E
tu un principe troiano. So che mi renderai fiero.
Le sue ultime parole. Le ultime frasi che mi ha rivolto. Prima di
andarsene per sempre.
Ciò che mi ha detto prima di essere ucciso.
La sua voce – o una voce che non è sua, la voce
piatta e omogenea dei ricordi – continua a reiterare quelle
sillabe dentro di me, quei vocaboli mi palpitano nella mente, si
ripetono sino all’ossessione.
Lui era il vero principe troiano. Perché
gli dèi
hanno voluto la sua morte? Perché non sono stato io, a
perire per la lama di una spada?
Gli dèi, ah. Non so più se credo agli
dèi. Probabilmente no. Non mi sento, non ne ho la forza.
E tu un principe troiano. So che mi renderai fiero.
Un principe troiano? Ma di Troia non è rimasta nemmeno la
cenere, ormai. Principe di cosa? Di un popolo che non ha più
nulla che ricordi le sue origini? Andromaca potrebbe facilmente essere
regina, ma io… Io non sono niente.
Né principe, né guerriero.
Paride.
Sono solo Paride.
Solo questo ragazzo immaturo, quest’uomo che non sa scegliere
con saggezza, quest’incompetente.
No, la vita non è giusta. Perché Ettore? Lui era
forte, era accorto, amava il suo popolo. Io sono debole, sono
avventato, amo una sola donna.
Perché è morto lui ed io sono ancora vivo?
Lui avrebbe protetto Troia, avrebbe fermato gli Achei, li avrebbe fatti
indietreggiare sino alle navi, le avrebbe bruciate, le avrebbe ridotte
in cenere le loro imbarcazioni! Li avrebbe fatti fuggire sul mare,
avrebbe riportato la pace nella nostra patria.
Perché sono rimasto vivo io?!
Non so neanche maneggiare con destrezza una spada, solo
dell’arco so servirmi. Dell’arco, l’arma
dei vili. L’arma di coloro che prediligono tenersi fuori
dalla mischia, che preferiscono osservare esternamente la battaglia,
colpire da lontano.
Lui era il migliore di tutti noi. Io sono… sono cosa?
E tu un Principe troiano. So che mi renderai fiero.
Le lacrime minacciano di bagnarmi le guance, mentre il cuore mi si
riempie di gratitudine, di sollievo. Ecco la risposta, così
semplice, l’ho sempre avuta nella mente. L’ho
sempre rigirata tra i miei pensieri, da quel giorno.
Mi sono ossessionato sul suo significato, ho ripercorso ogni suono di
quelle sillabe.
Grazie, Ettore, grazie, fratello.
Un Principe troiano…
Siamo qui. Nonostante tutto, siamo ancora vivi. Ho ancora un popolo.
Siamo fuggiti, siamo riusciti a salvarci dalle lame degli Achei.
Possiamo impegnarci. Possiamo costruire. Possiamo avere di nuovo una
patria.
So che mi renderai fiero…
Sono qui. Sono ancora vivo. Io… ho tolto la vita ad Achille.
So che mi dicesti che non c’è nulla di glorioso
nell’uccidere, eppure… sei fiero di me, fratello?
Il sangue mi pulsava nelle vene – e come lo sentivo!
– quel giorno. Ho partecipato alla guerra. Ho lottato. Non
sono fuggito, sono rimasto. Ho usato il mio arco, la mia mira, e ho
difeso Troia finché ho potuto, ho combattuto per il mio
popolo. Ti ho vendicato. E – nonostante ricordi i tuoi
ammonimenti – non posso non trarne sollievo.
Il fermarsi del cuore di Achille non ha fatto sì che il tuo
cuore riprendesse a battere. Questo lo capisco.
Eppure come avrei potuto respirare in un mondo dove viveva il tuo
uccisore? Fino a quando il suo cuore non si è fermato, la
terra mi sembrava sporca. Il mondo impuro. Sbagliato.
Non c’è pace, dopo la morte di Achille. Ma
è come se mi fossi tolto qualcosa dal petto, qualcosa che mi
rendeva difficile respirare.
Il cielo è una volta scura sopra la mia testa. Le stelle
palpitano di luce. L’aria è pura.
Io ho trovato chi sono. Grazie a te, finalmente lo so.
Ti voglio bene, fratello.
Sono un Principe troiano. So che ti renderò fiero.
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