XXXII
RICOMINCIARE
L’Equilibrio
sbadigliò. Guardava fuori, annoiato. Vide passare
il Dio dell’inverno, da solo. Significava che la primavera
era ancora lontana,
perché questa iniziava solo quando quel Dio e la Dea
dell’estate si
avvicinavano. Era notte fonda e fuori splendevano tutte le stelle.
Com’era
diversa quella notte rispetto a quella in cui era nato! Canticchiava
per i
corridoi del suo palazzo con le mani in tasca. Era di buon umore,
abbastanza
rilassato da essere quasi in procinto di fare le fusa.
Buttò l’occhio
nella sua camera, dove era assopito
Vereheveil. Vide l’inarcarsi della sua spina dorsale e
l’attaccatura delle ali
nere. Il suo respiro regolare faceva ondeggiare le penne che gli
partivano dal
dorso. Pensò a quanto bello fosse il contatto fra la sua e
la propria pelle.
Il nero del lato sinistro del Dio
dell’Ordine era
particolarmente sensibile ed era stranamente liscio e freddo, come un
metallo o
un vetro, e fremeva al contatto con le piume oscure e morbide
dell’angelo delle
Letterature. Pensò a quanto fosse piacevole
l’incontro fra le loro labbra ed il
loro petto, stretti in un abbraccio ed in un bacio che pregavano sempre
non
finissero mai.
Quando tempo era passato? Non lo
sapeva nemmeno lui.
Si guardava allo specchio e cercava
di ricordare come era
stato una volta, senza riuscirci del tutto. Respirava l’aria
limpida della notte,
sorridendo alle stelle. Vide suo figlio, Kavahel, passare da una stanza
all’altra.
“Giovanotto! Cosa fai
sveglio a quest’ora?”.
Il bambino sorrise:
“Niente! Volevo giocare!”.
Kasday gli fece segno di uscire
all’aperto e si sedettero sull’erba.
Era alto come una delle gambe del genitore e lo guardava con immensi occhi dorati,
avvolto in un mantello
rosso.
Danzava al ritmo di una musica che si
cantava nella testa e
l’Equilibrio sorrise nell’osservarlo.
“Sai,
papà? Oggi
succederà qualcosa di speciale!”.
“Cerchi di anticiparmi? Ti
ricordo che io governo anche il
destino!”.
“Sì, ma io
controllo te! Ricordi cosa hanno detto gli Alti?
Quando tutto finirà, resterò io, io soltanto. Io
sarò più potente di te!”.
“Sarai! Per ora stai a
terra, piccoletto!”.
Risero assieme. Kasday non aveva
capito le parole di quella
profezia. Alla fine di tutto?
Si sosteneva che alla fine ci fosse
sempre il Kaos, ma evidentemente
non era così.
Suo figlio aveva l’essenza
necessaria per controllare lui,
Dio triplice, e la sua eventuale caduta.
Ora
era tranquillo, non
sentiva più le voci nella testa degli altri due creatori.
Avvertiva ed usava i
loro poteri e le loro facoltà senza problemi. Era calmo, in
perfetto
equilibrio.
Quello che doveva impedire, era che
nascessero un altro Kaos
ed un altro Destino. In questo caso l’ordine si sarebbe
infranto e sarebbero
stati guai. Specie ora che le essenze estranee si erano fuse, con il
tempo,
alla sua, divenendo una sola: indivisibile. Sbadigliò,
annoiato dal silenzio.
“Oggi è
l’ultimo giorno dell’anno”
esclamò il bambino.
“Ah sì? Solo
altri attimi in più. Cosa vuoi che sia un anno
in più…di fronte
all’eternità?”.
“É vero che tu
sei vecchio di Ere, papà?”.
“Vecchio? Io non sono
vecchio! Ce ne sono molti più anziani di
me!”.
Kavahel lo guardava dubbioso:
“Chi, per esempio?”.
“Lui!” rispose
l’Equilibrio, indicando il Dio del Tempo, che
stava risalendo la collina su cui loro due stavano e su cui sorgeva il
palazzo.
Il Tempo salutò il
piccolo, che gli corse incontro.
“Cosa
ti porta qui?”
chiese il padrone di casa.
“Niente. Ma mi han detto
che un uovo potrebbe schiudersi
questa notte, ed io ero curioso di assistere a questa cosa”.
“Sì,
sì, è vero! È l’uovo del mio
fratellino che stanotte si
schiuderà!”.
Kasday fece una smorfia.
“Non è detto che
sia stanotte…ma se vuoi stare qui nel
frattempo…”.
Il Dio del Tempo entrò nel
palazzo, con entusiasmo. Il Dio
bambino rimase all’esterno, giocando con le creature dei
genitori: il gatto blu
e cremisi ed il gufo dagli occhi dorati.
I due adulti presero posto nella
stanza dei ricevimenti. Il
Tempo tornò a concentrarsi sulla pendola che scandiva i
secondi con precisione
impeccabile.
“C’è
più disordine rispetto a quando sono stato qui
l’ultima
volta…” fece notare l’ospite.
“Chissà
perché!” rispose, sarcastico,
l’Equilibrio,
lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. “Sei
nervoso?” chiese il Tempo.
“Dovrei?”.
“Forse. È pur
sempre una nuova vita…”.
“È un
uovo…non può succedergli niente di
male!”.
“Sarà…”.
“Una cosa mi preoccupa,
però…”.
“Parla, piccolo”.
Piccolo?
“Non riesco a vedere il suo
futuro. Non riesco a scorgere
cosa nascerà. Cosa strana…devono essere gli Alti
che hanno deciso di
interferire, perché i miei poteri sono limitati nei
confronti della mia
creatura”.
“Credo sia il motivo per
cui la Dea del Destino non aveva
figli. Non le davano il permesso di avere controllo su di loro e quindi
ha
preferito non averne”.
“Che motivo
stupido…” disse l’Equilibrio,
sorseggiando un
liquore rosso e reggendosi la testa con la mano.
“O, forse, gli Alti non
vogliono farti sapere che da
quell’uovo nascerà un mostro gigantesco e deforme
che ti mangerà!” ironizzò il
Dio del Tempo.
“Ma vaffanculo!”
sibilò Kasday, non trovando
per niente la cosa divertente.
“Scherzavo! Sono sicuro che
sarà bellissimo! É sempre tuo e
di Vereheveil, come Kavahel?”.
Il padrone di casa annuì:
“Sì, è nostro. Ma sono un po’
inquietato dall’idea che è il primo figlio che
ho…in questo stato!” rispose,
indicando se stesso con l’agitare delle dita affilate della
mano sinistra. “Non
so cosa aspettarmi. Forse è stato un errore decidere di
avere un altro
figlio…se gli Alti mi hanno dato questo corpo, incapace di
amare allora, forse,
non dovevamo…”.
“È il cuore che ama,
non il corpo!” lo interruppe il Tempo.
L’ospite sorrideva,
camminando per la stanza con il
suo pendolo.
“Tu non hai famiglia,
Tempo?”.
“Io? Certo. Avevo una
moglie”.
“Avevi?”.
“Sì, non lo sai?
La tua testa non ti dice nulla?”.
La mia testa? Cosa dovrebbe
dirmi?
“Figli? Ne hai?”.
“No. La donna che amavo non
ha mai voluto averne. Ed io
stavo bene così”.
“Cos’è
successo? Perché parli al passato? È fra gli
Alti?”.
“Più o meno. Ad
ogni modo…la nostra storia era terminata da
secoli. Lei preferiva altre compagnie…”.
“Mi
dispiace…”.
“Una parte di te non lo
pensa davvero”.
È vero.
È come se qualcosa dentro di me mi dicesse che
non mi devo rattristare per il destino di…il destino?
“Eri il compagno della Dea
del Destino?!”.
Il Tempo fermò il suo
pendolo. I secondi dell’orologio non
avanzarono più.
“Che reazione, amico mio!
L’hai detto tu che era acqua
passata…roba vecchia! E, ad ogni modo, perché non
me lo hai mai detto?”.
Il Dio con i capelli pettinati ad
otto teneva stretto il
pendolino nel pugno, senza farlo oscillare:
“Perché mi faceva innervosire solo
il pensiero…sai che significa dover fare questo movimento
insulso ogni secondo,
senza mai fermarsi, per l’eternità?
L’unica consolazione e diversivo che potevo
avere era la mia bellissima Dea. Ma poi…te la ritrovi da
sola, in camera, con il
Dio delle Letterature che le legge una favola! E la senti accusare,
ogni volta,
che nessuno le vuole bene e che nessuno viene a trovarla, se non per
motivi
burocratici. Tu la perdoneresti?”.
“Ti ricordo che il Dio
delle Letterature che legge le favole
è Vereheveil, l’angelo con cui sto per avere il
secondo figlio. È la vita…”.
Non aveva mai visto, prima di ora, il
Tempo arrabbiato o
scosso in qualche modo: era sempre imperturbabile e tranquillo.
“Devo dirti una cosa,
assolutamente!” esclamò il Dio delle
Ere, girandosi verso Kasday e guardando il suo occhio viola.
“Ok..dimmi”
balbettò questi, sconcertato.
“Stronza!”
sibilò il Tempo “Io ero il Dio più
paziente di
tutti gli Universi e tu ne hai approfittato!”.
“Và bene…adesso basta! Non
stimolarla ulteriormente. Non voglio sentire la sua voce ancora nella
testa,
ora che stanno in silenzio i due litiganti, dopo tanti secoli di
insulti e
chiacchiere. E, per l’amor degli Alti, non fate la pace! Non
sopporterei l’idea
di baciarti…”.
Il Tempo si mise a ridere:
“Santi Dèi! Che pensiero
raccapricciante! Da chi hai preso il senso dell’umorismo? Da
tuo padre e da tua
madre no di certo!”.
“Forse dallo
zio…”.
L’ospite
ridacchiò e
fece ripartire il pendolo: “Grazie, Kasday. Non sai quanto mi
abbiano fatto
bene queste poche frasi fra noi!”.
L’Equilibrio
alzò le spalle, come a voler dire: non so se
sei pazzo oppure no, ma se basta così poco a farti
felice…
“Tu non sei mai venuto a
trovarmi nel mio pianeta, per paura
del mio terzo occhio viola?!”.
“Volevo essere sicuro di
non dover sentire la voce di
quella…”.
“Non spaccare la faccia di
Vereheveil, se ti capita di
vederlo. Ci tengo al suo bel visino”.
I due si misero a ridere, pur non
capendo perché lo
facessero.
“Dicevano
che pregavi
affinché la tua situazione cambiasse presto. Invece, ora, mi
sembri tranquillo”
iniziò a parlare il Tempo, cambiando argomento.
“Ora sto bene. Non ho
più voci nella testa che mi insultano
e borbottano di continuo. È scocciante essere mio padre
ma…ci si abitua a
tutto, pian piano! Ho imparato ad accettare quello che sono e le mie
responsabilità, gestendo i miei poteri. Sono felice. Non
potrei chiedere altro,
ora che fra me e Vereheveil è di nuovo tutto
sottocontrollo”.
“É davvero
così dolce?”.
L’Equilibrio
guardò il Tempo, senza capire.
“Vereheveil
intendo.
É davvero così dolce come lei mi ha
detto?”.
Kasday non rispose. Aprì
la bocca e la richiuse, non sapendo
che dire.
“Lei
mi accusò di
essere freddo, calcolatore, troppo preciso e fiscale. Monotono e
prevedibile.
Ma, cazzo, donna! Sono il Tempo! Cosa pretendi?! Che saltelli di qua e
di là
scombinando lo scorrere delle ore?”.
L’Ordine
continuò a non parlare. Il Dio con il pendolo si
ricompose e sospirò. Si sedette, con lo sguardo perso nel
nulla. L’Equilibrio
intravide il Dio della Vita. Si alzò in piedi,
giocherellando con la sfera
della Dea del Destino. La faceva correre, con la mente, fra le gambe
delle
sedie e del tavolo, per poi farla arrivare ad un mucchietto di
giocattoli di
Kavahel messi in pila, che abbatté. Esultò,
alzando le braccia al cielo.
“Sei peggio dei
bambini…” gli disse il Tempo, che si
sistemava il boccolo verticale dei suoi capelli.
“Vuoi una mano?”
domandò divertito il padrone di casa,
mentre iniziava a fare dei palleggi con la sfera.
“Non mi serve, grazie.
Avevo questo taglio di capelli quando
ancora il tuo maestro, il vecchio Equilibrio, si disperava
perché le piante del
suo giardino crescevano con un busto a 88 gradi rispetto al terreno e
non a 90!
E sta attento a quella palla! Se cade, si disintegra in migliaia di
pezzi.
Voglio proprio vederti a rimettere assieme tutti i vetrini! Uno ad
uno…”.
Si mise a ridere, mentre
l’Ordine faceva giravolte e giochetti
con la sfera fra i piedi. Poi la ripose, soddisfatto di aver fatto
cretinate a
sufficienza per quel giorno.
“Ah, sì. Buon
anno, Kasday!”.
La divinità triplice non
rispose.
Cos’era un anno in
più? Perché festeggiarlo? Per quale
motivo tutti ci tengono a ricordarmi che un altro, stupidissimo, anno
sta per
passare? Sospirò.
Il suo nuovo Messaggero,
Nosmagiès, apparve felice e ripose
con cura la sfera di cristallo nel giusto posto. Erezehimsay lo
osservava,
controllandone i movimenti. Poi entrambi se ne andarono, alla ricerca
di
Kavahel. Il bambino li vide ed iniziarono a rincorrersi, mentre la luce
del Sole
entrò dalla porta.
Ma è notte!
Era il Dio del Sole a portare quella
luce.
“Cosa fai anche tu
qui?”.
“Voci di
corridoio” rispose il Dio del Sole, tenendo
per mano la figlia,
che assomigliava
tantissimo alla Dea dei Satelliti.
“Party di
capodanno?” domandò l’Equilibrio e
scoppiò di
nuovo a ridere, forse un po’ brillo.
Era
dalla mattina
presto che beveva per scacciare molti pensieri scomodi.
Vereheveil corse lungo il corridoio:
“L’uovo! Si sta aprendo
l’uovo!” esclamò con gioia.
“Te lo avevo detto che
nasceva stanotte!” affermò il Dio con
il pendolo.
L’Equilibrio
sbirciò fuori dalla stanza, in attesa: non
voleva entrare a guardare. Forse era un po’ turbato dalle
frasi che gli aveva
detto il Tempo.
E se avesse ragione? E se
nascesse un mostro o un
qualcosa di anomalo? Sarebbe solo colpa dei miei geni mutanti ed
insoliti.
Scese il silenzio, mentre i minuti
scorrevano. L’Equilibrio
si pettinava nervosamente, girava gli occhi e contorceva le mani.
Suonò la
mezzanotte: cominciò il nuovo anno. cominciò una
nuova Era!
Ed al dodicesimo rintocco
entrò il Dio della Vita, raggiante
e sereno. Dietro di lui, ecco arrivare Vereheveil, soddisfatto ed
orgoglioso. Teneva
fra le braccia due gemelli, un maschio ed una femmina.
Kasday spalancò gli occhi.
La femmina portava sulla fronte il
simbolo del Kaos, il
maschio quello del Destino.
FINE
Siamo giunti alla fine. In
realtà questa storia prosegue con altri due volumi, che non
so ancora se caricherò. Vedremo che ne pensate! Per ora,
grazie di essere giunti fino a qui
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