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Autore: Nimue_    11/08/2015    1 recensioni
1944, una giovane donna viene prelevata con la forza e condotta in un luogo di cui nemmeno nel peggiore dei suoi incubi avrebbe immaginato l'esistenza.
Settantaquattro anni dopo la storia si ripete, ma quando Sybil Crowford ne capisce il disegno è troppo tardi.
Sua sorella è sparita. Loro sono venuti a prenderla, e lei ha detto di sì.
[Distopica - YA]
Dal capitolo:
"Che succede se me ne vado senza salutare? E se mi invento una scusa qualunque? Sono libera di andarmene quando voglio. O forse no. Dipende tutto da lui.
- Tua sorella è davvero, davvero un'ottima chimica , - sorride.
Poi la porta del laboratorio si spalanca."
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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caos 3

Effetto farfalla: locuzione che racchiude in sé la nozione di "dipendenza sensibile alle condizioni iniziali" presente nella teoria del caos. L'idea è che piccole variazioni di tali condizioni producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.

CAPITOLO 9.
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Mi dispiace di averti lasciata da sola nei laboratori.
Mi dispiace di non averti confessato che avevo già preso impegni con Nicholas, e di non poterti rivelare quello a cui stiamo lavorando là sotto.
So che non andate d'accordo e mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto, ma non l'ho mandato io a cercarti: Nicholas c'è venuto da solo.


Nicholas c'è venuto da solo.

Di tutto quello che Shad continua a ripetere da quando sono tornata nella sua stanza è a questo che non riesco a smettere di pensare. Più che alle scottature, più che agli esperimenti che ho visto fare, e più che alle inquietanti parole Crichton; almeno fino a quando non mi ricordo perché mi trovo nella Villa, aspettando che Lilith torni a casa, senza sapere se è quello che desidero davvero o se lo sto facendo solo perché sembra il comportamento più scontato da mantenere: non abbandonare la propria sorella.
Mi siedo sul bordo del letto e lascio che Shad medichi le mie mani mangiucchiate dall'acido: le sue dita meccaniche sono come soffi freschi, mentre puliscono le ulcerazioni e ci applicano sopra una crema lenitiva; danno più sollievo del panno bagnato che stringevo fino a qualche minuto fa e di cui mi sono liberata in bagno.
- Ti faccio male?
La pazienza con la quale procede funziona da anestetico. 
- No, - dico piano, e accenno a un ringraziamento.
Shad scuote la testa, come se fare del bene, per lei, fosse un'inclinazione del tutto naturale e spontanea. Non distoglie lo sguardo dal suo lavoro.
Appena finisce di stringermi le bende attorno ai polsi mi cambio i vestiti saturi di polveri e infilo una tuta più comoda, lasciando la cerniera aperta sopra la maglietta. Ho ancora addosso l'odore pungente del laboratorio di Crichton, ma almeno sono presentabile.

- Sei arrabbiata con me, - osserva Shad.
Si slega la treccia bruna sulla schiena, districandosi un filo di perline rosse dai capelli. Il suo occhio meccanico trema in quel modo che è tutto nervosismo e interessamento, come se si aspettasse un rimprovero. Ma lo sono davvero, arrabbiata? Non con lei. Con tutti gli altri o solo con me stessa: le possibilità si riducono a questo.
Shad non ha nulla a che vedere con la piega che ha preso il mio umore questa sera.
- Figurati, - borbotto, poi mi abbandono all'indietro, tra le coperte del mio letto. Lo sfascio subito, perché vederlo ordinato al millimetro mi ricorda l'ospedale e i pazienti che andavano e venivano, e le lenzuola cambiate tutte le mattine per evitare i contagi.
Perché dovrei avercela con l'unica persona a cui importa davvero che io stia bene, comunque? Non sono così stupida da non averlo afferrato: Xanders mi ospita qui solo per potermi tenere sotto controllo. I Novi hanno paura di quello che accadrebbe se mi recassi dalla polizia e rivelassi tutto quello di cui sono a conoscenza. O peggio, se mi succedesse qualcosa e provassero di nuovo a uccidermi, sarebbero loro a doverne pagare il prezzo. Due sorelle scomparse in meno di un mese: niente male come scandalo da prima pagina. I Novi finirebbero per ritrovarsi i riflettori dell'intero Continente puntati addosso.

- Non dire più che ti dispiace, - sbadiglio, ma poi ci penso su, e allora aggiungo: - Sono solo preoccupata.
Faccio passare le lenzuola tra le braccia e affondo il viso nel cuscino: profuma di pulito, e di fiori e di qualcos'altro a cui non saprei dare un nome. Non si direbbe che abbia assistito a tanti sogni inquieti, senza impregnarsi dell'odore dei brutti pensieri.
Shad si accoccola in un angolo del materasso come se temesse di darmi fastidio.
- Per Lilith? - chiede.
- Per tutto. Sono giorni che ho scoperto la verità, e ancora Xanders non si decide a fare il primo passo.
Shad appoggia la testa contro il muro decorato di arabeschi dipinti. Le venature perlacee che le risalgono lungo il collo emettono un bagliore stanco, lo stesso che vedo riflesso nel suo sguardo. Mi chiedo se sia questo il confine che separa un semplice conoscente da un amico vero: riuscire a leggere tra le righe della sua espressione ed essere pronti ad affrontarne le conseguenze.
- Tu sei convinta che questa storia non si risolverà troppo presto, - azzardo. Tradurre la smorfia che cerca di nascondere è giungere a questa conclusione.
- Sybil, non è così semplice.
Certo che non lo è. Sono sempre i nodi che abbiamo il dovere di sciogliere, quelli più intricati.
- Ti ricordi quando ci siamo presentate?
- Sì, - annuisco, - eri contenta che non credessi alla faccenda degli esseri umani superiori.
Shad si stringe nelle spalle, e per un momento sembra solo una ragazza rannicchiata in una stanza troppo grande per due persone che parlano di argomenti tanto tristi.
- Non volevo che ti illudessi. Non volevo che credessi che i Novi sono perfetti. Continueranno a ripetertelo, Sybil: che siamo migliori, che abbiamo un codice genetico più prezioso del tuo e che andiamo protetti a qualunque costo, ma non è così che funziona.
Non l'avevo mai sentita così affranta, dalla voce quasi gracchiante e appena percettibile, come se non volesse correre il rischio che qualcun altro possa sentirla. Mi tiro su un braccio alla volta.
- Xanders si è messo in contatto con i rappresentati della nostra Fazione non appena sei arrivata qui, solo che non ha trovato il coraggio di dirti che è stato...ignorato.
Che cosa significa "ignorato"? Mi sporgo verso di lei per chiederle spiegazioni, ma per la prima volta Shad mi parla sopra, unendo le mani come a pregarmi di lasciarla finire.
- I rapporti tra i Novi sono più tesi di quanto non sembri, Sybil, e Xanders, questo, non lo aveva calcolato.
- Ti avranno parlato della frattura interna alla nostra Comunità, - continua.

- Lo hanno fatto, ma non riesco a capire quale sia il problema: mia sorella ha fatto saltare in aria una scuola, giusto? È una terrorista: i suoi rapitori devono consegnarla alla USD.

- No che non devono, e non lo faranno.
Adesso sono arrabbiata. Con tutti, con me stessa e con Shad. Da quando ho messo piede nella Villa non c'è stato nessuno che abbia condannato quello che è successo senza mezzi termini. A forza di tenermi buona a suon di non, di se e di ma, finiranno per mandarci la sottoscritta, in prigione.
- Non ce l'avete un codice penale?
- La nostra legge afferma che dobbiamo difendere la Specie prima di ogni altra cosa, e questo è ciò che è stato fatto. Lilith è stata salvata da morte certa, ricordi?
Salvata da un tentativo di suicidio messo a punto con meticolosa precisione. E non le è importato che quarantuno persone abbiano perso la vita a causa sua. Non le è importato che il Mondo sarebbe rimasto con il fiato sospeso per colpa di una ragazzina di sedici anni. O forse è proprio questo che voleva.
- Se è stata lei, deve pagarla.
Vederla finire in carcere sarebbe l'unico modo per sistemare le cose, ma anche in quel caso niente tornerebbe più come prima. Resterebbero la vergogna e le minacce della gente, come macchie indelebili sulla fedina della mia famiglia. E soprattutto dovrei fare i conti con un segreto dal peso insopportabile: quello di una sorella che non è semplicemente umana.
Accartoccio le coperte. Devo smettere di pensare a quello che accadrà dopo, o c'è il rischio che rinunci a Lilith una volta per tutte.
- Non sto dicendo che tua sorella non verrà punita, - precisa Shad.
- Sto dicendo che verrà punita da un tribunale di Novi come lei, e che l'ultima cosa che loro vogliono è allontanare ancor più le Fazioni per colpa sua.

- Nessuno di noi lo vuole, - aggiunge, come se sentisse il dovere di scusare la propria specie.
L'ultima luce del giorno - di un blu assonnato e cupo - si ritira verso la finestra. Nel buio del loro angolo le protesi di Shad accennano a una fluorescenza che serpeggia fino al mio ginocchio.
Sento la pressione delle sue dita.
- Se è una bugia che vuoi, cercherò di inventarmene una.
Le tiro il cuscino, ma sbaglio mira.
- Vada per la verità: se il prezzo da pagare affinché i Novi rimangano uniti è assolvere Lilith e chi l'ha presa con sé, il Comizio lo pagherà, almeno fino a quando sarà possibile.
- Lo pagherà, perché la ferita che la Rottura ci ha inflitto è stata troppo grande: ci sono famiglie di Novi spezzate a metà, Sybil; amici da una parte e compagni dall'altra; figli chiamati a scegliere uno solo dei loro genitori; nipoti che non hanno mai conosciuto i loro nonni.

- Io sono stata fortunata, - continua.
 - I miei hanno preso la decisione più giusta, crescendomi nella Fazione a cui apparterrò fino al giorno della mia morte, perché credevano che se tra dieci miliardi di possibiltà che il nostro codice genetico subisse una mutazione i Novi hanno cominciato ad esistere, questo non vuol dire che siamo superiori agli altri esseri umani.
Si tocca la spalla, il collo, l'orecchio sintetico. Rabbrividisce, e io so che sopporta a stento di guardarsi allo specchio ogni mattina, o di vedersi riflessa nelle espressioni attonite degli altri.
- Guardami, - dice, e io non vorrei farlo, ma l'accontento.
- Ti sembro forse un essere superiore? Nel mio corpo non ci sono che due organi interamente miei; il resto è stato più o meno danneggiato e riparato artificialmente, con tessuti coltivati in vitro o inserzioni inorganiche. Sono una macchina, un automa, ma per molti dei Novi il mio DNA sarebbe sufficiente a reclamare il diritto di mettervi da parte. Te, e quelli come te.
- Adesso capisci quanto siano diverse le nostre opinioni? Riesci a crederci?
Ci riesco, perché so quanto possano essere affilate le idee. In passato i Novi dovevano costituire un nucleo compatto, ma un giorno quel nucleo è stato tagliato a metà, senza prima stabilire quali conseguenze avrebbe avuto una soluzione così drastica. Queste persone sono spezzate esattamente come tutto il resto.
- Non puoi chiederci di metterci di nuovo l'uno contro l'altro. Pensa ad Armand, che ha visto andarsene nell'altra Fazione la persona che amava; a Nicholas, Ton-
- Che è successo a Nicholas?
Shad si preme una mano sulle labbra. Sembra pentita di aver fatto il suo nome.
Troppo tardi.
- Non lo dirò a nessuno, promesso. Sai che puoi fidarti di me.
Qualunque tentativo di dissimulare il mio interesse è fallito prima ancora di cominciare, ma devo saperlo. Adesso che ho la certezza che Reichenbach stia nascondendo qualcosa, desistere è impensabile. Ogni fibra del mio corpo è allungata verso la verità.
- Shad, terrò la bocca cucita.
- Non rivelo mai i segreti che mi vengono affidati, - sussurra, - ma non ho mai fatto promesse su questo. Io e Nicholas non ne abbiamo mai parlato.
- A dire il vero non ne abbiamo mai parlato con nessuno.
L'indecisione nel suo sguardo è palpabile, ma alla fine la vedo perdere terreno. Mi faccio più vicina a lei e incrocio le gambe, con la faccia tra le mani e la medaglietta di mia nonna tra i denti. Assaporo l'argento rovinato, fino a quando la parola che ci è incisa sopra non mi sfiora le labbra, e aspetto.
Shad, lotta contro il bisogno di confidarsi.
- Avere un'amica è terrificante, - ammette.
Sorridiamo, e  ma alla fine Shad mi racconta una storia.
La storia di Nicholas Reichenbach.
***

- I Novi sono chiamati alla conservazione della loro Specie.
- È un dovere morale, più che un obbligo, ma le famiglie numerose sono quelle che più vengono tutelate dalla Comunità. In un certo senso avere un figlio unico è come scegliere di non fare abbastanza: il valore genetico è minimo e a perdere. Due Novi per farne uno? La matematica non è d'accordo. Però Nicholas è proprio questo: un figlio unico dalla massima purezza genica. Tutti si aspettavano che i suoi genitori gli dessero almeno un fratello o una sorella, ma si sbagliavano. Quasi non ne ebbero il tempo.
- Quando i Novi si separarono, subito dopo la Rottura, la madre di Nicholas lo costrinse a compiere una scelta: andare con lei e parteggiare per la Fazione massimalista o rimanere con suo padre e crescere tra di Noi. Non so dirti se le divergenze di ideali tra di loro fossero così gravi da convincerli ad allontanarsi, ma come puoi immaginare Nicholas si decise per la seconda opzione. Nonostante tutto riuscì a superare l'abbandono di sua madre, e divenne uno dei ricercatori più promettenti dell'intera Comunità. Viveva a Friburgo con suo padre, ma non ci rimaneva mai per molto. Gira voce che tutte le Ambasciate della Fazione lo volessero. Lo vogliono ancora, in effetti.
Shad fa una pausa e si stropiccia la guancia sana.
- Mi hanno detto che è stato a Ginevra, a Cambridge e a Trieste, - sorride, ma una lacrima silenziosa le scivola sul naso. L'occhio meccanico invece è asciutto; il piccolo obbiettivo che c'è dentro si sposta avanti e indietro, come una bolla d'aria che sta per risalire in superficie e all'improvviso si rituffa in acqua.
Io sono ripiegata su me stessa, e non ho la forza di muovermi. Ma ogni secondo che Shad si concede è un'agonia in cui la mia mente si arrovella e pensa a storie tutte sbagliate.
- Poi? - la incalzo, e subito mi pento di averlo fatto.
- Poi, due anni fa, suo padre si ammalò. Di cancro. Leucemia.
Cancro.
Cerco di sbarrare la strada al ricordo di mia nonna nel suo ultimo mese di vita. La testa gonfia come se le tempie avessero dovuto scoppiarle, gli occhi sporgenti, il corpo appesantito. La bocca ferita e spoglia del suo vecchio sorriso. Un sorriso lontano, perduto, che ho cercato fino all'ultimo istante anche a costo di darle il mio. Di darlo alla persona che più amavo al Mondo, e che più mi sarebbe mancata al Mondo, e che lo avrebbe fatto sembrare vuoto senza la sua presenza.
- Nessuno riusciva a crederci, sai? Quello che per voi è un male così comune, per i Novi è un caso talmente raro che...
Shad si schiarisce la gola.
Una possibilità su sterminate altre alternative. Eppure è successo.
- Il signor Reichenbach era un chimico molto stimato, ma i suoi esperimenti lo portavano ad assorbire radiazioni su radiazioni.
- È morto, - sussurro, - vero?
Shad annuisce, ma non cerca di nascondere che sta tremando.
- E Nicholas è rimasto da solo. Nonostante tutto, da quello che dicono, sua madre non ha più voluto sentir parlar di lui.
Se lo avessi saputo.
- Se lo avessi saputo, - comincio.
Ma se lo avessi saputo che cosa sarebbe cambiato? Che cosa sarà cambiato, quando ci incroceremo di nuovo nei corridoi? Io saprò che lui ha sofferto, nient'altro. Quando incontriamo qualcuno possiamo essere sicuri che almeno una volta nel corso della sua vita ha pianto. Questo non impedisce a nessuno dei due di fare del male all'altro, perché il passato non è sempre una giustificazione.
Eppure la mia pelle, sotto la gola, tira così forte che potrebbe strapparsi. E non ho voglia di respirare, perché con l'aria uscirà anche il dispiacere che provo in questo momento, e Shad se ne accorgerà. Perché si deve morire per forza, se si soffoca? 
- Lo sanno in pochi, - continua Shad.
- Io stessa ne sono entrata a conoscenza per puro caso. Quando suo padre morì mi trovavo nello stesso quartier generale della nostra Fazione, a Chicago. Ci portano là, se non possiamo essere curati nelle Ambasciate.

- Io vi alloggiavo da quasi un anno, - continua.
- Dovevano ancora montarmi la gamba, ma dal giorno dell'incidente stavo meglio. Il dolore era sopportabile, così non dovevano sedarmi troppo spesso e potevo rimanere cosciente.
- Tutto quello che ricordo, comunque, è di essere stata svegliata da un grosso baccano. Era come se qualcuno avesse fatto irruzione nell'ospedale e avesse deciso di buttarlo giù a calci. Chiesi
a mia sorella di spostare la tenda della mia stanza, e lui era lì, dall'altra parte: un ragazzo furioso. Il ragazzo più furioso che abbia mai visto. Rompeva vetri riempendoli di pugni; faceva a pezzi coperte, fogli e vestiti. E urlava. Quanto urlava, Sybil... come se avesse dovuto sradicarsi l'anima a suon di grida.
Reichenbach? Per quanto mi sforzi di immaginarlo, non ci riesco.
- Perché?
- Perché nell'esatto istante in cui suo padre si spense, lui non c'era. Passava ore e ore seduto al suo capezzale, cercando di aiutare i medici che si occupavano di lui, ma la Fazione non ammetteva ritardi nella sua preparazione. Erano mesi che Nicholas studiava da autodidatta, e quella volta, sebbene fosse andato fuori a prendere una boccata d'aria, si era portato dietro una mappa stellare che aveva cominciato a disegnare quando era arrivato.
Shad si asciuga la guancia con una manica del pigiama.
- Successe e basta. Suo padre morì, e lui non c'era. Era fuori a ricalcare le stelle per ordine della Fazione.
- Non l'ho più rivisto fino al giorno in cui è arrivato nella Villa. L'alternativa per lui era quella di tornare a studiare in Europa, da dove i suoi genitori si erano trasferiti, ma da quelle parti la Rottura aveva avuto le conseguenze peggiori. Il nucleo della Fazione scelse di tenerselo vicino, ma fu lui a chiedere di essere ospitato in Minnesota: è un posto tranquillo, questo, lontano dagli Istituti troppo affollati. È stato un caso che anche io mi fossi ritirata qui.
Quando riesco a riprendere il controllo della mia voce nella stanza è sceso il freddo, e fuori è buio. Dubito che Shad abbia intenzione di andare a cena, e anche io sono disposta a rimanere a digiuno. Nella mia testa guizzano immagini che in questo momento non ho la forza di scacciare. C'è un principe che esce da una porta di vetro, e suo padre è vivo, e non si dicono addio. C'è un principe che rientra dalla stessa porta di vetro, e suo padre è morto, e non si sono detti addio.
- Lui ti ha riconosciuto? - deglutisco.
- Abbiamo fatto finta di non conoscerci, - ammette, - ma Nicholas sa che io l'ho visto. So che lo sa.
Ripiombo nel silenzio dentro e fuori. Adesso ce la metto tutta: mi concedo pensieri brevi, stando ben attenta che non siano sensati, almeno fino a quando Shad non mi scuote con una mano.
- Stai bene?
- Sì, è solo che...
Mascella intorpidita per colpa dei denti serrati troppo a lungo. Vista compromessa dal rifiuto di sbattere le palpebre. Il mio corpo è paralizzato dalla stanchezza e dallo sconforto.
- Ci si aspetta che le persone che conoscono il dolore siano quelle decise a risparmiarlo agli altri.
Tu lo fai, e invece Nicholas no. Tu lo fai, e Lilith non lo ha fatto.
Shad fruga nel suo cassetto delle belle parole e della fiducia nelle persone. Non so come, ma ci riesce.
- Io credo che gli esseri umani siano delle creature sociali. Che abbiano bisogno di non sentirsi soli, per vivere. E credo anche che per Nicholas, essere solo, voglia dire essere il solo ad aver sofferto tanto. O almeno lui pensa di esserlo. Per sua madre, per suo padre, e per le aspettative che entrambe le Fazioni avevano e hanno su di lui.
- Non lo accetta, e vuole che gli altri abbiano la loro parte di pena, ma allo stesso tempo si sente migliore di chiunque altro per essere riuscito ad andare avanti. Vuole capire perché è toccato a lui, e non ad altre persone, ma non ce la fa. Certi problemi la scienza non li risolve, Sybil, e questo lui non riesce a sopportarlo.
- Ha senso quello che sto dicendo, secondo te?
Che importa se ha senso o no, questo mi chiedo. Continuo a farlo anche quando mi stringo a Shad, e dico solo che non è niente, davvero, e che voglio solo un abbraccio. Non uno qualunque, ma una stretta umana e artificiale insieme, perché sono una creatura sociale e non voglio sentirmi sola.
E allora forse un senso c'è, perché quello che prova Nicholas è quello che provo io ogni volta che mi arrabbio: un male banale, egoista, che mi piacerebbe estirpare da me e abbandonare sulle persone. Perché tra tutte le cose che vorrei fossero solo mie, non ci sono la delusione, la paura di quello che sarà domani, di quello che è stato ieri e che si è perso, e quella di non avere la forza per non soffrirne. Tutto questo vorrei che appartenesse ad altri. Tenetevelo, è vostro.
Io ne ho avuto abbastanza. E forse anche Nicholas.

***
Oggi il lago che si estende oltre l'ala Est della Villa è argento fluido.
Del colore del mercurio, a detta di Leslie, che mi scarica tra le braccia una valigetta di plastica lucida e sbuffa per la fatica.
- Fai pure! - strepito, ma l'unico risultato che ottengo è una linguaccia.
Leslie è così eccitata da non accorgersi che l'aria sta cambiando; insisto affinché torni dentro e si metta un cappotto, ma il vento gelido che ci scortica la faccia non ha effetto sul suo entusiasmo. Intorno a noi un gruppo di sei o sette bambini si rincorre tra gli alberi in cerca di campioni da prelevare e osservare in laboratorio. Riconosco uno dei fratellini di Armand, Grégorie, dallo stesso faccino appuntito e le labbra come due ciliegie a cui viene voglia di rubare il colore. Dalle sue tasche cadono vetrini e provette, ma quando faccio per raccoglierle è già scomparso nella distesa di conifere che separa l'edificio da qualunque cosa vi sia aldilà del bosco.
- Potrebbe essere pericoloso, - osservo. Forse dovrei tenere d'occhio i più piccoli, ma Leslie sembra un po' troppo divertita all'idea.
- Che t'importa di loro? Al lavorooooo!
Ho ottenuto il permesso di uscire dalla Villa in qualità di "assistente" di Leslie, ma questo vuol dire che devo correrle dietro per due o tre ore ogni pomeriggio. Il mio compito è quello di trascrivere i dati che mi vengono dettati tra un prelievo e l'altro, sebbene il più delle volte il paesaggio finisca per distrarmi. Sono giorni che cerco di localizzare questo posto, ma il telefono che mi hanno prestato funziona solo per ricevere o fare delle telefonate. Il mio - lo schermo rotto, i tasti mancanti - non era al sicuro da intercettazioni estranee, così Xanders se n'è liberato.
- Concentrazione salin -
C'è un colpo di tosse smorzato dal fruscio degli aghi di pino, dal loro profumo fresco, dalla loro immagine che si specchia sulla superficie del lago.
- Mi stai ascoltando? Qual è la concentrazione salina della fonte?
- Non mi stai ascoltando.
Leslie tira uno schiaffo sull'acqua e uno schizzo mi raggiunge in piena faccia.
È ghiacciato. S'intrufola giù per il collo e sulla schiena, fino alla cucitura dei pantaloni. E io lascio cadere la valigetta.
Contagocce, microscopi portabili, guanti impermeabili e decine di strumenti senza nome ruzzolano lungo le sponde del Lago, ma io ne afferro uno al volo e glielo tiro.
- Ahiaaaaa! Sybil Crowford, sei licenziataaaa!
Recupero un altro utensile - un disco di plastica dallo spessore di due dita - e la centro sulla testa. Non aspettavo altro che di dare le dimissioni, ma a quanto pare Leslie mi ha preceduto. Tira su con il naso, quel naso che è appena un apostrofo roseo e sottile, e se ne va con il broncio di una bambina che mi arriva al petto.
- Avevano ragione su di te, - singhiozza, e corre via.
Chi avesse ragione su cosa, però, non se lo lascia sfuggire.
Nemmeno perdo tempo a seguirla con lo sguardo: poggio le ginocchia sul prato, raccogliendo quello che è rimasto del kit di prelievo più lentamente che posso, visto che non ho intenzione di rientrare fino a quando Leslie non ci avrà dato un taglio. E poi qui mi piace. Fuori.
L'erba è umida a contatto con i miei vestiti, ma soffice, e sottoterra riesco quasi a percepire le radici degli alberi che s'intrecciano in una catena resistente che protegge i boschi intorno alla Villa. Sopra di me i rami si aprono come braccia spalancate a un altro respiro, e non c'è niente che ricordi le piante malate della mia città, dai fusti rachitici e la corteccia che si sfalda. Non ci sono strade d'asfalto spaccato, ma sentieri ordinati che si immergono nel verde. Non ci sono isole di plastica nell'acqua, ma animali vivi, alghe colorate, e superfici che riflettono il cielo. I cervi non devono avere paura di essere cacciati.
Dopo aver rimesso ogni strumento a suo posto faccio scattare la sicura della valigetta e torno in piedi; le ginocchia tirano un sospiro di sollievo, ma ho le dita congelate e faccio fatica a muovermi.
Perché a Marshall non c'è niente di tutto questo? Perché gli anni della Rottura ci hanno portato via cose che qui esistono ancora, e come noi non le abbiamo mai viste?
In lontananza riesco ancora a scorgere i bambini. Giocano nel prato, ma non pestano i fiori dell'Inverno; catturano rane e girini, li osservano con obiettivi d'ingrandimento, ma poi li ributtano in acqua senza fargli del male.
Potrebbe essere questa, al risposta. Forse i Novi hanno avuto di più perché lo meritavano. Perché non hanno divorato l'ozono, né perso il controllo di armi chimiche, né sfruttato illegalmente Paesi che non gli appartenevano.
E forse, forse, se il Mondo fosse stato loro, niente sarebbe andato in pezzi.
È il pensiero di un istante, prima che mi tornino in mente le parole di Shad: i Novi vogliono far credere di essere perfetti, ma non è detto che lo siano davvero.
Un leggero solletico sulla guancia mi riporta alla realtà. Con la coda dell'occhio mi accorgo che sulla mia spalla si è posata una farfalla.
Trattengo il respiro. Colgo un'iridescenza azzurra che sfuma dal nero al bianco, ma non oso girare la testa per studiarla meglio. Ho paura che voli via, e io non vedevo una farfalla da secoli. La valigetta pesa e le braccia mi fanno male; penso a un modo per cambiare posizione senza lasciarla scappare.
Ma non ho bisogno di trovarlo, perché qualcun altro agisce a posto mio.
Con una mano sulla mia spalla, rovinata e squamosa, e la pelle che sa di zolfo.
Mi sottraggo al suo tocco con una piroetta e in un gesto rapido, quando mi volto, un uomo sporco di fango mi mostra la sua preda.
- Guarda, - sorride Crichton, - Limenitis Arthemis.
- Una farfalla.
***
 
Non ho bisogno di Nicholas per capire che Crichton non dovrebbe trovarsi qui. L'uomo del laboratorio, il chimico eremita che non lascia mai i sotterranei della Villa a meno che non sia Xanders a richiedere la sua presenza, non dovrebbe girovagare per i boschi mentre lo fa la sottoscritta. E scommetto che prima d'ora non era mai successo.
Seguo l'insetto prigioniero delle sue dita: dieci centimetri di colore racchiusi in una gabbia smunta che le vibrazioni spaventate delle antenne sembrano aver paura di toccare.
- Ciao, Crichton.
- È così raro trovarne una in questo periodo dell'anno, - osserva.
- Questa specie vive fino ad Ottobre.
- Ormai non fa più così freddo, d'Inverno, - rispondo, ma allora perché mi è venuta la pelle d'oca?
- Non mi aspettavo di incontrarti qui, - continuo.
- Ci vivo.
Faccio scoccare la lingua. Risposta stupida ad affermazione ancora più stupida.
Approfitto di una folata di vento per alzarmi il cappuccio sulla testa e poterlo osservare meglio senza risultare inquietante. Crichton indossa il solito camice macchiato, ma questa volta le tasche sono piene di terra bagnata; la stessa incrostata sotto le sue unghie.
- Non sei più venuta a trovarmi da quando Nicholas è venuto a prenderti. Stai con lui, adesso?
- Cos- cosa? No! No, è che... ci sono tante cose da vedere in questo posto.
- Se ti ho spaventata, ti chiedo scusa.
La sua voce è tranquilla e i suoi occhi sono sinceri.
- Vuoi che la liberi? - chiede, e sulle sue labbra scorticate si apre una smorfia gentile. Io sopprimo un ghigno inorridito: che altro potrebbe fare, schiacciarla?
- Sì. Lasciala andare, Crichton.
Dall'altra parte del lago Leslie mi grida di tornare dentro, sbracciandosi fino a quando la maglia non si alza a scoprirle la pancia: Xanders mi vuole nel suo studio.
Torno a guardare Crichton e mi sforzo di essere educata. Non posso avercela con lui perché è un tipo strano, ma l'ammonimento di Nicholas è stato fin troppo chiaro.
- Dico sul serio: liberala.
Crichton apre le dita di scatto.
La farfalla non fugge immediatamente: muove le alucce per tastare l'aria, come se non riuscisse a credere di essere ancora viva; come se avesse dimenticato come si vola. Poi, all'improvviso, si libra in alto, e io e Crichton la seguiamo con lo sguardo mentre se ne va.
- Ecco fatto, - dice lui, e io lo saluto.
- Ci vediamo dentro, allora. E non preoccuparti, non mi hai spaventata.
Sto mentendo.

Il cielo si è fatto più pesante, e sento sempre più freddo. Crichton rimane al suo posto fino a quando la farfalla non scompare e le prime gocce di pioggia non gli bagnano la faccia.
- Ecco fatto, - ripete.
- Arriva un uragano.

***

Raggiungo l'ingresso quando è ormai troppo tardi: sono fradicia di pioggia, con i capelli appiccicati al collo e le scarpe zuppe che spumano ad ogni passo. Restituisco la valigetta a Leslie che con un singhiozzo mi addita a sua "ex-dipendente", poi mi allontano dal coro di bambini urlanti dell'ascensore e salgo su per le scale.
Sogno una doccia calda, dei vestiti asciutti, qualcosa da mangiare; qualunque distrazione possa levarmi di dosso la pressione della mano di Crichton dalla spalla. 
Apro la cerniera del cappotto e ne scivolo fuori tra uno scalino e l'altro, trascinandomi un piede alla volta. È a quel punto che me li ritrovo di fronte, mano nella mano come due bambini sul punto di attraversare la strada, più che come due innamorati: Nicholas e Beatrice.

- Oh.
Sussulto.
Sulle alte vetrate della scala piovono proiettili d'acqua e foglie portate dal vento, ma l'interno della Villa è protetto dalle temperature ostili di Dicembre.

- Scusate, - mugugno, e abbasso gli occhi per non incrociare quelli di Nicholas. Non ho fatto altro che evitarli da quando Shad mi ha raccontato di quello che gli è successo, ma Beatrice non ha intenzione di scansarsi e lasciarmi passare.
- Ti hanno chiuso fuori?
Anche Nicholas tenta di imitare la sua espressione divertita, ma non ci riesce. Credo che abbia fretta.
- Ho solo cercato di andarmene da questo posto, ma mi hanno riacciuffata, - dico. Se non avessi il fiatone, riuscirei a batterla per scortesia.
Entrambi si scoccano un'occhiata atterrita. Potrei essermelo immaginato, ma le dita di Beatrice si artigliano attorno alla mano di Nicholas.
- Sta scherzando, - sottolinea lui, affrettandosi a nascondere il disagio. Fa per tirarsela dietro.
- Dovresti sbrigarti, Xanders ci ha convocato di sotto.
Giusto.
- Ditegli che sto arrivando, okay?
Non lo faranno: la mia entrata in scena sarà ancora più spassosa, con un contorno di ritardo.
- Ah, e...Nicholas!
Lui non si ferma nemmeno quando lo raggiungo di nuovo. È Beatrice a voltarsi prima ancora che lo faccia lui, così ingoio l'impulso di spingerli giù dalle scale e mi asciugo gli occhi con la manica della felpa.
- C'è una cosa di cui ti devo parlare, - ansimo.
- In privato, se possibile.

La novità è questa: lui sussurra a Beatrice un "ti raggiungo subito" piuttosto svogliato, e perfino insiste quando lei si rifiuta di lasciarci. Sinceramente non capisco che cosa abbia da temere una come lei, che riesce a convincere il proprio ragazzo a indossare pantaloni coordinati ai suoi, ma alla fine ignoro con successo le sue battute velenose.
- Sappi che non lascio che ragazze così carine rimangano da sole con lui, - sorride.
Ma guarda, adesso sarei carina: eppure fino a ieri ero una sottospecie di essere umano. Le sorrido anche io.
- E per fortuna. La voglia di strozzarlo quando non ci sono testimoni in giro è insopportabile.
Adesso smamma.
Nicholas sbuffa amaramente, ma Beatrice si alza sulle punte dei piedi per baciarlo. È un bacio affamato, di denti che stringono le sue labbra, e braccia attorno alla vita e seta che struscia contro della stoffa costosa. Io guardo fuori: non ho intenzione di giocare a un gioco così infantile.
Alla fine Beatrice se ne va, portandosi dietro il suono di tacchi spessi contro il marmo, e Nicholas alza gli occhi su di me come se non vedesse l'ora di andarsene.
- Hai più o meno venti secondi prima di annoiarmi del tutto.
- Tanto di più non ti sopporto: Crichton mi ha seguito giù al lago.
Credo di aver fatto centro.
- Impossibile, non esce mai dal suo appartamento.
- Me lo sono ritrovato dietro, Nicholas!
Scendo qualche gradino più in basso, disseminando orme frastagliate d'acqua sporca, ma lui non si muove. Trattiene il mento leggermente alzato, come fa sempre: essere quello che viene guardato dall'alto in basso deve consumargli il fegato.
- Gli
hai detto qualcosa che possa averlo spinto a interessarsi a me?
- Mi pare che ci fossi anche tu, quando sono entrato nel suo laboratorio, - dice.
- Ti sembra che gli abbia anche solo rivolto la parola?

- Intendo dopo. Quando sei tornato di sotto. Perché sì, - alzo le mani, - ti ho visto.
Lo vedo calcolare la situazione. Impiega due secondi a superare l'esitazione.
- Avevo dimenticato degli appunti nella mia cabina, motivo per cui sono sceso e li ho recuperati. Non devo darti altre spiegazioni.
Questa volta è lui ad andarsene per primo, ma sono decisa a non permetterglielo.
- Scusami se almeno qui dentro vorrei sentirmi al sicuro! - grido, e la mia voce viene trasportata lungo tutta la lunghezza delle scale, e Nicholas non può non tornare a guardarmi, anche se è in ritardo, ed è atteso da qualche altra parte. Anche se lo siamo tutti e due.
Le sue guance s'incavano come se le stesse mordendo, e io, per riflesso, faccio lo stesso.
- Sei al sicuro, - mormora, e io non ho idea dei pensieri che si camuffino dietro le sue parole. Le sensazioni, se ci sono, le bugie, le verità: Nicholas mi taglia fuori. Stringo il cappotto bagnato al petto.
- Gli dirò di lasciarti in pace, qualunque sia il motivo per cui è interessato a te.
Non lo dice piano, né ad alta voce. Piuttosto modula con estrema attenzione ogni accento o forma d'intonazione. Per adesso è abbastanza, e io annuisco.
Grazie.
È così semplice da dire: sei lettere tutte d'un fiato per due sillabe. Ma in verità non lo è per niente, o riuscirei a farlo e a smettere di litigare con il ragazzo che disegnava le stelle mentre suo padre moriva di cancro.

- È meglio se ci sbrighiamo, - dico invece. Ventuno lettere tutte d'un fiato per otto sillabe, e nonostante tutto meno complicato.

***
La riunione è già cominciata da un pezzo quando con una scusa imbarazzata e sotto lo sguardo curioso dei Novi prendo posto sul fondo della stanza.
Shad si alza sulle punte per bisbigliarmi qualcosa nell'orecchio: - Ci sono novità.
Mi tiro di lato di scatto per cercare la traccia di uno scherzo nella sua espressione, ma qualcosa mi suggerisce che è seria. Rilasso i pugni e cerco di recuperare il filo del discorso di Xanders, finendo di sistemarmi una camicetta spiegazzata sulla pancia. Individuo Nicholas e Beatrice su uno dei divani che guardano alla scrivania, stretti tra Armand e una ragazza dai capelli cortissimi.
- Come stavo dicendo, - riprende Xanders, - tra tre giorni, a Chicago, avrà luogo l'edizione annuale dell'esposizione promossa dalla nostra Fazione.
Le sue guance sono più arrossate del solito, ma resta da chiedersi se questo sia il risultato del caldo del salotto o dell'eccitazione. La linea di barba ramata che si è lasciato crescere non aiuta a dargli un'aria più matura, e perfino il ricciolo sapientemente acconciato sulla sua fronte pare quello di una caricatura.
- Senza contare quelli di voi che avranno un ruolo attivo all'interno dell'evento, ogni singola persona presente in questa stanza è stata invitata.
Ad eccezione della sottoscritta, è chiaro.
- Non siete obbligati a partecipare, ma gradirei che alcuni di voi fossero presenti, soprattutto coloro che l'anno scorso hanno declinato l'offerta.
Passa in rassegna i ragazzi stipati nell'ufficio, indicandoli con un dito.
- Toni, Ren, Shad, Armand e naturalmente Beatrice: avete già confermato la vostra adesione.
- Charles, Hellen, Faraa - non dirmi di no anche questa volta, signorina, - Louis e Dave: mi auguro che vorrete accompagnarci.
- Ci siamo anche io e Kira.
Una figura si alza dal centro del salotto, alta e piazzata. Riconosco Sam, dal viso troppo dolce per un corpo così robusto, che fa apparire piccoli tutti gli altri.
- A dire il vero, Sam, avrei un favore da chiedere a voi due, visto che siete i più grandi.
- Sia io che Amelia vi accompagneremo all'esposizione, quest'anno, e con noi verrà anche Daemon. Ho bisogno che qualcuno rimanga a guardia della Villa mentre saremo via, prendendosi cura dei bambini.
Nello studio si alzano decine di voci tutte insieme. Qualcuno si guarda intorno con aria interrogativa.
- Ragazzi, ragazzi! Per favore, silenzio. C'è stato un cambio di programma: sarà Amelia a coordinarvi durante l'esposizione. Io sarò comunque presente, ma in qualità di rappresentate di Sybil Crowford.
- Okay, aspettate un momento, - sventolo un braccio, - cosa?
- Sybil, l'evento a cui parteciperemo è un convegno su scala mondiale, dove verranno esposte ricerche e progetti alla quale i Novi di tutto il Pianeta stanno partecipando.
- Shad mi ha fatto notare che potrebbe essere un'occasione importante per portare all'attenzione generale il caso di tua sorella, visto che il Comizio non si è ancora espresso compiutamente a riguardo. Non sarà come convocarlo per via ufficuale, ma saranno presenti alcuni dei Novi più influenti di entrambe le Fazioni, persone che potrebbero spendere una buona parola per il tuo caso.
Non credo di aver capito bene.
- Ci saranno le persone che hanno sequestrato mia sorella?
- Non sappiamo quale particella della Fazione opposta stia effettivamente ospitando Lilith, se quella centrale o quella di un'unica delle loro Accademie. Del resto anche i membri di questa Villa sono solo una minuscola parte della nostra comunità. Siamo intervenuti perché eravamo i più vicini a Marshall, e quindi gli unici che tenevano d'occhio tua sorella periodicamente.
Quindi ho capito bene.
- Va bene lo stesso, - annuisco, - è già qualcosa. Quando partiamo?
- Noi partiamo dall'aeroporto di Minneapolis tra due giorni. Tu resti qui.
- Xanders, non era questo il patto. Avevi promesso che sarebbe venuta anche lei, - dice Shad.
Avrei dovuto aspettarmi che l'idea non fosse merito di Xanders. Delle volte dubito del fatto che riesca anche solo a organizzare i propri pensieri.
- Shad ha ragione. Dovrebbe venire con noi.
Beatrice liscia la camicia di Nicholas con gesti delicati; l'ombra di un sorriso vibra nel suo sguardo quando tutti prendono a fissarla. Sospetto che fosse l'ultima cosa al mondo che ci saremmo aspettati di sentirle dire.
- Via, non vorrete lasciarla qui! Avete davvero paura che le facciano del male davanti a tutte quelle persone?
Stringo le labbra. Sento ancora il sapore del cioccolato che ho arraffato in camera, ma il retrogusto adesso è amaro.
Colgo un imbarazzato incrocio di sguardi dall'altra parte della sala circolare, poi Xanders si alza in piedi e comincia a passeggiare avanti e indietro per la stanza.
- Quando partiamo? - gli chiedo di nuovo.
- Preferirei che rimanessi qui, se sei d'accordo.
- Non sono d'accordo. Shad ha avuto un'idea brillante. Quando partiamo?
- Non otterrai niente che non possa ottenere io confrontandomi con chi dell'altra fazione sarà presente. I miei superiori hanno già convocato un incontro per discuterne: se davanti alle nostre accuse i Novi confesseranno che Lilith è colpevole di quell'attentato, avrà inizio il processo a suo carico e noi entreremo in scena per riportarla a casa.
- Perfetto, ma vengo anche io. Sono una testimone oculare e sono quasi stata uccisa da quelle persone.
- Discuteremo anche dei danni a tuo carico, ma...
- Xanders, ho il diritto di incontrarli, - dico. Non accetterò che vengano prese decisioni alle mie spalle, questa volta: se Xanders sta per commettere un errore, voglio poterne fare parte. Almeno il colpo arriverà con un minimo di preavviso, questa volta.
- So che me ne pentirò.
Accetta.
- Siete pazzi, - mormora Nicholas.
- Sì, pazzi. Tutti quanti, - concorda qualcuno.
Guardo Nicholas da sopra la spalla di Shad, tirandomi indietro, fino a sfiorare la teca contenente il telescopio: Nicholas, le gambe mollemente incrociate e il mento poggiato sulla mano, continua a guardare un punto fisso sul pavimento. La sua espressione si riduce a un'unica increspatura sopra l'attaccatura del naso, dove la concentrazione ha lasciato il graffio di una ruga che quasi non si nota e che una ciocca pallida tenta di coprire.
- Nicholas, Ivan, Maria: farete riferimento ad Amelia per la presentazione dei vostri progetti, - li rassicura Xanders: - Non c'è nulla di cui dobbiate preoccuparvi, ve lo assicuro.
Sfioro la spalla di Shad e avvicino le labbra al suo orecchio meccanico, piegando le ginocchia per raggiungere la sua altezza.
- A cosa si riferisce?
Shad mi risponde con un filo di voce, i capelli neri a coprire la nostra conversazione come una tenda di seta.
- Alcuni dei ragazzi si sono guadagnati l'opportunità di tenere delle conferenze all'esposizione di Chicago. Per Maria e Ivan è il primo anno, ma sono sicura che Amelia si prenderà cura di loro.
Scommetto che Amelia è la donna che ho incontrato la notte che sono arrivata qui, e che adesso mi sembra di scorgere al fianco di Xanders: una donna matura, con i capelli luminosi costretti in un chignon; una dei pochi adulti a vivere qui. Penso che sia  la vicedirettrice della Villa, o qualcosa del genere.
- E Nicholas?
- Lui terrà almeno tre conferenze, - sorride, e piega la testa come se la divertisse, sapermi tanto interessata.
- Ormai è uno degli ospiti più attesi.
- Ti pareva. Non so nemmeno perché te l'ho chiesto.
Amelia - o la donna che credo sia Amelia - richiama l'attenzione di Xanders con un colpetto sulla schiena, poi torna a sedersi al posto che a lui spetterebbe, dietro la scrivania.
- Sono arrivate le ultime adesioni, Xanders; vuoi controllare chi parteciperà all'esposizione?
- Sì, certo. Grazie, Amelia.
Avevo ragione a pensare che si trattasse di lei.
La donna digita un lungo codice e fa proiettare un'immagine a mezz'aria, con la stessa forma a falce che aveva la prima volta che ho visto lo schermo nascosto nella scrivania. Dietro l'intricato gioco di luci riesco ancora a intravedere la sua espressione contrita, forse effetto della magrezza estrema che la contraddistingue e degli occhi rotondi e sporgenti. Afferro un luccichio sul suo petto, e rimango sorpresa del fatto che il ciondolo della sua collana sia una minuscola croce d'argento, appena sopra la cucitura del maglione.
Legge i nomi dei partecipanti selezionando quelli che trova più interessanti, ma il labbro inferiore stretto tra i denti ne storpia la pronuncia. Alcuni spogliano la lista come se fossero sulle spine, così alla fine sbircio lo schermo anche io:

Accesso Consentito al visitatore Amelia. G. Baggins (N) - codice 192100kjoth

 ESPOSIZIONE DI SCIENZA E TECNOLOGIA DI CHICAGO
Crystal Palace in Cam.
(21th ed.)

Ultimi iscritti al registro dei partecipanti:

Peter Gloone        (h)
Virginia Fermi       (p)
Grant Malcom      (p)
Delphine Navier    (h)
Edmond Navier     (h)
Catrina Joja           (h)
Peter Butler           (h)
Rosalind Gilbert     (h)
Thomas Edge         (h)
Wolfgang Brack      (h)




e al resto della lista limito nient'altro che un'occhiata. Potrei rimanere ore ed ore a fissarla, ma non saprò mai se lì in mezzo si nascondono le persone che hanno permesso a mia sorella di far esplodere una scuola. Mai, a meno che non mi decida a salire su quell'aereo per scoprirlo.
Toni sembra sul punto di svenire a causa della presenza del Grant Malcom che occupa il terzo posto, ma non specifica il significato della lettera "p" vicino al suo nome. Dopo qualche minuto di riflessione Xanders prende il posto di Amelia dietro la scrivania.
- Molto bene, dunque. La partenza è fissata per le dieci di mattina di Giovedì, con destinazione Chicago. Saremo di ritorno, se tutto va come previsto, nel giro di quattro giorni. Vi prego di comunicarmi la vostra eventuale adesione entro questa sera, in modo da fornire alla Fazione i nominativi dei partecipanti.
Un coro di risposte affermative convince Xanders a lasciarci andare, ma non prima di avermi assicurato che domani metteremo a punto un piano diplomatico che comprenda la mia presenza. Mi sento in dovere di ringraziarlo per aver colto al volo questa opportunità, anche se è il minimo che i Novi possano fare per riscattare il debito che hanno nei miei confronti. Quando mi metto in fila per uscire, strusciando i piedi su un tappeto dalle trame arricciate, mi accorgo che Shad è impegnata in una discussione insolitamente accesa, per una come lei. In un impianto del suo torace lampeggia una spia rossa, a un ritmo crescente mano a mano che si agita. Tiene le braccia incrociate in quel modo che ricorda il tentativo di coprirsi dallo sguardo degli altri, ma è affranta. Sta inseguendo Nicholas, ma lui fa finta di ignorarla. Alcune persone vengono a congratularsi con me, e io mi sforzo di dispensare sorrisi e strette di mano, senza riuscire a raggiungere la mia amica. Ren e Toni mi mettono un braccio a testa sulle spalle, trascinandomi fuori.
Poi, però, Xanders alza una mano verso la coda della fila e si schiarisce la voce. Farsi rispettare gli costa un certo sforzo, come se nessuno lo considerasse davvero per il ruolo che ricopre.
- Nicholas, potresti trattenerti per qualche minuto? C'è qualcosa di cui vorrei parlarti.
Questo ottiene l'effetto sperato.
Ci fermiamo tutti sul ciglio della porta, lasciando che i non interessati ci sfilino di fianco per uscire. Perfino Shad rimane in attesa, con gli occhi felini, marcati dall'eyeliner nero.
Nicholas non sembra porsi alcun dubbio; si volta giusto il tempo che basta per accorgersi che la lista di partecipanti è ancora proiettata a mezz'aria. 
- No, - sibila, e il silenzio che viene dopo sembra amplificare le frustate della pioggia che picchia sui vetri. Armand prova a stargli dietro, ma Nicholas non si ferma ad aspettare nessuno: né Armand, né Shad, né Beatrice, che scocca un'occhiata sfacciata verso la scrivania.
- Lascialo in pace, Seymour. Non far finta che sia lui ad aver bisogno di te.
Beatrice si piazza una maschera sulla faccia e mi sorride come se fossimo migliori amiche. Appena Ren e Toni se ne vanno, poggia le mani sulle mie spalle e inclina la testa di lato: io mi lascio sfuggire una mezza smorfia alla vista dell'anello dorato che porta al dito, dove un rubino intagliato sboccia in una rosa di pietra. Potrei pagare la mia retta universitaria con un oggetto del genere.
- Indovina chi aveva già scommesso che saresti venuta?
- Tu?
- Sì. E ho dovuto fare carte false per prenderti un posto alle conferenze di Chol, ma alla fine ci sono riuscita. Sarà un'esperienza indimenticabile, vedrai.
- Uhm, grazie?
- Lo so, lo so: sono stata parecchio sgarbata con te. Non sono brava a fidarmi delle persone, ma allo stesso tempo odio non essere brava in qualcosa.

- Tregua?
Alzo lo sguardo dalla sua mano ingioiellata fino allo spruzzo di lentiggini che le punteggiano la faccia, come se ci avessero soffiato sopra dello zucchero di canna. Mia nonna era solita raccontare che nel paese in cui era nata, fino a qualche decennio prima della sua nascita, le persone con i capelli rossi venivano emarginate con un certo sospetto, quasi vi si intravedesse il colore di una certa malizia.
Credevo di non aver mai sentito nulla di più stupido, e invece eccomi qua: pronta a trovare mille scuse del fatto che non mi fido di lei. Disposta a incolparla di avere una chioma fulva, piuttosto che abbassare la guardia.
- Lo prendo come un sì, - civetta.
- Prendilo come vuoi, Beatrice.
- Ah, quando torni nella tua stanza da' un'occhiata all'armadio: c'è un regalo per te.
Beatrice sgambetta verso il resto del gruppo e non si volta indietro. Io sono l'ultima a lasciare la stanza, accorgendomi che fino a questo momento non ho fatto che premere le unghie contro l'interno dei palmi: mi chiedo se Xanders se ne sia accorto, visto che non aveva nessuno con cui parlare.
Aspetto che cominci a lamentarsi, o che mi inviti a togliere il disturbo. Invece fa finta di sorridere, e per me è anche peggio: come si sdrammatizza l'immagine di un Direttore che viene zittito da uno dei suoi pupilli davanti a un gruppo di persone attonite?

- Nicholas ha ancora tanto da imparare, - sospira, la voce roca, - ma non vuole che gli si insegni niente.
Rimango ferma contro il legno rosso della porta fino a quando Xanders non spegne la proiezione della lista per farmi capire che è ora di andarsene. Colgo un ultimo stralcio di nomi, prima che la mezzaluna tramonti di nuovo e i partecipanti all'esposizione si dissolvano del tutto.
Prima di andarmene mi concedo un ultimo pensiero a Reichenbach, prima di raggiungere il limite massimo che precede un rigetto alla sua immagine.
Chissà dove, in mezzo a quella lista, Nicholas ha letto il nome di sua madre.


***
- Il piano è quello di costringerli a confessare, credo.
Mi infilo una maglietta pulita tra le labbra, mentre le mani sono occupate a schiacciare i vestiti in valigia. La voce di Alphy trema contro l'incavo del mio collo da quando il tentativo di tenere il telefono poggiato tra l'orecchio e la spalla è fallito, e la parte dell'auricolare è finita per farmi il solletico. Esamino i residui di vestiario sul mio letto e roteo gli occhi. Quando ho frugato nell'armadio di casa mia non avrei mai pensato di partecipare a un'esposizione di nuove tecnologie e scoperte scientifiche. Io, alla scienza, non ci penso e basta.
- Poteva andarci peggio, - dice, - visto che sono giorni che aspettiamo a vuoto.
Sappiamo entrambi che per adesso questo evento rappresenta l'opportunità migliore che ci sia capitata dalla scomparsa di mia sorella a questa parte, e che non possiamo tirarci indietro. Non starò qui a ripetere che vorrei vederlo salire su quell'aereo insieme a me, ma è così che stanno le cose: lui avrebbe il cervello per capire, e io la faccia tosta per agire. Senza Alphy non basteranno tutte le valige del Mondo.
- Non sto più nella pelle, sai? Chicago, FC-nA-Illinois, la città più ricca degli Stati Uniti! - esclamo, ma le mie labbra non sono abbastanza sicure da trattenere la maglietta. Mi chino a raccoglierla e rimango per terra, contro il materasso morbido, e Alphy non risponde. Lo ascolto chiudersi una porta alle spalle e sedersi alla scrivania.
- Alphy, sei ancora lì?
- No.
-
Voglio dire, sì, ma ti dispiace rimanere in linea?

- Figurati, tanto sto preparando la valigia.
La valigia l'ho quasi finita, ma non importa. Dall'altra parte del telefono sento Alphy armeggiare con uno strano aggeggio di ferro, come se stesse cercando di smontare un pannello rigido, o che so io. Quasi riesco a immaginare la fascia di pile che gli scosta i capelli dalla faccia, gli occhiali che gli scivolano sul naso per il sudore, e la punta della lingua serrata tra i denti. Mi viene da sorridere.
- Ti ricordi di Beatrice? Mi ha fatto recapitare tre completi eleganti da indossare alla conferenza, visto che ci sarà una festa di Natale, - mormoro.
- Credi che dovrei farci un falò? A casa mia non si festeggia, il Natale.

- Non lo so, sono...
Alzo gli occhi sulla scatola infiocchettata che ho trovato in camera ad aspettarmi, e cerco di immaginarmi con addosso una blusa bianca riccamente ricamata e dei costosi pantaloni di seta color indaco, sospirando.
- Meravigliosi, purtroppo. E io non ho nient'altro da mettere, a meno che non si possano indossare jeans e sneakers. 
- Ah.
- Se il mese scorso mi avessero annunciato che avrei partecipato a un convegno continentale sulla scienza, mi sarei sentita presa in giro. E comunque, se fosse successo, sarebbe stato perché mi avrebbero scambiata per Lilith.
- Penso di sì, - dice, ma è chiaro che sto parlando a me stessa, e che lui è distante, distratto, senza voce. Mi mordo le unghie della mano destra e prendo tempo, ma potrei girarci intorno tutta la sera, e ancora non saprei come spiegargli che Xanders si è rifiutato di portarlo con noi. E allora ci scherzo su, come si fa quando non c'è niente da perdere.
- Alphy, so che ti sarebbe piaciuto venire a Chicago, ma se non ti decidi a tornare io che posso farci?
Passano sette secondi prima che si ricordi di rispondere.
- Dovrei essere lì per il vostro ritorno.

- Ma?
Nessuna risposta. Dall'altra parte del telefono si sentono nell'ordine: un ululo del vento, la pioggia che tormenta le finestre, il rumore della carta che sfruscia, un singhiozzo.
- Alphy, che stai facendo?
Delle scartoffie violentate e delle viti cadono per terra. Mi rialzo piano, un ginocchio alla volta, e stavolta il telefono lo tengo ben saldo con la mano, perché quando qualcosa sta per andare storto, semplicemente lo si sente. Lo si sente al centro della testa, e da lì con un'eco fino alla punta delle dita che sfrigolano, come se sotto vi avessero nascosto un intero formicaio.
Brutto presentimento. Era questa la sensazione che avevo provato prima dell'attentato, ed era quasi la stessa.
- Alphy, - scandisco piano, - che succede?
E aspetto che risponda: "niente".
"Non è successo niente."
E invece la sua voce esce fuori come se Alphy avesse visto un fantasma.
- Qualcuno è entrato in camera mia.
- Cosa?
- C-credo che una figura estranea si sia introdotta nella mia camera da letto.
- Gesù Alphy, calmati. Senti come parli!
- No no no, non posso calmarmi: qualcuno è entrato in casa mia, Sybil!
Busso nervosamente contro la porta del bagno. Nessuna risposta, Shad non c'è. Infilo le prime scarpe che trovo: sono umide, e ricoperte di fango. Sono quelle che ho indossato per andare al lago, che entrano a fatica e mi bagnano i calzini.
- Come fai a saperlo,- ansimo, - Hanno forzato la serratura?
- No, la serratura era intatta.
- E allora? Hai perso il portafoglio?
- Mancano dei documenti. C'erano dei documenti nascosti dentro a una batteria che stavo costruendo.
Il tono di Alphy tradisce che sta perdendo il controllo della situazione. Sfreccio verso la porta e giuro a me stessa che se questo è uno stupido tentativo di convincere Xanders che a casa non si sente al sicuro e che dovrebbe lasciarlo venire con noi, gli caverò i denti uno a uno.
- Ne sei assolutamente sicuro? Li avrai messi da qualche altra parte, Alphy.
- Li ho consultati ieri sera e li ho rimessi apposto di persona, quindi sì. Direi proprio di sì.
Faccio un ultimo tentativo per capire se sta bluffando. Adesso sono immobile nel mezzo di un lungo corridoio di porte di legno.
- Lì avrà scoperti tua madre.
- Sybil, - dice lui, e io capisco che sta dicendo la verità.
- Alcuni documenti nella batteria ci sono ancora, m
a non tutti. Non quelli che cercavo.
- E quali sarebbero i documenti spariti?
Ricordo il sorriso di Lilith prima dell'esplosione. Quel sorriso di distacco che sembrava disegnato con un petalo di fiore, e il panico che mi aveva assalito senza un motivo apparente prima del disastro, e so che è lei. So che c'entra di nuovo lei.
Ed è Alphy a confermarlo.
- Sono i quaderni di Lilith. Tutti, dal primo all'ultimo. Tutti gli appunti che mi aveva chiesto di tenerle prima dell'attentato si sono volatilizzati.
- Che c'era scritto? Alphy, devi dirmi che c'era scritto là dentro.
- Non lo so. Erano incomprensibili. Porca miseria, non lo so. Mi disse che avrebbe avuto bisogno di me per rimetterli in ordine, e così me li ha affidati.
Sto per gridargli contro, ma c'è un tonfo.
Secco.
Sento il respiro di Alphy che diventa un fischio, e mi tappo la bocca con una mano. Poi la scosto piano.

- Alphy. Che. Diavolo. Sta. Succedendo.
- C'è qualcuno di sotto.
- O mio Dio, smettila di prendermi in giro.
- Ho s-sentito qualcosa muoversi di sotto.
Sono come pietrificata, contro il muro. Penso a sua zia, che lavora fino a tardi, e ai suoi genitori che tornano solo due volte alla settimana e solo di venerdì e al fatto che sia strano che sappia queste cose,
- Rimani immobile.
- Non ti muovere.
- Alphy, non ti muovere, - dico, e comincio a camminare, e lui non parla. Penso a dove potrebbe nascondersi se avesse ragione: letto, armadio, tetto, scrivania.
- Devo trovare Shad. Alphy, -
- E se è lei? Se è Lilith?
Adesso sto correndo verso l'ascensore, ma l'ascensore è occupato e allora corro verso le scale. La pioggia fa così chiasso che lo farà scoprire. Ecco che ricominciano i pensieri sconnessi.
- Non dire stronzate e chiuditi dentro.
Deve chiamare la polizia, e io devo chiamare Xanders. Se è qualcuno dei Novi, qualcuno della Fazione sbagliata, è lì per finire quello che era stato iniziato.
Vogliono ucciderlo.

- Devo solo sapere se è lei, - sussurra.
E' terrorizzato e fiducioso allo stesso tempo.
Non so se i passi che sento sono quelli di Alphy o i miei, che rimbombano contro il marmo quando mi precipito di sotto, tre gradini alla volta.
Riesco quasi sentire le parole sussurrate dai battiti dei nostri cuori.
Alphy, non lo fare.
Arrivo quasi al primo piano quando Alphy apre la porta di camera sua ed emette un suono strozzato.
È a quel punto che scivolo.

***
Scarpe bagnate e sporche di fango, quelle di stamattina. Reagiscono con il pavimento liscio.
Prima si fracassano contro un gradino le mani, poi le ginocchia, poi - quando ruzzolo fino alla base delle scale - tutto il resto. Il pavimento oscilla avanti e indietro, come se qualcuno ci stesse giocando, e volesse farmi cadere. Troppo tardi, comunque. Sono già per terra, e non parlo. Se parlo adesso, sarebbe solo per piangere del dolore insopportabile alle braccia. È come quando si battono i gomiti sulla sedia, e i nervi urlano tutti insieme e tutti insieme si ritraggono e tu puoi solo contare i secondi prima che passi. Solo dieci volte più forte. Apro gli occhi a filo della pietra chiara del pavimento, e inspiro dal naso. Espiro. Il movimento cessa del tutto, e il dolore diminuisce.
Spero che non mi abbia visto nessuno, almeno fino a quando non inquadro il telefono ancora intatto, scivolato a pochi metri da me. Mi ricordo perché stavo correndo, e rantolo.
Poi delle mani si chinano su di me - bianche e sottili, da musicista - e io faccio segno di no con la testa.
- Il telefono.
Dico solo questo, ma Armand esegue.
Raccoglie il telefono e se lo porta all'orecchio, poi torna verso di me e mi tiene ferma la testa.
- Allo
Le mie braccia sfregano contro il tappeto. Punto una mano, poi l'altra, aspettando che l'adrenalina polverizzi definitivamente il dolore e il fiato corto, ma ancora non lo fa.
- È Alphy, - tossisco.
Per favore, dobbiamo fare qualcosa.
Ma Armand non sembra convinto. Mi guarda con occhi aggrottati, dritto in faccia.
- Alphy, allo?
C'è un vociare sottile dall'altra parte del telefono.
- Vous n'etes pas Alphy.
Armand piega la testa, come se fosse troppo confuso per guardare il mondo per dritto.
- Pardon, à qui ai-je l'honneur?
- Je suis Armand Nevier, mais à qui ai-je l'honneur?
La mia voce fa meno rumore di una goccia di pioggia. Mi tiro su un po' alla volta, ma non ho il coraggio di intervenire.
- Armand, con chi stai parlando?
Le bocca di Armand rimane aperta a formare una parola, poi il silenzio. Lui mi lancia un'occhiata seria.
- È caduta la linea.
- Che significa?
Gli strappo il telefono di mano, ma a lui non sembra importare. 
- Alphy sta bene? Dimmi che sta bene.
- Non era Alphy, - dice, e ha ancora quell'espressione sospettosa sul viso.
- C'era una ragazza dall'altra parte.
Un gruppo di persone si avvicina, attirato dalla macchia di fango che ho lasciato per terra. Non penso che si rendano conto di quello che sta succedendo, perché non ci riesco neanche io. Ma loro sono più intelligenti, proprio come lei. Proprio come Lilith.
- C'era Alphy, - insisto.
- Hai detto che c'era qualcun altro in casa sua, - osserva.
Un ladro. Un sicario. Qualcuno.
Ricompongo il numero e non smetto di fissare Armand, aspettando che si decida a darmi una spiegazione. Il telefono non squilla.
Poi Armand mi trascina via dal resto dei Novi, dietro il primo muro abbastanza distante da non essere sentiti, e parla sottovoce, come se non fosse sicuro che le sue parole abbiano un senso.
- Sybil, tua sorella sa parlare il francese?
Oops, quel gâchis. Lilith est la première classe.
C'era una ragazza, dall'altra parte. E se è lei? Devo solo sapere se è lei.
-
Sybil.
- Sì, - dico.
Il francese lo parla bene.
- Sì.


Angolo Autrice: capitolo di transizione, direi. Alcune persone mi hanno fatto notare che forse avrei dovuto lineare meglio i personaggi che orbitavano attorno alla protagonista, so here we are. Povero Nicholas, però, quanta sofferenza ho in mente per lui. Immagino che tutti voi abbiate sentito parlare dell'effetto farfalla, che comunque verrà ripreso nei capitoli successivi: "se una farfalla batte le ali a Rio, a New York si scatena un uragano". Almeno la teoria del caos, quella dei se, dei forse, delle possibilità, dice questo. Profondamente inquietante, non trovate? Le battute in francese sono state letteralmente tradotte su internet, e quindi sono sbagliate. E niente, so che su efp avete rinunciato alla lettura di Entropy, ma posto lo stesso perché mi dà tanta giuoia *w* Vi mando un bacio: grazie alle persone che passeranno di qui!












   
 
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