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Autore: Odiblue    25/08/2015    4 recensioni
“Mentre guardava la grandine scendere nel cortile dei Nara, non poteva che paragonarla a Sasuke. Era bella – bellissima! - in ogni acino di ghiaccio che martoriava il lastricato, bianca come la pelle di lui, eppure, nonostante avesse il colore della purezza, dannatamente pericolosa. Difficile da sciogliere, impossibile da scaldare “. La storia partecipa al contest “NARUTO the movie: la vita e l'amore”, indetto da manga, sasuk8 e meryl watase, sul forum di EFP.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Sai/Ino, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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IV.


Due chicchi di grandine scesero dal cielo per dirle di velocizzare il passo: il negozio di Ino era lontano e, se ci fosse stato il sole, l'ora sarebbe stata quella del tramonto. Sakura però non aveva voglia di ingranare le marce più alte e sfrecciare lungo i viottoli di Konoha come una furia. I chicchi di grandine erano stati, per l'appunto, solo due; si sarebbe goduta quella passeggiata, cercando di sputare fuori, assieme alla nuvoletta di freddo che le usciva dalle labbra, il cattivo umore e lo stupido amore che la legava a Sasuke. Si preparò mentalmente per il confronto con Ino. Conoscendola, le avrebbe detto di prendere quel sentimento che le martoriava il cuore, legarci una bella pietra e gettarlo in fondo all'oceano.

A meno che non si fosse raddolcita nell'ultimo periodo. Un po' doveva essere così. Da quando stava con Sai, imprecava meno, sbraitava meno, prendeva a pugni il povero Shikamaru. Meno. Aveva dell'incredibile come quei due fossero finiti insieme. Aveva dell'incredibile che fosse stato proprio “colui che non capiva le emozioni” a fare il primo passo. Aveva dell'incredibile che quel fatidico primo passo si fosse rivelato giusto. E aveva dell'incredibile che Ino Yamanaka, storicamente cotta di Sasuke e, a giudizio di Sakura, con una certa simpatia per Shikamaru sin dall'infanzia, fosse capitombolata ai suoi piedi senza il bisogno di un lungo corteggiamento di fiori, poesie, cioccolatini e gioielli.

Solo un invito a cena, a tre mesi dalla fine della guerra. Sai era andato al negozio, a mani vuote, e il caso aveva voluto che Sakura si trovasse lì, in cerca di qualche fiore per una vecchia signora ricoverata all'ospedale. Una vecchia signora triste, bisognosa di profumi buoni e bei colori. Appena aveva visto il suo compagno di team varcare la soglia della serra e zigzagare tra i banconi colmi di gerani e non-ti-scordar-di-me, le erano parse chiare le sue intenzioni.

“No” aveva sussurrato a Ino.

Non un “no” che voleva dire “cavolo, perché a lei e non a me?”. Un “no” pieno di stupore; un “no” che poteva essere tradotto con un “Non ci posso credere! Sta succedendo sul serio?”.

“Sakura, ti senti bene?” le aveva chiesto la sua migliore amica.

In tutta risposta, si era trovata a farle l'occhiolino. Poi l'aveva strizzato anche a Sai, per augurargli buona fortuna, ma lui, in tutta la sua gentilezza e in tutto il suo acume mentale aveva creduto che un moscerino le si fosse incastrato tra le ciglia.

“Ino, Sai, vado nella serra là dietro, a vedere se c'è qualcosa che mi interessa. Questi fiori non mi piacciono proprio per niente”.

Ino non l'aveva seguita ed era rimasta alla cassa. Le aveva gridato dietro, però, che i suoi fiori erano pregiatissimi e raffinatissimi e che doveva essere miope per non riconoscere il loro valore. Quella stupida gallina bionda non aveva capito le intenzioni di Sai. Sakura, se costretta, avrebbe ammesso che tra lei e il suo compagno di team c'era sempre stata una certa empatia. Si capivano con un solo sguardo, forse per una qualche affinità di carattere.

“Perché siete entrambi un disastro con le emozioni” le aveva detto un giorno Ino.

Ma almeno non le erano serviti venti minuti per accorgersi che Sai era cambiato, a differenza di qualcun altro. Una strana molla era scattata in lui. Un piccolo cilindro piegato su se stesso aveva messo in moto la grande macchina dei sentimenti; e Sakura aveva capito che era stata proprio Ino, pur senza accorgersene, a toccare con un'unghia smaltata quel minuscolo ingranaggio e a dare inizio al tutto.  

Lei, invece, - stupida oca! - aveva continuato a insultare Sakura, dicendo che, nonostante anni di studio, non sapeva nemmeno riconoscere una bella pianta di fiori. Finché Sai, con un sorriso stampato in faccia, un sorriso non tanto sicuro e un po' spaventato, era saltato dietro la cassa, mettendosi di fronte a lei.

“Usciamo a cena stasera”.

Dalla sua posizione, nascosta dietro un pino e con un cactus alle spalle, Sakura non si era trovata in un buon punto per spiare. Pertanto non aveva visto quale assurda espressione si fosse dipinta sul volto di Ino. Aveva però scorto le spalle abbassarsi, sopraffatte da un'ondata immaginaria di sconforto e delusione; e aveva sentito la sua voce spegnersi e il silenzio regnare vincitore nella stanza.

Sakura, spettatrice esterna di quella dichiarazione non compresa, aveva sentito nascere in lei il desiderio di prendere il cactus e tirarlo in testa alla sua cara migliore amica. Altro che maialino! Ino era una stupida gallina senza cervello! Ma perché non ci arrivava?

“Sai, ascolta.” L'aveva sentita pronunciare il nome del ninja con un'infinita pazienza che di norma non scorreva nel sangue Yamanaka. “Ti ringrazio tantissimo per l'offerta, ma vedi, quando inviti una donna a cena, lei si fa delle idee come dire... sentimentali. Quindi se le tue intenzioni non sono serie, non dovresti-”

“Ma io so benissimo quali sono le mie intenzioni, Ino-san” l'aveva interrotta lui.

Aveva usato un tono di voce talmente vitale e sicuro che, se Sakura non lo avesse sentito con le sue stesse orecchie, avrebbe creduto ci fosse stato uno scambio di persona. Era scivolata fuori dal suo nascondiglio, per riparare nell'altro lato della serra, dietro al vaso delle ortensie; aveva visto la sua migliore amica sgranare gli occhi e arrossire, aprire e chiudere le labbra, velocissima, incapace di trovare una parola con la quale replicare.

Quella gallina ha preso un granchio! Si era detta Sakura facendo a pezzettini una corolla di petali azzurri.

Ma Sai era stato bravo a seppellire ogni malinteso sotto quintali di terra, gettandovi sopra manciate di sale, per impedire che un nuovo dubbio attanagliasse la mente della sua futura ragazza. Le prese la mano e mosse un passo in avanti, schiacciando il petto contro il seno di lei, non staccando gli occhi, nemmeno per un secondo, da quelle iridi identiche ai petali d'ortensia che le mani di Sakura continuavano a polverizzare.

 “Le mie intenzioni con te sono le stesse di Naruto con la Hyuuga” le aveva detto. “Le stesse di Shikamaru con la tizia dalla Sabbia.”

E Ino Yamanaka non si era lasciata scappare l'occasione d'oro, quella dei suoi sogni. Gli aveva gettato le braccia al collo, tappando la bocca di lui con la propria, e aveva fatto avvenire quello che tutti i cittadini di Konoha finirono con il chiamare “miracolo”.




A molti pareva impossibile che una come Ino Yamanaka, nata per amare, avesse dedicato anima e corpo a un involucro privo di emozioni. Perché Ino aveva sempre avuto troppo amore da dare. Al suo team, a Asuma, a un padre che non avrebbe visto mai più. Sakura lo sapeva bene: non si trattava di una stupida oca tutta vestiti alla moda e pettegolezzi. Se qualcuno poteva sostenerlo con fermezza, quel qualcuno era proprio lei. Ino le aveva donato il suo affetto, l'aveva riempita di convinzione e stima per se stessa, era andata contro ogni principio pur di vederla felice. A modo suo, con scherzi e prese in giro, l'aveva amata.


Ma a differenza di quei molti, Sakura sapeva anche che Sai non era un involucro vuoto. Era un bellissimo vaso con pelle di marmo e occhi di carboncino. E dentro quel vaso, un contenitore dotato di tappo ermetico, si agitava uno sfarfallio di sentimenti confusi, talmente disorientati da restare in silenzio, muti, per la paura di trovarsi nel posto sbagliato. Aspettavano semplicemente che qualcuno aprisse il vaso e li accarezzasse, donando loro una nuova voce. Chi allora meglio di Ino Yamanaka, che di amore traboccava, avrebbe potuto dare ordine a quel puzzle scomposto di emozioni e insegnargli il vero valore della vita?




Ancora prima di entrare nel negozio, Sakura sentì nell'aria un dolcissimo profumo di fiori e pollini. Una miscela che odorava di calicanto, gigli e gelsomino le solleticò la punta del naso e rilassò i muscoli del corpo. Tesi, dopo l'incontro con Naruto e Hinata. Tesi, dopo l'incontro con un destino di solitudine. Era stata una buona idea andare da Ino; le pareva infatti che quella fragranza naturale avesse il dono di allontanare il mal di testa che le premeva sulle tempie, oltre a un brutto raffreddore che tutta quella grandine le avrebbe sicuramente causato.

Alleggerita e desiderosa di fare quattro chiacchiere con la sua migliore amica, aprì la porta del negozio. Non lo avesse mai fatto! Maledetta le decisione di andare a trovarla! Con uno scatto e un grido, sfuggito alle labbra, si voltò di spalle, per non vedere un secondo in più quel che mai avrebbe voluto vedere.

«Fronte spaziosa, non sai leggere?» strillò Ino. La voce acutissima, vinta da una punta di isteria, oltre che dalla vergogna per essere stata colta sul fatto. «Il cartello! C'era scritto chiuso!»

Sakura sentì il rumore della zip venire tirata su, il botto delle scarpe che, per un movimento maldestro, finirono a terra, prima che quella gallina della sua migliore amica riuscisse a rimettersele.

«Ma come facevo io a sapere che-» provò a dire.

Non riuscì a concludere la frase. Avrebbe avuto gli incubi. Avrebbe avuto gli incubi a vita. D'accordo che le amiche si confessavano le loro storielle bollenti e le esperienze piccanti, ma vedere Ino e Sai, nel preciso mentre, nudi se non per le magliette, sdraiati sopra il bancone con la cassa...

«Che vergogna!» gridò lei.

«Vergogna tu?» gridò Ino.

Era una dura competizione a chi delle due fosse più imbarazzata. Sakura poi non avrebbe mai e poi mai voluto voltarsi di nuovo. E forse non sarebbe riuscita a guardare in faccia Ino e Sai per il resto dei suoi giorni. Si girò solo perché vide il suo compagno di team comparirle affianco, completamente vestito e impassibile, se non per il solito sorrisetto che da quando stava con Ino non riusciva a levarsi di dosso.

«Non sgridarla, tesoro» disse alla sua ragazza.

Enfatizzò quel “tesoro” in una maniera non normale, quasi fossero due bambini che parlavano in codice. Se Sakura non avesse avuto la bocca piena di imbarazzo, avrebbe ribattuto ad alta voce che lei e Ino si confidavano come all'età di quattro anni e non c'era bisogno di nasconderle dei segreti. Sapevano tutto l'una dell'altra... a parte il fatto che Ino indossasse slip con le fragole, quando le aveva sempre detto che la biancheria doveva essere rigorosamente di pizzo nero.

Sakura adocchiò le mutandine rosa che la sua migliore amica si era scordata di rimettersi. Colpa della fretta.

«Vedi, tesoro» stava intanto continuando a dire Sai. Ancora con quel tesoro? «Chi non ha una vita sessuale non può immaginare che gli altri ne abbiano una.»

Le tirò una pacca sulla spalla, in segno di consolazione. Mai e poi mai farsi difendere da Sai. Sperò solo che Ino si munisse di quella delicatezza che in genere non conosceva per spedire il suo fidanzatino fuori dalla serra.

«Hai ragione, tesoro» disse invece. «Beh, Fronte Spaziosa, dovresti farti prestare un certo libro dal tuo caro maestro, giusto per evitare di trovarti in situazioni imbarazzanti.»

Parlò come se quello scambio di battute fosse un gioco, una barzelletta, e non immaginò, nemmeno da lontano, che potesse fare male vedersi sbattuta in faccia la verità: era una perdente. Non aveva mai avuto un ragazzo, mai fatto sesso e l'unico bacio che aveva dato se l'era giocato in una missione, per portare a casa la pelle.

Eppure Ino, pur sapendo, faceva la voce da civetta e ci ridacchiava su. Anche Sai si concesse una risatina. E pensare che lei aveva sempre creduto che le loro menti, emotivamente difettate, corressero sulla stessa onda.

«Non è colpa sua,» lo sentì dire, «se l'Uchiha non vede alcuna ragione per amarla.»

Le sembrò di essere un vetro, sottilissimo e già crepato, rattoppato con strati di mastice e colla; le parole di Sai un sasso grosso, pesante, un masso che non poteva essere evitato. Andò a sbattere su di lei, su quel vetro sottilissimo che anno dopo anno era stato mandato in frantumi da troppi colpi.

Smise di respirare, con gli occhi asciutti per lo smarrimento, perché la battuta di Sai aveva colto di sorpresa anche le lacrime, gocce d'acqua salata che non avevano capito: era il momento di intervenire. Nemmeno guardare Ino le fu d'aiuto. La trovò smarrita quanto lei, con una risata bloccata in gola e le mani che le tremavano un poco. Anche Sakura, in passato, era stata vinta da quel tremito e sapeva che per calmarsi doveva tirare un pugno o lanciare kunai. Ino sembrava pronta a farlo. Fissava Sai con lo sguardo di fuoco e unghie che non vedevano l'ora di graffiarlo e scorticarlo vivo.

Ma Sakura non voleva che Sai morisse. Doveva parlare.

Non vede alcuna ragione per amarmi.

«Chi te l'ha detto?» gli chiese.

La coda dell'occhio intravide la testa di Ino muoversi in piccoli no, no. Il gesto che si faceva per dire di tacere, non rivelare la verità. Brutto mostro la verità! Una volpe a nove code capace di distruggerli tutti. Sakura guardò Sai, ancora il sorriso in viso, incurante delle preghiere di Ino.

«Naruto» le disse.

Il cuore fece un salto in gola. Tra tutti, proprio lui.

Naruto.

Aveva visto giusto qualche ora prima, al negozio. A forza di rincorrere il Teme non era una battuta mal riuscita, ma l'esplicitazione di un pensiero che girava e girava in quella testa bionda da chissà quanti anni. Non poteva crederci. Non poteva credere che Naruto la vedesse davvero come quella larva che strisciava nel fango, una farfalla senza ali.

Aprì le labbra per supplicare Sai, per chiedergli di dirle che era uno scherzo. Il sorriso sulle labbra di lui era rotto e pareva domandarle scusa e infatti cercò di riparare al malanno. Corresse il tiro:

«Ma a Naruto l'ha detto Sasuke. Due anni fa.»

Lo corresse in peggio. Sasuke. Sempre lui, lui che non si accontentava di vederla ridotta in tante schegge di vetro, depositate sul pavimento di un negozio di fiori. Doveva ridurla in polvere, sabbia destinata a volare via, nel vento.

«Faresti meglio a chiedere a Sasuke, così magari ti schiarisce le idee e forse le schiarisce anche a se stesso-»

«Basta!»

Sakura trasalì nel sentire l'ordine di Ino. Aveva gli occhi lucidi e i nervi delle braccia tesi, lungo i fianchi. Con una piccola scossa, mosse la chioma bionda, arruffata dopo il sesso con Sai.

«Basta» lo supplicò. «Non è questo il modo giusto per incitarli, tesoro! È meglio se vai!»

Sai abbassò lo sguardo e Sakura capì che non avevano litigato. Avevano solo idee diverse su un argomento, una faccenda importante, e da quanto aveva intuito quell'argomento importante era proprio lei. Su una cosa almeno non si era sbagliata: l'unica persona disposta a ferirla, pur di salvarla, era proprio Ino. La vide salutare Sai con un bacio sulla guancia e sussurrargli di andare. Si sarebbero incontrati dopo cena.

Ora me ne vado anch'io.

Si sentiva il respiro pesante, un mattone piazzato alla base del collo che le impediva di alzare il petto e di abbassarlo. L'odore dei fiori poi – il calicanto, i gigli, il gelsomino – era nauseante, incastrato nelle narici. La stava soffocando.

«Non darci peso, fronte spaziosa» le sorrise Ino. La sua voce le ricordò improvvisamente sua madre. «Conosci Sai. Chissà che ha capito?»

Si trasformò nella Ino che l'aveva consolata da bambina, quella che le raccontava le favole e le diceva che era un bocciolo. Doveva solo aspettare la giusta stagione e si sarebbe schiusa nel più bello dei fiori. Solo che Sakura aveva smesso di credere alle favole quando Sasuke era fuggito da Konoha. La prima volta.

«Dai, non fare quella faccia!» la pregò Ino. Le diede un buffetto sul braccio. «Se stessimo ad ascoltare tutte le stronzate che dicono gli uomini, torneremo all'età della pietra.»

Rise da sola alla sua battuta, orrenda, e si stampò in faccia un sorriso troppo largo, al punto che sembrò avere una paralisi alla mascella. Iniziò ad aggirarsi per il negozio, passando da un'ortensia a un giglio, con frenesia. Mostrava una naturalezza che non aveva, quasi parlare in fretta e muoversi stile tornado potessero cancellare dalla mente di Sakura parole incise in lei con il fuoco. Indelebili.

«Allora, fronte spaziosa, ti serve qualcosa?» le chiese. «Non che ci restino molti fiori in serra. La grandine ha bucato i teli di protezione e rovinato i petali, quindi-»

Era troppo. Aveva sempre saputo di non possedere l'ombra di una chance con Sasuke, capito che quell'angolino di posto che reclamava nel suo cuore non era mai esistito; ma sentirselo dire così, in faccia; e sapere che Sasuke lo pensava da due anni e non si era mai degnato di dare una risposta alle sue due confessioni, un rifiuto ufficiale... Sakura sentì le gambe cedere, ogni forza prendere il volo dal corpo e abbandonarla. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui!

«Detesto la grandine!» gridò con tutta l'energia che le restava. «È fastidiosa e testarda. Per quanto corri, cercando di sfuggire ai suoi colpi, lei ti trova e non ti lascia scampo.»

Ricordava lo sguardo di Sasuke cambiare. Avevano dodici anni e lei ignorava molte verità. “La solitudine è un dolore che non ha nulla a che vedere con l'essere sgridati dai genitori” le aveva detto. Poi la scoccata finale, la prima di una lunga serie: “Sei irritante”.

«È una persecuzione» si trovò a dire. «Quando ti picchietta in testa.»

“Tu sei come Naruto. Se hai tempo per scocciarmi, lavora su uno o due Jutsu. Francamente le tue abilità sono al di sotto di quelle di Naruto”.

«Quando rimbalza sull'asfalto.»

“Non permetterò a nessuno di fermarmi, nemmeno a te”.

«E finisce sotto le scarpe.»

“Non ho bisogno del tuo aiuto. Non provare a seguirmi.”

«Quando ammacca un ombrello nuovo di zecca.»

“Sei davvero irritante”.

«L'ho sentita battere in me.»

“Sakura”.

Solo il suo nome e uno sguardo vuoto. Poi, nel corso della battaglia, la lama della katana puntata contro di lei, Yamato pronto a deviare l'attacco.

«Nelle mie vene.»

Continuare a cercarlo, anni e anni, senza sapere dove fosse, se avesse qualcuno di cui fidarsi, qualcuno che gli guardasse le spalle, qualcuno che lo amasse almeno un'infinitesima parte di quanto lo amava lei.

«L'ho sentita pulsare sotto la pelle.»

Perché non era mai abbastanza?

«Mischiarsi al mio sangue.»

Perché a Sasuke non importava?

«E poi arrivare al cuore.»

Il Chidori. Sakura non lo vedeva, ma sentiva il crepitare delle scariche elettriche dietro la nuca, a un millimetro dalla testa.

«E una volta arrivata è stato un pugno che ha strappato atri e ventricoli dalla loro sede.»

“Sei dannatamente irritante, Sakura”.

«E mi sono sentita morire.»

Proprio al cuore doveva mirare? Quant'era assurdo che in un'illusione volesse prendersi quella parte di lei che gli era sempre appartenuta?

«Perché non può accontentarsi della pioggia e di qualche fulmine?»

Ignorandola, chiamandola debole, facendola sentire quella stupida nullità che lei non era. Sapeva di non esserlo!

E intanto Ino la guardava, con le braccia colme di fiori recisi. Narcisi e gigli, gli stessi che Sakura portava a Sasuke in ospedale nei periodi di ricovero, un simbolo di speranza. La guardava con gli occhi lucidi, ma senza togliersi quel sorriso sciocco che voleva protrarre l'illusione.

Andava tutto semplicemente e splendidamente bene.

«Fronte spaziosa, ma che stai dicendo?» le chiese.

La sua domanda le parve una supplica, la richiesta di lasciar perdere e accontentarsi al triste fluire di ogni giorno, senza scavare più a fondo, senza togliere dalle sabbie che la proteggevano la mummia della verità, perché a volte si stava meglio a non sapere. Viveva meglio chi ignorava.

«È solo ghiaccio che scende dal cielo.»

Ma Sakura era stufa di nascondere la testa sotto il lenzuolo. Era stanca di fingere ogni giorno di essere felice, quando non lo era. Davanti ai suoi amici, per non farli preoccupare; davanti a Sasuke, per non essere disprezzata; davanti a se stessa per non credersi patetica. Era arrivato il momento di dire chiaro e tondo quale fosse la realtà delle cose.

«No, Ino. Non è quello. Non è solo ghiaccio. È qui, lo vuoi capire?»

Prese la maglietta all'altezza del seno e la tirò, come se assieme al brandello di stoffa rossa avesse voluto strapparsi via lo stesso cuore. Ecco la fonte di ogni suo problema: quello stupido organo mal funzionante, la sede di sentimenti sbagliati, il bersaglio preferito di ogni chicco di grandine, di ogni sasso. E lei tirava ancora il maglioncino, affondando le unghie nelle maglie troppe larghe che lo componevano e arrivando a graffiare la pelle del petto.

«È qui» ripeté. «È qui ogni volta che lo vedo, perché lui è come la grandine in questa stupida stagione d'estate. Non fa che tornare ad annientarmi, persino quando è lontano. E mi uccide con i suoi sguardi, con le parole che vorrei sentirmi dire e non mi dirà mai, mi buca l'anima come tanti e interminabili proiettili di ghiaccio. E sai cos'è peggio?»

Ino lo sapeva benissimo cos'era peggio, ma continuava a ignorarla. Si girò verso un tavolo colmo di fiori e lasciò cadere i narcisi e i gigli che stava cullando nelle sue braccia, solo una scusa per non guardare quella povera malata d'amore che piangeva e si disperava e cercava di cavarsi via il cuore. E forse le faceva pena, oppure le spiaceva, perché Sakura sapeva che Ino ci teneva a lei. Ci teneva sul serio. E infatti le spalle tremavano in maniera quasi impercettibile, segno che stava per cedere, stava iniziando a vedere il problema, a capire che quando Sakura le diceva “sto benone, la cotta per Sasuke mi è passata, siamo solo amici, meglio così, no?” non faceva altro che mentire; costretta ad accettare quel che aveva sempre saputo, ma preferito ignorare: c'erano amori così forti da poter spazzare via con l'intensità di un battito l'anima di una persona, da poter rompere con la loro tenacia e insistenza anche il cuore più sano.

«Non staremo parlando di Sasuke, spero» disse.

Sakura non l'ascoltò e continuò per la sua strada:

«Il peggio è che ogni volta io glielo lascio fare. Mi illudo che cambierà e  nel suo cuore troverà un piccolo posticino per questa stupida ragazzina innamorata.»

Era evidente invece che non sarebbe mai successo. Il confronto con Ino e Sai aveva avuto il merito di illuminare i sentimenti che Sasuke nutriva nei suoi confronti. Certo che ammetterlo ad alta voce non aiutava, anzi quello sfogo, corredato di un pianto con abbondanti lacrime, l'aveva svuotata. Alla fine le gambe cedettero e lei si ritrovò seduta sul vaso di una grande mangiafumo. La terra, bagnata, le inumidì i pantaloni grigi che indossava e la fece tremare per il freddo, senza che lei trovasse la forza di alzarsi. Studiò invece la punta dei piedi, non sapendo più che dire, non sapendo più che fare, vergognandosi della scenata che si era appena svolta davanti a Ino.

Quando alzò lo sguardo, trovò la sua migliore amica davanti a lei, accucciata a terra perché le loro teste fossero sulla stessa linea d'aria.

«Sakura, lo sai qual è il bello della grandine?» le chiese.

Non aveva più gli occhi umidi e la voce non era canzonatoria, da civetta. Le prese invece entrambe le mani e le racchiuse nelle sue.

«Il bello della grandine, Sakura, è che dura un secondo e subito dopo viene il sereno. Lo hai aspettato per anni. Ti sei presa sulla testa secoli di secchiate gelide, e ora che il sereno sta comparendo all'orizzonte, dichiari sconfitta?»

Ma che stava dicendo? Sakura corrugò la fronte, smarrita. Ino avrebbe dovuto darle man forte, insultare Sasuke, consolarla con i classici “quello lì è una causa persa, lascialo stare, meriti di meglio”; non consigliarle di sistemare le ferite con una confezione di cerotti e ributtarsi nella mischia.

«Hai pianto per lui ogni notte della tua adolescenza» continuò a dirle. «Hai saputo amarlo anche quando sarebbe stato giusto odiarlo. E se credi che siano vere tutte quelle stronzate che si leggono nei libri, che amare significa non dire mai mi dispiace, allora sei più idiota di Naruto.»

Aprì bocca per ribattere che non era così, non era vero. Se si amava una persona, bisognava impegnarsi per non ferirla e Sasuke invece le faceva male, di proposito.

«Tutti sbagliamo, Sakura, e amare vuol dire avere la forza di ammetterlo, rimettersi in gioco, calare ogni carta pur di riottenere la fiducia dell'altro-»

«Ma a Sasuke non importa nulla della mia fiducia, Ino!»

Perché non lo capiva?

«Lo hai detto tu, ricordi?» Strinse ancor di più le sue mani, quasi avesse voluto passarle tutta la sua convinzione, tutta la sua forza. «È come la grandine. È testardo e duro. Ed è una persecuzione. Perché potrebbe anche essere morto, seppellito sotto quintali di terra, ma non sapresti comunque lasciarlo andare. La sua presenza ti tormenterebbe ogni giorno. Quindi sì, è corretto dire che ti è entrato sotto la pelle, si è mischiato al tuo sangue ed è arrivato al tuo cuore. Non importa in che modo. Sasuke è lì e non se andrà.»

Sakura sentì le lacrime riprendere a scorrere sulle guance, silenziose. Le labbra tremarono nel tentativo di formulare una risposta, ma mai Ino le aveva fatto un discorso tanto vero. Che altro doveva combinare Sasuke perché lei imparasse a odiarlo e riuscisse a levarselo dalla testa?

«Vedi, Sakura, se vuoi che ti dica quel che penso,» lo avrebbe fatto comunque, vero? «Ora come ora, per come ti guarda, non credo nemmeno voglia andare via.»



   
 
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