caos 3
Effetto
farfalla: locuzione
che racchiude in sé la nozione di "dipendenza sensibile alle
condizioni iniziali" presente nella teoria del caos.
L'idea è che
piccole
variazioni di tali condizioni producano grandi variazioni
nel
comportamento a lungo termine di un sistema.
CAPITOLO 9.
Mi
dispiace di averti lasciata da sola nei laboratori.
Mi dispiace di
non averti confessato che avevo già preso impegni con
Nicholas,
e di non poterti rivelare quello a cui stiamo lavorando là
sotto.
So che non andate d'accordo e mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto, ma non l'ho
mandato io a cercarti:
Nicholas c'è venuto da solo.
Nicholas c'è venuto da solo.
Di
tutto quello che Shad continua a ripetere da quando sono tornata
nella sua stanza è a questo che non riesco a smettere di
pensare. Più che alle scottature, più che agli
esperimenti che ho visto fare, e più che alle inquietanti
parole
Crichton; almeno fino
a quando non mi ricordo perché mi trovo nella Villa,
aspettando
che Lilith torni a casa, senza sapere se è quello
che desidero davvero o se lo sto facendo solo perché sembra
il
comportamento più scontato da mantenere: non
abbandonare la propria sorella.
Mi siedo sul bordo del letto e lascio che Shad medichi le
mie mani
mangiucchiate dall'acido: le sue dita meccaniche sono come
soffi
freschi, mentre
puliscono le ulcerazioni e ci applicano sopra
una crema
lenitiva; danno più sollievo del panno bagnato che stringevo
fino a qualche minuto fa e di cui mi sono liberata in bagno.
- Ti faccio male?
La pazienza con la quale procede funziona da
anestetico.
- No, - dico piano, e accenno a un ringraziamento.
Shad scuote la testa, come se fare del bene, per lei, fosse
un'inclinazione del tutto naturale e spontanea. Non distoglie
lo sguardo dal suo lavoro.
Appena finisce di stringermi le bende attorno ai polsi mi
cambio i vestiti saturi di polveri e infilo una tuta più
comoda, lasciando la cerniera aperta sopra la maglietta. Ho ancora
addosso l'odore pungente del laboratorio di Crichton, ma
almeno sono presentabile.
- Sei arrabbiata con me, - osserva Shad.
Si slega la treccia bruna sulla schiena, districandosi un filo di
perline rosse dai capelli. Il suo occhio meccanico
trema in quel modo che è tutto nervosismo e interessamento,
come
se si aspettasse un rimprovero. Ma lo sono davvero, arrabbiata? Non con
lei. Con tutti gli altri o solo con me stessa: le
possibilità
si riducono a questo.
Shad non ha nulla a che vedere con la piega che ha preso il mio umore
questa sera.
- Figurati, - borbotto, poi mi abbandono
all'indietro, tra
le coperte del mio letto. Lo sfascio subito, perché vederlo
ordinato al millimetro mi ricorda l'ospedale e i pazienti che andavano
e venivano, e le lenzuola cambiate tutte le mattine per evitare i
contagi.
Perché dovrei avercela
con l'unica persona a cui importa davvero che io stia bene,
comunque? Non
sono così stupida da non averlo afferrato: Xanders mi ospita
qui solo per potermi tenere sotto controllo.
I Novi hanno paura di quello che accadrebbe se mi recassi dalla polizia
e
rivelassi
tutto quello di cui sono a conoscenza. O peggio, se mi succedesse
qualcosa e provassero di nuovo a uccidermi, sarebbero loro a doverne
pagare il prezzo. Due sorelle scomparse in meno
di un mese: niente male come scandalo da prima pagina. I Novi
finirebbero per ritrovarsi i riflettori dell'intero Continente puntati
addosso.
- Non dire più che ti dispiace, - sbadiglio, ma poi ci penso
su, e allora aggiungo: - Sono solo preoccupata.
Faccio passare le lenzuola tra le braccia e affondo il viso nel
cuscino: profuma di pulito, e di fiori e di qualcos'altro a cui non
saprei dare un nome. Non si direbbe che abbia assistito a
tanti sogni inquieti, senza impregnarsi dell'odore dei brutti pensieri.
Shad si accoccola in un angolo del materasso come
se temesse di darmi fastidio.
- Per Lilith? - chiede.
- Per tutto. Sono giorni che ho scoperto la verità, e ancora
Xanders non si decide a fare il primo passo.
Shad appoggia la testa contro il muro decorato di arabeschi dipinti. Le
venature perlacee che le risalgono lungo il collo emettono un bagliore
stanco, lo stesso che vedo riflesso nel suo sguardo. Mi chiedo se sia
questo il confine che separa un semplice conoscente da un amico vero:
riuscire a leggere tra le righe della sua espressione ed essere pronti
ad affrontarne le conseguenze.
- Tu sei convinta che questa storia non si risolverà troppo
presto, - azzardo. Tradurre la smorfia che cerca di nascondere
è giungere a questa
conclusione.
- Sybil, non è così semplice.
Certo che non lo è. Sono sempre i nodi che abbiamo il dovere
di sciogliere, quelli più intricati.
- Ti ricordi quando ci siamo presentate?
- Sì, - annuisco, - eri contenta che non credessi alla
faccenda degli esseri umani superiori.
Shad si stringe nelle spalle, e per un momento sembra solo una ragazza
rannicchiata in una stanza troppo grande per due persone che parlano di
argomenti tanto tristi.
- Non volevo che ti illudessi. Non volevo che credessi che i Novi sono
perfetti. Continueranno a ripetertelo, Sybil: che siamo migliori, che
abbiamo un codice genetico più prezioso del tuo e che
andiamo protetti a qualunque costo, ma non è
così che funziona.
Non l'avevo mai sentita così affranta, dalla voce quasi
gracchiante e appena percettibile, come se non volesse correre il
rischio che qualcun altro
possa sentirla. Mi tiro su un braccio alla volta.
- Xanders si è messo in contatto con i
rappresentati della
nostra Fazione non appena sei arrivata qui, solo che non ha trovato il
coraggio di dirti che è stato...ignorato.
Che cosa significa "ignorato"?
Mi sporgo verso di lei per chiederle spiegazioni, ma per la prima volta
Shad mi parla sopra, unendo le mani come a pregarmi di lasciarla finire.
- I rapporti tra
i Novi sono più tesi di quanto non sembri, Sybil, e Xanders,
questo,
non lo aveva calcolato.
- Ti avranno parlato
della frattura interna alla nostra
Comunità, - continua.
- Lo hanno fatto, ma non riesco a capire quale sia il problema: mia
sorella ha fatto saltare in
aria una scuola, giusto? È una terrorista: i suoi rapitori devono consegnarla
alla USD.
- No che non devono, e non lo faranno.
Adesso sono arrabbiata. Con tutti, con me stessa e con Shad. Da quando
ho messo piede nella Villa non c'è stato nessuno che abbia
condannato quello che è successo senza mezzi termini. A
forza di tenermi
buona a suon di non,
di se e di
ma,
finiranno per mandarci la sottoscritta, in prigione.
- Non ce l'avete un codice penale?
- La nostra legge afferma che dobbiamo difendere
la Specie
prima di ogni altra cosa, e questo è ciò che
è stato fatto. Lilith è stata
salvata da
morte certa, ricordi?
Salvata da un tentativo di suicidio messo a punto con meticolosa
precisione. E non le è importato che quarantuno persone
abbiano
perso la vita a causa sua. Non le è importato che il
Mondo sarebbe rimasto con il fiato sospeso per colpa di una ragazzina
di sedici anni. O forse è proprio questo
che voleva.
- Se è stata lei, deve pagarla.
Vederla finire in carcere sarebbe l'unico modo per
sistemare le cose, ma anche in quel caso niente tornerebbe
più
come prima. Resterebbero la vergogna e le minacce della gente, come
macchie indelebili sulla fedina della mia famiglia. E soprattutto
dovrei fare i conti con un segreto dal peso insopportabile: quello di
una sorella che non è semplicemente
umana.
Accartoccio le coperte. Devo smettere di pensare a quello che
accadrà dopo, o c'è il rischio che rinunci a
Lilith una volta per
tutte.
- Non sto dicendo che tua sorella non verrà
punita, - precisa Shad.
- Sto dicendo che verrà punita da un tribunale di
Novi come lei,
e che l'ultima cosa che loro
vogliono è allontanare ancor più le Fazioni per
colpa sua.
- Nessuno di noi lo vuole, - aggiunge, come se sentisse il
dovere
di scusare la propria specie.
L'ultima luce del giorno - di un blu assonnato e cupo - si ritira
verso la finestra. Nel buio del loro angolo le protesi di Shad
accennano
a una fluorescenza che serpeggia fino al mio ginocchio.
Sento la pressione delle sue dita.
- Se è una bugia che vuoi, cercherò di
inventarmene una.
Le tiro il cuscino, ma sbaglio mira.
- Vada per la verità: se il prezzo da pagare
affinché i
Novi rimangano uniti è assolvere Lilith e chi l'ha presa con
sé, il Comizio lo pagherà, almeno fino a quando
sarà possibile.
- Lo pagherà, perché la ferita che la Rottura ci
ha
inflitto è stata troppo grande: ci sono famiglie di Novi
spezzate a
metà, Sybil; amici da una parte e compagni dall'altra; figli
chiamati a scegliere uno solo dei loro genitori; nipoti che non hanno
mai conosciuto i loro nonni.
- Io sono stata fortunata, - continua.
- I miei hanno preso la decisione più
giusta, crescendomi nella Fazione a cui
apparterrò fino al giorno della mia morte, perché
credevano che se tra
dieci miliardi di possibiltà che il nostro codice genetico
subisse una
mutazione i Novi hanno cominciato ad esistere, questo non vuol
dire che siamo superiori agli altri esseri umani.
Si tocca la spalla, il collo, l'orecchio sintetico. Rabbrividisce, e io
so che sopporta a stento di guardarsi allo specchio ogni mattina, o di
vedersi riflessa nelle espressioni attonite degli altri.
- Guardami, - dice, e io non vorrei farlo, ma l'accontento.
- Ti sembro
forse un essere superiore? Nel mio corpo non ci sono che due organi
interamente miei; il
resto è stato più o meno danneggiato e riparato
artificialmente, con tessuti coltivati in vitro o inserzioni
inorganiche. Sono una macchina, un automa,
ma per molti dei Novi il mio
DNA sarebbe sufficiente a reclamare il diritto di mettervi da parte.
Te, e quelli come te.
- Adesso capisci quanto siano diverse le nostre opinioni? Riesci a
crederci?
Ci riesco, perché so quanto possano essere affilate le idee.
In
passato i Novi
dovevano costituire un nucleo compatto, ma un giorno quel nucleo
è stato tagliato a metà, senza prima stabilire
quali
conseguenze avrebbe avuto una soluzione così drastica.
Queste persone sono spezzate esattamente come tutto il resto.
- Non puoi chiederci di metterci di nuovo l'uno contro
l'altro.
Pensa ad Armand, che ha visto andarsene nell'altra Fazione la
persona che amava; a Nicholas, Ton-
- Che è successo a Nicholas?
Shad si preme una mano sulle labbra. Sembra pentita di aver fatto il
suo nome.
Troppo tardi.
- Non lo dirò a nessuno, promesso. Sai che puoi fidarti di
me.
Qualunque tentativo di dissimulare il mio interesse è
fallito
prima ancora di cominciare, ma devo saperlo. Adesso che ho la
certezza che Reichenbach stia nascondendo qualcosa, desistere
è impensabile.
Ogni fibra del mio corpo è allungata verso la
verità.
- Shad, terrò la bocca cucita.
- Non rivelo mai i segreti che mi vengono affidati, - sussurra, - ma
non ho mai fatto promesse su questo. Io e Nicholas non ne abbiamo mai
parlato.
- A dire il vero non ne abbiamo mai parlato con nessuno.
L'indecisione nel suo sguardo è palpabile, ma alla fine la
vedo
perdere terreno. Mi faccio più vicina a lei e incrocio le
gambe,
con la faccia tra le mani e la medaglietta di mia nonna tra i denti.
Assaporo l'argento rovinato, fino a quando la parola che ci
è
incisa sopra non mi sfiora le labbra, e aspetto.
Shad, lotta contro il bisogno di confidarsi.
- Avere un'amica è terrificante, - ammette.
Sorridiamo, e ma alla fine Shad mi racconta una storia.
La storia di Nicholas Reichenbach.
***
- I Novi sono chiamati alla conservazione della
loro Specie.
- È un dovere morale, più che un obbligo, ma le
famiglie
numerose sono quelle che più vengono tutelate dalla
Comunità. In un certo senso avere un figlio unico
è
come scegliere di non fare abbastanza: il valore genetico è
minimo e
a perdere. Due Novi per farne uno? La matematica non è
d'accordo. Però Nicholas è proprio questo: un
figlio
unico dalla massima
purezza genica. Tutti si aspettavano che i suoi genitori gli dessero
almeno un fratello o una sorella, ma si sbagliavano. Quasi non ne
ebbero il tempo.
- Quando i Novi si separarono, subito dopo la Rottura, la madre di
Nicholas lo
costrinse a compiere una scelta: andare con lei e parteggiare per la
Fazione massimalista o rimanere con suo padre e crescere tra di Noi.
Non so dirti se le divergenze di ideali tra di loro fossero
così
gravi da convincerli ad allontanarsi, ma come puoi immaginare Nicholas
si decise per la seconda opzione.
Nonostante tutto riuscì a superare l'abbandono di sua madre,
e
divenne uno dei
ricercatori più promettenti dell'intera Comunità.
Viveva a
Friburgo con suo padre, ma non ci rimaneva mai per molto. Gira voce che
tutte le Ambasciate della Fazione lo volessero. Lo vogliono ancora, in
effetti.
Shad fa una pausa e si stropiccia la guancia sana.
- Mi hanno detto
che è stato a Ginevra, a Cambridge e a Trieste, - sorride,
ma una lacrima silenziosa le scivola sul naso. L'occhio
meccanico invece è asciutto; il piccolo obbiettivo che
c'è dentro si sposta avanti e indietro, come una bolla
d'aria
che sta per risalire in superficie e all'improvviso si rituffa in
acqua.
Io sono ripiegata su me stessa, e non ho la forza di muovermi. Ma ogni
secondo che Shad si concede è un'agonia in cui la mia mente
si
arrovella e pensa a storie tutte sbagliate.
- Poi? - la incalzo, e subito mi pento di averlo fatto.
- Poi, due anni fa, suo padre si ammalò. Di cancro. Leucemia.
Cancro.
Cerco di sbarrare la strada al ricordo di mia nonna nel suo ultimo mese
di vita. La testa gonfia come se le tempie avessero dovuto scoppiarle,
gli occhi sporgenti, il corpo
appesantito. La bocca ferita e spoglia del suo vecchio sorriso. Un
sorriso lontano,
perduto, che ho cercato fino all'ultimo istante anche a costo di darle
il
mio. Di darlo alla persona che più amavo al Mondo, e che
più mi
sarebbe mancata al Mondo, e che lo avrebbe fatto sembrare vuoto senza
la sua presenza.
- Nessuno riusciva a crederci, sai? Quello che per voi è un
male
così comune, per i Novi è un caso talmente raro
che...
Shad si schiarisce la gola.
Una possibilità su sterminate altre alternative. Eppure
è successo.
- Il signor Reichenbach era un chimico molto stimato, ma i
suoi
esperimenti lo portavano ad assorbire radiazioni su radiazioni.
- È morto, - sussurro, - vero?
Shad annuisce, ma non cerca di nascondere che sta tremando.
- E Nicholas è rimasto da solo. Nonostante tutto, da quello
che
dicono, sua madre non ha più voluto sentir parlar di lui.
Se lo avessi saputo.
- Se lo avessi saputo, - comincio.
Ma se lo avessi saputo che cosa sarebbe cambiato? Che cosa
sarà
cambiato, quando ci incroceremo di nuovo nei corridoi? Io
saprò
che lui ha sofferto, nient'altro. Quando incontriamo qualcuno possiamo
essere sicuri che almeno una volta nel corso della sua vita ha pianto.
Questo non impedisce a nessuno dei due di fare del male all'altro,
perché il passato non è sempre una
giustificazione.
Eppure la mia pelle, sotto la gola, tira così forte che
potrebbe
strapparsi. E non ho voglia di respirare,
perché con l'aria uscirà anche il dispiacere che
provo in
questo momento, e Shad se ne accorgerà. Perché si
deve
morire per forza, se si soffoca?
- Lo sanno in pochi, - continua Shad.
- Io stessa ne sono entrata a conoscenza per puro caso. Quando suo
padre morì mi trovavo nello stesso quartier generale della
nostra Fazione, a Chicago. Ci portano là, se non possiamo
essere curati nelle Ambasciate.
- Io vi alloggiavo da quasi un anno, - continua.
- Dovevano ancora montarmi la gamba, ma dal giorno dell'incidente stavo
meglio. Il dolore era
sopportabile, così non dovevano sedarmi troppo spesso
e potevo rimanere cosciente.
- Tutto quello che ricordo, comunque, è di essere stata
svegliata da un
grosso baccano. Era come se qualcuno avesse fatto irruzione
nell'ospedale e
avesse deciso di buttarlo giù a calci. Chiesi a
mia sorella di spostare la tenda della mia stanza, e lui era
lì, dall'altra parte: un ragazzo furioso.
Il ragazzo più furioso
che abbia mai visto. Rompeva vetri riempendoli di pugni; faceva a pezzi
coperte,
fogli e vestiti. E urlava. Quanto
urlava, Sybil... come se avesse dovuto sradicarsi l'anima a suon di
grida.
Reichenbach? Per quanto mi sforzi di immaginarlo, non ci riesco.
-
Perché?
- Perché nell'esatto istante in cui suo padre si
spense,
lui non
c'era. Passava ore e ore seduto al suo capezzale, cercando di aiutare
i medici che si occupavano di lui, ma la Fazione non ammetteva ritardi
nella sua preparazione. Erano mesi che Nicholas studiava da
autodidatta, e quella volta, sebbene fosse andato fuori a
prendere una boccata d'aria, si era portato
dietro una mappa stellare che aveva cominciato a disegnare quando era
arrivato.
Shad si asciuga la guancia con una manica del pigiama.
- Successe e basta. Suo padre
morì, e lui non c'era. Era fuori a ricalcare le stelle per
ordine della Fazione.
- Non l'ho più rivisto fino al giorno
in cui è
arrivato nella Villa. L'alternativa per lui era quella di tornare a
studiare in Europa, da dove i suoi genitori si erano trasferiti, ma da
quelle parti la Rottura aveva avuto le conseguenze peggiori. Il nucleo
della Fazione scelse di tenerselo vicino, ma fu lui a chiedere di
essere ospitato in Minnesota: è un posto tranquillo, questo,
lontano dagli Istituti
troppo affollati. È stato un caso che anche io mi fossi
ritirata qui.
Quando riesco a riprendere il controllo della mia voce nella stanza
è sceso il freddo, e fuori è buio. Dubito che
Shad abbia
intenzione di andare a cena, e anche io sono disposta a
rimanere a digiuno. Nella mia testa guizzano immagini che in questo
momento non ho la forza di scacciare. C'è un principe che
esce
da una porta di vetro, e suo padre è vivo, e non si dicono
addio. C'è un principe che rientra dalla stessa porta di
vetro,
e suo padre è morto, e non si sono detti addio.
- Lui ti ha riconosciuto? - deglutisco.
- Abbiamo fatto finta di non conoscerci, - ammette, - ma Nicholas sa
che io l'ho visto. So che lo sa.
Ripiombo nel silenzio dentro e fuori. Adesso ce la metto tutta: mi
concedo pensieri brevi, stando
ben attenta che non siano sensati, almeno fino a quando Shad non mi
scuote con una mano.
- Stai bene?
- Sì, è solo che...
Mascella intorpidita per colpa dei denti serrati troppo a lungo. Vista
compromessa dal rifiuto di sbattere le palpebre. Il mio corpo
è
paralizzato dalla stanchezza e dallo sconforto.
- Ci si aspetta che le persone che
conoscono il dolore siano quelle decise a risparmiarlo agli altri.
Tu lo fai, e invece Nicholas no. Tu lo fai, e Lilith non lo ha fatto.
Shad fruga nel suo cassetto delle belle parole e della fiducia nelle
persone. Non so come, ma ci riesce.
- Io credo che gli esseri umani siano delle creature sociali. Che
abbiano bisogno di non sentirsi soli, per vivere. E credo anche che per
Nicholas, essere solo, voglia dire essere il solo
ad aver sofferto tanto. O almeno lui pensa di esserlo. Per sua madre,
per suo padre, e per le aspettative che entrambe le Fazioni avevano e
hanno su di lui.
- Non lo accetta, e vuole che
gli altri abbiano la loro parte di pena, ma allo stesso tempo si
sente migliore di chiunque altro per essere riuscito ad andare avanti.
Vuole capire perché è toccato a lui, e
non ad altre
persone, ma non ce la fa. Certi problemi la scienza non li risolve,
Sybil, e questo lui non riesce a sopportarlo.
- Ha senso quello che sto dicendo, secondo te?
Che importa se ha senso o no, questo mi chiedo. Continuo a farlo anche
quando mi stringo a Shad, e dico solo che non è niente,
davvero,
e che voglio solo un abbraccio. Non uno qualunque, ma una
stretta umana e artificiale insieme, perché sono una
creatura
sociale e non voglio sentirmi sola.
E allora forse un senso c'è, perché quello che
prova
Nicholas è quello che provo io ogni volta che mi arrabbio:
un
male banale,
egoista, che mi piacerebbe estirpare da me e abbandonare sulle persone.
Perché tra tutte le cose che vorrei fossero solo mie, non ci sono la
delusione, la paura di
quello che
sarà domani, di quello che è stato ieri e che si
è
perso, e quella di non avere la forza per non soffrirne. Tutto questo
vorrei che appartenesse ad altri. Tenetevelo, è
vostro.
Io ne ho avuto abbastanza. E forse anche Nicholas.
***
Oggi il
lago che si estende oltre l'ala Est della Villa è argento
fluido.
Del colore del mercurio, a detta di Leslie, che mi scarica tra le
braccia una valigetta di plastica lucida e sbuffa per la fatica.
- Fai pure! - strepito, ma l'unico risultato che ottengo è
una linguaccia.
Leslie è così eccitata da non accorgersi che
l'aria sta
cambiando; insisto affinché torni dentro e si metta un
cappotto,
ma il vento gelido che ci scortica la faccia non ha effetto sul suo
entusiasmo. Intorno a noi un gruppo di sei o sette bambini si rincorre
tra gli
alberi in cerca di campioni da prelevare e osservare in laboratorio.
Riconosco uno dei fratellini di Armand, Grégorie, dallo
stesso
faccino appuntito e le labbra come due ciliegie a cui viene voglia di
rubare il colore. Dalle sue tasche cadono vetrini e
provette, ma quando faccio
per raccoglierle è già scomparso nella
distesa di conifere
che separa l'edificio da qualunque cosa vi sia aldilà del
bosco.
- Potrebbe essere pericoloso, - osservo. Forse dovrei tenere
d'occhio i più piccoli, ma Leslie sembra un po' troppo
divertita all'idea.
- Che t'importa di loro? Al lavorooooo!
Ho ottenuto il permesso di uscire
dalla Villa in qualità di "assistente"
di Leslie, ma questo vuol dire che devo correrle dietro per due o tre
ore ogni pomeriggio. Il
mio compito è quello di trascrivere i dati che mi vengono
dettati tra
un prelievo e l'altro, sebbene il più delle volte il
paesaggio finisca
per distrarmi. Sono giorni che cerco di localizzare questo posto, ma il
telefono che mi hanno prestato funziona solo per ricevere o fare delle
telefonate. Il mio - lo schermo rotto, i tasti mancanti - non era al
sicuro da intercettazioni estranee, così Xanders se
n'è liberato.
- Concentrazione salin -
C'è un colpo di tosse smorzato dal fruscio
degli aghi di pino, dal
loro profumo fresco, dalla loro immagine che si specchia sulla
superficie
del lago.
- Mi stai ascoltando? Qual è la concentrazione salina della
fonte?
- Non mi stai ascoltando.
Leslie tira uno schiaffo sull'acqua e uno schizzo mi raggiunge in piena
faccia.
È ghiacciato. S'intrufola giù per il collo e
sulla
schiena, fino alla cucitura dei pantaloni. E io lascio cadere la
valigetta.
Contagocce, microscopi portabili, guanti impermeabili e decine di
strumenti senza nome ruzzolano lungo le sponde del Lago, ma io ne
afferro uno al
volo e glielo tiro.
- Ahiaaaaa! Sybil
Crowford, sei licenziataaaa!
Recupero un altro utensile - un disco di plastica dallo spessore di
due dita - e la centro sulla testa. Non aspettavo altro che di dare le
dimissioni, ma a quanto pare Leslie mi ha preceduto. Tira su con il
naso, quel naso che è appena un apostrofo roseo e sottile, e
se
ne va con il broncio di una bambina che mi arriva al petto.
- Avevano ragione su di te, - singhiozza, e corre via.
Chi avesse ragione su cosa, però, non se lo lascia sfuggire.
Nemmeno perdo tempo a seguirla con lo sguardo: poggio le ginocchia sul
prato, raccogliendo quello che è rimasto del kit di prelievo
più lentamente che posso, visto che non ho intenzione di
rientrare fino a quando Leslie non ci avrà dato un taglio. E
poi
qui mi piace. Fuori.
L'erba
è umida a contatto con i miei vestiti, ma soffice, e
sottoterra riesco quasi a percepire le radici degli
alberi che s'intrecciano in una catena resistente che protegge i
boschi intorno alla Villa. Sopra di me i rami si aprono come braccia
spalancate a
un altro respiro, e non c'è niente che ricordi le piante
malate della mia
città, dai fusti rachitici e la corteccia che si sfalda. Non
ci sono
strade d'asfalto spaccato, ma sentieri ordinati che si
immergono nel
verde. Non ci sono isole di plastica nell'acqua, ma animali vivi, alghe
colorate, e superfici che riflettono il cielo. I cervi non devono avere
paura di essere cacciati.
Dopo aver rimesso ogni strumento a suo posto faccio scattare
la
sicura della valigetta e torno in piedi; le ginocchia tirano un sospiro
di sollievo, ma ho le dita congelate e faccio fatica a muovermi.
Perché a Marshall non c'è niente di
tutto questo? Perché gli anni della Rottura ci hanno portato
via cose che qui esistono ancora, e come noi non le abbiamo mai viste?
In
lontananza riesco ancora a scorgere i bambini. Giocano nel prato, ma
non pestano i fiori dell'Inverno; catturano rane e girini, li osservano
con
obiettivi d'ingrandimento, ma poi li ributtano in acqua senza fargli
del male.
Potrebbe essere questa, al
risposta. Forse i Novi hanno avuto di più perché
lo meritavano. Perché
non hanno divorato l'ozono, né perso il controllo di armi
chimiche, né
sfruttato illegalmente Paesi che non gli appartenevano.
E forse, forse,
se il Mondo fosse stato loro, niente sarebbe andato in pezzi.
È il pensiero di un istante, prima che
mi
tornino in mente le parole di Shad: i Novi vogliono far credere di
essere perfetti, ma non è detto che lo siano davvero.
Un
leggero solletico sulla guancia mi
riporta alla realtà. Con la coda dell'occhio mi accorgo che
sulla mia
spalla si è posata una farfalla.
Trattengo il respiro. Colgo
un'iridescenza azzurra che sfuma dal nero al bianco, ma non oso girare
la testa per studiarla meglio. Ho paura che voli via, e io non vedevo
una
farfalla da secoli. La valigetta pesa e le braccia mi fanno male;
penso a un modo per cambiare posizione senza lasciarla scappare.
Ma non
ho bisogno di trovarlo, perché qualcun altro agisce a posto
mio.
Con una mano sulla mia spalla, rovinata e squamosa, e la pelle che sa
di zolfo.
Mi sottraggo al suo tocco con una piroetta e in un gesto rapido, quando
mi volto, un uomo sporco di fango mi mostra la sua preda.
- Guarda, - sorride Crichton, - Limenitis
Arthemis.
- Una farfalla.
***
Non
ho bisogno di Nicholas per capire che Crichton non dovrebbe trovarsi
qui. L'uomo del laboratorio, il chimico eremita che non lascia mai i
sotterranei della Villa a meno che non sia Xanders a richiedere la sua
presenza, non dovrebbe girovagare per i boschi mentre lo fa la
sottoscritta. E scommetto che prima d'ora non era mai successo.
Seguo
l'insetto prigioniero delle sue dita: dieci centimetri di colore
racchiusi in una gabbia smunta che le vibrazioni spaventate delle
antenne sembrano aver paura di toccare.
- Ciao, Crichton.
- È così raro trovarne una in questo periodo
dell'anno, - osserva.
- Questa specie vive fino ad Ottobre.
- Ormai non fa più così freddo, d'Inverno, -
rispondo, ma allora perché mi è venuta la pelle
d'oca?
- Non mi aspettavo di incontrarti qui, - continuo.
- Ci vivo.
Faccio scoccare la lingua. Risposta stupida ad affermazione ancora
più stupida.
Approfitto
di una folata di vento per alzarmi il cappuccio sulla testa e poterlo
osservare meglio senza risultare inquietante. Crichton indossa il
solito camice macchiato, ma questa volta le tasche sono piene di terra
bagnata; la stessa incrostata sotto le sue unghie.
- Non sei più venuta a trovarmi da quando Nicholas
è venuto a prenderti. Stai con lui, adesso?
- Cos-
cosa? No! No, è che... ci sono tante cose da vedere in
questo posto.
- Se ti ho spaventata, ti chiedo scusa.
La sua voce è tranquilla e i suoi occhi sono sinceri.
-
Vuoi che la liberi? - chiede, e sulle sue labbra scorticate si apre una
smorfia gentile. Io sopprimo un ghigno inorridito: che altro potrebbe
fare, schiacciarla?
- Sì. Lasciala andare, Crichton.
Dall'altra
parte del lago Leslie mi grida di tornare dentro, sbracciandosi fino a
quando la maglia non si alza a scoprirle la pancia: Xanders mi vuole
nel
suo studio.
Torno a guardare Crichton e mi sforzo di essere educata.
Non posso avercela con lui perché è un tipo
strano, ma l'ammonimento di Nicholas è stato fin troppo
chiaro.
- Dico sul serio: liberala.
Crichton apre le dita di scatto.
La
farfalla non fugge immediatamente: muove le alucce per tastare l'aria,
come se non riuscisse a credere di essere ancora viva; come se avesse
dimenticato come si vola. Poi, all'improvviso, si libra in alto, e io e
Crichton la seguiamo con lo sguardo mentre se ne va.
- Ecco fatto, - dice lui, e io lo saluto.
- Ci
vediamo dentro, allora. E non preoccuparti, non mi hai spaventata.
Sto mentendo.
Il cielo si è fatto più pesante, e sento
sempre più freddo. Crichton rimane al suo posto fino a
quando
la farfalla non scompare e le prime gocce di pioggia non gli bagnano la
faccia.
- Ecco fatto, - ripete.
- Arriva un uragano.
***
Raggiungo
l'ingresso quando è ormai troppo tardi: sono fradicia di
pioggia, con i
capelli appiccicati al collo e le scarpe zuppe che spumano ad ogni
passo. Restituisco la valigetta a Leslie che con un singhiozzo mi
addita a sua "ex-dipendente", poi mi allontano dal coro di bambini
urlanti dell'ascensore e salgo su per le scale.
Sogno una doccia calda, dei vestiti
asciutti, qualcosa da mangiare;
qualunque distrazione possa levarmi di dosso la pressione della mano di
Crichton dalla spalla.
Apro
la cerniera del cappotto e ne scivolo fuori tra uno scalino e
l'altro, trascinandomi un piede alla volta. È a quel punto
che
me li ritrovo di fronte, mano nella mano come due bambini sul punto di
attraversare la strada, più che come due innamorati:
Nicholas e
Beatrice.
- Oh.
Sussulto.
Sulle alte vetrate
della scala piovono proiettili d'acqua e foglie portate dal vento, ma
l'interno della Villa è protetto dalle temperature ostili di
Dicembre.
- Scusate, - mugugno, e abbasso gli
occhi per non incrociare quelli di Nicholas. Non ho fatto altro che
evitarli da quando
Shad mi ha raccontato di quello che gli è successo, ma
Beatrice
non ha intenzione di scansarsi e lasciarmi passare.
- Ti hanno chiuso fuori?
Anche Nicholas tenta di imitare la sua espressione
divertita, ma non ci riesce. Credo che abbia fretta.
- Ho solo cercato di andarmene da questo posto, ma mi hanno
riacciuffata, - dico. Se non avessi il fiatone, riuscirei a
batterla per scortesia.
Entrambi si scoccano un'occhiata atterrita. Potrei essermelo
immaginato, ma le dita di Beatrice si artigliano attorno alla mano di
Nicholas.
- Sta scherzando, - sottolinea lui, affrettandosi a
nascondere il disagio. Fa per tirarsela dietro.
- Dovresti sbrigarti, Xanders ci ha convocato di sotto.
Giusto.
- Ditegli che sto arrivando, okay?
Non lo faranno: la mia entrata in scena sarà ancora
più spassosa, con un contorno di ritardo.
- Ah,
e...Nicholas!
Lui
non si ferma nemmeno quando lo raggiungo di nuovo. È
Beatrice a voltarsi prima ancora che lo faccia
lui, così ingoio l'impulso di spingerli giù dalle
scale e
mi asciugo gli occhi
con la manica della felpa.
- C'è una cosa di cui ti devo parlare, - ansimo.
- In privato, se possibile.
La
novità è questa: lui sussurra a Beatrice un "ti raggiungo subito" piuttosto
svogliato, e perfino insiste quando lei si rifiuta di lasciarci.
Sinceramente non capisco che cosa abbia da temere una come lei,
che riesce a convincere il proprio ragazzo a indossare pantaloni
coordinati ai suoi, ma alla fine ignoro con successo le
sue battute
velenose.
- Sappi che non lascio che ragazze così carine
rimangano da sole con lui, - sorride.
Ma guarda, adesso sarei carina: eppure fino a ieri ero una
sottospecie di essere umano. Le sorrido anche io.
- E per fortuna. La voglia di strozzarlo quando non ci sono
testimoni in giro è insopportabile.
Adesso smamma.
Nicholas sbuffa amaramente, ma Beatrice si alza sulle punte
dei piedi per
baciarlo. È un bacio affamato, di denti che stringono le sue
labbra, e braccia attorno alla vita e seta che struscia contro
della stoffa costosa. Io guardo fuori: non
ho intenzione di giocare a un gioco così infantile.
Alla fine Beatrice
se ne va, portandosi dietro il suono di tacchi spessi contro il marmo,
e Nicholas alza gli occhi su di me come se non vedesse l'ora di
andarsene.
- Hai più o meno venti secondi prima di annoiarmi
del tutto.
- Tanto di più non ti sopporto: Crichton mi ha
seguito giù al lago.
Credo di aver fatto centro.
- Impossibile, non esce mai dal suo appartamento.
- Me lo sono ritrovato dietro, Nicholas!
Scendo qualche gradino più in basso, disseminando orme
frastagliate d'acqua sporca, ma lui non si muove. Trattiene il mento
leggermente alzato, come fa sempre: essere quello che viene guardato
dall'alto in basso deve consumargli il fegato.
- Gli hai detto qualcosa che possa averlo
spinto a interessarsi a me?
- Mi pare che ci fossi anche tu, quando sono entrato nel suo
laboratorio, - dice.
- Ti sembra che gli abbia anche solo rivolto la parola?
- Intendo dopo.
Quando sei tornato di sotto. Perché
sì, - alzo le mani, - ti ho visto.
Lo vedo calcolare la situazione. Impiega due secondi a superare
l'esitazione.
- Avevo dimenticato degli appunti nella mia cabina, motivo
per cui
sono sceso e li ho recuperati. Non devo darti altre spiegazioni.
Questa volta è lui ad andarsene per primo, ma sono decisa a
non permetterglielo.
- Scusami se almeno qui dentro vorrei sentirmi al sicuro! -
grido,
e la mia voce viene trasportata lungo tutta la lunghezza delle scale, e
Nicholas non può non tornare a guardarmi, anche se
è in
ritardo, ed è atteso da qualche altra parte. Anche se lo
siamo
tutti e due.
Le sue guance s'incavano come se le stesse mordendo, e io, per
riflesso, faccio lo stesso.
- Sei al sicuro, - mormora, e io non ho idea dei pensieri
che si
camuffino dietro le sue parole. Le sensazioni, se ci sono, le bugie, le
verità: Nicholas mi taglia fuori.
Stringo il cappotto bagnato al petto.
- Gli dirò di lasciarti in pace, qualunque sia il
motivo per cui è interessato a te.
Non lo dice piano, né ad alta voce. Piuttosto modula con
estrema
attenzione ogni accento o forma d'intonazione. Per adesso è
abbastanza, e io annuisco.
Grazie.
È così semplice da dire: sei lettere tutte d'un
fiato per due sillabe.
Ma in verità non lo è per niente, o riuscirei a
farlo e a smettere
di litigare con il ragazzo che disegnava le stelle mentre suo padre
moriva di cancro.
- È meglio se ci sbrighiamo, - dico invece.
Ventuno lettere tutte
d'un fiato per otto sillabe, e nonostante tutto meno complicato.
***
La riunione
è già
cominciata da un pezzo quando con una scusa imbarazzata e sotto lo
sguardo curioso dei Novi prendo posto sul fondo della stanza.
Shad si alza sulle punte per bisbigliarmi qualcosa nell'orecchio: - Ci
sono novità.
Mi tiro di lato di scatto per cercare la traccia di uno scherzo nella
sua espressione, ma qualcosa mi suggerisce che è seria.
Rilasso
i pugni e cerco di recuperare
il filo del discorso di Xanders, finendo di sistemarmi una camicetta
spiegazzata sulla pancia. Individuo Nicholas e Beatrice su uno dei
divani che guardano alla scrivania, stretti tra Armand e una ragazza
dai capelli cortissimi.
- Come stavo dicendo, - riprende Xanders, - tra tre giorni, a Chicago,
avrà luogo l'edizione
annuale dell'esposizione promossa dalla nostra Fazione.
Le sue guance sono più arrossate del solito, ma resta da
chiedersi se questo sia il risultato del caldo del salotto o
dell'eccitazione. La linea di barba ramata che si è lasciato
crescere non aiuta a dargli un'aria più matura, e perfino il
ricciolo sapientemente acconciato sulla sua fronte pare quello di una
caricatura.
- Senza contare quelli di voi che avranno un ruolo attivo all'interno
dell'evento, ogni singola persona presente in questa stanza
è
stata invitata.
Ad eccezione della
sottoscritta, è chiaro.
- Non siete obbligati a partecipare, ma gradirei che
alcuni di voi fossero presenti, soprattutto coloro che l'anno scorso
hanno declinato l'offerta.
Passa in rassegna i ragazzi stipati nell'ufficio, indicandoli con un
dito.
- Toni, Ren, Shad, Armand e naturalmente
Beatrice: avete già confermato la vostra adesione.
- Charles, Hellen, Faraa - non dirmi di no anche questa volta,
signorina, - Louis e Dave: mi auguro che vorrete accompagnarci.
- Ci siamo anche io e Kira.
Una figura si alza dal centro del salotto, alta e piazzata. Riconosco
Sam, dal viso troppo dolce per un corpo così robusto, che fa
apparire piccoli tutti gli altri.
- A dire il vero, Sam, avrei un favore da chiedere a voi due, visto che
siete i più grandi.
- Sia io che Amelia vi accompagneremo all'esposizione, quest'anno, e
con noi verrà anche Daemon. Ho bisogno che qualcuno
rimanga a guardia della Villa mentre saremo via, prendendosi cura dei
bambini.
Nello studio si alzano decine di voci tutte insieme. Qualcuno si guarda
intorno con aria interrogativa.
- Ragazzi, ragazzi! Per favore, silenzio. C'è stato un
cambio di programma:
sarà Amelia a coordinarvi durante l'esposizione. Io
sarò
comunque presente, ma in qualità di rappresentate di Sybil
Crowford.
- Okay, aspettate un momento, - sventolo un braccio, - cosa?
- Sybil, l'evento a cui parteciperemo è un convegno su scala
mondiale, dove verranno esposte ricerche e progetti alla quale i Novi
di tutto il Pianeta stanno partecipando.
- Shad mi ha fatto notare che potrebbe essere un'occasione importante
per portare all'attenzione generale il caso di tua sorella, visto che
il Comizio non si è ancora espresso compiutamente a
riguardo. Non sarà
come convocarlo per via ufficuale, ma saranno presenti alcuni dei Novi
più influenti di entrambe le Fazioni, persone che potrebbero
spendere una buona parola per il tuo caso.
Non credo di aver capito bene.
- Ci saranno le persone che hanno sequestrato mia sorella?
- Non sappiamo quale particella della Fazione opposta stia
effettivamente ospitando Lilith, se quella centrale o quella di
un'unica delle loro Accademie. Del resto anche i membri di questa Villa
sono solo una minuscola parte della nostra comunità. Siamo
intervenuti perché eravamo i più vicini a
Marshall, e
quindi gli unici che tenevano d'occhio tua sorella periodicamente.
Quindi ho capito bene.
- Va bene lo stesso, - annuisco, - è già
qualcosa. Quando partiamo?
- Noi partiamo dall'aeroporto di Minneapolis tra due giorni. Tu resti
qui.
- Xanders, non era questo il patto. Avevi promesso che sarebbe venuta
anche lei, - dice Shad.
Avrei dovuto aspettarmi che l'idea non fosse merito di Xanders. Delle
volte dubito del fatto che riesca anche solo a organizzare i propri
pensieri.
-
Shad ha ragione. Dovrebbe venire con noi.
Beatrice
liscia la camicia di Nicholas con gesti delicati; l'ombra di un sorriso
vibra nel suo sguardo quando tutti prendono a fissarla. Sospetto che
fosse l'ultima cosa al mondo che ci saremmo aspettati di sentirle dire.
- Via, non vorrete
lasciarla qui! Avete davvero paura che le facciano del male davanti a
tutte quelle persone?
Stringo
le labbra. Sento ancora il sapore del cioccolato che ho arraffato in
camera, ma il retrogusto adesso è amaro.
Colgo
un imbarazzato incrocio di sguardi dall'altra parte della sala
circolare, poi Xanders si alza in piedi e comincia a passeggiare avanti
e indietro per la stanza.
- Quando partiamo? - gli chiedo di nuovo.
- Preferirei che rimanessi qui, se sei d'accordo.
- Non sono d'accordo. Shad ha avuto un'idea brillante. Quando partiamo?
- Non otterrai niente che non possa ottenere io confrontandomi
con chi dell'altra fazione sarà presente. I miei superiori
hanno già convocato un incontro per discuterne: se davanti
alle nostre accuse i Novi
confesseranno che Lilith è colpevole di quell'attentato,
avrà inizio il processo a suo carico e noi entreremo in
scena
per riportarla a casa.
- Perfetto, ma vengo anche io. Sono una testimone oculare e sono quasi
stata uccisa da quelle persone.
- Discuteremo anche dei danni a tuo carico, ma...
- Xanders, ho il diritto di incontrarli, - dico. Non
accetterò che
vengano prese decisioni alle mie spalle, questa volta: se Xanders sta
per commettere un errore, voglio poterne fare parte. Almeno il colpo
arriverà con un minimo di preavviso, questa volta.
- So che me ne pentirò.
Accetta.
- Siete pazzi, - mormora Nicholas.
- Sì, pazzi. Tutti quanti, - concorda qualcuno.
Guardo Nicholas da sopra la spalla di
Shad, tirandomi indietro, fino a sfiorare la teca contenente il
telescopio:
Nicholas, le gambe mollemente incrociate e il mento poggiato sulla
mano, continua a guardare un punto fisso sul pavimento. La sua
espressione si riduce a un'unica increspatura sopra l'attaccatura del
naso, dove la concentrazione ha lasciato il graffio di una ruga che
quasi non si nota e che una ciocca pallida tenta di coprire.
- Nicholas, Ivan, Maria: farete riferimento ad Amelia per la
presentazione dei vostri progetti, - li rassicura Xanders: - Non
c'è nulla di cui dobbiate preoccuparvi, ve lo assicuro.
Sfioro la spalla di Shad e avvicino le labbra al suo orecchio
meccanico, piegando le ginocchia per raggiungere la sua altezza.
- A cosa si riferisce?
Shad mi risponde con un filo di voce, i capelli neri a coprire
la nostra conversazione come una tenda di seta.
- Alcuni dei ragazzi si sono guadagnati l'opportunità di
tenere
delle conferenze all'esposizione di Chicago. Per Maria e Ivan
è
il primo anno, ma sono sicura che Amelia si prenderà cura di
loro.
Scommetto che Amelia è la donna che ho incontrato la notte
che sono arrivata qui, e che adesso mi sembra di
scorgere al fianco di Xanders: una donna matura, con i capelli
luminosi costretti in un chignon; una dei pochi adulti a vivere qui.
Penso che sia la vicedirettrice della Villa, o qualcosa del
genere.
- E Nicholas?
- Lui terrà almeno tre conferenze, - sorride, e piega la
testa come se la divertisse, sapermi tanto interessata.
- Ormai è uno degli ospiti più attesi.
- Ti pareva. Non so nemmeno perché te l'ho chiesto.
Amelia - o la donna che credo sia Amelia - richiama l'attenzione di
Xanders con un colpetto sulla schiena, poi torna a sedersi al posto che
a lui spetterebbe, dietro la scrivania.
- Sono arrivate le ultime adesioni, Xanders; vuoi controllare chi
parteciperà all'esposizione?
-
Sì, certo. Grazie, Amelia.
Avevo ragione a pensare che si trattasse di lei.
La donna digita un lungo codice e fa proiettare un'immagine a
mezz'aria, con la stessa forma a falce che
aveva la prima volta che ho visto lo schermo nascosto nella scrivania.
Dietro l'intricato gioco di luci
riesco ancora a intravedere la sua espressione contrita, forse effetto
della magrezza estrema che la contraddistingue e degli occhi rotondi e
sporgenti. Afferro un luccichio sul suo petto, e rimango sorpresa del
fatto che il ciondolo della sua collana sia una minuscola croce
d'argento, appena sopra la cucitura del maglione.
Legge i nomi dei partecipanti
selezionando quelli che trova più interessanti, ma il labbro
inferiore stretto tra i denti ne storpia la pronuncia. Alcuni spogliano
la lista come se fossero sulle spine, così alla fine sbircio
lo
schermo anche io:
Accesso
Consentito al visitatore Amelia. G. Baggins (N) - codice 192100kjoth
ESPOSIZIONE DI SCIENZA E TECNOLOGIA DI CHICAGO
Crystal
Palace in Cam.
(21th ed.)
Ultimi iscritti al registro dei partecipanti:
Peter Gloone
(h)
Virginia Fermi (p)
Grant Malcom (p)
Delphine Navier (h)
Edmond Navier (h)
Catrina Joja (h)
Peter Butler (h)
Rosalind Gilbert (h)
Thomas Edge (h)
Wolfgang Brack (h)
e al resto della lista
limito nient'altro che un'occhiata. Potrei rimanere ore ed ore a
fissarla, ma non saprò mai se lì in mezzo si
nascondono
le persone che hanno permesso a mia sorella di far esplodere una
scuola. Mai, a meno che non mi decida a salire su quell'aereo per
scoprirlo.
Toni sembra sul punto di svenire a causa della presenza del Grant
Malcom che occupa il terzo posto, ma non specifica il
significato della lettera "p" vicino al suo nome. Dopo qualche minuto
di riflessione Xanders prende il posto di Amelia dietro la scrivania.
- Molto bene, dunque. La partenza è fissata per le dieci di
mattina di Giovedì, con destinazione Chicago. Saremo di
ritorno,
se tutto va come previsto, nel giro di quattro giorni. Vi prego di
comunicarmi la vostra eventuale adesione entro questa sera, in modo da
fornire alla Fazione i nominativi dei partecipanti.
Un coro di risposte affermative convince Xanders a lasciarci andare, ma
non prima di avermi assicurato che domani metteremo a punto un piano
diplomatico che comprenda la mia presenza. Mi sento in dovere di
ringraziarlo per aver colto al volo questa opportunità,
anche se
è il minimo che i Novi possano fare per riscattare il debito
che
hanno nei miei confronti. Quando mi metto in fila per uscire,
strusciando i piedi su un tappeto dalle trame arricciate, mi accorgo
che Shad è impegnata in una
discussione insolitamente accesa, per una come lei. In un impianto del
suo torace lampeggia una spia rossa, a un ritmo crescente mano a mano
che si agita. Tiene le braccia incrociate in quel modo che ricorda il
tentativo di coprirsi dallo sguardo degli altri, ma è
affranta.
Sta inseguendo Nicholas, ma lui fa finta di ignorarla. Alcune persone
vengono a congratularsi con me, e io mi sforzo di dispensare sorrisi e
strette di mano, senza riuscire a raggiungere la mia amica. Ren e Toni
mi mettono un braccio a testa sulle spalle, trascinandomi fuori.
Poi, però, Xanders alza una mano verso la coda della fila e
si
schiarisce la voce. Farsi rispettare gli costa un certo sforzo, come
se nessuno lo considerasse davvero per il ruolo che ricopre.
- Nicholas, potresti trattenerti per qualche minuto? C'è
qualcosa di cui vorrei parlarti.
Questo ottiene l'effetto sperato.
Ci fermiamo tutti sul ciglio della porta, lasciando che i non
interessati ci
sfilino di fianco per uscire. Perfino Shad rimane in attesa, con gli
occhi felini, marcati dall'eyeliner nero.
Nicholas non sembra porsi alcun dubbio; si volta giusto il tempo che
basta per
accorgersi che la lista di partecipanti è ancora proiettata
a
mezz'aria.
- No, - sibila, e il silenzio che viene dopo sembra amplificare le
frustate della pioggia che picchia sui vetri. Armand prova a stargli
dietro, ma Nicholas non si ferma ad aspettare nessuno: né
Armand, né Shad, né Beatrice, che scocca
un'occhiata sfacciata verso la scrivania.
- Lascialo in pace, Seymour.
Non far finta che sia lui ad aver bisogno di te.
Beatrice si piazza una maschera sulla faccia e mi sorride come se
fossimo migliori amiche. Appena Ren e Toni se ne vanno, poggia le mani
sulle mie spalle e inclina la
testa di lato: io mi lascio sfuggire una mezza smorfia alla vista
dell'anello dorato che porta al dito, dove un rubino intagliato sboccia
in una rosa di pietra. Potrei pagare la mia retta universitaria
con un oggetto del genere.
- Indovina chi aveva già scommesso che saresti venuta?
- Tu?
- Sì. E ho dovuto fare carte false per prenderti un posto
alle
conferenze di Chol, ma alla fine ci sono riuscita. Sarà
un'esperienza indimenticabile, vedrai.
- Uhm,
grazie?
- Lo so, lo so: sono stata parecchio sgarbata con te. Non sono brava a
fidarmi delle persone, ma allo stesso tempo odio non essere
brava in qualcosa.
- Tregua?
Alzo lo sguardo dalla sua mano ingioiellata fino allo spruzzo di
lentiggini
che le punteggiano la faccia, come se ci avessero soffiato sopra dello
zucchero di canna. Mia nonna era solita raccontare che nel paese in cui
era nata, fino a qualche decennio prima della sua nascita, le persone
con i capelli rossi venivano emarginate con un certo sospetto, quasi vi
si
intravedesse il colore di una certa
malizia.
Credevo di non aver mai sentito nulla di più stupido, e
invece eccomi qua: pronta a trovare mille scuse del fatto che non mi
fido di lei. Disposta a incolparla di avere una chioma fulva, piuttosto
che abbassare la guardia.
- Lo prendo come un sì, - civetta.
- Prendilo come vuoi, Beatrice.
- Ah, quando torni nella tua stanza da' un'occhiata
all'armadio: c'è un regalo per te.
Beatrice sgambetta verso il resto del gruppo e
non si volta
indietro. Io sono l'ultima a lasciare
la stanza, accorgendomi che fino a questo momento non ho fatto che
premere le unghie contro l'interno dei palmi: mi chiedo se Xanders se
ne sia accorto, visto che non aveva nessuno con cui parlare.
Aspetto che cominci a lamentarsi, o che mi inviti a togliere
il disturbo. Invece fa finta di sorridere, e per me è
anche peggio: come si sdrammatizza l'immagine di un Direttore che
viene zittito da uno dei suoi pupilli davanti a un gruppo di persone
attonite?
- Nicholas ha ancora tanto da imparare, - sospira, la voce
roca, - ma non vuole che gli si insegni niente.
Rimango
ferma contro il legno rosso della porta fino a quando Xanders non
spegne la proiezione della lista per farmi capire che è ora
di
andarsene. Colgo un ultimo stralcio di nomi, prima che la mezzaluna
tramonti di nuovo e i partecipanti all'esposizione si
dissolvano del tutto.
Prima di andarmene mi concedo un ultimo pensiero a
Reichenbach,
prima di raggiungere il limite massimo che precede un rigetto alla sua
immagine.
Chissà dove, in mezzo a quella lista, Nicholas ha letto il
nome di sua madre.
***
- Il piano è quello di costringerli a confessare,
credo.
Mi infilo una maglietta pulita tra le labbra, mentre le mani sono
occupate a schiacciare i vestiti in valigia. La voce di Alphy
trema
contro l'incavo del mio collo da quando il tentativo di tenere il
telefono poggiato tra l'orecchio e la spalla è fallito, e la
parte dell'auricolare è finita per farmi il solletico.
Esamino i
residui di vestiario sul mio letto e roteo gli occhi. Quando ho frugato
nell'armadio di casa mia non avrei mai pensato di partecipare a
un'esposizione di nuove tecnologie e scoperte scientifiche. Io, alla
scienza, non ci penso e basta.
- Poteva andarci peggio, - dice, - visto che sono giorni che aspettiamo
a vuoto.
Sappiamo entrambi che per adesso questo evento rappresenta
l'opportunità migliore che ci sia capitata dalla scomparsa
di
mia sorella a questa parte, e che non possiamo tirarci indietro. Non
starò qui a ripetere che vorrei vederlo salire su
quell'aereo
insieme a me, ma è così che stanno le cose: lui
avrebbe
il cervello per capire, e io la faccia tosta per agire. Senza Alphy non
basteranno tutte le valige del Mondo.
- Non sto più nella pelle, sai? Chicago, FC-nA-Illinois, la
città più ricca degli Stati Uniti! - esclamo, ma
le mie
labbra non sono abbastanza sicure da trattenere la maglietta. Mi chino
a raccoglierla e rimango per terra, contro il materasso morbido, e
Alphy non risponde. Lo ascolto chiudersi una porta alle spalle e
sedersi alla scrivania.
- Alphy, sei ancora lì?
- No.
- Voglio dire, sì, ma ti dispiace rimanere in
linea?
-
Figurati, tanto sto preparando la valigia.
La valigia l'ho quasi finita, ma non importa. Dall'altra parte del
telefono sento Alphy armeggiare con uno strano aggeggio di ferro, come
se stesse cercando di smontare un pannello rigido, o che so io.
Quasi riesco a immaginare la fascia di pile che gli scosta i capelli
dalla faccia, gli occhiali che gli scivolano sul naso per il sudore, e
la punta della lingua serrata tra i denti. Mi viene da sorridere.
- Ti ricordi di Beatrice? Mi ha
fatto recapitare tre completi eleganti da indossare alla conferenza,
visto che ci sarà una festa di Natale, - mormoro.
- Credi che dovrei farci un falò? A casa mia non si
festeggia, il Natale.
- Non lo so, sono...
Alzo gli occhi sulla scatola infiocchettata che ho trovato in camera ad
aspettarmi, e cerco di immaginarmi con addosso una blusa bianca
riccamente ricamata e dei costosi pantaloni di seta color indaco,
sospirando.
- Meravigliosi, purtroppo. E io non ho nient'altro da
mettere, a meno che non si possano indossare jeans e sneakers.
- Ah.
-
Se il mese scorso mi avessero annunciato che avrei partecipato a un
convegno
continentale sulla scienza, mi sarei sentita presa in
giro. E comunque, se fosse successo, sarebbe stato perché mi
avrebbero scambiata per Lilith.
- Penso di sì, - dice, ma è chiaro che
sto parlando
a me stessa, e che lui è distante, distratto, senza voce. Mi
mordo le unghie della mano destra e prendo tempo, ma potrei girarci
intorno tutta la sera, e ancora non saprei come spiegargli che Xanders
si è rifiutato di portarlo con noi. E allora ci scherzo su,
come
si fa quando non c'è niente da perdere.
- Alphy, so che ti sarebbe piaciuto venire a Chicago, ma se
non ti decidi a tornare io che posso farci?
Passano sette secondi prima che si ricordi di rispondere.
- Dovrei essere lì per il vostro ritorno.
- Ma?
Nessuna risposta. Dall'altra parte del telefono si sentono
nell'ordine: un ululo del vento, la pioggia che tormenta le finestre,
il rumore della carta che sfruscia, un singhiozzo.
- Alphy, che stai facendo?
Delle scartoffie violentate e delle viti cadono per
terra. Mi
rialzo piano, un ginocchio alla volta, e stavolta il telefono lo tengo
ben saldo con la mano, perché quando qualcosa sta per andare
storto, semplicemente lo si sente. Lo si sente al centro della testa, e
da lì con un'eco fino alla punta delle dita che sfrigolano,
come
se sotto vi avessero nascosto un intero formicaio.
Brutto presentimento. Era questa la sensazione che avevo provato prima
dell'attentato, ed era quasi la stessa.
- Alphy, - scandisco piano, - che succede?
E aspetto che risponda: "niente".
"Non è
successo niente."
E invece la sua voce esce fuori come se Alphy avesse visto
un fantasma.
- Qualcuno è entrato in camera mia.
- Cosa?
- C-credo che una figura estranea si sia introdotta nella
mia camera da letto.
- Gesù Alphy, calmati. Senti come parli!
- No no no, non posso calmarmi: qualcuno è
entrato in casa mia, Sybil!
Busso nervosamente contro la porta del bagno. Nessuna risposta, Shad
non c'è. Infilo le prime scarpe che trovo: sono umide, e
ricoperte di fango. Sono quelle che ho indossato per andare al lago,
che entrano a fatica e mi bagnano i calzini.
- Come fai a saperlo,- ansimo, - Hanno forzato la serratura?
- No, la serratura era intatta.
- E allora? Hai perso il portafoglio?
- Mancano dei documenti. C'erano dei documenti nascosti
dentro a una batteria che stavo costruendo.
Il tono di Alphy tradisce che sta perdendo il controllo della
situazione. Sfreccio verso la porta e giuro a me stessa che se questo
è uno stupido tentativo di convincere Xanders che a casa non
si
sente al sicuro e che dovrebbe lasciarlo venire con noi, gli
caverò i denti uno a uno.
- Ne sei assolutamente sicuro? Li avrai messi da qualche
altra parte, Alphy.
- Li ho consultati ieri sera e li ho rimessi apposto di
persona, quindi sì. Direi proprio di sì.
Faccio un ultimo tentativo per capire se sta bluffando. Adesso sono
immobile nel mezzo di un lungo corridoio di porte di legno.
- Lì avrà scoperti tua madre.
- Sybil, - dice lui, e io capisco che sta dicendo la
verità.
- Alcuni documenti nella batteria ci sono ancora, ma
non tutti. Non quelli che cercavo.
- E quali sarebbero i documenti spariti?
Ricordo il sorriso di Lilith prima dell'esplosione. Quel sorriso di
distacco che sembrava disegnato con un petalo di fiore, e il panico che
mi aveva assalito senza un motivo apparente prima del disastro, e so
che è lei. So che c'entra di nuovo lei.
Ed è Alphy a confermarlo.
- Sono i quaderni di Lilith. Tutti, dal primo all'ultimo.
Tutti
gli appunti che mi aveva chiesto di tenerle prima dell'attentato si
sono volatilizzati.
- Che c'era scritto? Alphy, devi dirmi che c'era scritto
là dentro.
- Non lo so. Erano incomprensibili. Porca miseria, non lo
so. Mi
disse che avrebbe avuto bisogno di me per rimetterli in ordine, e
così me li ha affidati.
Sto per gridargli contro, ma c'è un tonfo.
Secco.
Sento il respiro di Alphy che diventa un fischio, e mi tappo la bocca
con una mano. Poi la scosto piano.
- Alphy. Che.
Diavolo. Sta. Succedendo.
- C'è qualcuno di sotto.
- O mio Dio, smettila di prendermi in giro.
- Ho s-sentito qualcosa muoversi di sotto.
Sono come pietrificata, contro il muro. Penso a sua zia, che lavora
fino a tardi, e ai suoi genitori che tornano solo due volte alla
settimana e solo di venerdì e al fatto che sia strano che
sappia
queste cose,
- Rimani immobile.
- Non ti muovere.
- Alphy, non ti muovere, - dico, e comincio a camminare, e lui
non
parla. Penso a dove potrebbe nascondersi se avesse ragione: letto,
armadio, tetto, scrivania.
- Devo trovare Shad. Alphy,
-
- E se è lei? Se
è Lilith?
Adesso sto correndo verso l'ascensore, ma l'ascensore è
occupato
e allora corro verso le scale. La pioggia fa così chiasso
che lo
farà scoprire. Ecco che ricominciano i pensieri sconnessi.
- Non dire stronzate e chiuditi dentro.
Deve chiamare la polizia, e io devo chiamare Xanders. Se è
qualcuno dei Novi, qualcuno della Fazione sbagliata, è
lì
per finire quello che era stato iniziato.
Vogliono ucciderlo.
- Devo solo sapere se è lei, - sussurra.
E' terrorizzato e fiducioso allo stesso tempo.
Non so se i passi che sento sono quelli di Alphy o i miei,
che
rimbombano contro il marmo quando mi precipito di sotto, tre gradini
alla volta.
Riesco quasi sentire le parole sussurrate dai battiti dei nostri cuori.
Alphy, non lo fare.
Arrivo quasi al primo piano quando Alphy apre la porta di
camera sua ed emette un suono strozzato.
È a quel punto che scivolo.
***
Scarpe bagnate e sporche di fango, quelle di stamattina.
Reagiscono con il pavimento liscio.
Prima si fracassano contro un gradino le mani, poi le ginocchia, poi -
quando ruzzolo fino alla base delle scale - tutto il resto. Il
pavimento oscilla avanti e indietro, come se qualcuno ci stesse
giocando, e volesse farmi cadere. Troppo tardi, comunque. Sono
già per terra, e non parlo. Se parlo adesso, sarebbe solo
per
piangere del dolore insopportabile alle braccia. È come
quando
si battono i gomiti sulla sedia, e i nervi urlano tutti insieme e tutti
insieme si ritraggono e tu puoi solo contare i secondi prima che passi.
Solo dieci volte più forte. Apro gli occhi a filo della
pietra
chiara del pavimento, e inspiro dal naso. Espiro. Il movimento cessa
del tutto, e il dolore diminuisce.
Spero che non mi abbia visto nessuno,
almeno fino a quando non inquadro il telefono ancora intatto, scivolato
a pochi metri da me. Mi ricordo perché stavo correndo, e
rantolo.
Poi delle mani si chinano su di me - bianche e sottili, da musicista -
e io faccio segno di no con la testa.
- Il telefono.
Dico solo questo, ma Armand esegue.
Raccoglie il telefono e se lo porta all'orecchio, poi torna
verso di me e mi tiene ferma la testa.
- Allo?
Le
mie braccia sfregano contro il tappeto. Punto una mano, poi l'altra,
aspettando che l'adrenalina polverizzi definitivamente il dolore e il
fiato corto, ma
ancora non lo fa.
- È Alphy, - tossisco.
Per favore, dobbiamo
fare qualcosa.
Ma Armand non sembra convinto. Mi guarda con occhi
aggrottati, dritto in faccia.
- Alphy, allo?
C'è un vociare sottile dall'altra parte del telefono.
- Vous n'etes pas Alphy.
Armand piega la testa, come se fosse troppo confuso per guardare il
mondo per dritto.
- Pardon, à qui ai-je l'honneur?
- Je suis Armand Nevier, mais à
qui ai-je l'honneur?
La mia voce fa meno rumore di una goccia di pioggia. Mi tiro
su un po' alla volta, ma non ho il coraggio di intervenire.
- Armand, con chi stai parlando?
Le bocca di Armand rimane aperta a formare una parola, poi
il silenzio. Lui mi lancia un'occhiata seria.
- È caduta la linea.
- Che significa?
Gli strappo il telefono di mano, ma a lui non sembra
importare.
- Alphy sta bene? Dimmi che sta bene.
- Non era Alphy, - dice, e ha ancora quell'espressione
sospettosa sul viso.
- C'era una ragazza dall'altra parte.
Un gruppo di persone si avvicina, attirato dalla macchia di fango che
ho lasciato per terra. Non penso che si rendano conto di quello che sta
succedendo,
perché non ci riesco neanche io. Ma loro sono più
intelligenti, proprio come lei. Proprio come Lilith.
- C'era Alphy, - insisto.
- Hai detto che c'era qualcun altro in casa sua, - osserva.
Un ladro. Un sicario. Qualcuno.
Ricompongo il numero e non smetto di fissare Armand, aspettando che si
decida a darmi una spiegazione. Il telefono non squilla.
Poi Armand mi trascina via dal resto dei Novi, dietro il primo muro
abbastanza distante da non essere sentiti, e parla sottovoce, come se
non fosse sicuro che le sue parole abbiano un senso.
- Sybil, tua sorella sa parlare il francese?
Oops, quel
gâchis. Lilith est la première classe.
C'era una ragazza, dall'altra parte. E se è lei? Devo solo
sapere se è lei.
- Sybil.
- Sì, - dico.
Il francese lo parla bene.
- Sì.
Angolo Autrice:
capitolo di transizione, direi. Alcune persone mi hanno fatto notare
che forse avrei dovuto lineare meglio i personaggi che orbitavano
attorno alla protagonista, so here we are. Povero Nicholas,
però, quanta sofferenza ho in mente per lui. Immagino che
tutti
voi abbiate sentito parlare dell'effetto farfalla, che comunque
verrà ripreso nei capitoli successivi: "se una farfalla
batte le
ali a Rio, a New York si scatena un uragano". Almeno la teoria del
caos, quella dei se, dei forse, delle possibilità, dice
questo.
Profondamente inquietante, non trovate? Le battute in francese sono
state letteralmente tradotte su internet, e quindi sono sbagliate. E
niente, so che su efp
avete
rinunciato alla lettura di Entropy, ma posto lo stesso
perché mi
dà tanta giuoia *w* Vi mando un bacio: grazie alle persone
che passeranno di qui!
|