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Autore: Artemide12    28/08/2015    2 recensioni
Settembre.
Kadic.
20 anni dopo.

La preside Delmas dà il benvenuto a Franz Belpois, Emma della Robbia, Carlotta Dunbar e Chris Stern.
Sei amici si rincontrano per l'ennesima volta.
Nulla sembra veramente cambiato al Kadic. Tranne in fatto che XANA è stata sconfitta ovviamente.
Franz, Rebecca, Emma, Carlotta, Ludovic e Chris sembrano ragazzi normali, ma presto dovranno fare i conti con ciò che i loro genitori hanno fatto tanti anni prima.
Realtà e Mondo Virtuale si intrecciano e si confondono per chi ha immediato e incontrollato accesso ad entrambi. È la conseguenza di una metamorfosi che nessuno aveva considerato.
Ma quando questo potere diventerà un pericolo?
Presto il Kadic tornerà ad essere ciò che non ha mai smesso di essere: lo scenario di una guerra virtuale che non è ancora finita.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, X.A.N.A.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Metamorfosi Cap9;

begin

    write('Bloccati, o controllati');

    readln;

end.


«Si è stabilizzato. È qui con noi.»

«Può già sentirci?»

«Sì.»

«Ci ha messo meno dell'altra.»

«L'altra era come noi solo per un quarto, lui per metà.»

Ludovic spalancò gli occhi. Nonostante la luce diretta non sentì il bisogno di richiuderli. Si sentiva estremamente bene, più leggero del solito, più sciolto nei movimenti.

Si guardò intorno e per un momento credette di essere circondato da fantasmi. Le figure umanoidi che si trovavano nella stanza sembravano fatte di vetro e riempite d'acqua e, seppur non in modo perfetto, vi si poteva vedere attraverso.

Non erano tutti sul suo stesso piano. Alcuni camminavano su quelle che per lui erano le pareti, sopra a quelli che sembravano schermi che monitoravano le sue funzioni vitali.

«Dove sono?» Non si sorprese più di tanto nel constatare che la sua voce era limpida e non impastata come dopo un lungo sonno.

«A Cartagine, capitale di Lyoko» rispose una delle figure.

«Capitale?» ripeté Ludovic. «Ci sono città?»

«Sì.»

«Quante?»

«Cinque. Questa e quattro città-torri, una in ogni habitat di Lyoko.»

«Mi chiamo Ludovic Dunbar, sto cercando Rebecca Belpois, credo si trovi qui.»

«Si trovava qui fino a poche ore fa.»

Ludovic si alzò in piedi. La superficie piatta e all'apparenza metallica su cui era disteso era sospesa nel vuoto.

«Cos'è successo?»

«La ragazza è stata infettata da XANA.»

XANA. Ludovic sentiva che avrebbe dovuto riconoscere quel nome, ma proprio non gli venne in mente nulla. «Cos'è XANA?» chiese alla fine.

«XANA è un virus che ha infettato e distrutto molti di noi programmi.»

«Programmi? Siete i programmi viventi?» Non diede alla creatura nemmeno il tempo di rispondere. «Distrutto? Nel senso che Rebecca è stata distrutta?»


ʘ –


«Jeremy sbrigati!» esclamò Chris. Era seduto insieme ad Emma sul letto che avevano spostato davanti alla porta della camera.

Ogni volta che un colpo faceva tremare il legno e i cardini, Sissi sussultava.

«Ecco, ecco» fece Jeremy. «Meraviglioso» aggiunse poi tra sé e sé. «Tutto questo lavoro...»

«Risparmiaci i commenti» lo fulminò Sissi.

«Trovate!» esclamò Franz uscendo dal bagno e brandendo una scatolina fatta di semplice cartoncino bianco ripiegato. «Bisogna solo sperare che funzionino» aggiunse filando dalla scatolina un contenitore rotondo dentro cui dovevano trovarsi lenti a contatto di Rebecca.

«Funzioneranno» gli assicurò il padre staccandosi finalmente dal computer della figlia. «Ma non ti serviranno a niente.»

Il sorriso morì sul volto di Franz. «Perché?»

«Ne ho trovato il progetto. Le lenti non hanno nessuna capacità di programmazione, si limitano ad elaborare le immagini in modo da renderle visibili.»

«Non ti seguo» ammise il figlio.

«Nemmeno io» lo sostenne Emma e Chris annuì.

Jeremy guardò la ragazza bionda. «Tu vedi quegli… esseri?» le chiese con calma.

«Intendi il gatto viola e gli altri due. Sì.»

«E tu Franz?»

Franz esitò un momento. «No, io vedo solo simboli vaganti.»

«Sì, quando li fai scoppiare» precisò Chris «li vediamo anche noi.»

«No, io li vedo sempre. E non scoppiamo, si disperdono mentre prima sono addensati.»

«Quindi non hai mai visto il pappagallo gigante?» fece Chris.

«Né il gatto viola?» continuò Emma.

Franz scosse la testa. «Be' riesco a distinguere la sagoma se mi concentro, ma mi fa venire il mal di testa» spiegò, poi aggiunse: «Credo che sia per questo che sono stato male.»

Sissi soffocò un urlo e Jeremy si voltò verso i ragazzi. Il legno della porta era deformato e prossimo alla rottura. Chris ed Emma lo sostenevano con tutto il loro peso. Sissi li fissava preoccupata ma senza decidersi a dare loro una mano.

«Insomma» riprese Jeremy parlando molto più velocemente di prima «Rebecca ha creato le lenti a contatto solo per poter elaborare in immagini quei simboli e forse quindi anche per combattere i mal di testa. Doveva avere la tua stessa visione.»

«Quindi non servono a farli… be', non so cosa facesse di preciso Rebecca. Lei… Ludo ha raccontato che ha detto “reverso” e il granchio se n'è andato.»

«Qualunque cosa abbia fatto, non si è servita di nulla.»

Il cellulare di Jeremy ricominciò a squillare nel momento esatto in cui la porta andò in frantumi e Ulrich rotolò dentro la stanza.

Mentre Odd finiva di fare a pezzi la porta, Ulrich balzò verso i ragazzi come fanno i vampiri nei film.

Emma rotolò via e Chris si accucciò fuori portata.

Franz si limitò a strillare.

Ulrich cadde a terra come se improvvisamente fossero stati tagliati i fili che lo tenevano in piedi. Simboli bianchi e luminosi volteggiarono frenetici intorno alla sua testa.

«Ulrich!» Sissi gli si avvicinò di corsa, ma lui aveva già inspirato e risucchiato tutti i simboli. La afferrò e la inchiodò a terra serrandole le dita intorno al collo.

Da fuori, Odd allargò il buco nella porta, poi entrò scavalcando il letto, seguito a ruota da Aelita.

Emma balzò addosso al padre e Chris lo afferrò per le caviglie. Odd scivolò di lato. Emma riuscì rotolare via, ma Chris non fu abbastanza rapido. Odd gli serrò la mano sulla fronte e il ragazzo sentì delle scosse elettriche attraversargli il corpo. Spalancò gli occhi e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Emma tentò di colpire il braccio del padre perché lasciasse l'amico, ma tutto ciò che ottenne fu un manrovescio che la fece andare a sbattere contro la scrivania.

Ulrich, intanto, sembrava non sentire nemmeno le grida del figlio. Continuava a stringere la gola di Sissi per soffocarla mentre lei gli arpionava le dita e rantolava nel disperato tentativo di prendere aria. In preda a spasmi di dolore, Sissi si dimenò come un pesce tirato fuori dall'acqua. Riuscì a liberare una mano e colpì Ulrich in faccia. Il suo naso scrocchiò e un rivolo d'ossigeno appena sufficiente per sopravvivere un'altra manciata di secondi le scivolò nella gola prima che le mani di Ulrich si chiudessero di nuovo intorno al suo collo.

Sissi contrasse i muscoli di scatto e le sue ginocchia lo colpirono sul costato facendolo sussultare. Gli chiuse le mani intorno ai polsi sforzandosi di allontanarli dal proprio collo.

Si ricordò che portava gli stivali e gli conficcò i tacchi nelle cosce. La reazione fu di gran lunga minore di quella che avrebbe avuto in una situazione normale, ma evidentemente l’essere che controllava Ulrich non poteva ignorare del tutto il dolore.

Franz approfittò del momento di distrazione di tutti gli altri per mettere il portatile di Rebecca tra le braccia del padre e spingere quest’ultimo dentro il bagno.

Jeremy aveva appena girato la chiave dall’interno quando il suo telefono riprese a squillare. Quasi gli volò di mano mentre cercava di rispondere.

«Pronto?» urlò.

«Jeremy, sono Yumi. È fatta, il super-computer è acceso, siamo in contatto con Lyoko.»

«Fantastico.»

«Jeremy non puoi nemmeno immaginare...»

Jeremy non seppe cosa Yumi stesse per dire. La porta del bagno fu sfondata con un'unica, decisa, spallata e lui sussultò così improvvisamente che il telefono gli sfuggì di mano.

Per qualche istante non successe nulla.

Sentiva solo le urla di Chris e i versi di Sissi provenire dalla camera.

Poi, senza particolare fretta e con un vago senso di spaesamento, Aelita entrò nel bagno camminando in modo assolutamente normale. Si guardò intorno finché non lo mise a fuoco.

«Jeremy» mormorò poi facendo un passo verso di lui che d'istinto indietreggiò. Aelita si fermò come se quel gesto l'avesse colta di sorpresa. «Sono io» disse confusa, quasi ferita.

Jeremy strinse il portatile sotto un braccio e usò la mano libera per spingersi gli occhiali più su sul naso.

Gli occhi di Aelita erano sempre stati chiari e piccoli perciò ora era impossibile capire se fosse ancora posseduta o meno.

«Non ti avvicinare» le ordinò comunque.

Lei obbedì. «Ti prego, Jeremy, sono solo io. Dobbiamo aiutare gli altri.»

«E come?»

«Dammi il computer.»

«Come?» Jeremy strinse la presa sul portatile.

«Il computer» ripeté Aelita. «Rebecca avrà trovato un modo per fermarli.»

«C'è troppa roba, non abbiamo abbastanza tempo.»

«Jeremy, avanti, dammi il computer.»


ʘ –


Anna si era accucciata a terra, la schiena appoggiata alla barriera invisibile e le braccia strette intorno alle gambe, e piangeva disperata.

Una minuscola parte di Carlotta si chiese se un programma potesse davvero piangere – be' forse sì se era programmato per farlo – ma per il resto era concentrata sulla ragazza che aveva di fronte.

Che fosse casuale o intenzionale, XANA aveva scelto l'ospite migliore. Chi sarebbe stato in grado di trovare qualcosa di anomalo in quella postura perfettamente dritta, in quello sguardo fisso e attento, in quel volto vuoto ma espressivo, se quelle erano già di natura caratteristiche di Rebecca?

Non è lei, non è Rebecca, si ripeteva costantemente Carlotta, sforzandosi di non mostrare nessun cedimento.

Davanti a lei, XANA continuò a sorridere come se stesse ammirando qualcosa di meraviglioso e soddisfacente. Tutto ciò che fece fu portarsi i pugni sui fianchi e socchiudere leggermente gli occhi.

Carlotta sentì un brivido correrle lungo la schiena fino a trasformarsi in una specie di scossa che la fece sussultare.

Anna gemette piano. Aveva smesso di piangere e ora tremava come una foglia.

«Con te farò i conti dopo» sibilò XANA.

«Lei non c'entra niente!» scattò Carlotta. «Lasciala stare.» Fece per spostarsi e mettersi davanti alla ragazza dai capelli rossi ma si schiantò contro qualcosa di solito e duro.

Cadde a terra e subito protese le mani in avanti. Le sue dita incontrarono una superficie identica a quella dello scudo che circondava la scuola.

«Ma cosa...»

La risata di XANA – così diversa da quella di Rebecca – la interruppe.

«Ora posso controllare il generatore a distanza. Questo corpo non è debole e inadatto come la donna di prima. È perfetto. Posso fare ciò che voglio.» Spostò lo sguardo su Anna. «Anche cancellarti, qui e ora.»

Anna scosse la testa disperata. «No, ti prego!» supplicò.

«No? Dovevi pensarci prima. È questo il modo di ripagare chi ti dà la libertà?»

Anna cominciò a strillare e i contorni della sua figura divennero sfocati.

Carlotta avrebbe voluto aiutarla, ma in quel momento la sua mente era altrove.

La donna di prima”. Pensò alla preside e a come si comportava quando l'aveva seguita proprio su quel sentiero. Era come se due volontà diverse comandassero lo stesso corpo tentando di imporsi l'una sull'altra.

«Rebecca!» chiamò con tutto il trasporto possibile.

XANA smise di fissare Anna, che ormai era una sagoma sfocata, e si voltò verso di lei con aria seccata.

«Rebecca, so che sei lì» continuò Carlotta. «So che puoi sentirmi. Non puoi lasciarglielo fare! Devi resistere.»

XANA venne verso di lei con incedere calmo e si fermò dall'altra parte del nuovo muro invisibile, fissandola dall'altro.

«Mi dispiace» disse senza alcun dispiacere. «Ma non può sentirti.»

«Sì invece! Rebecca svegliati! Ora! Devi reagire.»

XANA rise. «Forse non mi sono spiegata. Quella di prima era solo umana, non potevo che inviare impulsi, ma qui… Questa mente, questo corpo… sono perfetti, sono compatibili con me. Sono persino meglio di te.» La studiò come fosse una confezione di carte nel reparto di un supermercato. «Tu saresti persino più completa, ma altrettanto speciale? Io non credo.»

La aggirò per proseguire sul sentiero.

Carlotta si alzò in piedi e la seguì per quanto possibile. «Arriverai troppo tardi. A quest'ora i miei genitori avranno riacceso il super-computer e messo in allarme tutti.»

«Tu non sai nemmeno di cosa stai parlando, ragazzina» a derise XANA. «Lo hanno riacceso? Lo spegnerò di nuovo.»


ʘ –


Emma batté le palpebre e faticò a mettere a fuoco la stanza.

Probabilmente non erano passati che pochi istanti da quando suo padre, o chi per lui, l'aveva spinta contro una scrivania, ma non era sicura.

Appena tentò di muoversi, una fitta alla schiena le fece salire le lacrime agli occhi per il dolore.

Si guardò disperatamente intorno, ma la sua vista continuava ad appannarsi.

Tastò il pavimento intorno a sé finché le sue dita non si chiusero intorno ad un oggetto allungato vicino ai piedi della scrivania. Poteva essere un telefono o un telecomando e sembrava essere stato assemblato a mano unendo pezzi diversi. Era di Rebecca?

Una lucetta verde illuminava il tasto con il simbolo di accensione. Emma lo premette e la luce divenne rossa. Non successe nulla.

Chris, da qualche parte, ricominciò ad urlare. Emma ebbe l’impressione che stesse gridando anche per lei. Non sapeva nemmeno più cosa le facesse male di preciso, il dolore era ovunque.

Disperata e incapace di muoversi, Emma si abbandonò completamente. Le sue braccia caddero inermi ai lati del corpo, le gambe non le sentiva, la testa era appoggiata a qualcosa, la schiena piegata in un angolo strano.

Pianse silenziosamente mentre le grida di Chris le facevano pulsare le tempie.

Stava per scivolare via, lo sentiva.

Tremando, le sue dita schiacciarono pulsanti a caso sul telecomando. L’ultima cosa che vide, fu la lucetta in alto ritornare verde.


ʘ –


Bea la avvertì con secondi di anticipo. Una sensazione che scaturì dall'interno del suo petto e si diffuse rapidamente in tutto il corpo.

La riconobbe subito. Si stava spegnando. Qualcuno l'aveva momentaneamente disattivata. Ne fu profondamente grata. Accolse quella specie di anestesia sperando in un sonno lungo e ristoratore – non era mai restata in funzione per così tanto tempo.

In realtà si svegliò nel giro di nemmeno un minuto, ma si sentiva come nuova.

Si rese subito conto che si trovava nella sua stanza. O meglio, in quella di Rebecca. Era lì che si trovava il suo generatore locale perciò era lì che si riformava ogni volta che veniva riavviata.

Si guardò intorno.

Nella stanza regnava il caos. Gli umani combattevano gli uni contro gli altri, alcuni controllati da programmi. Si stava mettendo male.

Provò l'impulso di aiutarli e poi una logorante sensazione di impotenza. Non si era mai sentita così. Doveva essere cambiato qualcosa nella sua programmazione nei pochi secondi in cui non era stata attiva.

Si guardò intorno ansiosa, in cerca di qualcosa che fosse alla sua portata.

E vide Franz. Aveva gli occhi sbarrati dalla paura, ma nessuno si stava occupando di lui. Era rannicchiato nell'angolo dove prima c'era il letto e in lui leggeva la sua stessa impotenza. Anche se era assurdo. Lui era il fratello di Rebecca, lui avrebbe potuto fermarli tutti!

Se solo lo avesse saputo…

«Oh, Franz» mormorò dispiaciuta.

E Franz sollevò allarmato la testa e puntò gli occhi su di lei, come se lo avesse chiamato.

«Rebecca?»

Scosse la testa. «Sono Bea.»

E solo allora si rese conto di cosa era davvero diverso nella sua programmazione. Poteva parlare. Poteva comunicare vocalmente con il mondo esterno.

«Franz!» questa volta quasi gridò.

Attraversò la stanza con grandi falcate, quasi ignorando tutti quanti, e si buttò in ginocchio accanto al ragazzo dagli occhi dorati.

«Franz!» ripeté. «Devi fermali!»

«Io? Non riesco più nemmeno a farli scoppiare.»

«È perché sei agitato, ci vuole concentrazione. E non devi farli esplodere, non serve a niente, poi si riformano, ora più in fretta di prima.»

«LO SO!» strillò lui.

«Rebecca ci riusciva. Li cambiava.»

«Come?»

«Non lo so. Lei era… non umana. Lei poteva farlo.»

«Io non sono lei.»

«Sei suo fratello. Avete un codice genetico simile, se lei può riuscirci puoi farlo anche tu.»

«Anche se fosse vero, Rebecca ci ha messo un anno per riuscirci. Ricordo quando chiamava casa per i mal di testa.»

Chris lanciò un urlo più forte e Franz si premette le mani sulle orecchie.

«Sono i tuoi amici!» scattò Bea. «Non puoi lasciare che si facciamo del male così!»

«Io… non posso… non so come...»

«Concentrazione. Ci vuole concentrazione.»


ʘ –


Quando XANA sparì lungo il sentiero, coperta dalla vegetazione, Carlotta smise di chiamare ad alta voce il nome di Rebecca e di prendere a pugni il muro invisibile. Tanto era inutile, quel muro non era fisico, non poteva rompersi. Non nel senso che lei aveva sempre associato al concetto di rottura.

E pensare che una persona normale non si sarebbe accorta di niente! I suoi stessi genitori non avevano percepito nessun muro. Non avrebbero visto Anna che ora se ne stava immobile, come congelata, per terra, la figura sfocata fino a non essere altro che una chiazza di colori sbiaditi e sovrapposti.

Ma lei... Lei aveva qualcosa di più. Se fosse stata solo umana avrebbe potuto camminare tranquillamente lungo il sentiero e seguire la sua amica posseduta. E non avrebbe potuto vedere Anna, né essere attaccata da quelle creature. Ma, evidentemente, in lei c'era qualcos'altro. Qualcosa di più.

Una parte di lei non poteva attraversare quelle barriere. Ma poteva rimanerne all'interno mentre il resto di lei ne usciva?

Appoggiò di nuovo i palmi sulla barriera, con più delicatezza e allo stesso tempo con più determinazione.

Chiuse gli occhi e si concentrò sul contatto. Era strano. Ebbe l'impressione di essere divisa in due: un involucro esterno simile ad un palloncino pieno di farina e una sostanza interna come gas pressurizzato. Quale delle due parti poteva attraversare la barriera e quale no? Era la sostanza esterna che avrebbe potuto filtrare fuori o il contrario? Faticò per mettere a fuoco la sensazione.

Alla fine ci riuscì. Capì che non sentiva davvero la barriera sulla pelle, che la carne delle mani non si appiattiva contro una parete. Era come se la superficie si scontrasse direttamente con le sue ossa, o almeno con qualcosa di solido ma malleabile dentro di lei.

Cominciò a premere, ma in modo diverso da come aveva fatto prima. Usò la barriera come una leva per separare la parte di sé che la poteva oltrepassare da quella che non ne era in grado.

Fu straziante. Persino, in qualche modo, doloroso, ma non come lo sarebbe stato una ferita. Ebbe l'impressione che le ossa stessero scomparendo da dentro il suo corpo, risucchiate dall'interno, lasciandolo debole e fragile, molle e pesante, difficile da governare.

Il tempo si dilatò e ogni istante divenne un'ora insopportabile.

Quando si accasciò a terra, oltre la barriera, si chiese se avrebbe avuto ancora la forza di alzarsi in piedi e muoversi.

Si girò su un fianco.

La prima cosa che notò era che non vedeva più Anna, o almeno ciò che restava di lei. Non c'era nessun segno della sua presenza né sul terreno su cui doveva essere stesa né sul sentiero da cui erano venuti accanto alle impronte di Carlotta e degli altri.

Quando spostò lo sguardo, però, vide se stessa.

Solo più tardi si stupì di come avesse potuto riconoscersi in quella figura semitrasparente e incorporea e così vaga, ma in quel momento non ci pensò neppure.

Fissò con interesse la parte di sé da cui si era appena separata così come avrebbe studiato il proprio riflesso in uno specchio per decidere se si era truccata bene o se indossava la cosa giusta.

La sua sagoma, immobile e inespressiva, era quadrettata come lo era stata altre volte nei giorni precedenti, ma questa volta non le fece impressione. Si disse che sembrava uscita da un programma di grafica, come se qualcuno avesse provato a creare un suo alter-ego in stile cartone animato.

Dopo un po', si rese conto che quella che credeva stanchezza non era altro che una potentissima attrazione verso la sua sagoma bluastra quasi fosse stata un'enorme calamita e lei un minuscolo magnete.

Devo sbrigarmi, pensò mentre trovava la forza di alzarsi e di voltarsi.

Corse lungo il sentiero sperando che non fosse troppo tardi.

Non incontrò nessun ostacolo.


ʘ –


Chris non avrebbe saputo dire cosa di preciso provocasse il dolore. Non era nemmeno sicuro che si trattasse di vero e proprio dolore.

Se urlava era per la paura, per la sensazione di panico e allarme che tutto il corpo gli inviava. Quel tocco, quella pressione sulla fronte, era tutto un altro tipo di violenza.

Non era solo contatto fisico: sentiva degli impulsi elettrici propagarsi dal braccio di Odd fino al suo cervello, come se dei comandi viaggiassero da Odd a lui.

Ciò che assoggettava Odd stava cercando di fluire dentro di lui e di controllare entrambi.

Lottò così come avrebbe fatto per spingere via un aggressore molto più grosso e forte di lui, dimenandosi mentalmente al punto da avere l'impressione che il suo cervello si stesse ritraendo e premendo contro la sua nuca per allontanarsi da quel contatto.

Poi, all'improvviso, qualcosa di caldo e piacevole come miele interruppe il contatto. Chris sentiva ancora la mano di Odd sulla fronte, ma nient'altro. Qualcosa si stava frapponendo.

Riprendendo aria come dopo un lunghissimo periodo di apnea, Chris inspirò e si ritrasse, strisciando su un fianco per allontanarsi. Odd invece trattene il fiato e si prese la testa tra le mani.

In piedi dall’altra parte della stanza, Franz teneva gli occhi puntanti su Odd, le iridi che brillavano come fari. Al suo fianco, Bea bisbigliava nel suo orecchio.

Questa volta non ci fu nessuna esplosione di simboli. Il gatto viola saltò fuori dal petto di Odd così com'era entrato e se ne andò dalla stanza come avrebbe fatto un vero gatto.

Franz spostò lo sguardo su Ulrich che subito si immobilizzò lasciando andare Sissi.

«Emma!» esclamò Odd appena si fu ripreso.

Chris seguì il suo sguardo. Emma era stesa a terra ai piedi di una delle scrivanie, priva di sensi. Gemette e batté le palpebre quando il padre la sollevò, ma poi svenne di nuovo.

«Che diavolo è successo?» fece Odd guardandosi intorno. Non lo vide, ma il granchio verde che si allontanava da Ulrich gli passò proprio accanto.

Tossendo, Sissi si mise in ginocchio. Il suo volto era rosso e la sua gola viola, gli occhi gonfi come se stessero per schizzarle fuori dalle orbite.

«Dove sono mio padre e mia madre?» chiese Franz appena i suoi occhi si spensero.

Si guardarono tutti intorno, ma il ragazzo si era già mosso verso la porta aperta del bagno.

Jeremy stava bene. Stava tenendo il più ferma possibile Aelita che, chiaramente fuori di sé, cercava di raggiungere il portatile caduto a terra.

Nel momento il cui Franz entrò, Aelita spalancò gli occhi e spinse via Jeremy. Si dimenticò del computer. Balzò sul davanzale della finestra mentre un paio di ali verdi da pappagallo le spuntavano sulla schiena. Saltò giù.

Franz corse ad affacciarsi, ma non la vide.

Si voltò.

«Stai bene papà?»

«Sì» gli assicurò Jeremy mentre raccoglieva il portatile ancora miracolosamente integro. «Sì sto bene.»

«Voleva il computer di Rebecca?»

«A quanto pare.»

«Dobbiamo trovare subito la mamma. So come fermare quei cosi. L'ho appena fatto con Odd e Ulrich.»

«Davvero?» Jeremy tornò nella stanza.

«Jeremy!» lo chiamò subito Odd e lui si avvicinò. Misero Emma su uno dei due letti – quello che non avevano spostato davanti alla porta. «Credo che abbia battuto la schiena.»

«Perché non guarisce subito?» li interruppe Ulrich.

Si voltarono a guardarlo.

«Prima lo ha fatto con i graffi di quel… coso, e anche Chris. Perché adesso no?»

Fu Bea a rispondere, anche se non tutti poterono sentirla. «Perché quelle ferite non erano state inferte al suo corpo umano, quelle potevano guarire con il solo pensiero, queste no, sono fisiche.»


ʘ –


Carlotta ancora non vedeva la fabbrica quando sentì il rumore di qualcosa che andava a sbattere contro la barriera energetica.

Si voltò, ma da quella distanza poté solo vedere una sagoma indefinita premere contro la barriera, a circa dieci metri da terra.

Non poteva trattarsi di una creatura digitale – non era più in grado di vederle – ma aveva qualcosa di troppo strano per essere umana. Nell'involucro energetico si aprì un varco grande abbastanza da farla passare, poi si richiuse dietro di lei con uno scintillio verdognolo. Improvvisamente soggetta alla gravità, la sagoma scivolò sulla superficie convessa e invisibile della barriera fino a rotolare a terra. Si infilò nella vegetazione prima che potesse metterla a fuoco.

Carlotta si accucciò e rimase assolutamente immobile.

Dopo pochi secondi sentì il rumore di qualcuno che le passava accanto correndo. Balzò in piedi appena in tempo per distinguere due teste rosa sparire tra gli alberi.

Capì che la sagoma che aveva visto non era altro che una figura umana che ne portava un’altra sulle spalle.


ʘ –


«Ancora niente lì?» chiese Ludovic.

Una superficie argentata piegata a novanta gradi e sospesa a mezz’aria gli faceva da sedia e una porzione della parete difronte da schermo.

L’immagine di suo padre scosse la testa. «Non si vede nessuno.»

Yumi era seduta su una sedia girevole che appariva ai margini dell’inquadratura. Teneva le braccia abbandonate sui braccioli e la testa reclinata all'indietro, lo sguardo sul soffitto, ma aveva un'aria estremamente concentrata piuttosto che completamente abbandonata.

«Allora,» proseguì William «com'è Lyoko?»

«Considerando che fin'ora ho visto solo stanze blu tutte uguali non potrei definirlo granché. Mi piace da morire la gravità che c’è qui però.»

«Prega di non vedere mai Cartagine come campo di battaglia.»

Ludovic non sentì rumore di passi e chiaramente nemmeno suo padre, ma Yumi si raddrizzò e voltò la testa. William seguì il suo sguardo.

«Che succede?» chiese Ludovic che sullo schermo non vedeva niente di nuovo.

«Rebecca?» esclamò William «Stai bene!»

«Si è svegliata poco fa, ha detto che doveva venire qui» rispose una voce femminile e familiare, anche se non della ragazza.

William si spostò e Ludovic poté finalmente vedere chi era entrato.

Aelita teneva un braccio intorno alle spalle della figlia. Rebecca aveva la sua solita espressione mesta ma non timida, quasi fosse semplicemente stanca.

«Rebecca!» chiamò Ludovic.

La ragazza si guardò intorno più volte prima di individuarlo sullo schermo.

«Ludovic. Che ci fai lì dentro?»

«Cercavo di scoprire cosa ti è successo.»

«Ora ti raggiungo» annunciò la ragazza.

«Cosa? Perché? Sono io che voglio uscire.» Improvvisamente esitò. «Mi avevano detto che eri stata infettata da XANA.»

Lei scosse la testa. «Sto bene, sono riuscita a combatterla, ma è ancora là dentro, dobbiamo fermarla.»

«Allora dobbiamo venire anche noi!» intervenne William e Yumi annuì.

«No» replicò Rebecca fissandoli entrambi. «Dovete rimanere qui ed impedire che esca. Ha già posseduto la preside, potrebbe farlo anche con voi. Dovete stare attenti.»

«Potrebbe possedere voi» ribatté Yumi.

Rebecca scosse la testa. «Con me non c'è riuscita.» Si allontanò dalla madre e raggiunge il computer in cerca di un terminale. «Arrivo tra qualche secondo Ludovic» disse quando trovò quello a cui era collegato il telefono di William, poi si rivolse alla madre. «Dovete rimanere qui, mi raccomando.»

Solo Aelita annuì.

Sullo schermo del cellulare comparvero righe e righe i codice bianco su sfondo nero, poi, com’era successo poco prima con Ludovic, il flash della telecamera intera si attivò. La luce bianca investì Rebecca in pieno e la ragazza scomparve nel giro di pochi secondi.

Il telefono cadde a terra, lo schermo di nuovo totalmente nero.

«Sicura che stia bene?» chiese Yumi ad Aelita. «Sembrava strana.»

«Dev'essere molto provata» rispose lei semplicemente. Recuperò il cellulare e lo staccò da terminale.

«Che stai facendo?» protestò William.

«Mi assicuro che XANA non possa uscire e possedere uno di noi.»

Pochi momenti dopo, lo schermo del computer si oscurò.

«Ludovic!» scattò Yumi. Allungò le mani verso la tastiera ma non aveva idea di cosa premere e si fermò. «Ludo!» chiamò ancora.

«Mamma! Papà!» la voce che rispose era acuta e non veniva dal computer.

Yumi e William si voltarono e videro Carlotta entrare affannata nella stanza.

William corse da lei e la sorresse prima che cadesse a terra. «Carlotta! Credevo fossi bloccata.»

«Lo ero. Io…» fissò Aelita. «Dov'è Rebecca?» chiese, a nessuno in particolare.

«È su Lyoko» rispose Aelita fissandola con vuota intensità e con un sorriso trattenuto.

«No!» urlò Carlotta, le gambe che tremavano.


ʘ –


Rebecca apparve gradualmente sul lettino.

All'inizio non fu altro che una sagoma vuota, identica a tutti i programmi che si trovavano nella stanza, poi, lentamente, acquistò consistenza e prese colore.

Ludovic si avvicinò, ma non la toccò.

Rebecca scattò a sedere all’improvviso, con gli occhi ancora chiusi. Li aprì lentamente mostrando i cerchi azzurri che si susseguivano sullo fondo scuro dell’iride.

Tutti i programmi cominciarono ad agitarsi e qualcuno persino ad urlare.

«Becky?» azzardò Ludovic.

Lei gli rivolse un sorriso gelido.

«Io sono XANA, guerriero.»


  
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