Pioggia.
Mi
piace l'odore della pioggia.
E
Parigi è maledettamente bella quando piove. Ma piove sul
serio, non quella fitta nebbiolina bagnata che urta il sistema
nervoso e basta.
Mi
piace essere bagnata in questo momento, ho come la sensazione che
tutti i problemi vengano lavati via e al loro posto una tela
immacolata da sporcare daccapo; oh.. il cielo è in tumulto, il
mio cuore è in tumulto.
La
città è in tumulto. E non si parla d'altro. Deesire
Bonnet e il suo amante, Fabien Moreau.
*
* *
Prologo.
Parigi,
1966.
“Sei
davvero bello fratello!”
Benjamin
è l'uomo che tutte le donne vorrebbero incontrare sul proprio
cammino; studi eccellenti alla Sorbona, un capitale ragguardevole per
dirigere un impero industriale, una bella faccia scolpita e occhi
verde-azzurro come pozze, un fascino degno di un epoca che a scuola
si studia come Medioevo.
Poche sanno che è anche un fratello eccezionale e non perché
sono la sua sorellina più piccola -è un'altruista in
maniera scellerata- ma perché in lui c'è del buono
autentico, che in questo caotico e sovraffollato mondo in cui
apparteniamo è davvero cosa rara.
Mia
madre lo paragona spesso a nostro padre.
Non
ricordo mio padre, ed è strano perché quando è
morto non ero esattamente una bambina; il mio analista dice che è
per rifiuto della realtà. Cosa c'è da rifiutare? Mio
padre è morto giovane e non tornerà, punto. E' la
realtà stessa, che si rifiuta d'essere tale.
Scuoto
il capo. Non voglio pensare a lui, non adesso che Benjamin si guarda
allo specchio perplesso e dubbioso in uno smoking fumé che gli
fa il sedere eccessivamente grosso e cozza abbastanza con i suoi
morbidi capelli cenere.
“Forse
dovresti provare il nero. Le vie di mezzo non fanno per te.”
Abbozzo, ingollando lo champagne frizzante nel flute.
“Non
sono convinto difatti. Trovo che questo colore non mi doni.”
Visto, lo dicevo fosse superlativo e lo penso ancora di più,
mentre la sarta gli gira attorno convincendolo del contrario e lui
ribatte con fermezza che non vuole apparire spento, in un giorno così
importante. “E' il mio matrimonio, Santo Cielo, possiamo fare
di meglio!” E ride creando delle fossette deliziose sulle
guance; la donna lo guarda spaesata -fa questo effetto quando ride- e
sparisce dalla nostra vista.
“Sei
nervoso?!” Gli chiedo giocherellando con dei vecchi anelli che
ho al dito.
“Questo
vestito mi sta uno schifo, ma è solo il primo dopotutto.”
Sottolinea e approvo anche io, prima di girarmi in direzione della
voce familiare per le scale; è la mamma ed è arrivata
finalmente.
“Uhm..
preparati, le verrà un colpo.” Gli dico sarcasticamente.
“Mamma, Benjamin è vestito da sposo!” Grido, prima
che la sua testa di mossi capelli color moka, arrivi al piano; mi
guarda in cagnesco ma poi si lascia andare in un sorriso espansivo.
E'
davvero bella nostra madre, una signora elegante ma vivace, della
Parigi per bene.. ma con l'anima da condottiera.
“Najla
Louise. E' così che ti ho educato?!” Quando pronuncia il
mio nome per intero è arrabbiata sul serio, ma il suo sorriso
cancella ogni dispiacere. “Ben, per l'amor del cielo togliti
quel vestito, sembri un cielo grigio!”
Madame
Rombeau, una despota capo commessa dell'atelier Delle
Rose torna
con altri abiti, stavolta più scuri e decisamente migliori;
fischietto e so già che mia madre mi fulminerà
nuovamente, per questo.
La
donna passa due completi a Benjamin, uno che indossa in un batter
d'ali e ci mostra con immensa soddisfazione.
Si
tratta di un abito tre pezzi di un elegante color nero, con il gilet
dello stesso tessuto della giacca, abbinato ad una camicia bianco
virginale e una cravatta in pura seta jacquard; la mamma miagola e
cerca un fazzoletto nella borsa, io resto senza parole per la prima
volta in vita mia.
“Beh,
direi che la scelta è fatta.” Ben fa una leggera
torsione che mostra la coda del suo tight e si sistema con
convinzione il fiore -finto per il momento- da mettere nel taschino.
Madame lo guarda annuendo, rivolgendoci poi le sue occhiatine.
“La
cerimonia è fra sei mesi. In Giugno, il venti. Ho già
lasciato le misure alla sarta da basso, può spedirlo al mio
solito indirizzo, madame.” Deesire Bonnet si alza e va a
congratularsi con il ragazzo, la signora fa un leggero inchino e se
ne va. “Ancora non credo che ti sposi nel mio stesso giorno di
nozze!” Dice poi al ragazzo in piena estasi.
“Ancora
non ci credo che ti sei sposata in Notre
Dame, mamma!”
Ribatte lui. In realtà se non avessimo le foto a
testimoniarlo, non ci avrebbe creduto nessuno, penso mentre mi alzo
anche io e corro ad abbracciare il mio fratellone. “Quando l'ho
raccontato a Charlotte, per poco non mi convinceva ad annullare la
prenotazione alla Santissima Trinità.”
“E
tu non raccontarle sempre tutto.” Borbotto, poi penso a quella
benedetta ragazza e mi rallegro; una donna di buon carattere,
bellissima, figlia di leggendari artisti che nei primissimi anni
sessanta sbancarono con l'apertura della loro galleria d'arte in
America. “Sincere congratulazioni Benjamin, non posso che
essere molto felice per te.”
Lo
bacio sulla guancia e scendiamo tutti e tre al piano inferiore.
“Beenjii!”
Un bambino ci viene incontro.
Quel
bel bambino biondo di quasi cinque anni è Lukas Alì
Moreau, il nostro fratellino minore, nato dalla successiva relazione
di nostra madre.
Benjamin
lo accoglie nel suo abbraccio, poi da le ultime direttive per il
vestito e insieme usciamo dall'atelier.
Zio
Fabien è fuori che ci aspetta. Per essere Dicembre non fa
troppo freddo, drappeggio poco convinta la sciarpa sulle spalle e lo
saluto.
Se
il matrimonio a Notre
Dame
risulta essere straordinario, come un po' tutta la vita della mamma
insieme a papà Aurelien, l'incontro fra lo zio e la stessa,
risulta essere ancora più incredibile; in realtà Fabien
non è nostro zio, ma il cugino di nostro padre, tornato illeso
dalla seconda guerra mondiale, quando tutti lo credevano morto. La
mamma racconta che in cuor suo aveva sempre sperato fosse così,
ma si era arresa come avevano fatto tutti ed era andata avanti e
costruito il suo futuro, lasciandosi alle spalle i fantasmi del
passato.
Forse
si sono sempre amati.
E
non lo dico per loro ammissione, ma una donna certe cose le capisce,
vedo gli occhi lucidi e pieni d'amore di mia madre quando ne parla.
Benjamin
ritiene che comunque siano andate le cose, Fabien sia stata una
benedizione per lei e che fosse inevitabile i due si innamorassero;
dal giorno in cui si ritrovarono al mercato delle pulci -una me
giovanissima fu una fortunata testimone dell'evento- furono
inseparabili, tanto da sposarsi senza troppi pensieri e coronare da
lì a poco l'unione, con l'arrivo del piccolo Lukas.
“Allora?”
Chiede l'uomo rivolto a Ben, dopo aver baciato la mamma.
“L'ho
trovato, zio.” L'uomo curva il sorriso all'ingiù e si
scusa per non aver fatto in tempo, brontolando sulla nuova
amministrazione della città e quanto sia diventata invivibile
a livello di traffico, ma Ben gli da una vivace pacca sulla spalla e
gli strappa la promessa di accompagnarlo alla prima prova ufficiale.
In
macchina c'è silenzio, mia madre ogni tanto mi lancia delle
occhiatine dubbiose fino a quando non le chiedo cosa la turba tanto.
“Mi
chiedevo..” temporeggia e non è un bene; so già
dove vuole andare a parare. Stringe la mano dello zio e si fa
coraggio. “Non c'è nessuno di speciale che vuoi ti
accompagni, il grande giorno?”
Alzo
gli occhi al cielo e lo zio Fabien ride. Lui è dalla mia parte
lo so, nonostante ami Deesire più della sua stessa vita, in
qualche modo ha uno spirito libero che poco si conforma alle regole
della nostra società. “Mi accompagnerà Lukas.
Vero che mi farai da cavaliere?”
Il
ragazzino biascica un sì, senza staccare gli occhi dal fumetto
di “Asterix”
che ha poggiato sulle gambe; è un ragazzino precoce, dedito
già alle belle arti, proprio come suo padre, professore d'arte
a l'
École
nationale
supérieure des beaux-arts.
“Najla
Louise, mi riferivo a qualcuno dal metro e ottanta in su.”
Benjamin si lascia andare ad un risolino, incrocio le braccia al
petto indispettita.
“Stai
diventando petulante come la nonna, è ora che tu lo sappia. E
per tua informazione, l'altezza media della popolazione maschile
francese si è ridotta drasticamente al metro e settanta, negli
ultimi anni.”
La
sento schioccare la lingua al palato, girandosi adirata verso lo zio
che la tranquillizza con uno sguardo addolcito. “Sono sicuro
che quando quello giusto arriverà, saremo i primi a saperlo.”
La mamma sbuffa poco convinta, lui getta ancora un'occhiata verso di
me dallo specchietto retrovisore.
Annuisco
senza aggiungere altro, la collina di Montmartre
appare austera davanti a noi e stempera ogni malumore.
Adoro
ogni volta perdermi sui profili dei tetti della città,
risalire la Rue
Caulaincourt al
limitare del quartiere per poi addentrarmi sulla Lepic
e la sua sfilata di bistrot e boutique alternative, proprio come il
quartiere degli artisti richiede. E' un sogno, vivere qui.
Montmartre
ha un ridisegnato e riscritto le sorti e la storia della mia
famiglia, ricca-borghese proveniente dalle sponde della Senna e poi
approdata con la mamma, qui dove il fascino e il mistero della
malinconia, si fondono egregiamente, ammaliando lo spettatore; come
dicevo, Deesire Bonnet nel dopoguerra insieme al suo sposo Aurelien,
per far rifiorire le casse della famiglia, vessata da una terribile
incursione dell'esercito del Terzo Reich nell'azienda che gestivano e
che portò alla loro distruzione in una sola notte, decisero di
avviare un commercio del tutto nuovo, dedito all'arte culinaria della
pasticceria, una delle vocazioni preferite della donna. La nostra
vita, cambiò radicalmente.
Quella
che sembrava una piccola idea per sbarcare il lunario, divenne invece
la salvezza e molto di più.
La
passione che mia madre mise in quella nuova avventura, la portò
ad aprire diverse “botteghe”
(come ama chiamarle lei) e importare i suoi famosi biscotti –
prelibatezze allo zenzero&cannella condite da un ingrediente di
cui mantiene stretto riserbo ma che io conosco come liquore di
lavanda- in mezza Europa, dove dopo ancora molti anni è
conosciuta e apprezzata.
Mio
padre morì prima di vedere con i propri occhi quel successo,
ma prima di allora cercò di risollevare anch'egli l'onore
della famiglia Chedjou, ricostruendo daccapo l'azienda che negli anni
trenta, era stata il faro per molti nel settore della metallurgia;
quell'azienda oggi è gestita da mio fratello Benjamin e mio
zio Cedric fratello di mia madre, con un discreto successo a vele
spiegate verso l'oceano dell'economia.
Finimmo
in pianta stabile sulla collina dopo il lutto, mia mamma attraversò
un momento molto buio e sentiva che la città custodiva troppi
angoli che parlavano di quel marito che aveva perduto troppo presto,
quindi ci trasferimmo là dove invece i sussurri erano solo
segreti che il vento lasciava fra gli alberi e il vigneto. Lei
sbocciò, noi tutti sbocciammo, lontani dal caos, protetti da
Fabien Moreau, arrivato un bel giorno di cielo terso, dalla terra dei
morti.
“La
mamma vuole solo vederti felice.” Benjamin interrompe il flusso
dei ricordi, sussurrandomi nell'orecchio.
Faccio
spallucce, guardando il profilo della donna riflesso sul vetro
dell'auto; è stata una ribelle sebbene abbia accettato un
matrimonio combinato, una donna non convenzionale, con idee moderne
e..al secondo matrimonio! Eppure certe volte mi sembra così
bigotta.
La
adoro con tutto il mio cuore sia chiaro, vorrei solo si concentrasse
sui miei reali desideri che per il momento eludono tutti le sue
aspettative, ma sono miei ed io non vorrei mai scambiarli per la mera
attitudine di pensare che una donna non possa essere felice senza un
uomo.
Certo
che vorrei innamorarmi, tutti sognano l'amore alla fine, ma per una
donna che fa il medico nel millenovecentosessantasei risulta un po'
arduo come compito, così concentrata nel mio obiettivo e a non
farmi schiacciare proprio dagli uomini.
Vorrei
combattere prima il male che si è portato via il mio amato
padre, trovare una cura che permetta a nessun altro di soffrire una
perdita ingiusta e senza scrupoli e se questo mi distaccherà
dal flusso della vita e da quella
persona
in serbo per me, sarà per una giusta causa.
Tutto
accadrà quando sarà il momento, mi faccio coraggio,
pensando questo.
Guardo
ancora Fabien sfiorare con la punta delle dita la mano della mamma e
sono sempre più convinta.
“Ho
una colazione con un collega di Londra, zio puoi lasciarmi alla
Maison
Rose,
per favore?”
L'uomo
svolta in prossimità della Rue
de l'Abreuvoir e
accosta in prossimità del punto da me indicato.
Saluto
tutti e con energia vado incontro al mio appuntamento.
* *
*
Patrick
è un ragazzone della City che ho conosciuto nel mio lungo
percorso di specializzazione alla University College, tremendamente
puntuale e dal carattere sincero. Mi saluta vigorosamente, mentre
slego la sciarpa dal collo e entro nel locale.
L'aria
calda delle portate mi investe e mi coccola mentre prendo posto al
tavolo dove il ragazzo mi aspetta trepidante.
“My
friend!”
Ulula gioviale, interrompendo il brusio di due piccioncini accanto a
noi.
“Caro!”
Gli faccio eco, abbracciandolo e stampandogli tre baci sulla guancia.
“Come stai? Che si dice nella City?”
“Non
ci crederai, ma ho buone nuove da farmi credere pazzo.” Poi mi
sistema la sedia con galanteria, mi siedo e si siede anche lui.
“Vorrai farmi avere presto un elenco di posticini come questo
perché sai.. diventerò parigino anche io!”
Lo
guardo scioccata, dopo aver ordinato due calici di vino e una
selezione di formaggi con tartine.
“Se
non fosse per il freddo giurerei d'aver perso l'uso della lingua!”
Rispondo.
“Lo
so sembra incredibile. Io stesso stento a crederci, ma non è
finita qui.”
“Non
mi dire che ti trasferirai nel mio stesso ospedale.”
“Trasferimento
approvato.” Risponde con un sorriso gioviale che fa sembrare i
suoi occhi azzurri ancora più grandi. “Saremo nuovamente
colleghi.”
“Ma
è una bellissima notizia. Dov'è il vino, dobbiamo
festeggiare!”
Il
cameriere arriva dopo poco e nostri calici collidono all'unisono
prima ancora di toccare tavola.
“Quando
potrò chiamarti concittadino?”
“Sarò
qui fra tre settimane, dottoressa Chedjou.”
A
quel punto mi blocco; Patrick è sempre stato un ragazzo molto
metodico, puntiglioso a tratti e molto inquadrato.
Mi
acciglio, pensando al peggio. “Sembra una fuga, quasi.”
Non
devo aver capito male, perché il suo sguardo finisce sul
tavolo come una serranda che si chiude piano. “Io e Jonathan ci
siamo lasciati.” Sussurra pianissimo, voltando il capo ai
nostri vicini; i due sono intenti a ridere alle battute sceme di lui,
tipiche di un primo appuntamento.
“Mi
dispiace.” Dico, alzando di nuovo il calice. “Ad una
nuova vita, più bella di quella di prima!”
Guardo
infondo ai suoi occhi da rivoluzionario e pioniere della rivolta
omosessuale e sono certa che qualsiasi sia stata la motivazione della
loro rottura, tale da volerlo allontanare dalla sua città
natale, Patrick si riprenderà a dispetto di tutto.
Ci
sono ricordi di lui e delle meravigliose pies con la quale mi
coccolava le notti insonni passate sugli appunti della ricerca,
racconti di storie di quella che era una realtà difronte la
quale nessun uomo o donna che sia, aveva il diritto di replicare con
la violenza e sopratutto c'era la forza con la quale un uomo
difendeva quel diritto.. il diritto di amare liberamente chi si
vuole.
“Dicono
che gli uomini francesi siano affascinanti.” Mi risponde, dopo
aver ingollato un bel sorso di rosso.
Sospiro.
“Non è che ho visto molti uomini ultimamente.”
“Io
ti salverò, my
friend.
E' inammissibile che mi diventi un topo da biblioteca!” Rido e
faccio spallucce. “Per l'amor del cielo, hai bisogno di un
uomo!” Dice più forte, il viso paonazzo e
un'inconfondibile e chiassosa risata inglese. I due piccioncini a
quel punto si voltano.
“Sei
fortunata.” Dico a lei, una biondina tutta lentiggini e occhi
da cerbiatta.
Quella
si muove agitata e mi risponde che lo è davvero. Poi costringe
il ragazzo seduto con lei a chiedere il conto e andare via.
Io e
Patrick ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
“Non
prendere impegni il venti giugno, mi serve un cavaliere e tu sei
decisamente quello giusto.” Dico sul finire del pasto.
Alza
gli occhi al cielo e sospira. “Chi si sposa, sentiamo un po'?”
“Mio
fratello, my
friend.”
“Oh
God,
quella specie di divinità greca, con tutti quei capelli mossi
e un irresistibile fondo schiena?” Annuisco divertita mentre mi
stringe la mano con orgoglio. “Comprerò lo smoking
migliore per te.” Gli sorrido affettuosamente e chiedo il
conto.
“Che
sbadato non ti ho nemmeno chiesto come procede la ricerca.”
Fuori
il cielo è plumbeo. Sicuramente nel pomeriggio pioverà,
mi stringo nelle spalle mentre Patrick si accende una sigaretta.
“Spero
vada a buon fine prima o poi, visto che continui con il tuo terribile
vizio.”
“My
friend...”
“No!”
Lo fermo. “Sei un medico Patrick, qualsiasi cosa dirai in
merito sai bene che è una scusa.”
Sa
la mia storia. Sa di mio padre, sebbene i suoi polmoni non sono stati
avvelenati dal fumo di sigaretta. Mi guarda con tenerezza e
remissione, da un ultimo tiro colpevole e la getta via. Rimasto solo
ne fumerà un'altra lo so, ma è più forte di me,
non riesco a trattenermi.
“Andiamo.”
Mi dice, prendendomi sotto braccio e accompagnandomi verso casa,
pochi passi più giù della rue.
Restiamo
in silenzio ad ascoltare i rumori ovattati dell'inverno e i nostri
respiri calmi, prima di fermarci nella piazza antistante la villetta
dove abita la mia famiglia; avevamo intonato qualche pezzo di Dalidà
e
si era fatto promettere che l'avremmo scovata prima o poi in quel di
Parigi, per poi infilarsi in un taxi alla scoperta della città
che lo avrebbe accolto da lì a poco.
Lo
vidi sparire nella discesa della strada e prima di entrare in casa
sorrisi sentendomi fortunata nel poter contare sulla sua amicizia.
Insieme
avremmo conquistato la città, me lo sentivo.
Fine
Prologo.
* *
*
NOTA
AUTRICE:
Per
chi avesse avuto il piacere di seguire la mia fan fiction
“Zenzero&Cannella” questa non è altro che
una storia da cui vi ho preso ispirazione.
I
miei vecchi
personaggi sono andati avanti, in questo
prologo
ho inserito le informazioni base necessarie per capire la psicologia
dei nuovi
personaggi, perciò non ritengo sia necessario averla letta,
anche se ammetto che mi farebbe molto piacere se qualcuno avesse
voglia di farlo, in quanto resta una delle storie che ho amato di più
scrivere.
Ringrazio
in anticipo chiunque passasse in questa storia o in quell'altra, chi
commenterà, chi mi seguirà in quest'altra folle
avventura.
Resto
in attesa di vostre notizie.
Lunaedreamy.
Le
immagini non sono di mia proprietà. FONTE: WEB.