IV.
Due chicchi di
grandine scesero
dal cielo per dirle di velocizzare il passo: il negozio di Ino era
lontano e, se ci fosse stato il sole, l'ora sarebbe stata quella del
tramonto. Sakura però non aveva voglia di ingranare le marce
più alte e sfrecciare lungo i viottoli di Konoha come una
furia.
I chicchi di grandine erano stati, per l'appunto, solo due; si sarebbe
goduta quella passeggiata, cercando di sputare fuori, assieme alla
nuvoletta di freddo che le usciva dalle labbra, il cattivo umore e lo
stupido amore che la legava a Sasuke. Si preparò mentalmente
per
il confronto con Ino. Conoscendola, le avrebbe detto di prendere quel
sentimento che le martoriava il cuore, legarci una bella pietra e
gettarlo in fondo all'oceano.
A meno che
non si
fosse raddolcita
nell'ultimo periodo. Un po' doveva essere così. Da quando
stava
con Sai, imprecava meno, sbraitava meno, prendeva a pugni il povero
Shikamaru. Meno. Aveva dell'incredibile come quei due fossero finiti
insieme. Aveva dell'incredibile che fosse stato proprio
“colui
che non capiva le emozioni” a fare il primo passo. Aveva
dell'incredibile che quel fatidico primo passo si fosse rivelato
giusto. E aveva dell'incredibile che Ino Yamanaka, storicamente cotta
di Sasuke e, a giudizio di Sakura, con una certa simpatia per Shikamaru
sin dall'infanzia, fosse capitombolata ai suoi piedi senza il bisogno
di un lungo corteggiamento di fiori, poesie, cioccolatini e gioielli.
Solo un
invito a
cena, a tre mesi
dalla fine della guerra. Sai era andato al negozio, a mani vuote, e il
caso aveva voluto che Sakura si trovasse lì, in cerca di
qualche
fiore per una vecchia signora ricoverata all'ospedale. Una vecchia
signora triste, bisognosa di profumi buoni e bei colori. Appena aveva
visto il suo compagno di team varcare la soglia della serra e zigzagare
tra i banconi colmi di gerani e non-ti-scordar-di-me, le erano parse
chiare le sue intenzioni.
“No”
aveva sussurrato a Ino.
Non un
“no” che voleva
dire “cavolo, perché a lei e non a me?”.
Un
“no” pieno di stupore; un “no”
che poteva
essere tradotto con un “Non ci posso credere! Sta succedendo
sul
serio?”.
“Sakura,
ti
senti bene?” le aveva chiesto la sua migliore amica.
In tutta
risposta, si
era trovata
a farle l'occhiolino. Poi l'aveva strizzato anche a Sai, per augurargli
buona fortuna, ma lui, in tutta la sua gentilezza e in tutto il suo
acume mentale aveva creduto che un moscerino le si fosse incastrato tra
le ciglia.
“Ino,
Sai,
vado nella serra
là dietro, a vedere se c'è qualcosa che mi
interessa.
Questi fiori non mi piacciono proprio per niente”.
Ino non
l'aveva
seguita ed era
rimasta alla cassa. Le aveva gridato dietro, però, che i
suoi
fiori erano pregiatissimi e raffinatissimi e che doveva essere miope
per non riconoscere il loro valore. Quella stupida gallina bionda non
aveva capito le intenzioni di Sai. Sakura, se costretta, avrebbe
ammesso che tra lei e il suo compagno di team c'era sempre stata una
certa empatia. Si capivano con un solo sguardo, forse per una qualche
affinità di carattere.
“Perché
siete entrambi un disastro con le emozioni” le aveva detto un
giorno Ino.
Ma almeno
non le
erano serviti
venti minuti per accorgersi che Sai era cambiato, a differenza di
qualcun altro. Una strana molla era
scattata in lui. Un piccolo cilindro piegato su se stesso aveva messo
in moto la grande macchina dei sentimenti; e Sakura aveva capito che
era stata proprio Ino, pur senza accorgersene, a toccare con un'unghia
smaltata quel minuscolo ingranaggio e a dare inizio al tutto.
Lei,
invece, -
stupida oca! -
aveva continuato a insultare Sakura, dicendo che, nonostante anni di
studio, non sapeva nemmeno riconoscere una bella pianta di fiori.
Finché Sai, con un sorriso stampato in faccia, un sorriso
non
tanto sicuro e un po' spaventato, era saltato dietro la cassa,
mettendosi di fronte a lei.
“Usciamo
a
cena stasera”.
Dalla sua
posizione,
nascosta
dietro un pino e con un cactus alle spalle, Sakura non si era trovata
in un buon punto per spiare. Pertanto non aveva visto quale assurda
espressione si fosse dipinta sul volto di Ino. Aveva però
scorto
le spalle abbassarsi, sopraffatte da un'ondata immaginaria di sconforto
e delusione; e aveva sentito la sua voce spegnersi e il silenzio
regnare vincitore nella stanza.
Sakura,
spettatrice
esterna di
quella dichiarazione non compresa, aveva sentito nascere in lei il
desiderio di prendere il cactus e tirarlo in testa alla sua cara
migliore amica. Altro che maialino! Ino era una stupida gallina senza
cervello! Ma perché non ci arrivava?
“Sai,
ascolta.”
L'aveva sentita pronunciare il nome del ninja con un'infinita pazienza
che di norma non scorreva nel sangue Yamanaka. “Ti ringrazio
tantissimo per l'offerta, ma vedi, quando inviti una donna a cena, lei
si fa delle idee come dire... sentimentali. Quindi se le tue intenzioni
non sono serie, non dovresti-”
“Ma
io so
benissimo quali sono le mie intenzioni, Ino-san” l'aveva
interrotta lui.
Aveva
usato un tono
di voce
talmente vitale e sicuro che, se Sakura non lo avesse sentito con le
sue stesse orecchie, avrebbe creduto ci fosse stato uno scambio di
persona. Era scivolata fuori dal suo nascondiglio, per riparare
nell'altro lato della serra, dietro al vaso delle ortensie; aveva visto
la sua migliore amica sgranare gli occhi e arrossire, aprire e chiudere
le labbra, velocissima, incapace di trovare una parola con la quale
replicare.
Quella
gallina ha
preso un granchio! Si era detta Sakura facendo a pezzettini una corolla
di petali azzurri.
Ma Sai era
stato
bravo a
seppellire ogni malinteso sotto quintali di terra, gettandovi sopra
manciate di sale, per impedire che un nuovo dubbio attanagliasse la
mente della sua futura ragazza. Le prese la mano e mosse un passo in
avanti, schiacciando il petto contro il seno di lei, non staccando gli
occhi, nemmeno per un secondo, da quelle iridi identiche ai petali
d'ortensia che le mani di Sakura continuavano a polverizzare.
“Le
mie intenzioni con
te sono le stesse di Naruto con la Hyuuga” le aveva detto.
“Le stesse di Shikamaru con la tizia dalla Sabbia.”
E Ino
Yamanaka non si
era lasciata
scappare l'occasione d'oro, quella dei suoi sogni. Gli aveva gettato le
braccia al collo, tappando la bocca di lui con la propria, e aveva
fatto avvenire quello che tutti i cittadini di Konoha finirono con il
chiamare “miracolo”.
A
molti pareva impossibile che una come Ino Yamanaka, nata per amare,
avesse dedicato anima e corpo a un involucro privo di emozioni.
Perché Ino aveva sempre avuto troppo amore da dare. Al suo
team,
a Asuma, a un padre che non avrebbe visto mai più. Sakura lo
sapeva bene: non si trattava di una stupida oca tutta vestiti alla moda
e pettegolezzi. Se qualcuno poteva sostenerlo con fermezza, quel
qualcuno era proprio lei. Ino le aveva donato il suo affetto, l'aveva
riempita di convinzione e stima per se stessa, era andata contro ogni
principio pur di vederla felice. A modo suo, con scherzi e prese in
giro, l'aveva amata.
Ma
a differenza di quei molti, Sakura sapeva anche che Sai non era un
involucro vuoto. Era un bellissimo vaso con pelle di marmo e occhi di
carboncino. E dentro quel vaso, un contenitore dotato di tappo
ermetico, si agitava uno sfarfallio di sentimenti confusi, talmente
disorientati da restare in silenzio, muti, per la paura di trovarsi nel
posto sbagliato. Aspettavano semplicemente che qualcuno aprisse il vaso
e li accarezzasse, donando loro una nuova voce. Chi allora meglio di
Ino Yamanaka, che di amore traboccava, avrebbe potuto dare ordine a
quel puzzle scomposto di emozioni e insegnargli il vero valore della
vita?
Ancora prima di
entrare nel
negozio, Sakura sentì nell'aria un dolcissimo profumo di
fiori e
pollini. Una miscela che odorava di calicanto, gigli e gelsomino le
solleticò la punta del naso e rilassò i muscoli
del
corpo. Tesi, dopo l'incontro con Naruto e Hinata. Tesi, dopo l'incontro
con un destino di solitudine. Era stata una buona idea andare da Ino;
le pareva infatti che quella fragranza naturale avesse il dono di
allontanare il mal di testa che le premeva sulle tempie, oltre a un
brutto raffreddore che tutta quella grandine le avrebbe sicuramente
causato.
Alleggerita
e
desiderosa di fare
quattro chiacchiere con la sua migliore amica, aprì la porta
del
negozio. Non lo avesse mai fatto! Maledetta le decisione di andare a
trovarla! Con uno scatto e un grido, sfuggito alle labbra, si
voltò di spalle, per non vedere un secondo in più
quel
che mai avrebbe voluto vedere.
«Fronte
spaziosa, non sai
leggere?» strillò Ino. La voce acutissima, vinta
da una
punta di isteria, oltre che dalla vergogna per essere stata colta sul
fatto. «Il cartello! C'era scritto chiuso!»
Sakura
sentì il rumore
della zip venire tirata su, il botto delle scarpe che, per un movimento
maldestro, finirono a terra, prima che quella gallina della sua
migliore amica riuscisse a rimettersele.
«Ma
come
facevo io a sapere che-» provò a dire.
Non
riuscì
a concludere la
frase. Avrebbe avuto gli incubi. Avrebbe avuto gli incubi a vita.
D'accordo che le amiche si confessavano le loro storielle bollenti e le
esperienze piccanti, ma vedere Ino e Sai, nel preciso mentre, nudi se
non per le magliette, sdraiati sopra il bancone con la cassa...
«Che
vergogna!» gridò lei.
«Vergogna
tu?» gridò Ino.
Era una
dura
competizione a chi
delle due fosse più imbarazzata. Sakura poi non avrebbe mai
e
poi mai voluto voltarsi di nuovo. E forse non sarebbe riuscita a
guardare in faccia Ino e Sai per il resto dei suoi giorni. Si
girò solo perché vide il suo compagno di team
comparirle
affianco, completamente vestito e impassibile, se non per il solito
sorrisetto che da quando stava con Ino non riusciva a levarsi di dosso.
«Non
sgridarla, tesoro»
disse alla sua ragazza.
Enfatizzò
quel
“tesoro” in una maniera non normale, quasi fossero
due
bambini che parlavano in codice. Se Sakura non avesse avuto la bocca
piena di imbarazzo, avrebbe ribattuto ad alta voce che lei e Ino si
confidavano come all'età di quattro anni e non c'era bisogno
di
nasconderle dei segreti. Sapevano tutto l'una dell'altra... a parte il
fatto che Ino indossasse slip con le fragole, quando le aveva sempre
detto che la biancheria doveva essere rigorosamente di pizzo nero.
Sakura
adocchiò le mutandine rosa che la sua migliore amica si era
scordata di rimettersi. Colpa della fretta.
«Vedi,
tesoro»
stava intanto continuando a dire Sai. Ancora con quel tesoro?
«Chi non ha una vita sessuale non può immaginare
che gli altri ne abbiano una.»
Le
tirò
una pacca sulla
spalla, in segno di consolazione. Mai e poi mai farsi difendere da Sai.
Sperò solo che Ino si munisse di quella delicatezza che in
genere non conosceva per spedire il suo fidanzatino fuori dalla serra.
«Hai
ragione, tesoro»
disse invece. «Beh, Fronte Spaziosa, dovresti farti prestare
un
certo libro dal tuo caro maestro, giusto per evitare di trovarti in
situazioni imbarazzanti.»
Parlò
come
se quello
scambio di battute fosse un gioco, una barzelletta, e non
immaginò, nemmeno da lontano, che potesse fare male vedersi
sbattuta in faccia la verità: era una perdente. Non aveva
mai
avuto un ragazzo, mai fatto sesso e l'unico bacio che aveva dato se
l'era giocato in una missione, per portare a casa la pelle.
Eppure
Ino, pur
sapendo, faceva la
voce da civetta e ci ridacchiava su. Anche Sai si concesse una
risatina. E pensare che lei aveva sempre creduto che le loro menti,
emotivamente difettate, corressero sulla stessa onda.
«Non
è colpa sua,» lo sentì dire,
«se l'Uchiha non vede alcuna ragione per amarla.»
Le
sembrò
di essere un
vetro, sottilissimo e già crepato, rattoppato con strati di
mastice e colla; le parole di Sai un sasso grosso, pesante, un masso
che non poteva essere evitato. Andò a sbattere su di lei, su
quel vetro sottilissimo che anno dopo anno era stato mandato in
frantumi da
troppi colpi.
Smise di
respirare,
con gli occhi
asciutti per lo smarrimento, perché la battuta di Sai aveva
colto di sorpresa anche le lacrime, gocce d'acqua salata che non
avevano capito: era il momento di intervenire. Nemmeno guardare Ino le
fu d'aiuto. La trovò smarrita quanto lei, con una risata
bloccata in gola e le mani che le tremavano un poco. Anche Sakura, in
passato, era stata vinta da quel tremito e sapeva che per calmarsi
doveva tirare un pugno o lanciare kunai. Ino sembrava pronta a farlo.
Fissava Sai con lo sguardo di fuoco e unghie che non vedevano l'ora di
graffiarlo e scorticarlo vivo.
Ma Sakura
non voleva
che Sai morisse. Doveva parlare.
Non vede alcuna ragione per
amarmi.
«Chi te
l'ha detto?» gli chiese.
La coda
dell'occhio
intravide la
testa di Ino muoversi in piccoli no, no. Il gesto che si faceva per
dire di tacere, non rivelare la verità. Brutto mostro la
verità! Una volpe a nove code capace di distruggerli tutti.
Sakura guardò Sai, ancora il sorriso in viso, incurante
delle
preghiere di Ino.
«Naruto»
le disse.
Il cuore
fece un
salto in gola. Tra tutti, proprio lui.
Naruto.
Aveva visto giusto
qualche ora prima, al negozio. A
forza di rincorrere il Teme
non era una battuta mal riuscita, ma l'esplicitazione di un pensiero
che girava e girava in quella testa bionda da chissà quanti
anni. Non poteva crederci. Non poteva credere che Naruto la vedesse
davvero come quella larva che strisciava nel fango, una farfalla senza
ali.
Aprì
le
labbra per
supplicare Sai, per chiedergli di dirle che era uno scherzo. Il sorriso
sulle labbra di lui era rotto e pareva domandarle scusa e infatti
cercò di riparare al malanno. Corresse il tiro:
«Ma
a
Naruto l'ha detto Sasuke. Due anni fa.»
Lo
corresse in
peggio. Sasuke.
Sempre lui, lui che non si accontentava di vederla ridotta in tante
schegge di vetro, depositate sul pavimento di un negozio di fiori.
Doveva ridurla in polvere, sabbia destinata a volare via, nel vento.
«Faresti
meglio a chiedere a
Sasuke, così magari ti schiarisce le idee e forse le
schiarisce
anche a se stesso-»
«Basta!»
Sakura
trasalì nel sentire
l'ordine di Ino. Aveva gli occhi lucidi e i nervi delle braccia tesi,
lungo i fianchi. Con una piccola scossa, mosse la chioma bionda,
arruffata dopo il sesso con Sai.
«Basta»
lo supplicò. «Non è questo il modo
giusto per incitarli, tesoro!
È meglio se vai!»
Sai
abbassò lo sguardo e
Sakura capì che non avevano litigato. Avevano solo idee
diverse
su un argomento, una faccenda importante, e da quanto aveva intuito
quell'argomento importante era proprio lei. Su una cosa almeno non si
era sbagliata: l'unica persona disposta a ferirla, pur di salvarla, era
proprio Ino. La vide salutare Sai con un bacio sulla guancia e
sussurrargli di andare. Si sarebbero incontrati dopo cena.
Ora me ne vado anch'io.
Si sentiva il respiro
pesante, un
mattone piazzato alla base del collo che le impediva di alzare il petto
e di abbassarlo. L'odore dei fiori poi – il calicanto, i
gigli,
il gelsomino – era nauseante, incastrato nelle narici. La
stava
soffocando.
«Non
darci
peso, fronte
spaziosa» le sorrise Ino. La sua voce le ricordò
improvvisamente sua madre. «Conosci Sai. Chissà
che ha
capito?»
Si
trasformò nella Ino che
l'aveva consolata da bambina, quella che le raccontava le favole e le
diceva che era un bocciolo. Doveva solo aspettare la giusta stagione e
si sarebbe schiusa nel più bello dei fiori. Solo che Sakura
aveva smesso di credere alle favole quando Sasuke era fuggito da
Konoha. La prima volta.
«Dai,
non
fare quella
faccia!» la pregò Ino. Le diede un buffetto sul
braccio.
«Se stessimo ad ascoltare tutte le stronzate che dicono gli
uomini, torneremo all'età della pietra.»
Rise da
sola alla sua
battuta,
orrenda, e si stampò in faccia un sorriso troppo largo, al
punto
che sembrò avere una paralisi alla mascella.
Iniziò ad
aggirarsi per il negozio, passando da un'ortensia a un giglio, con
frenesia. Mostrava una naturalezza che non aveva, quasi parlare in
fretta e muoversi stile tornado potessero cancellare dalla mente di
Sakura parole incise in lei con il fuoco. Indelebili.
«Allora,
fronte spaziosa, ti
serve qualcosa?» le chiese. «Non che ci restino
molti fiori
in serra. La grandine ha bucato i teli di protezione e rovinato i
petali, quindi-»
Era
troppo. Aveva
sempre saputo di
non possedere l'ombra di una chance con Sasuke, capito che
quell'angolino di posto che reclamava nel suo cuore non era mai
esistito; ma sentirselo dire così, in faccia; e sapere che
Sasuke lo pensava da due anni e non si era mai degnato di dare una
risposta alle sue due confessioni, un rifiuto ufficiale... Sakura
sentì le gambe cedere, ogni forza prendere il volo dal corpo
e
abbandonarla. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui!
«Detesto
la
grandine!»
gridò con tutta l'energia che le restava.
«È
fastidiosa e testarda. Per quanto corri, cercando di sfuggire ai suoi
colpi, lei ti trova e non ti lascia scampo.»
Ricordava
lo sguardo di Sasuke cambiare. Avevano dodici anni e lei ignorava molte
verità. “La solitudine è un dolore che
non ha nulla
a che vedere con l'essere sgridati dai genitori” le aveva
detto.
Poi la scoccata finale, la prima di una lunga serie: “Sei
irritante”.
«È
una persecuzione» si trovò a dire.
«Quando ti picchietta in testa.»
“Tu
sei come Naruto. Se hai tempo per scocciarmi, lavora su uno o due
Jutsu. Francamente le tue abilità sono al di sotto di quelle
di
Naruto”.
«Quando
rimbalza sull'asfalto.»
“Non
permetterò a nessuno di fermarmi, nemmeno a te”.
«E finisce
sotto le scarpe.»
“Non ho bisogno del
tuo aiuto. Non provare a seguirmi.”
«Quando
ammacca un ombrello nuovo di zecca.»
“Sei davvero
irritante”.
«L'ho
sentita battere in me.»
“Sakura”.
Solo
il suo nome e uno sguardo vuoto. Poi, nel corso della battaglia, la
lama della katana puntata contro di lei, Yamato pronto a deviare
l'attacco.
«Nelle mie
vene.»
Continuare
a cercarlo, anni e anni, senza sapere dove fosse, se avesse qualcuno di
cui fidarsi, qualcuno che gli guardasse le spalle, qualcuno che lo
amasse almeno un'infinitesima parte di quanto lo amava lei.
«L'ho
sentita pulsare sotto la pelle.»
Perché non era mai
abbastanza?
«Mischiarsi
al mio sangue.»
Perché a Sasuke
non importava?
«E poi
arrivare al cuore.»
Il Chidori. Sakura non lo
vedeva, ma sentiva il crepitare delle scariche elettriche dietro la
nuca, a un millimetro dalla testa.
«E una
volta arrivata è stato un pugno che ha strappato atri e
ventricoli dalla loro sede.»
“Sei dannatamente
irritante, Sakura”.
«E mi sono
sentita morire.»
Proprio
al cuore doveva mirare? Quant'era assurdo che in un'illusione volesse
prendersi quella parte di lei che gli era sempre appartenuta?
«Perché
non può accontentarsi della pioggia e di qualche
fulmine?»
Ignorandola, chiamandola
debole, facendola sentire quella stupida nullità che lei non
era. Sapeva di non esserlo!
E intanto
Ino la guardava,
con le braccia colme di fiori recisi. Narcisi e gigli, gli stessi che
Sakura portava a Sasuke in ospedale nei periodi di ricovero, un simbolo
di speranza. La guardava con gli occhi lucidi, ma senza togliersi quel
sorriso sciocco che voleva protrarre l'illusione.
Andava
tutto
semplicemente e splendidamente bene.
«Fronte
spaziosa, ma che stai dicendo?» le chiese.
La sua
domanda le
parve una
supplica, la richiesta di lasciar perdere e accontentarsi al triste
fluire di ogni giorno, senza scavare più a fondo, senza
togliere
dalle sabbie che la proteggevano la mummia della verità,
perché a volte si stava meglio a non sapere. Viveva meglio
chi
ignorava.
«È
solo ghiaccio che scende dal cielo.»
Ma Sakura
era stufa
di nascondere
la testa sotto il lenzuolo. Era stanca di fingere ogni giorno di essere
felice, quando non lo era. Davanti ai suoi amici, per non farli
preoccupare; davanti a Sasuke, per non essere disprezzata; davanti a se
stessa per non credersi patetica. Era arrivato il momento di dire
chiaro e tondo quale fosse la realtà delle cose.
«No,
Ino.
Non è quello. Non è solo ghiaccio. È
qui, lo vuoi capire?»
Prese la
maglietta
all'altezza del
seno e la tirò, come se assieme al brandello di stoffa rossa
avesse voluto strapparsi via lo stesso cuore. Ecco la fonte di ogni suo
problema: quello stupido organo mal funzionante, la sede di sentimenti
sbagliati, il bersaglio preferito di ogni chicco di grandine, di ogni
sasso. E lei tirava ancora il maglioncino, affondando le unghie nelle
maglie troppe larghe che lo componevano e arrivando a graffiare la
pelle del petto.
«È
qui»
ripeté. «È qui ogni volta che lo vedo,
perché lui è come la grandine in questa stupida
stagione
d'estate. Non fa che tornare ad annientarmi, persino quando
è
lontano. E mi uccide con i suoi sguardi, con le parole che vorrei
sentirmi dire e non mi dirà mai, mi buca l'anima come tanti
e
interminabili proiettili di ghiaccio. E sai cos'è
peggio?»
Ino lo
sapeva
benissimo cos'era
peggio, ma continuava a ignorarla. Si girò verso un tavolo
colmo
di fiori e lasciò cadere i narcisi e i gigli che stava
cullando nelle sue braccia, solo una scusa per non guardare quella
povera malata d'amore che piangeva e si disperava e cercava di cavarsi
via il cuore. E forse le faceva pena, oppure le spiaceva,
perché
Sakura sapeva che Ino ci teneva a lei. Ci teneva sul serio. E infatti
le spalle tremavano in maniera quasi impercettibile, segno che stava
per cedere, stava iniziando a vedere il problema, a capire che quando
Sakura le diceva “sto benone, la cotta per Sasuke mi
è
passata, siamo solo amici, meglio così, no?” non
faceva
altro che mentire; costretta ad accettare quel che aveva sempre saputo,
ma preferito ignorare: c'erano amori così forti da poter
spazzare via con l'intensità di un battito l'anima di una
persona, da poter rompere con la loro tenacia e insistenza anche il
cuore più sano.
«Non
staremo parlando di Sasuke, spero» disse.
Sakura non
l'ascoltò e continuò per la sua strada:
«Il
peggio
è che ogni
volta io glielo lascio fare. Mi illudo che cambierà
e nel
suo cuore troverà un piccolo posticino per questa stupida
ragazzina innamorata.»
Era
evidente invece
che non
sarebbe mai successo. Il confronto con Ino e Sai aveva avuto il merito
di illuminare i sentimenti che Sasuke nutriva nei suoi confronti. Certo
che ammetterlo ad alta voce non aiutava, anzi quello sfogo, corredato
di un pianto con abbondanti lacrime, l'aveva svuotata. Alla fine le
gambe cedettero e lei si ritrovò seduta sul vaso di una
grande
mangiafumo. La terra, bagnata, le inumidì i pantaloni grigi
che
indossava e la fece tremare per il freddo, senza che lei trovasse la
forza di alzarsi. Studiò invece la punta dei piedi, non
sapendo
più che dire, non sapendo più che fare,
vergognandosi
della scenata che si era appena svolta davanti a Ino.
Quando
alzò lo sguardo,
trovò la sua migliore amica davanti a lei, accucciata a
terra
perché le loro teste fossero sulla stessa linea d'aria.
«Sakura,
lo
sai qual è il bello della grandine?» le chiese.
Non aveva
più gli occhi
umidi e la voce non era canzonatoria, da civetta. Le prese invece
entrambe le mani e le racchiuse nelle sue.
«Il
bello
della grandine,
Sakura, è che dura un secondo e subito dopo viene il sereno.
Lo
hai aspettato per anni. Ti sei presa sulla testa secoli di secchiate
gelide, e ora che il sereno sta comparendo all'orizzonte, dichiari
sconfitta?»
Ma che
stava dicendo?
Sakura
corrugò la fronte, smarrita. Ino avrebbe dovuto darle man
forte,
insultare Sasuke, consolarla con i classici “quello
lì
è una causa persa, lascialo stare, meriti di
meglio”; non
consigliarle di sistemare le ferite con una confezione di cerotti e
ributtarsi nella mischia.
«Hai
pianto
per lui ogni
notte della tua adolescenza» continuò a dirle.
«Hai
saputo amarlo anche quando sarebbe stato giusto odiarlo. E se credi che
siano vere tutte quelle stronzate che si leggono nei libri, che amare
significa non dire mai mi dispiace, allora sei più idiota di
Naruto.»
Aprì
bocca
per ribattere
che non era così, non era vero. Se si amava una persona,
bisognava impegnarsi per non ferirla e Sasuke invece le faceva male, di
proposito.
«Tutti
sbagliamo, Sakura, e
amare vuol dire avere la forza di ammetterlo, rimettersi in gioco,
calare ogni carta pur di riottenere la fiducia dell'altro-»
«Ma
a
Sasuke non importa nulla della mia fiducia, Ino!»
Perché
non
lo capiva?
«Lo
hai
detto tu,
ricordi?» Strinse ancor di più le sue mani, quasi
avesse
voluto passarle tutta la sua convinzione, tutta la sua forza.
«È come la grandine. È testardo e duro.
Ed è
una persecuzione. Perché potrebbe anche essere morto,
seppellito
sotto quintali di terra, ma non sapresti comunque lasciarlo andare. La
sua presenza ti tormenterebbe ogni giorno. Quindi sì,
è
corretto dire che ti è entrato sotto la pelle, si
è
mischiato al tuo sangue ed è arrivato al tuo cuore. Non
importa
in che modo. Sasuke è lì e non se
andrà.»
Sakura
sentì le lacrime
riprendere a scorrere sulle guance, silenziose. Le labbra tremarono nel
tentativo di formulare una risposta, ma mai Ino le aveva fatto un
discorso tanto vero. Che altro doveva combinare Sasuke
perché
lei imparasse a odiarlo e riuscisse a levarselo dalla testa?
«Vedi,
Sakura, se vuoi che
ti dica quel che penso,» lo avrebbe fatto comunque, vero?
«Ora come ora, per come ti guarda, non credo nemmeno voglia
andare via.»
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