Capitolo
9: Il seme del dubbio
Quando
la porta di casa si chiuse alle sue spalle, Edith lasciò
andare la borsa sul pavimento e sospirò affranta. Era come se
in quelle ultime settimane fosse invecchiata di mille anni e che
tutto quello che le era successo fosse passato su di lei come un tir
lanciato a folle velocità lasciandola con tutte le ossa rotte.
Per
quel motivo aveva deciso di non andare subito a casa di suo padre a
prendere Ella e David. Aveva bisogno di qualche ora per capire, per
digerire un po' tutto, per cercare di fare ordine nelle sue cose e
specialmente nella sua vita.
Si
guardò intorno e una fitta le attanagliò lo stomaco.
Era disagio più che dolore, mentre ricordava quello che Jude
le aveva detto proprio in quel salotto qualche giorno prima.
“Ti
lascio libera!”
Da
cosa Edith non lo aveva ancora capito.
Sapeva
dentro di sé che non sarebbe mai stata libera, che non sarebbe
mai riuscita a mettere un po' d'ordine nella sua vita. Aveva fatto
volontariamente e no troppi casini per poterci riuscire. In tutto
questo, anche se sapeva di non poter raggiungere il Nirvana, voleva
almeno provare a raggiungere una parvenza di felicità. Ma
sempre dentro di lei una vocina maligna le suggeriva all'orecchio che
non sarebbe stato poi così facile. Sapeva che qualche cosa
stava cambiando, che era impossibile che la rottura definitiva con
Jude non avesse avuto notevoli strascichi, che solo il pensiero di
mettere le cose al proprio posto con Orlando le faceva venire un
attacco di panico da manuale. E sentiva che l'unica persona che
riusciva a capirla era Gerard. E questo la spaventava, perché
era anche l'unica che le mancava davvero.
-Edith!
Non ci pensare nemmeno a incasinarti la vita. Non un'altra volta-
pensò tra sé e sé.
Eppure
dentro di lei lo sapeva che lo stava già facendo. Per tutto il
viaggio non aveva pensato una sola volta a tutto quello che
l'aspettava una volta a Londra, ma alla persona che stava lasciando a
Wick.
-Non
posso crederci. Non posso essere così stupida!- pensò
lasciandosi cadere sulla poltrona e guardando le sue décolleté
a punta, lucide.
Nel
silenzio della sua casa cercò di capire, di pensare a cosa le
stesse succedendo. Il peso delle sue emozioni gravò sul suo
cuore già dal primo minuto, schiacciandolo. Ma doveva farlo.
Doveva capire perché non aveva fatto altro che cercare Gerard,
che pensare a Gerard quando succedeva qualcosa di brutto.
-E
pensare che lo odiavi all'inizio. Proprio come Orlando!-
Ecco!
Appunto. Lo aveva odiato come Orlando. Come per il suo grande amore
c'era stato uno scontro niente male all'inizio ed Edith aveva pensato
più di una volta di prendere a calci quell'insolente di uno
scozzese. Poi, come per Orlando, aveva capito che di Gerard si poteva
fidare. Erano diventati l'uno la spalla dell'altra.
In
un silenzio attonito, Edith cercò di non pensare che troppe
cose somigliavano alla sua storia con Orlando. E in quel silenzio
cercò di scacciare i ricordi di chi, anni prima, ogni volta
che litigava con Orlando, ogni volta che succedeva qualche cosa che
palesemente andava ben oltre l'amicizia, diceva loro che erano andati
troppo avanti, che non potevano essere più definiti amici.
Prese
il cellulare, spaventata e scorse la rubrica. Tra le ultime chiamate
c'era Rachel. Guardò il contatto con il pollice sospeso, quasi
pronto a chiamare. Non lo fece. Mise il blocca schermo e andò
verso il bagno. Si spogliò come faceva nella sua vecchia casa
di Piccadilly, lasciando un capo per terra ad ogni passo che faceva e
dopo aver aperto i rubinetti e aver fatto scorrere l'acqua calda,
sciolse i capelli e si gettò sotto il getto ristoratore,
cercando -invano- di cacciare via i pensieri, ma senza riuscirci. Si
sentiva combattuta, spaventata, confusa. Specialmente confusa.
Eseguì
i riti della doccia senza dare la cura necessaria che metteva ogni
volta. Asciugò i capelli e li piegò in una coda alta.
Non si truccò e si vestii senza guardare realmente quello che
stava indossando. Poi chiamò il padre.
Era
pronta per tornare ad essere mamma a tempo pieno.
Quando
Edith aprì la porta di casa diede un lungo e profondo respiro.
Negli anni in cui lei e suo padre avevano litigato, quando le cose
non le andavano bene aveva sempre sentito il bisogno di quella casa,
di quello che per lei era stato un rifugio sicuro.
Per
anni aveva lottato contro se stessa e il suo orgoglio per non tornare
indietro, per non essere lei la prima a chiedere scusa, ma questo
l'aveva usurata e solo quando grazie ad Orlando era riuscita a far
pace con il padre, un po' di quella ruggine che si era depositata sul
cuore era andata via come per magia. Da allora, sempre, quando
succedeva qualcosa di grave, si rifugiava dai suoi genitori: era
successo quando aveva lasciato Orlando, quando aveva cercato una casa
per andarsene da Londra e rifugiarsi in un posto sicuro, lontano da
Jude e Orlando.
Ora
però, per quanto un po' di tranquillità l'avesse
magicamente pervasa, Edith sentiva che c'era qualcosa di sbagliato,
che qualcosa era irrimediabilmente cambiato. Ed Edith sapeva che
cos'era.
Sua
madre non era lì, per la casa non si spandeva il profumo dei
suoi buonissimi manicaretti o del suo profumo. Sembrava quasi che
perfino la luce fosse diminuita nel grande salotto stipato di mobili
semplici e con le pareti che nonostante fossero state ridipinte più
e più volte non si erano mai allontanati dal color avorio.
“Mamma!”
gridò una vocina dalla cucina e subito seguita dallo
scalpiccio di piccoli passi.
Edith
sorrise e chinandosi allargò le braccia accogliendo prima Ella
e la sua cascata di riccioli neri e David, che sì, aveva dei
tratti che appartenevano ad Edith e alla sua famiglia, ma come per
Ella, stava cominciando ad essere la copia sputata del padre.
“Mamma!
Sei tornata!” strillò Ella piena di gioia.
Edith
annuì con gli occhi lucidi e David tese le braccia e con il
suo inglese stentato, come quello di tutti i bambini di appena tre
anni, disse:
“Mamma.
Mamma pappa!”
Edith
rise e strinse tutti e due, sorridendo commossa, e sottovoce disse:
“Dio
mio! Come mi siete mancati!”
Stava
ancora stringendo i figli quando vide un'ombra oscurare l'uscio.
Sollevò lo sguardo verso quella direzione e vide il padre. O
meglio lo spettro di quello che era suo padre.
Di
Patrick Norton non era rimasto nulla. Dopo la separazione da Eloise,
il dolore aveva lasciato segni probabilmente indelebili su di lui che
aveva perso in pochissimo tempo molti chili e dava l'impressione di
aver reso la sciatteria una sua prerogativa. Vederlo così rese
Edith ancora più preoccupata: sapere che suo padre non stava
bene la spaventava parecchio dal momento che ancora non riusciva a
rendersi conto a pieno del fatto che stava irrimediabilmente perdendo
sua madre.
Si
avvicinò al padre e gli baciò la guancia, sospirando
grata di trovare qualcuno in carne e in ossa piuttosto che un
fantasma.
“Come
stai?” gli chiese con un filo di voce.
Patrick
sospirò e gli occhi gli si fecero di nuovo lucidi. Guardo la
casa, quasi questo gli bastasse per trovare Eloise come se non se ne
fosse andata via ma si fosse nascosta dietro un mobile, pur sapendo
che non era possibile.
“Vado
avanti. I bambini mi hanno aiutato parecchio in queste settimane... E
anche Paul ed Emma... Mi sono stati vicini...”
Edith
annuì e sistemando il colletto della camicia del padre, disse:
“Tranquillo
papà. Ci sono anche io con te adesso... Non ti lascio solo!”
Il
padre la guardò negli occhi. Fisso, in silenzio. Edith
conosceva lo sguardo di suo padre, sapeva che poteva sondare dentro
la sua anima e vedere i suoi segreti più profondi. Era stato
lui a rendersi conto anni prima, che Edith non amava esibirsi in
pubblico e che il piano non era la sua strada. Ma allora aveva fatto
finta di niente e aveva aspettato che fosse la figlia a fare la prima
mossa, quella che li mise l'uno contro l'altro per tanto tempo.
In
quel momento, invece, gli occhi di Patrick si puntarono su dentro
quelli di Edith e sollevando il viso della figlia con una mano, le
chiese serio:
“Sai
qualcosa che io non so Edith?”
Edith
si maledì mentalmente. La sua sensazione di essere nuda
davanti all'uomo che le aveva dato la vita non era poi così
sbagliata. Suo padre la conosceva come se fosse un libro aperto.
“Perchè?”
chiese fingendo stupore.
Patrick
la guardò e disse:
“Hai
la stessa espressione di quando i tuoi fratelli combinavano qualcosa
e tu nascondevi le loro malefatte!”
Edith
sorrise e cercando di nascondere tutto con un sorriso, disse:
“Non
so niente papà. Sono solo mille problemi. Mille. Orlando che
non mi da tregua, Jude che se n'è andato via...”
Patrick
annuì e poggiandole una mano sulla spalla, scusandosi le
disse:
“Scusami
Edith! Scusami! È che da quando tua madre è andata via
mi sento come se qualcosa non quadrasse, come se qualcosa mi venisse
nascosto!”
“Papà!
Nessuno ti sta nascondendo niente. Davvero!” e baciandogli di
nuovo la guancia aggiunse: “Mi hanno detto Emma e Paul che
dovrebbero venire a pranzo. Che hai preparato?”
Patrick
la guardò con terrore e la ragazza, ridendo, replicò:
“Ok!
Chiamiamo un'agenzia di catering. Almeno siamo sicuri che mangiamo
qualcosa di buono!” e avvicinandosi al telefono cominciò
a sfogliare l'agenda telefonica cercando il numero di qualche
ristorante per ordinare qualcosa take away.
L'atmosfera
in casa Norton era gioviale come non lo era da anni, ormai.
Non
erano mai stati una famiglia dal passato semplice. Liti e distacchi
dolorosi avevano reso la storia passata dei Norton un'epopea che
avrebbe fatto un baffo perfino ai sovrani di Gran Bretagna. Con tutto
il rispetto per la Regina, naturalmente.
Nonostante
questo c'era qualcosa che stonava. Edith se ne rendeva conto. Per
quanto ridessero, per quanto i bambini corressero da una parte
all'altra animando la casa con le loro voci cristalline, Edith sapeva
che ogni adulto portava un peso segnato indelebilmente dalla partenza
di Eloise. E lei, Edith, che sapeva il vero motivo, si sentiva in
colpa. Terribilmente in colpa. Sapeva, dentro di sé, che
tenere nascosto a suo padre il vero motivo per cui la moglie se
n'era andata era sbagliato, anche se capiva il desiderio di sua madre
di non voler far vedere a suo marito il suo corpo straziato dal
dolore, dai medicinali e, inevitabilmente dalla malattia e dalla
morte. Nonostante questo si sentiva colpevole guardando Patrick. In
quegli ultimi giorni gli aveva negato di passare con la moglie quelli
che diventavano gli ultimi giorni per lei e quel tempo perso non
glielo avrebbe dato nessuno indietro. Si guardò intorno e
cercò i visi dei fratelli. Anche loro erano all'oscuro di
tutto, ma stavolta un altro pensiero la opprimeva. Eloise le aveva
dato il compito di dire loro che la loro madre stava morendo e che
quello era il vero motivo per cui aveva messo fine al matrimonio.
In
quel preciso momento sentì una furia cieca ma silenziosa
montare dentro di lei. Come aveva potuto, sua madre, essere così
egoista? Come aveva potuto chiederle di nascondere a suo padre una
verità così ingombrante e al contempo chiederle di dire
tutto ai suoi fratelli, senza pensare a quello che avrebbe voluto
dire per lei, in quel preciso momento della sua vita, avere un peso
del genere sulle spalle?
“Tutto
bene?”
Edith
si voltò e guardò Emma, sua sorella. In lei qualcosa
era cambiato: era sempre bellissima e sensuale come quando calcava le
passerelle, ma nei suoi occhi c'era solo un'immensa tranquillità.
Da quando Clay era entrato nella sua vita tutto era cambiato, lei era
cambiata. Lo spettro dell'anoressia era diventato un lontano ricordo,
aveva persino smesso di andare da uno psicologo. Aveva cominciato ad
aver davvero fiducia in se stessa e non a mostrare una faccia diversa
a seconda della collezione con cui sfilare. Di quella piccola figura
esile che guardava Edith con arroganza su di una poltrona in un
centro di recupero a New York era rimasto davvero poco. Davanti a lei
c'era una donna e questo rendeva la giovane giornalista orgogliosa
dei progressi e dei cambiamenti che aveva fatto sua sorella nella sua
vita.
Posò
una mano su quella di Emma e disse:
“Mi
dai una mano?”
Emma
corrugò la fronte e senza domandare niente seguì la
sorella, prendendo alcuni piatti vuoti dalla tavola. Edith fece lo
stesso e si eclissarono in cucina.
Una
volta poggiato tutto sul tavolo di legno al centro della cucina e
aver socchiuso la porta, Edith si poggiò al muro e passando
una mano sulla faccia, disse:
“Non
voglio fare troppi giri di parole. So perché la mamma se n'è
andata dalla zia Mag!”
Emma
corrugò la fronte proprio come aveva fatto a tavola qualche
secondo prima. Aveva capito che qualche cosa non andava e sapeva che
quella che stava seguendo era una confessione, o almeno l'inizio di
quella che doveva essere una confessione.
“Ho
promesso alla mamma che vi avrei detto il vero motivo. Però
non posso farlo adesso!”
“Perchè?”
La
voce di Emma nascondeva una nota di rimprovero: Edith sapeva che la
sorella aveva capito e che era contraria.
“La
mamma non vuole che il papà sappia la verità!”
Dopo
quell'affermazione Emma incrociò le braccia e sollevò
un sopracciglio che annunciava tempesta. Mettendo quindi le mani
avanti, Edith disse:
“Emma...
Lo so che ti può sembrare strano. E ho visto come sta papà.
Davvero. So che la mamma sta sbagliando e sono davvero d'accordo con
te sul fatto che anche papà debba sapere la verità...”
“Che
si scopa un altro?” domandò sputando veleno Emma.
“NO!”
esclamò Edith scioccata da quella domanda. Non si era mai resa
conto che vista dal lato di chi non era a conoscenza della verità,
quello era il primo pensiero che poteva venire in mente.
“E
allora cosa? Si è innamorata di qualcun altro?” continuò
furibonda Emma.
“La
mamma sta morendo!” disse Edith in un soffio, senza nemmeno
pensare a quello che stava dicendo.
Emma
barcollò appena, sentendo quella frase. Le braccia caddero
lunghe sui fianchi e l'aria di sfida che aveva preso quando la
sorella maggiore le aveva confidato di essere a conoscenza del motivo
per cui la madre aveva deciso di lasciare il padre aveva lasciato
posto a quella di doloroso stupore che ora aleggiava per tutta la
cucina.
Con
orrore di Edith gli occhi di Emma si riempirono di lacrime.
“Em!
La mamma non vuole che papà lo sappia! Ti prego!”
Emma
annuì e cercando di riprendere contegno riuscì solo a
farfugliare:
“Come?
Quando te lo ha detto?”
Edith
sospirò e si mise a sedere. E poggiando i gomiti sul tavolo
disse, tenendo la testa tra le mani:
“Il
giorno dopo che io e Orlando l'abbiamo trovata, zia Maggie mi ha
chiamata e mi ha detto di andare da lei, perché la mamma mi
voleva parlare. Ho preso un taxi e mi sono catapultata, perché
come te e Paul volevo delle spiegazioni, volevo capire il perché
di quella decisione. Quando sono arrivata a casa della zia ho trovato
la mamma in cucina. Mi ha detto che ha un tumore al cervello. Che ci
sono già delle metastasi...”
“Com'è
possibile che non ci siamo accorti di niente!” intervenne
disperata Emma.
Edith
scosse la testa sentendo le lacrime pronte a scendere. Dovette far
leva su tutta la sua forza di volontà per evitare di piangere
dal momento che non solo non voleva farlo, ma sapeva che se avesse
cominciato a piangere anche Emma avrebbe ceduto e sarebbe stato
difficile tenere nascosto a Patrick il vero motivo di tutto quel
dolore.
“Non
lo so. È stata davvero brava. Mi ha solo detto che ha
cominciato a fare degli esami subito dopo che papà ha avuto
l'infarto. Per precauzione. Pensava che non ci fosse niente ed invece
le hanno fatto fare altri esami. E da lì si sono resi conto
che aveva un tumore al cervello e che ormai c'erano delle metastasi
in tutto il corpo!”
“E
perché non vuole che papà lo sappia?”
Edith
sospirò. Era difficile capire e spiegare una richiesta del
genere, dal momento che anche lei aveva ancora tante obiezioni
sull'argomento.
“Perchè
vuole che se la ricordi sana, indipendente e non distrutta dalla
malattia!” rispose con un'immensa tristezza nella voce.
Emma
la guardò sconcertata. Stava per attaccare quando la porta
della cucina si aprì. Per un attimo Edith ebbe paura di vedere
Patrick entrare, ma per uno strano scherzo del destino vide Paul, che
curioso chiese:
“Che
cosa state complottando voi due?” poi guardando le facce delle
due sorelle, aggiunse serio: “Ok! Non mi sembra che sia il
momento adatto per scherzare!”
Emma
fece uno strano verso, un misto tra una risata e uno sbuffo e disse:
“Certo
che fai bene a non scherzare, dal momento che tua sorella sapeva
perché nostra madre ha lasciato casa Norton e non ci ha detto
niente!”
Paul
guardò Edith sconcertato da quell'affermazione ed Edith riuscì
solo ad annuire.
“La
mamma mi ha chiesto di riunirvi appena possibile. Ecco perché
sono tornata a Londra”
“Per
caso è successo qualche cosa di grave?”
La
voce di Paul era piena di paura, la stessa che Edith leggeva negli
occhi di Emma.
“Sì!”
rispose Emma con voce rotta.
Paul
tornò a guardare Edith che per la seconda volta, con la voce
pari ad un soffio, disse:
“La
mamma ha un tumore al cervello. Sta morendo!”
Paul
reagì peggio di Emma. Lui, il piccolo di casa, quello
vezzeggiato, difeso da Eloise si stava trovando davanti ad
un'ineluttabile verità: sua madre non era eterna e per di più
la vita gliela stava portando via molto prima di quanto potesse
immaginare, di quanto avesse programmato.
“State
scherzando, vero?”
Edith
scosse la testa ed Emma chinò la sua incapace di reggere a
lungo le lacrime. Lacrime che apparvero anche negli occhi di Paul.
“E
ha lasciato per questo papà?”
“Non
vuole che la veda soffrire!” rispose Edith che sentiva il peso
di tutto quello che aveva significato anche per lei la malattia della
madre.
Paul
stava per rispondere quando la porta di cucina si aprì di
nuovo, lentamente. Stavolta il destino non aveva aiutato Edith come
aveva fatto prima lasciando che entrasse nella stessa stanza in cui
si stava parlando del segreto della madre l'unica persona rimasta a
cui davvero interessasse la verità. Stavolta dietro c'era
Patrick, con gli occhi sgranati, che guardava scioccato i tre figli.
Edith
sentì il cuore in gola e subito scattò in piedi.
“Io
lo sapevo. Lo sapevo che se mi stava lasciando un motivo doveva
esserci!” mormorò Patrick con voce rotta mentre dietro
di lui, nella sala da pranzo era ormai calato un silenzio irreale.
Tutti erano in silenzio, ascoltando quello che stava succedendo.
“Papà!”
esclamò Emma preoccupata. “Siediti!”
Patrick
scosse la testa e guardando Edith disse:
“Io
avevo capito che tu sapevi. Lo vedevo nei tuoi occhi. La stessa
espressione di quando succedeva qualcosa e cercavi di nascondercelo a
me e a tua madre...”
“Papà!
Non mi far preoccupare. Siediti, bevi un bicchiere d'acqua!”
rincarò Edith, sollevandosi dalla sedia e guardando il padre
preoccupata.
Patrick
scosse la testa e stringendo i pugni chiese:
“Come
ha potuto? Come può volermi tenere fuori dalla sua vita
proprio ora?”
“Perché
ti ama!” esclamò Edith con voce rotta. “E non
vuole che tu possa soffrire per lei!”
Patrick
guardò la figlia maggiore senza vederla davvero. Sorrise e per
un folle attimo Edith pensò che fosse impazzito, poi si rese
conto che una lacrima stava lentamente rigandogli una guancia e il
cuore della giovane giornalista si spaccò. In quel preciso
istante ebbe la certezza che suo padre non solo aveva capito che sua
moglie lo amava come mai aveva amato qualcuno nella sua vita
nonostante le sue continue mancanze, ma che per uno strano scherzo
del destino, proprio quando capiva di essere la cosa più
importante per Eloise, la vita gliela stava togliendo e lei nel gesto
d'amore più grande che Patrick avesse mai visto, si era
allontanata da lui per non farlo soffrire, per non renderlo partecipe
del suo dolore.
“Portami
da lei!” disse guardando Paul.
“Papà...
La mamma non vuole che tu...” stava per dire Edith ma Patrick
allungò la mano e disse:
“Quando
capirai e capirete tutti voi quello che ho capito io, allora
ascolterò i vostri consigli. Per anni ho lasciato che mia
moglie mi sopportasse, senza mai supportarla. Per anni ho dato per
scontata la sua presenza, la sua devozione. Devo ammettere di aver
anche pensato che, in cuor suo, vostra madre avesse smesso di amarmi
per colpa di tutti i miei errori con voi. Ma non è stato così.
Oggi ho capito che anche ora che aveva bisogno del mio supporto non
l'ha cercato e non perché avesse paura di un mio rifiuto,
perché sapeva che per una cosa del genere sarei stato accanto
a lei, avrei combattuto accanto a lei... Eloise mi ha tenuto fuori
dalla sua malattia per non farmi soffrire, come gesto estremo
d'amore. E sapete perché?” e domandando questo guardò
ognuno dei figli negli occhi, mentre i suoi colmi di lacrime
cominciavano ad arrossarsi. “Lo ha fatto perché quando
stavo male, subito dopo l'infarto, le ho detto che senza di lei non
potevo vivere, che solo l'idea di perderla mi avrebbe ucciso... E lei
mi ha tenuto nascosta la sua malattia per questo!”
Nella
cucina e nel resto della casa regnava il silenzio. Persino i bambini
non ridevano e giocavano più. Tutti erano davanti alla porta
della cucina. In un angolo Emma piangeva, schiacciata da tutti quegli
avvenimenti come Edith e Paul. Gli altri stavano in un silenzio
attonito. Lo stesso silenzio di chi sa di essere davanti a qualcosa
di definitivo, di troppo grande per essere digerito in fretta e da
cui inevitabilmente verrà travolto.
“Portatemi
da lei, vi prego. Non voglio litigare, rispetterò qualsiasi
sua decisione. Voglio solo che capisca che ci sono. Anche se non
vorrà tornare qua. Io voglio davvero che starle vicino fino
alla fine. E farò di tutto per riuscirci!”
Paul
annuì e disse:
“Ho
la macchina in garage. La prendo e sono da te!”
Patrick
stava per rispondere quando Edith disse:
“Vengo
anche io... Devo spiegarle che non è stata una cosa voluta!”
“Allora
vengo anche io!” protestò Emma.
Paul
annuì e disse:
“Penso
che dobbiamo andare tutti noi. La famiglia Norton stasera deve
parlare di qualcosa d'importante!” e dopo aver detto una cosa a
Jessy, sua moglie, mentre usciva, s'incamminò verso
l'ingresso.
Da
quel momento in poi tutto fu molto frammentario per Edith,
frastornata da quello che era successo. Sapeva solo che un attimo
prima stava consolando David che piangeva disperato vedendola sulla
porta, spaventato dall'idea che la madre potesse partire di nuovo, e
poi era nel sedile posteriore, accanto ad Emma che singhiozzava
silenziosamente, mentre la macchina scorreva silenziosa per le strade
di Londra.
Arrivò
a casa di sua zia Maggie che erano le otto di sera. Dalla finestra a
bovindo del soggiorno si vedeva il televisore che trasmetteva un
varietà trasmetto su ITV1.
Si
avvicinarono alla porta in silenzio e fu Patrick a suonare. Per due
volte pigiò il tasto del campanello che riecheggiò per
la casa con il suo suono gentile.
Fu
Margareth ad aprire. E quando vide Patrick, superato lo stupore,
sorrise e disse:
“Sono
contento che tu sia qua!” e facendo spazio lasciò che i
nipoti e il cognato entrassero nel salotto della sua casa dove,
seduta sul divano Eloise guardava la tv.
Forse
fu per il fatto che non la vedeva da una settimana e perché
sapeva che sua madre era malata, ma Edith notò il viso più
scavato della donna, le mani che stringevano con forza la sua tazza,
quasi che quell'unico appiglio le potesse confermare il suo esserci,
il suo essere ancora viva.
Patrick
la guardò in silenzio, per qualche secondo. Come per Edith
essere a conoscenza del fatto che la moglie fosse malata gliela fece
vedere sotto occhi differenti: sembrava infatti cullarla con lo
sguardo, implorandola silenziosamente di permettergli di avvicinarsi
a lui.
“Che
ci fate qua tutti quanti?” chiese Eloise con voce roca.
Edith
sospirò e rispose:
“Mamma...
Ti ricordi quella cosa che mi avevi chiesto? Beh! Le cose non sono
andate come il previsto!”
Eloise
rizzò la schiena risentita e disse:
“Edith
Isabel Norton sono davvero delusa dal tuo comportamento. Mi sembra di
essere stata abbastanza chiara quando ti ho chiesto...”
“Mamma
è stata colpa mia!” ammise Emma. “L'ho costretta a
dirmi la verità ed è stato un rapido susseguirsi di
eventi...”
“Voi
non dovevate...” stava per dire Eloise ma Patrick si intromise
e replicò:
“Volevi
davvero che non sapessi una cosa del genere? Pensavi che sarei stato
così cieco da non rendermi conto di una cosa simile? Mi volevi
nascondere la tua malattia fino alla fine? E cosa mi avrebbero
raccontato tuoi figli una volta morta?”
Eloise
strinse le labbra e rispose:
“Ci
avrei pensato quando sarebbe stato il momento!”
Patrick
sorrise e disse:
“Non
sono arrabbiato con te, Eloise. Anzi, forse per la prima volta da
quando siamo sposati mi rendo conto di che razza di marito io sia
stato e di quanto sia disinteressata questa tua richiesta. Oggi ho
scoperto che nonostante la persona terribile che sono stato, tu mi
hai davvero amato e questa tua decisione ne è la prova. Hai
pensato a me prima che al tuo dolore, al fatto che avevi palesemente
bisogno di aiuto. E di questo non posso che esserti grato. Ma voglio,
davvero, che tu affronti questa prova con me. So che non sarà
semplice. E so che soffriremo entrambi, ma non ho paura di questo. O
meglio, ho paura. Una paura fottuta. Ma se questo è il nostro
destino, l'unica cosa che ti chiedo è di non chiudermi fuori.
Non voglio. Non posso accettarlo. Io voglio starti vicino. Come ci
siamo detti, nella buona e nella cattiva sorte. E affronteremo anche
questa. E la sconfiggeremo!”
Eloise
sorrise triste e replicò:
“Tua
figlia non ti ha detto che sto morendo!”
“Sì!
Me lo ha detto! Anche se non direttamente! Ma non è detto che
non si possa porre rimedio a questa cosa...” disse Patrick
avvicinandosi e prendendole le mani.
“Ecco
perché non volevo che lo sapessi...” rispose Eloise
scuotendo la testa con un sorriso ormai rassegnato nel volto.
“Se
tu vuoi lottare, ce la faremo!” continuò Patrick.
“NO!
NON POSSO. STO MORENDO. NON C'È PIÙ NIENTE DA FARE
PATRICK. È INUTILE!” disse Eloise togliendo le mani da
quelle del marito. E con gli occhi lucidi disse: “Non volevo
dirtelo perché non volevo che mi vedessi morire, ma non volevo
vedere nemmeno la paura nei tuoi occhi. E non volevo nemmeno dirlo a
nostri figli, proprio per questo motivo. La vostra paura per me è
un veleno. E ogni volta che la vedrò nei vostri occhi un pezzo
di me comincerà a morire. Lentamente, ma lo farà... E
non voglio, non voglio che vediate ogni istante e lo viviate come una
lenta agonia. Non volevo un lungo addio. Non lo voglio ancora!”
Patrick
guardò la moglie in silenzio: sembrava che con quelle parole
l'avessero travolto, come se Eloise l'avesse preso a schiaffi.
Edith
ed Emma dietro di lui piangevano in silenzio, Paul a malapena
tratteneva le lacrime.
Maggie,
da una parte, ascoltava tutto a braccia conserte: conosceva il dolore
della perdita e sapeva cosa stava provando ogni singolo membro della
famiglia Norton, nonostante questo non disse una parola. Sapeva che
in egual modo il suo essere cosciente di quel dolore l'avrebbe resa
una maestrina esasperante e quella era l'ultima cosa che voleva.
Ci
fu un attimo di silenzio, rotto dai singhiozzi delle due sorelle
Norton, poi fu Patrick a parlare e dire:
“Sarò
più forte. Cercherò di accompagnarti in questo cammino,
anche se saprò che sarà l'ultimo e lo farò con
un sorriso. Ma ti prego. Torna da me. Non voglio perderti ora. Perché
se ti perdo adesso non potrò far nulla, niente per rimediare
al tempo perduto!”
Eloise
lo guardò e sospirando disse:
“No!
Ho preso la mia decisione! Non voglio tornare a casa...” e
mettendosi a sedere diede le spalle ai figli e al marito.
Patrick
accusò il colpo stringendosi nelle spalle.
Chinò
la testa e stringendo i pugni, disse:
“Rispetto
la tua scelta di non tornare a casa. Ma non mi puoi tenere fuori
dalla tua vita. Ora più che mai. Che tu lo voglia o no farò
io ne farò parte!” e senza dire altro uscì dalla
casa.
Emma
guardò il padre e la madre con sguardo perso, quasi sembrava
comica la sua espressione ed Edith avrebbe riso in un altro caso, ma
non allora. Era troppo scossa e anche arrabbiata con sua madre per
rimanere a casa della zia. Si avvicinò alla sorella, le cinse
le spalle sussurrandole 'Andiamo' e uscì salutando con
un cenno Maggie, lasciando che Paul, in silenzio, la seguisse.
In
quel momento c'era solo dolore dentro ogni fibra di Edith. Un dolore
sordo che andava oltre la malattia della madre.
C'era
delusione dentro di lei.
C'era
l'impossibilità di capire un gesto d'amore così grande.
E
la paura di vedere crollare suo padre solo per una scelta che aveva
sempre ritenuto folle.
Si
lasciò cadere con un sospiro sulla poltrona vicino alla
finestra guardando il suo salotto in silenzio. I bambini dormivano
nelle loro camere. Era stato difficile metterli a letto, ma una volta
poggiata la testa sul cuscino erano crollati quasi subito.
Nel
silenzio della sua casa Edith lasciò che tutto quello che era
successo le piombasse addosso e in silenzio, con una mano premuta
sulla bocca, pianse, a lungo, fino a che la testa non cominciò
a farle male, fino a che non ebbe più lacrime da piangere.
Poi,
stringendo le braccia al petto guardò l'ora. Erano appena le
nove e mezza. Non aveva voglia di guardare la tv. Aveva voglia di
sentire l'unica persona che sapeva l'avrebbe capita e prendendo il
cellulare selezionò un numero dalla rubrica. Attese qualche
minuto e poi quando dall'altro capo venne agganciata la chiamata
disse:
“Gerard!
Ho bisogno di te...” e correggendo il tiro aggiunse: “Di
parlare con te che sembri conoscermi come nessuno ha fatto mai!”
Bon!!!!
Altro capitolo finito.
Sono
stata abbastanza veloce stavolta.
Ringrazio
la mia unica lettrice superstite
Chiaretta78
che
recensisce
anche dopo
la
mia lunghissima latitanza.
E
la mia lettrice silente, Margherita, che mi ha minacciata di morte
quando
sono stata troppo tempo senza
aggiornare.
Ringrazio
i lettori silenti e quelli che hanno aggiunto
la
storia nella lista delle
preferite,
ricordate
e
seguite.
Grazie!
Grazie davvero!!!
Per
il momento vi lascio. Alla prossima.
E
lasciate un vostro giudizio.
Positivo
o negativo sarà sempre ben accetto.
Con
affetto. Niniel82.
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