava e scalpitava come se non lo
ritenesse necessario, e spingeva la testa contro la sua mano.
Era
una magnifica bestia dal pelo scuro e lucido, con muscoli
guizzanti, proveniente dalle scuderie di re Thranduil. Era per ordine
del sovrano che Tauriel si trovava a Rohan, incaricata di osservare e
riferire la situazione.
Non
era molto buona. A quel che sembrava, gli Orchi facevano spesso
delle scorribande nel territorio dei Rohirrim, rubando cavalli ed
uccidendo persone.
La
stessa Tauriel era stata assalita – il suo cavallo si era
impennato, nitrendo, e lei era scivolata giù dal suo dorso
per attaccare gli Orchi ed affondare i pugnali nel loro petto.
Proprio
quando ritenne di aver raccolto informazioni a sufficienza per
il proprio sovrano, venne avvicinata da un giovane soldato, che le
riferì che il re Théoden desiderava incontrarla.
Tauriel non sapeva cosa aspettarsi, ma decise comunque di acconsentire.
Il
giovane, allora, la guidò sino al forte di Edoras
– la capitale di Rohan, edificata sulle pendici dei Monti
Bianchi.
Re
Théoden era un uomo abbastanza robusto, dalla barba e i
capelli biondi, e aveva occhi acuti. La ricevette nella sala del trono,
ma fu un incontro piuttosto informale.
«Mi
fa piacere che tu abbia accettato il mio
invito» esordì come la vide, tenendo le braccia
incrociate dietro la schiena.
Tauriel
chinò la testa in una breve riverenza. «Mi
fa piacere che mi abbiate invitata, mio signore»
replicò.
Théoden
la scrutò in silenzio per un istante.
«Certo» disse, corrugando la fronte.
«Posso sapere il tuo nome?»
«Tauriel»
si presentò lei, con
semplicità.
«Hai
fatto parlare molto la mia gente, Tauriel» la
informò Théoden. «È raro
vedere degli Elfi da queste parti. Dovrei preoccuparmi?»
In
pratica, pensò Tauriel, le stava chiedendo se un qualche
signore elfico progettava di muovere guerra contro Rohan.
«No,
mio signore» gli assicurò.
«Il mio re voleva soltanto sapere se davvero gli Orchi sono
divenuti tanto audaci da saccheggiare le vostre terre».
«Ora
avrai la tua risposta, immagino».
Lei
annuì senza dir nulla, spostando il peso da una gamba
all’altra. Contro la caviglia, sentì la forma del
pugnale che teneva nascosto nello stivale.
All’ingresso
le era stato chiesto di depositare le proprie
armi, ma le guardie erano troppo in soggezione per perquisirla, e lei
aveva ritenuto prudente tenere per sé almeno quella piccola
lama.
Théoden
si sfregò la fronte. «Immagino
anche che tu e il tuo destriero siate reduci da un lungo
viaggio».
Tauriel
pensò ai giorni di cavalcata… In
particolare, alla sosta a Lórien, impressa a fuoco nella sua
mente. Galadriel e Celeborn erano stati avvertiti del suo arrivo, e
l’avevano accolta con un calore che l’aveva
spiazzata.
L’incontro
con dama Galadriel era qualcosa che non avrebbe
mai dimenticato. La signora di Lórien, serena e bellissima,
aveva letto nel suo cuore senza difficoltà. Aveva visto
molte cose, compreso il suo dolore, e le aveva parlato con
l’amore di una madre.
Con
un piccolo brivido, Tauriel tornò a concentrarsi su
Théoden. «Esatto, mio signore».
«Permettimi
di offrirti la mia ospitalità, dunque,
e riposo per te ed il tuo destriero».
Tauriel
esitò. Avrebbe voluto tornare al Reame
Boscoso… d’altro canto, alla corte del re di Rohan
avrebbe potuto raccogliere nuove informazioni. Chinò la
testa ramata.
«Accetto
la vostra ospitalità, mio signore, e ve
ne sono infinitamente grata».
Una
volta, Legolas le aveva detto che le sue capacità
diplomatiche facevano paura – e non in senso buono
– ma Tauriel riteneva di essersi comportata impeccabilmente
durante quest’incontro. Avrebbe dovuto farlo presente al
principe, al proprio rientro.
La
stanza che le venne assegnata più tardi era ampia ed
accogliente, con un comodo letto a baldacchino ed una piccola finestra
che dava sull’esterno.
A
cena, quella sera, Tauriel venne presentata a Théodred, il
figlioletto del re, e ai suoi cugini Éomer ed
Éowyn. La bambina in particolare la guardò con
grande curiosità. Era minuta, con grandi occhi azzurri e
capelli biondi come il lino.
Sebbene
non somigliasse a Tilda, Tauriel ricordò la figlia
più piccola di Bard, e sentì il cuore dolere nel
proprio petto.
Tutto
sommato, fu un soggiorno breve ma non sgradevole. Di tanto in
tanto, qualcuno s’imbambolava a fissarle le orecchie
– grandi persino per un Elfo – e sussurrava alle
sue spalle, cosa che Tauriel trovava alquanto fastidiosa, ma tutto
sommato la trattarono con cortesia.
Il
suo maggior disagio, forse, fu il fatto di trovarsi al chiuso e
tanto a lungo in una loggia di pietra. Per lei, abituata alle ampie
sale di Thranduil e agli spazi aperti, fu un po’ opprimente.
Un
pomeriggio, venne assalita di punto in bianco da una forte
sensazione di claustrofobia. Le sembrava di avere un macigno sul petto
e di non riuscire a respirare, era circondata dalla pietra e sotto la
pietra era stato sepolto Kíli, lontano dal cielo stellato,
lontano da lei, immobile e freddo e senza sorriso…
Prima
che il panico la travolgesse, Tauriel si affrettò a
dirigersi in uno dei cortili interni del forte. Fu una buona decisione:
non appena uscì in quel piccolo chiosco ed inalò
una boccata d’aria, la sensazione di oppressione si
alleviò.
Sopra
la sua testa, nel cielo azzurro, si rincorrevano straccetti di
nuvole bianche.
Tauriel
le contemplò per qualche istante, poi si
sentì osservata ed abbassò lo sguardo. Poco
distante, seminascosta dietro una delle colonnine del chiosco, si
trovava Éowyn.
«Buongiorno»
disse Tauriel, sorpresa.
«Perdonatemi, non vi avevo vista».
La
bambina la occhieggiò per un istante, poi uscì
allo scoperto. «Non importa» disse, ma
c’era una nota di incertezza nella sua voce. Come se fosse
stata sul punto di aggiungere qualcos’altro.
Tauriel
la osservò mentre Éowyn si avvicinava a
piccoli passi. Ricordò che il padre della bambina era stato
ucciso dagli Orchi poco più di un anno prima, e che sua
madre – la sorella di Théoden – era
morta poco tempo dopo, e la compassione le strinse il cuore.
«Desiderate
chiedermi qualcosa?» le
domandò, gentilmente.
La
bambina indugiò un istante, poi annuì.
«Puoi mostrarmi i tuoi pugnali?» chiese, additando
le lame in questione.
Tauriel
sbatté le palpebre, posando istintivamente le mani
sui due pugnali che portava alla cintura… Poi sorrise.
«Certo»
rispose, ed estrasse le armi con un gesto
fluido.
Si
abbassò, appoggiando un ginocchio a terra così
da essere all’altezza della bambina.
Éowyn,
per nulla intimorita, tese una mano a sfiorare
l’impugnatura intagliata. «Sei una
guerriera?» chiese, con una nota di reverenza nella voce.
Tauriel
annuì. «Vorreste esserlo anche
voi?»
La
bambina ritrasse la mano e la guardò. «Io non
vinco quasi mai».
«Non
vincete quasi mai? Contro vostro fratello,
intendete?» domandò Tauriel, che aveva visto i due
bambini giocare con delle spade di legno.
Éowyn
fece segno di sì. «Ha quattro
anni più di me» affermò con sussiego,
quasi si trattasse di una distanza incolmabile.
Tauriel
pensò a Legolas, ai duemila e passa anni
d’età che li separavano, e le venne quasi da
sorridere. «Gli anni non contano più di
tanto» affermò. «Potete diventare brava
quanto lui, se lo volete».
Éowyn
non sembrava convinta. «Éomer
è più grande è più
forte».
«E
questo non dipende da voi» sottolineò
Tauriel, rinfoderando i pugnali. «Ma grandezza e forza non
sono le sole cose che contano. Voi potete imparare meglio le mosse,
essere più veloce».
La
bambina la fissò con aria dubbiosa.
Tauriel,
allora, si tese in avanti, e parlò in tono
cospiratore: «Vi dico un segreto. Anch’io ho una
specie di fratello maggiore, e all’inizio non riuscivo mai a
sconfiggerlo».
E
quanto le dava fastidio la cosa, quando era bambina! Lo ricordava
bene, così come ricordava il giorno in cui Legolas si era
impietosito e l’aveva lasciata vincere.
Lei
non l’aveva presa affatto bene, però. Quando
lui si era lasciato atterrare con facilità, era rimasta
sbigottita per un istante… Poi aveva iniziato a protestare
indignata: Non vale,
l’hai fatto apposta! Non è
giusto! Non credi che posso farcela!
Si
era davvero offesa a morte, e il principe aveva ottenuto il suo
perdono solo dopo averle chiesto scusa e averle portato un dolce dalle
cucine.
«Ora
sono cresciuta» proseguì Tauriel,
«ma sono ancora più bassa di lui. Ho solo dovuto
imparare qualche trucco da usare nel caso di un avversario
più grosso».
«Grosso»
mormorò Éowyn, e il
suo visetto si accese di interesse. «Come un Orco?»
Tauriel
annuì. «Anche».
La
bambina la scrutò con aria intenta. «Hai ucciso
tanti Orchi?»
«Numerosi»
rispose Tauriel. «Per
proteggere la mia gente».
A
dire il vero, c’era stato un tempo in cui la sua mano era
mossa da una rabbia fredda provocata dall’assassinio dei suoi
genitori, ma riteneva fosse meglio non parlare di vendetta. Specie
considerato che Éowyn aveva di recente vissuto
un’esperienza simile.
La
bambina annuì, come rimuginando sulla sua risposta.
«E hai viaggiato molto?»
Tauriel
quasi sorrise. Prima della Battaglia delle Cinque Armate, la
risposta sarebbe stata un no. Ma poi Thranduil l’aveva
esiliata per dodici anni, e lei – dopo essersi fermata a Dale
per qualche tempo – si era spinta verso ovest. Aveva ammirato
il Fiume Bianco, aveva percorso un tratto del Verdecammino. Aveva visto
i Colli di Vesproscuro, le Montagne Azzurre. Il mare.
Iniziò
a parlare di quei luoghi in tono sommesso, cercando
di riportare alla mente quanti più dettagli possibili.
Rammentò
anche il proprio ritorno a Bosco Atro, la paura
forse irrazionale che Thranduil avesse in serbo per lei altre
punizioni. Ma il re l’aveva accolta con una gentilezza che
non si aspettava, una gentilezza che le aveva quasi fatto venir voglia
di piangere.
Da
allora, il suo rapporto con lui era andato migliorando sempre
più. Avevano raggiunto una sorta di comprensione reciproca,
si erano perdonati a vicenda, e Tauriel non avrebbe potuto esserne
più felice.
Éowyn
la ascoltava ad occhi sgranati, e dopo un
po’ la sua espressione si distese in un sorriso incantato.
Tauriel
non poté fare a meno di sorridere a propria volta.
Re Théoden sembrava un uomo buono, ma aveva un atteggiamento
cupo, segnato dalla tristezza, e i bambini – Éowyn
soprattutto – erano quasi sempre seri.
«I
servitori dicono tante cose su di te» la
informò Éowyn, quando il suo racconto si
interruppe.
Tauriel
sentì le proprie spalle irrigidirsi in una posa
guardinga. «Veramente?» chiese, cercando di
mantenere un tono leggero. «Cosa dicono?»
Éowyn
le posò una manina sul braccio e
scrollò appena le spalle. «Dicono che vivi nei
boschi, in un palazzo fatto di alberi».
«Non
è del tutto falso» rispose Tauriel,
a metà tra la cautela ed il sollievo. Si era aspettata una
diceria malevola.
«Dicono
anche…» sussurrò
Éowyn. «Dicono che dormi poco, e che sei amica
delle stelle».
Tauriel
si chiese se davvero i servitori avessero usato quelle parole,
o se la bambina le stesse dando la sua interpretazione dei pettegolezzi
che aveva sentito.
Il
tono di Éowyn si abbassò ulteriormente, con
venerazione. «Dicono che il sangue delle stelle scorre nelle
tue vene».
Tauriel
sbatté le palpebre, e ripensò ai bisbigli
dei contadini che professavano che lei non era una creatura della
terra, ma del cielo.
Quelle
parole le avevano ricordato i tempi in cui le sembrava di essere
così vicina alle stelle da poterle toccare, e di conseguenza
si era sentita insofferente e persino un po’ irritata. Erano
molti anni, ormai, che le stelle le parevano irraggiungibili.
«È
vero?» insistette Éowyn.
Tauriel
era sul punto di negare, di smentire con forza quella credenza
ignorante ed inconsistente, ma poi vide lo sguardo della bambina e si
rese conto che un no l’avrebbe delusa atrocemente.
«Potrebbe essere, sapete?» rispose
perciò, ed un sorriso breve ma radioso illuminò
il visetto di Éowyn.
Nelle
ore che seguirono, Tauriel mostrò alla bambina alcune
semplici mosse che potevano aiutarla a volgere a suo favore
l’altezza e il peso del proprio avversario.
Quell’attività le ricordò il periodo
trascorso a Dale, i pomeriggi in cui aveva dato lezioni di
combattimento ai figli di Bard.
Éowyn
era l’allieva più giovane e
più rapida ad imparare che avesse mai avuto. Fu una fortuna,
in un certo senso. I bambini erano rari tra gli Elfi, e pertanto
considerati estremamente preziosi. A Tauriel piacevano, e per loro
trovava una pazienza che non aveva per gli adulti, ma la sua tolleranza
non era comunque infinita.
Dopo
quel pomeriggio, rimase a Edoras un altro giorno, poi decise che
era davvero tempo di tornare a Bosco Atro. Il giorno della sua
partenza, fu salutata da re Théoden con grande cortesia, ma
con enorme disappunto non ebbe la possibilità di congedarsi
a dovere dai bambini.
Mentre
si allontanava in groppa al proprio cavallo, però, si
girò verso il forte, e vide la figurina di Éowyn
in piedi davanti alle porte. Alzò un braccio in segno di
saluto, e la bambina le rispose dopo un momento.
Passando
tra la gente, Tauriel udì altri sussurri, ma non le
sembravano più maligni e diffidenti… Suonavano
buoni, e pieni di meraviglia.
Dicono che il sangue delle
stelle scorre nelle tue vene.
Ebbene,
se era in questi termini che l’avrebbero ricordata,
le faceva piacere.
Più
o meno seriamente, si chiese se avrebbe dovuto
includerlo nel proprio rapporto a Thranduil.
Si
chiese se raccontarlo a Legolas – se lui avesse anche solo
provato a trasformarlo in una presa in giro, però,
l’avrebbe spinto contro il pilastro più vicino
senza esitare.
Si
disse che a Kíli quella voce sarebbe piaciuta da morire.
Chissà, forse avrebbe riso, o forse avrebbe proclamato di
esserne l’ideatore.
Dicono che il sangue delle
stelle scorre nelle tue vene.
Raddrizzandosi
sulla sella, Tauriel lasciò che i raggi del
sole le riscaldassero il viso. Quella notte, il cielo stellato le parve
così vicino da poterlo toccare.
Note:
Dopo aver visto questa
immagine, ho dovuto scrivere
qualcosa.
Primo, perché chi non vorrebbe scrivere di una
Éowyn bambina? Secondo, perché le interazioni tra
personaggi femminili sono la mia più grande debolezza.
Non lo so, spero vi sia piaciuta :)
|