Capitolo 3
In cui il destino si
mette in moto e manda, volutamente, tutto in pezzi
Il sole era alto, molto alto e molto caldo, quel giorno.
Due uomini stavano lavorando in giardino: tagliavano, potavano, davano
forma ai cespugli, raccoglievano i frutti.
Lavoravano, insomma.
Miriam trovava faticoso solo guardarli. Con quel caldo, poi…
Sbuffando attirò uno dei due con un gesto della mano. Non
era mica andata fino a lì solo per guardare due uomini
nerboruti lavorare.
Il pensiero del motivo del suo spostamento la fece rabbrividire; Miriam
non “lavorava” mai vicino al palazzo reale, troppe
guardie, troppi rischi, poco guadagno.
Il fatto che lì abitasse sua altezza aveva fatto
moltiplicare la sorveglianza e non solo quella. A Miriam, poi, non
piaceva affatto il Re; trovava che fosse un’idiota che voleva
comportarsi da Eroe nella vita reale.
Aveva avuto i suoi mesi d’avventura e ora cercava in tutti i
modi di riviverli o di sognarli. Era un’idiota.
Il comportamento che aveva tenuto in quella situazione
gli faceva prudere le mani dalla voglia di prenderlo a schiaffi. Al
diavolo le guardie, la sorveglianza e anche i giardinieri nerboruti!
Sbuffò, il sole la faceva sudare e la lunga gonna beige
dell’abito che indossava si appiccicava alla pelle.
Niente corpetti e trine e merletti, non era una nobile lei e
più i suoi vestiti erano sciupati e incolori meno la
notavano, e questo era un bene.
A raggiungerla fu un omino piccolo e basso che le disse con fermezza:
<< Sua Altezza non può riceverla. Non ha tempo
da perdere con tutti i plebei che vengono a chiedere
l’elemosina alla sua porta. >>
Il palazzo reale era cinto da una grande muraglia che culminava in un
ponte levatoio dotato di una possente grata. Un tempo, il cortile
interno era un semplice spiazzo di pietra scura e dura ora era
costeggiato, oltre che dalle postazioni per gli arcieri, anche da
rigogliosi alberi da frutto e cespugli a cui Lord Cornelius aveva
imposto di crescere per conto del Re.
Miriam diede un’ultima occhiata a quel luogo, prima di girare
sui tacchi e tornare per la sua strada che la portò lungo
stradine buie, giù, verso la parte bassa della
città.
La parte che, in caso di attacco sarebbe stata la prima ad essere
colpita e messa a ferro e fuoco dai nemici.
Ovviamente a cadere per primi erano sempre i migliori.
Sarleon si strusciò delicatamente contro Eleanor, che stava
seduta su una delle mura della città con le gambe nel vuoto.
Indossava un leggero abito azzurro e i capelli scuri erano acconciati
in una treccia morbida.
Strappò l’ennesimo petalo alla margherita che
stringeva tra le mani e lo lanciò nel vuoto; il petalo si
unì ai fratelli che volteggiavano leggiadri
nell’aria, ondeggiando verso il suolo, metri e metri
più in basso.
Tirò su con il naso, come i bambini, e carezzò la
schiena del gatto che fece un vero di apprezzamento salvo poi, storcere
il naso subito dopo per il suo comportamento da animale.
<< Eleanor, tesoro, ti senti meglio? >>
chiese.
<< No. >> si lamentò lei con gli
occhi arrossati.
Assolutamente no.
La notte buia era arricchita dalla presenza di centinaia di stelle,
piccoli astri che rilucevano impreziosendo il manto celeste.
Una persona con un animo anche solo vagamente più romantico
del suo avrebbe di certo apprezzato la vista dei torrioni e dei
baluardi del palazzo reale illuminati dalla luna.
Lei non ci fece neanche caso, scivolando, ombra tra le ombre, lungo le
possenti mura e poi oltre le sentinelle poco vigili del cancello
secondario, destinato al passaggio delle vivande e dei servitori.
Era una porticina piccola – in confronto alle imponenti
dimensioni del cancello ufficiale – che immetteva nel cortile
antistante alle cucine.
Nelle cucine c’era un forte odore di carne e spezie e tanto,
tanto rumore, oltre a un gran calore di forni e corpi umani.
Un calore quasi fastidioso, pensò Miriam, in mezzo a quella
folla che le chiuse lo stomaco: odiava non essere libera di muoversi
come voleva e lì doveva fare attenzione a non farsi notare e
a non creare incidenti.
Anni o anche solo mesi dopo, avrebbe pensato a quella sera come
all’inizio di tutto: della sua dannazione e di
qualcos’altro ma in quello momento i suoi pensieri erano
tutti concentrati sul suo obbiettivo.
Non c’era tempo per gli indugi – non che Miriam
fosse abituata ad indugiare, o anche solo a pensare, prima di agire.
Obbiettivo che, in quel preciso istante, era seduto nella stanza di
Lord Cornelius con un calice, vuoto, in una mano e l’altra
posata sulla fronte che pulsava dolorosamente.
Aveva un mal di testa lancinante che l’aveva colto quella
mattina, appena si era alzato dal letto e l’aveva torturato
per tutto il giorno, impedendogli di svolgere i suoi incarichi come
avrebbe dovuto.
<< Ecco, sua altezza, prendete questo, andate a coricarvi
e domani vedrete che starete meglio. >>
affermò Cornelius passando a Caspian Decimo un bollente
infuso di erbe.
<< Ti ringrazio. >> mormorò
questi, disperato.
<< Questo e altro per il mio Sire. >>
Caspian fece un sorriso tirato, alzandosi dalla sedia su cui si era
abbandonato per dirigersi, faticosamente nella sua stanza.
Quella era stata, decisamente, una giornata da dimenticare e
l’unica cosa che voleva era chiudere gli occhi il prima
possibile.
Ancora non sapeva che la sua giornata era lungi dall’essersi
conclusa e che il peggio non era ancora passato.
Mentre lo guardava uscire e avventurarsi per i corridoi bui Lord
Cornelius sorrise tristemente.
A guardare quel giovane, da solo in
quell’oscurità, sembrava che laddove lo zio e la
guerra avevano fallito, la solitudine, che si portava addosso come un
vanto, sarebbe riuscita.
Tornato in camera Caspian si accasciò sul pavimento:
d’un tratto il letto a baldacchino gli sembrava troppo
lontano e troppo grande e troppo caldo, soffocante.
E poi, improvvisamente, quel rumore.
Il rumore di qualcosa – il destino? La
quotidianità? Il suo cuore? – che va in frantumi:
un sonoro Crack che spezzò il pesante silenzio della stanza.
Per capire, però, cos’è stato a
spezzarsi, davvero, bisogna fare un passo indietro e tornare a
dov’era stata lasciata Miriam.
La ladruncola in questione stava vagando per la cucina con lo stomaco
chiuso e la voglia di scappare da tutto quel calore che
l’avvolgeva e la soffocava.
Voleva l’aria fredda della notte, la libertà di
movimento e desiderava, sempre di più, prendere a calci il
suo beneamato sovrano Caspian Decimo.
Oh, non desiderava altro.
Solo per quello si stava sottoponendo a tutte quelle torture.
Solo per quello.
Continuò a ripetersi per sconfiggere quello che, lei non
poteva saperlo, era un attacco di claustrofobia.
Quando finalmente riuscì ad uscire dalle cucine si
accasciò contro la parete di pietra del gelido corridoio in
cui si era trovata, cercando di riprendere fiato.
Quando sentì il cuore smettere di martellarle in petto si
rimise eretta, come una regina.
Miriam era così, neanche se ne accorgeva, ma nascosto sotto
strati d’indecenza di abiti sformati le sue spalle il suo
portamento era quello di una nobildonna. Decaduta, ma pur sempre una
nobildonna.
Era stato il nonno ad insegnarglielo: “Miriam,
schiena dritta, testa alta, pancia in dentro. Così. Brava
bambina. Cammina così.”.
Questo, come tante altre cose, Miriam non se le ricordava
più, Sarleon a volte nominava persone scomparse per farle
tornare la memoria e lei lo cacciava con un calcio ben assestato e con
un: “Stupido. Non
ho tempo per pensare al passato. Ho troppo da fare con il presente!”
Come in quel momento, la sua mente era, totalmente, catturata da un
pensiero fisso: la sua meta.
Per questo avanzava con la testa alta e guardandosi intorno in modo
quasi febbrile.
Miriam detestava cordialmente le cameriere di palazzo, trovava che il
loro lavoro fosse terribilmente ingrato e che non avrebbero dovuto
accettarlo, eppure quella sera si ritrovò a ringraziare due
cameriere più civettuole della media che, ridacchiavano,
poco più avanti di dove si trovava lei,
nell’oscurità.
<< Questa è la camera di Sire Caspian.
>> mormorò una; << Sai, una
volta sono entrata mentre si stava vestendo…
>> uno scoppiò d’ilarità
imbarazzata le mozzò la frase.
<< E non ti ha cacciata? >>
<< Oh, no. E’ un Sire buono, lui. Oltre che un
bell’uomo. >>
<< Sai, pare che a volte vada a trovare alcune delle
ragazze delle cucine. >>
<< Nooo! Che invidia! >> esclamò
l’altra, sconcertata.
Miriam storse il naso erano idiote, oltre che sfortunate, ma almeno
aveva trovato la camera del re.
Si piazzò davanti alla porta di legno, cercando di calmarsi
e aspettando che le due civette sparissero dietro l’angolo.
Si chinò e prese in mano lo stiletto che portava sempre
legato alla coscia destra, per ogni eventualità.
Prese un ultimo respiro profondo e spalancò la porta: per
sua fortuna il sovrano di Narnia non era ancora tornato dalla sua
visita a Lord Cornelius o, molto probabilmente, Miriam gli sarebbe
caduta addosso, ma questo lei non poteva certo saperlo.
Si chiuse la porta alle spalle, senza far rumore e, dopo essersi
abituata all’oscurità; si guardò
intorno alla ricerca di Caspian.
L’ampia finestra era priva di tende e la luce della luna che
filtrava dall’ampia finestra illuminava l’ampia
stanza da letto, riccamente adornata.
In attesa della sua vittima Miriam cominciò a curiosare per
la stanza, toccando gli oggetti, soppesandoli, scrutandoli,
accarezzando la stoffa delle poltrone o del baldacchino rosso,
strusciando i piedi sui tappeti che coprivano l’intero
pavimento, come una bambina curiosa. E, stranamente, non era in cerca
di nulla da rubare. Voleva solo… capire
quel re racchiuso in un dolore che lei non riusciva a concepire.
Chiaramente questo non le avrebbe impedito di pestarlo a sangue, dopo.
Posò lo stiletto sopra al camino accesso, e quello rimase
lì, beffardo, in attesa del momento giusto per entrare in
azione.
Infine, scivolò accanto alle tende strappate e
appallottolate sul pavimento. Chissà se era stato Caspian
…
Si chinò a carezzare la scura stoffa ruvida con le mani
piccole e svelte, mordicchiandosi il labbro inferiore. Si
scostò una ciocca biricchina di capelli e si
rialzò, colta, improvvisamente da un orrendo dubbio.
<< E se è andato a trovare una delle ragazze
delle cucine? >> domandò alla stanza,
prendendo in mano una strana sfera di vetro e giocherellandoci.
<< Io lo uccido. Ma che modo è questo? Mandare
così a monte i piani della gente! Ma chi si crede di essere?
Ho pure perso una serata di onesto lavoro per venire qui, oggi!
>> si lamentò con sé stessa.
In quel preciso istante sentì il rumore della maniglia che
si piegava e della porta che cominciava ad aprirsi, rapida come non
mai, si ranicchiò dietro l’alto schienale di
un’elegante poltrona e attese.
Se Caspian gli si fosse avvicinato avrebbe potuto lanciargli la palla
di vetro in testa, visto che non aveva con sé il suo
stiletto.
Dannazione, però!
Ma Caspian non si mosse, Miriam aveva sentito distintamente la porta
chiudersi ma non c’era più nessun rumore, se non
quello di un respiro pesante e affannato, lontano da lei.
Chiuse gli occhi e si ingiunse la calma.
Poi, lentamente, si mise in ginocchio e spiò oltre lo
schienale della poltrona.
C’era una figura, accasciata, contro la porta, con la testa
abbandonata contro il legno e le ginocchia piegate.
La ragazza sibilò un’imprecazione e si
abbassò, di nuovo, per non farsi vedere, così
facendo, diede però un colpo a un mobiletto accanto a lei,
dove si trovava in bilico una porcellana che, a causa
dell’urto, cadde dal sostegno e rotolò fino a
terra.
Dove si infranse.
Con un crack.
Crack.
Oh merda!
~oOo~
Perdonate il ritardo. Però almeno dovete riconoscere che il
capitolo è un pò più lungo del solito.
Lo so che è ben poca cosa ma qui si fa il possibile,
nonostante i vari (ed eventuali) impegni. Quindi perdonatemi. <3
Passando ai commenti (quando vi amerò io, eh? Quanto vi
amerò? <3):
Sakuragi92: è vero che ho
detto che la storia non seguirà i fatti reali ma dubito
fortemente di far tornare Susan, non per altro, ma perché mi
sembra un fatto troppo ireale, forzato. Ed è vero che la
canzone The Call dice quello che dire, ma il sottotitolo della storia
è proprio: "A volte bisogna saper dire addio", non a caso.
FragoIsContagious: grazie mille, cara. XD
Sapere che i personaggi, risultino simpatici ai lettori è
davvero molto importante, per me.
carlottina: grazie mille. ^^ Per il
tenero, staremo a vedere. Per ora l'istinto è più
quello di ammazzarsi a vicenda, ma tutto è possibile, no? XD
giulia90: ciao Giulia, grazie mille per
il commento. ^^ Io tutto questo successo di Miriam non lo capisco
– anche se mi fa davvero molto piacere <3.
Però, gente, la fanciulla è da ricovero, vi
avverto. E andrà anche peggiorando. XD
- darkrin <3
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