Chiedo scusa per il
ritardo...
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-Che cosa?-
-Hai capito.-
Chiu
arretrò istintivamente, urtando la parete alle proprie
spalle. Si sentiva profondamente a disagio.
Cosa voleva quello? La
sua storia? Ma che razza di domanda era?
Gli venne in mente per
un attimo Tsuda.
Quel posto non le era
mai piaciuto, nonostante avesse vissuto lì da quando aveva
cinque anni. Le altre ragazze la odiavano perché era, in un
certo qual modo, "intoccabile". Il vecchio trovava sempre qualche scusa
per non lasciarla ai clienti, ed era così che aveva
mantenuto la sua purezza fino all'età di 21 anni, mentre le
altre donne che per un motivo o per l'altro si ritrovavano costrette a
rimanere in quel buco dovevano anche subirsi ubriaconi, delinquenti,
criminali d'ogni specie.
Ogni volta che il capo
non c'era, piccole vendette si riversavano su di lei, dettate da odio e
invidia: un giorno, all'età di circa quattordici anni, si
era svegliata con una strana sensazione di freddo sul collo. Guardatasi
allo specchio, aveva notato con orrore lo scempio compiuto sui suoi
capelli, ridotti ad un ammasso informe di ciocche tagliate
grossolanamente. Un'altra volta i suoi vestiti erano "stranamente"
spariti, un'altra ancora aveva trovato il suo libro preferito ridotto
ad un mucchietto di cenere, e avrebbe potuto continuare per ore con la
lista. Perciò aveva sviluppato un particolare senso di
diffidenza nei confronti di chiunque, compreso quell'uomo che si
trovava di fronte a lei e la subissava di domande.
-S-senti, forse sono
stato troppo precipitoso, ma per me è importante: per
favore, potresti raccontarmi come sei arrivata fin qui?-
Chiu
respirò lentamente, pensando che in fondo non le costava
nulla dirglielo.
-Vivo qui da sedici
anni. Ma perché lo vuoi sapere?-
Lui le
abbozzò un sorriso, arma sottile: una corona di denti
bianchissimi che catturano la luce, labbra rosee e carnose che si
stirano, viso che assume vivacità.
Chiu si
rilassò.
Fuuko sapeva come
comportarsi. A volte provava disgusto per sé stesso, dalla
propria capacità di mostrare la faccia di sé che
più gli accomodava, dalla straordinaria naturalezza con cui
riusciva ad imbastire un discorso dalle fondamenta di puro, denso,
fumo. Ma aveva uno scopo, una vera e propria missione da portare a
termine.
Non era di certo il
momento per lasciarsi andare alle smancerie e ai rimorsi di coscienza.
-Sono uno studioso,
Chiu. Mi occupo dei demoni...-
Lasciò la
frase a metà, per catturare le reazioni della ragazza. Come
previsto, lei si irrigidì, pur se impercettibilmente. Non si
lasciò scappare il leggero tendersi del nervo sinistro del
collo sottile, gettando una minuscola ombra sulla pelle lattea. La
mandibola indurì i lineamenti, la fronte si
aggrottò lievemente.
-Sei uno studioso di
demoni?- anche il suo tono di voce era più marcato e basso,
quasi sprezzante.
-Si.-
-Perché sei
per caso convinto... Che siamo degli animali? Bestie selvatiche?
Fiere?- le vibrazioni rabbiose erano perfino palpabili.
Resistendo alla voglia
di prendersi a pugni, Fuuko continuò la sua spiegazione, dal
retrogusto amaro.
-Aspetta, non trarre
conclusioni affrettate. Non ho detto che viviseziono i demoni,
né tantomeno sto in appostamento ad osservare il loro
comportamento alla stregua di... orsi, o cervi, o chissà
cos'altro! Intendevo studioso dal punto di vista sociale e storico.-
Notò che la
giovane, suo malgrado, aveva abbassato lo sguardo, pensierosa.
-Come sai, i rapporti
tra umani e demoni... Non sono mai stati tra i più
tranquilli, e sono convinto che informarsi reciprocamente su cultura,
tradizioni e storia sia un ottimo modo per iniziare... a costruire
qualcosa, che dici?-
Fuuko si sarebbe
aspettato un commento sarcastico del tipo "Parli come un politico"
oppure "Le belle parole le sanno dire tutti, bisogna vedere i fatti",
ma Chiu, per quanta gente strana e poco raccomandabile avesse visto,
non aveva di certo una panoramica sulla società, sui modi di
comportarsi, sulle strategie di persuasione, a causa di quel
pseudo-isolamento in cui era costretta da anni.
-Ma se vuoi
approfondire questo aspetto dovresti recarti piuttosto in un villaggio,
non credi? Qui ci sono solo io! Davvero, ti converrebbe essere
più convincente, non sono cretina.-
I suoi occhi avevano
perso la sfumatura limpida che avevano all'inizio, diventando
più cupi e vicino al cremisi.
Il moro
sentì una fitta al petto.
Non avrebbe mai voluto
dover ricorrere a quello, se l'era conservato come ultima carta. Aveva
pensato -sperato- che quella minuta demone tutta orecchie e capelli
fosse stata un po' più credulona, invece si era rivelata
attenta e brillante.
-Leggi molto?-
-Si. Ma questo cosa
c'entra?-
-Nulla,
curiosità personale.-
Sorrise internamente:
il fatto che fosse interessata alla cultura e che le piacesse leggere
non gli dispiaceva poi tanto. Anzi, era quasi soddisfatto. Staccandosi
dalle riflessioni personali, si disse che era ora di sovvertire quello
sguardo sospettoso e quel broncio che Chiu gli stava rivolgendo senza
riserve.
Estrasse dalla tasca
posteriore dei pantaloni un libretto avvolto da un involucro
plastificato, e glielo porse.
Come da previsione,
gli occhioni rosa scuro della ragazza si spalancarono per lo stupore.
-Un pass verde?!-
-Proprio
così. Aprilo.-
Lei lo
guardò con due occhi talmente enormi da catalizzare ogni
sguardo su di loro.
-Posso?-
-Certo. Volevi una
prova no? Eccola.-
Per transitare da una
provincia all'altra, e meglio ancora, da uno stato all'altro, c'era una
regola fondamentale: era obbligatorio possedere un permesso di
passaggio, comunemente noto come "pass". Ovviamente bisognava
avere valide ragioni per spostarsi da un luogo all'altro, che potevano
andare dal lavoro, alla visita a parenti, al semplice viaggio di
piacere. Ogni impiego e ogni motivazione comportava varie restrizioni e
richiedeva particolari requisiti. Chi non rispettava questa legge si
guadagnava immediatamente un periodo di reclusione. I pass erano per
quanto detto prima di vari generi, che si distinguevano tra loro per
colore, che indicavano ognuno un settore diverso.
In particolare, i pass
verdi concernevano professioni culturali e scientifiche ad alto
livello, ed erano per questo motivo piuttosto rari.
-Forte, guarda quanta
roba c'è scritto!-
Un pass verde
permetteva inoltre di sostare o attraversare parecchie zone senza dover
fornire una motivazione precisa, tranne il luogo di partenza e la
destinazione finale, permettendo al viaggiatore di scegliere il
percorso preferito.
-E' proprio carino!!-
I pass erano
manifatture parecchio elaborate, e per questo difficili da riprodurre.
Un falso era riconoscibile, e i tentativi di frode venivano scoperti
con estrema facilità. Il governo si era perciò
assicurato un'ottima immagine, e una buona reputazione nel campo della
sicurezza.
-Chissà
quanto devi aver studiato per avere un lavoro che ti permettesse
addirittura un pass verde!-
Ma con la
popolarità dei pass, era parimenti dilagato il contrabbando
di questi. I falsari avevano iniziato ad adottare mezzi sofisticati in
grado di riprodurre pass perfetti, mentre ai piani alti del governo,
composto da palloni gonfiati che si erano adagiati sugli allori,
nessuno si accorgeva di nulla, e l'intensità dei controlli
era rimasta invariata da trent'anni e anche più.
-Già... Non
sai quanto...- biascicò Fuuko desiderando di mordersi la
lingua. -...Non sai quanto.-
Dopo aver scansionato
ogni millimetro di quella filigrana color smeraldo, la piccola demone
si rivolse al ragazzo, visibilmente rabbonita e dimentica della
diffidenza.
-Allora, cosa volevi
sapere poi?-
Un velo di tristezza
gli oscurò il viso. Quanto avrebbe voluto non doverla
prendere in giro a quel modo, ma se lei avesse saputo, tutto sarebbe
andato a rotoli.
-I tuoi genitori, mi
puoi parlare di loro?-
Lei chinò
la testa, e iniziò a fissarsi le mani, che avevano ripreso a
torturare la gonna.
-A dire il vero... Io
non li conosco.-
-In che senso?-
-Cioè, non
posso definirmi orfana, però... non saprei! Io non ho mai
conosciuto i miei genitori... Il mio primo ricordo risale a quando
avevo tre anni, più indietro è completamente
vuoto. Si, direi che vuoto è la parola giusta. Ho vissuto
con una coppia di giovani umani da quando avevo tre anni a quando ne
avevo cinque... E poi...-
Si interruppe,
lasciando in sospeso la frase e pronunciando le ultime parole con voce
incrinata.
-Poi?- la
incalzò Fuuko. Non avrebbe voluto fare pressioni, ma doveva
sapere.
-Sono morti in un
incendio.- sorrise e abbassò le palpebre, inspirando ed
espirando forte. -E da quel momento io vivo qui.-
-Tutto qui? Ma i tuoi
genitori sono morti, per questo vivevi con degli umani?-
-Non so proprio, ti
dico. Non so che fine abbiano fatto, neppure come si chiamavano! Ogni
volta che lo chiedevo alla mamma... Cioè, la mia mamma
umana, lei diceva che me l'avrebbe spiegato quando sarei stata
più grande, e Tsuda... Beh, dovresti avere capito che tipo
è.-
-Oh si, so molto bene
che tipo è...- sussurrò tra sé Fuuko.
-Come hai detto?-
chiese.
-No, niente.- le
sorrise amareggiato.
-Quindi tu non sai
nulla? Proprio nulla?-
-No, davvero... mi
dispiace così tanto... Avrei voluto aiutarti, ma non ho
nessuna informazione interessante!-
Invece era meglio
così. Lei non poteva neppure immaginarlo, ma per Fuuko era
molto più comodo che lei fosse all'oscuro di tutto,
così le sue spiegazioni, una volta giunto il momento,
sarebbero potute partire da zero. Sempre che non si fosse tradito prima.
-Non ti preoccupare,
mi hai già aiutato.-
Chiu lo
osservò perplessa.
-Ma non ti ho detto
nulla.-
-Invece no, mi
è servito.-
-Bah, se lo dici
tu...- si mise a guardarsi i piedi.
Dopo un attimo di
silenzio, Fuuko tornò a parlare.
-Ora puoi andare.
Grazie.-
Chiu, probabilmente
assorta nei suoi pensieri, non aveva capito, e gli chiese di ripetere.
-No, nulla, ho
finito.- sorrise di nuovo. -Ora puoi tornare nella tua stanza, Chiu.-
La ragazza assunse
inconsciamente un'espressione di evidente disappunto. Appena quel
ragazzo aveva scelto lei tra tutte le altre, aveva provato una grande
paura, ma in quel momento, la prospettiva di ritornare alla stancante
routine di tutti i giorni la faceva sentire molto peggio.
-Si. Grazie.- si
alzò senza guardarlo in volto, dirigendosi verso la porta.
Ogni passo che
avanzava le sembrava durasse un'eternità. Tutti i sensi
erano acuiti, pronti a captare un qualsiasi richiamo, che non
arrivò. Sentiva la gola secca. Posò una mano
sulla maniglia, stringendola forte. La abbassò.
-Ah, Chiu.-
Si
immobilizzò sgranando gli occhi. Non era possibile.
Davvero... poteva ancora sperare. Un altro secondo lì
avrebbe costituito un ricordo che avrebbe alleviato le sofferenze di un
intero giorno. Un intero giorno di quella sua inutile vita.
-Si?- rispose con voce
roca.
-Grazie ancora.-
"Grazie."
La parola le
rimbombava nelle orecchie.
Quindi poteva
andarsene.
Qualcosa all'interno
del suo corpo si spezzò.
Qualcosa dalle parti
dello sterno.
Uscì in
fretta chiudendosi la porta alle spalle senza voltarsi né
rispondere, corse nella propria stanza, incapace anche di piangere.
Quelle quattro mura la soffocavano. Eppure non se ne poteva andare. Non
poteva.
Fuuko rimase a fissare
la porta, sentendosi svuotato.
-Quindi la prima parte
è fatta.- si disse. -Bene, ora posso anche dormire.-
Ma contrariamente a
quanto avrebbe voluto, scivolò in un sonno agitato.
Il giorno dopo, Chiu
si svegliò con addosso un indicibile malumore. Era
maldisposta verso se stessa, figuriamoci con il resto del mondo. Quando
Keimi andò a svegliarla, sempre con il suo tono dolce e per
niente sprezzante, si trovò davanti una figurina irosa che
le riservò un'occhiataccia da far gelare il sangue.
Fuuko si
svegliò che aveva più sonno di prima.
Rincoglionito come se lo avessero centrifugato, si infilò
sotto la doccia, rischiando di addormentarsi sotto il getto d'acqua e
di spaccarsi la testa contro il muro. Un po' ristorato,
infilò un paio di pantaloni di un sobrio color rosso fiamma
e uscì in corridoio. Non si accorse di avere Chiu a pochi
passi, che andava nella direzione a lui opposta, fino a che questa non
lo superò urtandogli un braccio.
Improvvisamente
vigile, si voltò a guardarla.
Cazzo. L'aveva preso
male, l'addio brusco della sera prima. Era ora di passare al piano B.
-Chiu!-
Non lo
ascoltò.
Grazie a un paio di
ampie falcate, la raggiunse in velocità, afferrandola per un
braccio e attirandola a sé.
Sorpresa, lei si
dimenticò di assumere un'espressione arrabbiata.
-Vieni con me.-
-Cosa?-
Ok, era leggermente
drastico come approccio, ma era la sua ultima possibilità.
-Vieni con me. La mia
destinazione è un villaggio di montagna, lontano da
qui...partirò tra un paio di giorni.-
Almeno questa era la
verità. Parziale, ma verità.
-E perché
vuoi portarmi con te?-
-Sei un demone. Ti
prego. Sarà utile ad entrambi.-
Ma per uno strano
meccanismo del suo subconscio, a Chiu quegli occhi neri che la
fissavano sembravano troppo falsi, la voce vellutata troppo incerta, e
quella stretta sul braccio troppo forte.
Con uno strattone, si
liberò.
-Con te io non vado da
nessuna parte.- sbottò.
Girò sui
tacchi e corse via.
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Spero vi sia
piaciuto^^ se potrò, posterò il capitolo un po'
più in fretta...lasciate un commentino! =)
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