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Metamorfosi
Cap9;
begin
write('Bloccati,
o controllati');
readln;
end.
«Si
è stabilizzato. È qui con noi.»
«Può
già sentirci?»
«Sì.»
«Ci
ha messo meno dell'altra.»
«L'altra
era come noi solo per un quarto, lui per metà.»
Ludovic
spalancò gli occhi. Nonostante la luce diretta non
sentì il bisogno
di richiuderli. Si sentiva estremamente bene, più leggero
del
solito, più sciolto nei movimenti.
Si
guardò intorno e per un momento credette di essere
circondato da
fantasmi. Le figure umanoidi che si trovavano nella stanza sembravano
fatte di vetro e riempite d'acqua e, seppur non in modo perfetto, vi
si poteva vedere attraverso.
Non
erano tutti sul suo stesso piano. Alcuni camminavano su quelle che
per lui erano le pareti, sopra a quelli che sembravano schermi che
monitoravano le sue funzioni vitali.
«Dove
sono?» Non si sorprese più di tanto nel constatare
che la sua voce
era limpida e non impastata come dopo un lungo sonno.
«A
Cartagine, capitale di Lyoko» rispose una delle figure.
«Capitale?»
ripeté Ludovic. «Ci sono
città?»
«Sì.»
«Quante?»
«Cinque.
Questa e quattro città-torri, una in ogni habitat di
Lyoko.»
«Mi
chiamo Ludovic Dunbar, sto cercando Rebecca Belpois, credo si trovi
qui.»
«Si
trovava qui fino a poche ore fa.»
Ludovic
si alzò in piedi. La superficie piatta e all'apparenza
metallica su
cui era disteso era sospesa nel vuoto.
«Cos'è
successo?»
«La
ragazza è stata infettata da XANA.»
XANA.
Ludovic sentiva che avrebbe dovuto riconoscere quel nome, ma proprio
non gli venne in mente nulla. «Cos'è
XANA?» chiese alla fine.
«XANA
è un virus che ha infettato e distrutto molti di noi
programmi.»
«Programmi?
Siete i programmi viventi?» Non diede alla creatura nemmeno
il tempo
di rispondere. «Distrutto? Nel senso che Rebecca è
stata
distrutta?»
–
ʘ –
«Jeremy
sbrigati!» esclamò Chris. Era seduto insieme ad
Emma sul letto che
avevano spostato davanti alla porta della camera.
Ogni
volta che un colpo faceva tremare il legno e i cardini, Sissi
sussultava.
«Ecco,
ecco» fece Jeremy. «Meraviglioso»
aggiunse poi tra sé e sé.
«Tutto questo lavoro...»
«Risparmiaci
i commenti» lo fulminò Sissi.
«Trovate!»
esclamò Franz uscendo dal bagno e brandendo una scatolina
fatta di
semplice cartoncino bianco ripiegato. «Bisogna solo sperare
che
funzionino» aggiunse filando dalla scatolina un contenitore
rotondo
dentro cui dovevano trovarsi lenti a contatto di Rebecca.
«Funzioneranno»
gli assicurò il padre staccandosi finalmente dal computer
della
figlia. «Ma non ti serviranno a niente.»
Il
sorriso morì sul volto di Franz.
«Perché?»
«Ne
ho trovato il progetto. Le lenti non hanno nessuna capacità
di
programmazione, si limitano ad elaborare le immagini in modo da
renderle visibili.»
«Non
ti seguo» ammise il figlio.
«Nemmeno
io» lo sostenne Emma e Chris annuì.
Jeremy
guardò la ragazza bionda. «Tu vedi
quegli… esseri?» le
chiese con calma.
«Intendi
il gatto viola e gli altri due. Sì.»
«E
tu Franz?»
Franz
esitò un momento. «No, io vedo solo simboli
vaganti.»
«Sì,
quando li fai scoppiare» precisò Chris
«li vediamo anche noi.»
«No,
io li vedo sempre. E non scoppiamo, si disperdono mentre prima sono
addensati.»
«Quindi
non hai mai visto il pappagallo gigante?» fece Chris.
«Né
il gatto viola?» continuò Emma.
Franz
scosse la testa. «Be' riesco a distinguere la sagoma se mi
concentro, ma mi fa venire il mal di testa»
spiegò, poi aggiunse:
«Credo che sia per questo che sono stato male.»
Sissi
soffocò un urlo e Jeremy si voltò verso i
ragazzi. Il legno della
porta era deformato e prossimo alla rottura. Chris ed Emma lo
sostenevano con tutto il loro peso. Sissi li fissava preoccupata ma
senza decidersi a dare loro una mano.
«Insomma»
riprese Jeremy parlando molto più velocemente di prima
«Rebecca ha
creato le lenti a contatto solo per poter elaborare in immagini quei
simboli e forse quindi anche per combattere i mal di testa. Doveva
avere la tua stessa visione.»
«Quindi
non servono a farli… be', non so cosa facesse di preciso
Rebecca.
Lei… Ludo ha raccontato che ha detto
“reverso” e il granchio se
n'è andato.»
«Qualunque
cosa abbia fatto, non si è servita di nulla.»
Il
cellulare di Jeremy ricominciò a squillare nel momento
esatto in cui
la porta andò in frantumi e Ulrich rotolò dentro
la stanza.
Mentre
Odd finiva di fare a pezzi la porta, Ulrich balzò verso i
ragazzi
come fanno i vampiri nei film.
Emma
rotolò via e Chris si accucciò fuori portata.
Franz
si limitò a strillare.
Ulrich
cadde a terra come se improvvisamente fossero stati tagliati i fili
che lo tenevano in piedi. Simboli bianchi e luminosi volteggiarono
frenetici intorno alla sua testa.
«Ulrich!»
Sissi gli si avvicinò di corsa, ma lui aveva già
inspirato e
risucchiato tutti i simboli. La afferrò e la
inchiodò a terra
serrandole le dita intorno al collo.
Da
fuori, Odd allargò il buco nella porta, poi entrò
scavalcando il
letto, seguito a ruota da Aelita.
Emma
balzò addosso al padre e Chris lo afferrò per le
caviglie. Odd
scivolò di lato. Emma riuscì rotolare via, ma
Chris non fu
abbastanza rapido. Odd gli serrò la mano sulla fronte e il
ragazzo
sentì delle scosse elettriche attraversargli il corpo.
Spalancò gli
occhi e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Emma
tentò di colpire il braccio del padre perché
lasciasse l'amico, ma
tutto ciò che ottenne fu un manrovescio che la fece andare a
sbattere contro la scrivania.
Ulrich,
intanto, sembrava non sentire nemmeno le grida del figlio. Continuava
a stringere la gola di Sissi per soffocarla mentre lei gli arpionava
le dita e rantolava nel disperato tentativo di prendere aria. In
preda a spasmi di dolore, Sissi si dimenò come un pesce
tirato fuori
dall'acqua. Riuscì a liberare una mano e colpì
Ulrich in faccia. Il
suo naso scrocchiò e un rivolo d'ossigeno appena sufficiente
per
sopravvivere un'altra manciata di secondi le scivolò nella
gola
prima che le mani di Ulrich si chiudessero di nuovo intorno al suo
collo.
Sissi
contrasse i muscoli di scatto e le sue ginocchia lo colpirono sul
costato facendolo sussultare. Gli chiuse le mani intorno ai polsi
sforzandosi di allontanarli dal proprio collo.
Si
ricordò che portava gli stivali e gli conficcò i
tacchi nelle
cosce. La reazione fu di gran lunga minore di quella che avrebbe
avuto in una situazione normale, ma evidentemente l’essere
che
controllava Ulrich non poteva ignorare del tutto il dolore.
Franz
approfittò del momento di distrazione di tutti gli altri per
mettere
il portatile di Rebecca tra le braccia del padre e spingere
quest’ultimo dentro il bagno.
Jeremy
aveva appena girato la chiave dall’interno quando il suo
telefono
riprese a squillare. Quasi gli volò di mano mentre cercava
di
rispondere.
«Pronto?»
urlò.
«Jeremy,
sono Yumi. È fatta, il super-computer è acceso,
siamo in contatto
con Lyoko.»
«Fantastico.»
«Jeremy
non puoi nemmeno immaginare...»
Jeremy
non seppe cosa Yumi stesse per dire. La porta del bagno fu sfondata
con un'unica, decisa, spallata e lui sussultò
così improvvisamente
che il telefono gli sfuggì di mano.
Per
qualche istante non successe nulla.
Sentiva
solo le urla di Chris e i versi di Sissi provenire dalla camera.
Poi,
senza particolare fretta e con un vago senso di spaesamento, Aelita
entrò nel bagno camminando in modo assolutamente normale. Si
guardò
intorno finché non lo mise a fuoco.
«Jeremy»
mormorò poi facendo un passo verso di lui che d'istinto
indietreggiò. Aelita si fermò come se quel gesto
l'avesse colta di
sorpresa. «Sono io» disse confusa, quasi ferita.
Jeremy
strinse il portatile sotto un braccio e usò la mano libera
per
spingersi gli occhiali più su sul naso.
Gli
occhi di Aelita erano sempre stati chiari e piccoli perciò
ora era
impossibile capire se fosse ancora posseduta o meno.
«Non
ti avvicinare» le ordinò comunque.
Lei
obbedì. «Ti prego, Jeremy, sono solo io. Dobbiamo
aiutare gli
altri.»
«E
come?»
«Dammi
il computer.»
«Come?»
Jeremy strinse la presa sul portatile.
«Il
computer» ripeté Aelita. «Rebecca
avrà trovato un modo per
fermarli.»
«C'è
troppa roba, non abbiamo abbastanza tempo.»
«Jeremy,
avanti, dammi il computer.»
–
ʘ –
Anna
si era accucciata a terra, la schiena appoggiata alla barriera
invisibile e le braccia strette intorno alle gambe, e piangeva
disperata.
Una
minuscola parte di Carlotta si chiese se un programma potesse davvero
piangere – be' forse sì se era programmato
per farlo – ma
per il resto era concentrata sulla ragazza che aveva di fronte.
Che
fosse casuale o intenzionale, XANA aveva scelto l'ospite migliore.
Chi sarebbe stato in grado di trovare qualcosa di anomalo in quella
postura perfettamente dritta, in quello sguardo fisso e attento, in
quel volto vuoto ma espressivo, se quelle erano già di
natura
caratteristiche di Rebecca?
Non
è lei, non è Rebecca,
si ripeteva costantemente
Carlotta, sforzandosi di non mostrare nessun cedimento.
Davanti
a lei, XANA continuò a sorridere come se stesse ammirando
qualcosa
di meraviglioso e soddisfacente. Tutto ciò che fece fu
portarsi i
pugni sui fianchi e socchiudere leggermente gli occhi.
Carlotta
sentì un brivido correrle lungo la schiena fino a
trasformarsi in
una specie di scossa che la fece sussultare.
Anna
gemette piano. Aveva smesso di piangere e ora tremava come una
foglia.
«Con
te farò i conti dopo» sibilò XANA.
«Lei
non c'entra niente!» scattò Carlotta.
«Lasciala stare.» Fece per
spostarsi e mettersi davanti alla ragazza dai capelli rossi ma si
schiantò contro qualcosa di solito e duro.
Cadde
a terra e subito protese le mani in avanti. Le sue dita incontrarono
una superficie identica a quella dello scudo che circondava la
scuola.
«Ma
cosa...»
La
risata di XANA – così diversa da quella di Rebecca
– la
interruppe.
«Ora
posso controllare il generatore a distanza. Questo corpo non
è
debole e inadatto come la donna di prima. È perfetto. Posso
fare ciò
che voglio.» Spostò lo sguardo su Anna.
«Anche cancellarti, qui e
ora.»
Anna
scosse la testa disperata. «No, ti prego!»
supplicò.
«No?
Dovevi pensarci prima. È questo il modo di ripagare chi ti
dà la
libertà?»
Anna
cominciò a strillare e i contorni della sua figura divennero
sfocati.
Carlotta
avrebbe voluto aiutarla, ma in quel momento la sua mente era altrove.
“La
donna di prima”. Pensò alla preside e a come si
comportava quando
l'aveva seguita proprio su quel sentiero. Era come se due
volontà
diverse comandassero lo stesso corpo tentando di imporsi l'una
sull'altra.
«Rebecca!»
chiamò con tutto il trasporto possibile.
XANA
smise di fissare Anna, che ormai era una sagoma sfocata, e si
voltò
verso di lei con aria seccata.
«Rebecca,
so che sei lì» continuò Carlotta.
«So che puoi sentirmi. Non puoi
lasciarglielo fare! Devi resistere.»
XANA
venne verso di lei con incedere calmo e si fermò dall'altra
parte
del nuovo muro invisibile, fissandola dall'altro.
«Mi
dispiace» disse senza alcun dispiacere. «Ma non
può sentirti.»
«Sì
invece! Rebecca svegliati! Ora! Devi reagire.»
XANA
rise. «Forse non mi sono spiegata. Quella di prima era solo
umana,
non potevo che inviare impulsi, ma qui… Questa mente, questo
corpo…
sono perfetti, sono compatibili con me. Sono persino meglio di
te.»
La studiò come fosse una confezione di carte nel reparto di
un
supermercato. «Tu saresti persino più completa, ma
altrettanto
speciale? Io non credo.»
La
aggirò per proseguire sul sentiero.
Carlotta
si alzò in piedi e la seguì per quanto possibile.
«Arriverai
troppo tardi. A quest'ora i miei genitori avranno riacceso il
super-computer e messo in allarme tutti.»
«Tu
non sai nemmeno di cosa stai parlando, ragazzina» a derise
XANA. «Lo
hanno riacceso? Lo spegnerò di nuovo.»
–
ʘ –
Emma
batté le palpebre e faticò a mettere a fuoco la
stanza.
Probabilmente
non erano passati che pochi istanti da quando suo padre, o chi per
lui, l'aveva spinta contro una scrivania, ma non era sicura.
Appena
tentò di muoversi, una fitta alla schiena le fece salire le
lacrime
agli occhi per il dolore.
Si
guardò disperatamente intorno, ma la sua vista continuava ad
appannarsi.
Tastò
il pavimento intorno a sé finché le sue dita non
si chiusero
intorno ad un oggetto allungato vicino ai piedi della scrivania.
Poteva essere un telefono o un telecomando e sembrava essere stato
assemblato a mano unendo pezzi diversi. Era di Rebecca?
Una
lucetta verde illuminava il tasto con il simbolo di accensione. Emma
lo premette e la luce divenne rossa. Non successe nulla.
Chris,
da qualche parte, ricominciò ad urlare. Emma ebbe
l’impressione
che stesse gridando anche per lei. Non sapeva nemmeno più
cosa le
facesse male di preciso, il dolore era ovunque.
Disperata
e incapace di muoversi, Emma si abbandonò completamente. Le
sue
braccia caddero inermi ai lati del corpo, le gambe non le sentiva, la
testa era appoggiata a qualcosa, la schiena piegata in un angolo
strano.
Pianse
silenziosamente mentre le grida di Chris le facevano pulsare le
tempie.
Stava
per scivolare via, lo sentiva.
Tremando,
le sue dita schiacciarono pulsanti a caso sul telecomando.
L’ultima
cosa che vide, fu la lucetta in alto ritornare verde.
–
ʘ –
Bea
la avvertì con secondi di anticipo. Una sensazione che
scaturì
dall'interno del suo petto e si diffuse rapidamente in tutto il
corpo.
La
riconobbe subito. Si stava spegnando. Qualcuno l'aveva
momentaneamente disattivata. Ne fu profondamente grata. Accolse
quella specie di anestesia sperando in un sonno lungo e ristoratore
–
non era mai restata in funzione per così tanto tempo.
In
realtà si svegliò nel giro di nemmeno un minuto,
ma si sentiva come
nuova.
Si
rese subito conto che si trovava nella sua stanza. O meglio, in
quella di Rebecca. Era lì che si trovava il suo generatore
locale
perciò era lì che si riformava ogni volta che
veniva riavviata.
Si
guardò intorno.
Nella
stanza regnava il caos. Gli umani combattevano gli uni contro gli
altri, alcuni controllati da programmi. Si stava mettendo male.
Provò
l'impulso di aiutarli e poi una logorante sensazione di impotenza.
Non si era mai sentita così. Doveva essere cambiato qualcosa
nella
sua programmazione nei pochi secondi in cui non era stata attiva.
Si
guardò intorno ansiosa, in cerca di qualcosa che fosse alla
sua
portata.
E
vide Franz. Aveva gli occhi sbarrati dalla paura, ma nessuno si stava
occupando di lui. Era rannicchiato nell'angolo dove prima c'era il
letto e in lui leggeva la sua stessa impotenza. Anche se era assurdo.
Lui era il fratello di Rebecca, lui avrebbe potuto fermarli tutti!
Se
solo lo avesse saputo…
«Oh,
Franz» mormorò dispiaciuta.
E
Franz sollevò allarmato la testa e puntò gli
occhi su di lei, come
se lo avesse chiamato.
«Rebecca?»
Scosse
la testa. «Sono Bea.»
E
solo allora si rese conto di cosa era davvero diverso nella sua
programmazione. Poteva parlare. Poteva comunicare vocalmente con il
mondo esterno.
«Franz!»
questa volta quasi gridò.
Attraversò
la stanza con grandi falcate, quasi ignorando tutti quanti, e si
buttò in ginocchio accanto al ragazzo dagli occhi dorati.
«Franz!»
ripeté. «Devi fermali!»
«Io?
Non riesco più nemmeno a farli scoppiare.»
«È
perché sei agitato, ci vuole concentrazione. E non devi
farli
esplodere, non serve a niente, poi si riformano, ora più in
fretta
di prima.»
«LO
SO!» strillò lui.
«Rebecca
ci riusciva. Li cambiava.»
«Come?»
«Non
lo so. Lei era… non umana. Lei poteva farlo.»
«Io
non sono lei.»
«Sei
suo fratello. Avete un codice genetico simile, se lei può
riuscirci
puoi farlo anche tu.»
«Anche
se fosse vero, Rebecca ci ha messo un anno per riuscirci. Ricordo
quando chiamava casa per i mal di testa.»
Chris
lanciò un urlo più forte e Franz si premette le
mani sulle
orecchie.
«Sono
i tuoi amici!» scattò Bea. «Non puoi
lasciare che si facciamo del
male così!»
«Io…
non posso… non so come...»
«Concentrazione.
Ci vuole concentrazione.»
–
ʘ –
Quando
XANA sparì lungo il sentiero, coperta dalla vegetazione,
Carlotta
smise di chiamare ad alta voce il nome di Rebecca e di prendere a
pugni il muro invisibile. Tanto era inutile, quel muro non era
fisico, non poteva rompersi. Non nel senso che lei aveva sempre
associato al concetto di rottura.
E
pensare che una persona normale non si sarebbe accorta di niente! I
suoi stessi genitori non avevano percepito nessun muro. Non avrebbero
visto Anna che ora se ne stava immobile, come congelata, per terra,
la figura sfocata fino a non essere altro che una chiazza di colori
sbiaditi e sovrapposti.
Ma
lei... Lei aveva qualcosa di più. Se fosse stata solo
umana avrebbe potuto camminare tranquillamente lungo il sentiero e
seguire la sua amica posseduta. E non avrebbe potuto vedere Anna,
né
essere attaccata da quelle creature. Ma, evidentemente, in lei c'era
qualcos'altro. Qualcosa di più.
Una
parte di lei non poteva attraversare quelle barriere. Ma poteva
rimanerne all'interno mentre il resto di lei ne usciva?
Appoggiò
di nuovo i palmi sulla barriera, con più delicatezza e allo
stesso
tempo con più determinazione.
Chiuse
gli occhi e si concentrò sul contatto. Era strano. Ebbe
l'impressione di essere divisa in due: un involucro esterno simile ad
un palloncino pieno di farina e una sostanza interna come gas
pressurizzato. Quale delle due parti poteva attraversare la barriera
e quale no? Era la sostanza esterna che avrebbe potuto filtrare fuori
o il contrario? Faticò per mettere a fuoco la sensazione.
Alla
fine ci riuscì. Capì che non sentiva davvero la
barriera sulla
pelle, che la carne delle mani non si appiattiva contro una parete.
Era come se la superficie si scontrasse direttamente con le sue ossa,
o almeno con qualcosa di solido ma malleabile dentro di lei.
Cominciò
a premere, ma in modo diverso da come aveva fatto prima. Usò
la
barriera come una leva per separare la parte di sé che la
poteva
oltrepassare da quella che non ne era in grado.
Fu
straziante. Persino, in qualche modo, doloroso, ma non come lo
sarebbe stato una ferita. Ebbe l'impressione che le ossa stessero
scomparendo da dentro il suo corpo, risucchiate dall'interno,
lasciandolo debole e fragile, molle e pesante, difficile da
governare.
Il
tempo si dilatò e ogni istante divenne un'ora insopportabile.
Quando
si accasciò a terra, oltre la barriera, si chiese se avrebbe
avuto
ancora la forza di alzarsi in piedi e muoversi.
Si
girò su un fianco.
La
prima cosa che notò era che non vedeva più Anna,
o almeno ciò che
restava di lei. Non c'era nessun segno della sua presenza né
sul
terreno su cui doveva essere stesa né sul sentiero da cui
erano
venuti accanto alle impronte di Carlotta e degli altri.
Quando
spostò lo sguardo, però, vide se stessa.
Solo
più tardi si stupì di come avesse potuto
riconoscersi in quella
figura semitrasparente e incorporea e così vaga, ma in quel
momento
non ci pensò neppure.
Fissò
con interesse la parte di sé da cui si era appena separata
così
come avrebbe studiato il proprio riflesso in uno specchio per
decidere se si era truccata bene o se indossava la cosa giusta.
La
sua sagoma, immobile e inespressiva, era quadrettata come lo era
stata altre volte nei giorni precedenti, ma questa volta non le fece
impressione. Si disse che sembrava uscita da un programma di grafica,
come se qualcuno avesse provato a creare un suo alter-ego in stile
cartone animato.
Dopo
un po', si rese conto che quella che credeva stanchezza non era altro
che una potentissima attrazione verso la sua sagoma bluastra quasi
fosse stata un'enorme calamita e lei un minuscolo magnete.
Devo
sbrigarmi, pensò mentre trovava la forza di
alzarsi e di
voltarsi.
Corse
lungo il sentiero sperando che non fosse troppo tardi.
Non
incontrò nessun ostacolo.
–
ʘ –
Chris
non avrebbe saputo dire cosa di preciso provocasse il dolore. Non era
nemmeno sicuro che si trattasse di vero e proprio dolore.
Se
urlava era per la paura, per la sensazione di panico e allarme che
tutto il corpo gli inviava. Quel tocco, quella pressione sulla
fronte, era tutto un altro tipo di violenza.
Non
era solo contatto fisico: sentiva degli impulsi elettrici propagarsi
dal braccio di Odd fino al suo cervello, come se dei comandi
viaggiassero da Odd a lui.
Ciò
che assoggettava Odd stava cercando di fluire dentro di lui e di
controllare entrambi.
Lottò
così come avrebbe fatto per spingere via un aggressore molto
più
grosso e forte di lui, dimenandosi mentalmente al punto da avere
l'impressione che il suo cervello si stesse ritraendo e premendo
contro la sua nuca per allontanarsi da quel contatto.
Poi,
all'improvviso, qualcosa di caldo e piacevole come miele interruppe
il contatto. Chris sentiva ancora la mano di Odd sulla fronte, ma
nient'altro. Qualcosa si stava frapponendo.
Riprendendo
aria come dopo un lunghissimo periodo di apnea, Chris
inspirò e si
ritrasse, strisciando su un fianco per allontanarsi. Odd invece
trattene il fiato e si prese la testa tra le mani.
In
piedi dall’altra parte della stanza, Franz teneva gli occhi
puntanti su Odd, le iridi che brillavano come fari. Al suo fianco,
Bea bisbigliava nel suo orecchio.
Questa
volta non ci fu nessuna esplosione di simboli. Il gatto viola
saltò
fuori dal petto di Odd così com'era entrato e se ne
andò dalla
stanza come avrebbe fatto un vero gatto.
Franz
spostò lo sguardo su Ulrich che subito si
immobilizzò lasciando
andare Sissi.
«Emma!»
esclamò Odd appena si fu ripreso.
Chris
seguì il suo sguardo. Emma era stesa a terra ai piedi di una
delle
scrivanie, priva di sensi. Gemette e batté le palpebre
quando il
padre la sollevò, ma poi svenne di nuovo.
«Che
diavolo è successo?» fece Odd guardandosi intorno.
Non lo vide, ma
il granchio verde che si allontanava da Ulrich gli passò
proprio
accanto.
Tossendo,
Sissi si mise in ginocchio. Il suo volto era rosso e la sua gola
viola, gli occhi gonfi come se stessero per schizzarle fuori dalle
orbite.
«Dove
sono mio padre e mia madre?» chiese Franz appena i suoi occhi
si
spensero.
Si
guardarono tutti intorno, ma il ragazzo si era già mosso
verso la
porta aperta del bagno.
Jeremy
stava bene. Stava tenendo il più ferma possibile Aelita che,
chiaramente fuori di sé, cercava di raggiungere il portatile
caduto
a terra.
Nel
momento il cui Franz entrò, Aelita spalancò gli
occhi e spinse via
Jeremy. Si dimenticò del computer. Balzò sul
davanzale della
finestra mentre un paio di ali verdi da pappagallo le spuntavano
sulla schiena. Saltò giù.
Franz
corse ad affacciarsi, ma non la vide.
Si
voltò.
«Stai
bene papà?»
«Sì»
gli assicurò Jeremy mentre raccoglieva il portatile ancora
miracolosamente integro. «Sì sto bene.»
«Voleva
il computer di Rebecca?»
«A
quanto pare.»
«Dobbiamo
trovare subito la mamma. So come fermare quei cosi. L'ho appena fatto
con Odd e Ulrich.»
«Davvero?»
Jeremy tornò nella stanza.
«Jeremy!»
lo chiamò subito Odd e lui si avvicinò. Misero
Emma su uno dei due
letti – quello che non avevano spostato davanti alla porta.
«Credo
che abbia battuto la schiena.»
«Perché
non guarisce subito?» li interruppe Ulrich.
Si
voltarono a guardarlo.
«Prima
lo ha fatto con i graffi di quel… coso,
e anche Chris.
Perché adesso no?»
Fu
Bea a rispondere, anche se non tutti poterono sentirla.
«Perché
quelle ferite non erano state inferte al suo corpo umano, quelle
potevano guarire con il solo pensiero, queste no, sono
fisiche.»
–
ʘ –
Carlotta
ancora non vedeva la fabbrica quando sentì il rumore di
qualcosa che
andava a sbattere contro la barriera energetica.
Si
voltò, ma da quella distanza poté solo vedere una
sagoma indefinita
premere contro la barriera, a circa dieci metri da terra.
Non
poteva trattarsi di una creatura digitale – non era
più in grado
di vederle – ma aveva qualcosa di troppo strano per essere
umana.
Nell'involucro energetico si aprì un varco grande abbastanza
da
farla passare, poi si richiuse dietro di lei con uno scintillio
verdognolo. Improvvisamente soggetta alla gravità, la sagoma
scivolò
sulla superficie convessa e invisibile della barriera fino a rotolare
a terra. Si infilò nella vegetazione prima che potesse
metterla a
fuoco.
Carlotta
si accucciò e rimase assolutamente immobile.
Dopo
pochi secondi sentì il rumore di qualcuno che le passava
accanto
correndo. Balzò in piedi appena in tempo per distinguere due
teste
rosa sparire tra gli alberi.
Capì
che la sagoma che aveva visto non era altro che una figura umana che
ne portava un’altra sulle spalle.
–
ʘ –
«Ancora
niente lì?» chiese Ludovic.
Una
superficie argentata piegata a novanta gradi e sospesa a
mezz’aria
gli faceva da sedia e una porzione della parete difronte da schermo.
L’immagine
di suo padre scosse la testa. «Non si vede
nessuno.»
Yumi
era seduta su una sedia girevole che appariva ai margini
dell’inquadratura. Teneva le braccia abbandonate sui
braccioli e la
testa reclinata all'indietro, lo sguardo sul soffitto, ma aveva
un'aria estremamente concentrata piuttosto che completamente
abbandonata.
«Allora,»
proseguì William «com'è
Lyoko?»
«Considerando
che fin'ora ho visto solo stanze blu tutte uguali non potrei
definirlo granché. Mi piace da morire la gravità
che c’è qui
però.»
«Prega
di non vedere mai Cartagine come campo di battaglia.»
Ludovic
non sentì rumore di passi e chiaramente nemmeno suo padre,
ma Yumi
si raddrizzò e voltò la testa. William
seguì il suo sguardo.
«Che
succede?» chiese Ludovic che sullo schermo non vedeva niente
di
nuovo.
«Rebecca?»
esclamò William «Stai bene!»
«Si
è svegliata poco fa, ha detto che doveva venire
qui» rispose una
voce femminile e familiare, anche se non della ragazza.
William
si spostò e Ludovic poté finalmente vedere chi
era entrato.
Aelita
teneva un braccio intorno alle spalle della figlia. Rebecca aveva la
sua solita espressione mesta ma non timida, quasi fosse semplicemente
stanca.
«Rebecca!»
chiamò Ludovic.
La
ragazza si guardò intorno più volte prima di
individuarlo sullo
schermo.
«Ludovic.
Che ci fai lì dentro?»
«Cercavo
di scoprire cosa ti è successo.»
«Ora
ti raggiungo» annunciò la ragazza.
«Cosa?
Perché? Sono io che voglio uscire.»
Improvvisamente esitò. «Mi
avevano detto che eri stata infettata da XANA.»
Lei
scosse la testa. «Sto bene, sono riuscita a combatterla, ma
è
ancora là dentro, dobbiamo fermarla.»
«Allora
dobbiamo venire anche noi!» intervenne William e Yumi
annuì.
«No»
replicò Rebecca fissandoli entrambi. «Dovete
rimanere qui ed
impedire che esca. Ha già posseduto la preside, potrebbe
farlo anche
con voi. Dovete stare attenti.»
«Potrebbe
possedere voi» ribatté Yumi.
Rebecca
scosse la testa. «Con me non c'è
riuscita.» Si allontanò dalla
madre e raggiunge il computer in cerca di un terminale.
«Arrivo tra
qualche secondo Ludovic» disse quando trovò quello
a cui era
collegato il telefono di William, poi si rivolse alla madre.
«Dovete
rimanere qui, mi raccomando.»
Solo
Aelita annuì.
Sullo
schermo del cellulare comparvero righe e righe i codice bianco su
sfondo nero, poi, com’era successo poco prima con Ludovic, il
flash
della telecamera intera si attivò. La luce bianca
investì Rebecca
in pieno e la ragazza scomparve nel giro di pochi secondi.
Il
telefono cadde a terra, lo schermo di nuovo totalmente nero.
«Sicura
che stia bene?» chiese Yumi ad Aelita. «Sembrava
strana.»
«Dev'essere
molto provata» rispose lei semplicemente. Recuperò
il cellulare e
lo staccò da terminale.
«Che
stai facendo?» protestò William.
«Mi
assicuro che XANA non possa uscire e possedere uno di noi.»
Pochi
momenti dopo, lo schermo del computer si oscurò.
«Ludovic!»
scattò Yumi. Allungò le mani verso la tastiera ma
non aveva idea di
cosa premere e si fermò. «Ludo!»
chiamò ancora.
«Mamma!
Papà!» la voce che rispose era acuta e non veniva
dal computer.
Yumi
e William si voltarono e videro Carlotta entrare affannata nella
stanza.
William
corse da lei e la sorresse prima che cadesse a terra.
«Carlotta!
Credevo fossi bloccata.»
«Lo
ero. Io…» fissò Aelita.
«Dov'è Rebecca?» chiese, a nessuno in
particolare.
«È
su Lyoko» rispose Aelita fissandola con vuota
intensità e con un
sorriso trattenuto.
«No!»
urlò Carlotta, le gambe che tremavano.
–
ʘ –
Rebecca
apparve gradualmente sul lettino.
All'inizio
non fu altro che una sagoma vuota, identica a tutti i programmi che
si trovavano nella stanza, poi, lentamente, acquistò
consistenza e
prese colore.
Ludovic
si avvicinò, ma non la toccò.
Rebecca
scattò a sedere all’improvviso, con gli occhi
ancora chiusi. Li
aprì lentamente mostrando i cerchi azzurri che si
susseguivano sullo
fondo scuro dell’iride.
Tutti
i programmi cominciarono ad agitarsi e qualcuno persino ad urlare.
«Becky?»
azzardò Ludovic.
Lei
gli rivolse un sorriso gelido.
«Io
sono XANA, guerriero.»
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