Capitolo
5
…Il
… pril … April!
È il mio nome? Qualcuno mi sta chiamando … mi
stanno chiamando?!
Spalanco gli occhi di scatto. La luce bianca mi
ferisce la retina come una lama, perciò la prima cosa che
vedo è una faccia
sfocata che mi fissa.
<< Ti sei ripresa!>> perfora i
timpani una familiare voce preoccupata: è di Kid.
Porto istintivamente le mani a coprire le
orecchie.
<< Dove mi trovo?>> chiedo
frastornata dal dolore pulsante che martella nella testa.
<< Quante dita sono?>> dice
un’altra
voce maschile con autorità, perciò osservo
più attentamente i salsicciotti rosa
che ho difronte.
<< Q-quattro?>> rispondo titubante,
mentre mi massaggio gli occhi per allontanare il dolore e possibilmente
dissipare la coltre nebbiosa che non mi permette di vedere bene.
<< Allora stai bene>> dice nuovamente
il ragazzo, alzandosi facendo scricchiolare la brandina su cui sono
distesa.
<< Dove sono?>> chiedo ancora
mettendomi seduta ed il dolore aumenta tanto che devo appoggiare la
testa tra
le mani per paura che salti via. Sul sopracciglio destro sento della
stoffa
grezza attaccata con dello scotch, mentre il sangue è
sparito.
<< Siamo nel rifugio, in camera di J>>
risponde il mio amico, poi parte con il resoconto di quello che mi sono
persa
<< Mi hai fatto venire un colpo! Sono arrivato con Chanel
e tu eri
collassata sul prato, mentre Nagìl cercava di farti
rinvenire, poi ti abbiamo
portata dentro… >>
<< Frena un attimo, Chanel e
Na-chi?!>> lo interrompo, non riconoscendo i nomi.
<< È vero, non vi siete ancora presentati!
Lei è Chanel>> indica una ragazza con il viso
arrossato dal pianto e seduta
in disparte con una borraccia di plastica in mano. Ok ora ricordo, la
biondina
piagnucolona. Poi passa al ragazzo appoggiato a braccia conserte allo
stipite
della porta << E lui è
Nagìl>>.
Lui lo ricordo benissimo purtroppo per me.
Speravo fosse tutto un brutto sogno ed invece era accaduto realmente.
Squadro i
ragazzi da capo a piedi senza dire nulla, perché, adesso che
ho il tempo di
studiarli con calma, i loro sguardi mi lasciano sconcertata come se
avessi
difronte degli alieni. Non tanto la ragazza dagli occhi violaceo e
muschio,
come ha detto che si chiama … ah! Chanel. Sì, il
suo aspetto fisico (bionda e
bassina) è simile ad alcuni nostri concittadini
perciò nulla di nuovo; invece il
ragazzo mi inquieta abbastanza. Ha una folta chioma di capelli bianchi,
mai
visti su nessun essere umano, che fanno risaltare maggiormente la
carnagione
ambrata e lo sguardo d’orato e argenteo. Sembra
così innaturale! È una stramberia
che non può essere di altri posti se non del Centro,
perciò decreto che non ci
si può fidare.
Sto ancora assimilando tutte le informazioni che
il loro aspetto può fornirmi e ipotizzando congetture sulle
loro intenzioni,
che Kid imbarazzato dal silenzio calato nella stanza, mi presenta agli
estranei.
<< Questa invece è April. Scusatela a
volte è un po’ lunatica>> scherza il
mio amico e la battuta mi fa tornare
alla realtà.
<< Già scusate la lunatica, ma adesso dove
sloggiare>> dico decisa, lasciando tutti spiazzati, tanto
che Kid cerca subito
di rimediare in qualche modo alle mie parole rudi, ma sono costretta a
metterlo
a tacere.
<< I funzionari erano in zona e se hanno
acciuffato e interrogato i Demon’s,
di sicuro sanno che sono qui! Mentre noi rischiamo la prigione.
Perciò Kid non
c’è niente da aggiungere, devono
andarsene!!>> dichiaro alzandomi in
piedi per rafforzare maggiormente la mia decisione. E
miracolo, almeno riesco a stare in piedi
nonostante il mal di testa destabilizzante.
<< Ha ragione. Chanel è ora di
andare>> dice l’alieno alla biondina e senza
battere ciglio raccolgono le
loro cose.
<< Aspettate!>> li ferma il mio
amico prima che escano dalla stanza, meritandosi il mio sguardo di
rimprovero <<
è vero che dovete tornare prima che vi trovino,
però non potete andare in giro
così! Vi scopriranno di sicuro, perciò vi
accompagneremo>>
<< Cosa?! Non dici per
davvero…>>
dico indignata.
<< Invece lo faremo! Li abbiamo aiutati ed
andremo fino in fondo, vero April?!>> sentenzia, facendo
sì che ancora
una volta si faccia a modo suo. Oggi Kid sta superando ogni limite!
Tuttavia ha
fatto male i suoi conti, siccome non ho nessuna voglia di fare come
vuole lui,
perciò butto lì un interrogativo che non
può ignorare.
<< E di grazia come facciamo a portarli
sani e salvi al Centro, se non possiamo neanche avvicinarci alla
cupola?>>
dico inviperita, perché l’idea del geniaccio non
mi va giù; ci porterà
soltanto
altri guai. Inoltre di aiutare tipi
come quelli e per giunta del Centro non lo accetto! Per loro mi sono
già presa
una randellata sulla testa, mi ricorda il dolore lancinante al lato
destro ed
il ché è imperdonabile, perciò non ho
la minima intenzione di espormi oltre.
Basta!
So di aver posto la domanda giusta, dal momento
che la sua espressione è seria e pensierosa, così
con un’occhiata lo sfido
silenziosamente a darmi almeno un’opzione sensata. Mentre
mentalmente formulo
la mia di idea e cioè di scaricare i due individui davanti
alla prima pattuglia
di funzionari. Non sono meschina, di sicuro, i protettori della legge
non faranno
nulla ai figli di papino, li riporteranno semplicemente a casa come se
nulla
fosse, e mi dovranno anche ringraziare che non li metta difronte ad un
gruppo
antigovernativo! Oltretutto la cosa che mi fa imbestialire è
che i diretti
interessati non facciano nulla per decidere della loro sorte, lasciando
semplicemente che siano gli altri, per giunta estranei, a risolvere i
loro
stessi casini. Che razza di gente è mai questa?! Sono tutti
un branco di
viziati menefreghisti e non voglio averli difronte ai miei occhi un
secondo di
più.
Ne ho piene le scatole e , per chiudere la
faccenda alla svelta, proprio mentre sto per rinfacciare a Kid di non
avere una
soluzione al problema, lui mi anticipa. << So cosa
fare!>> dichiara
senza la minima intenzione a voler mollare.
Così mezz’ora dopo siamo tutti e
quattro,
compresa l’immancabile bicicletta scassata, difronte alla mia
sede di lavoro:
la “Eolo express, ditta di
consegne”,
un enorme magazzino riadattato incastrato tra i palazzi, che fa
consegne in
tutta la città. Eh già, alla fine mi sono fatta
convincere, ancora.
Come c’è riuscito il mio amico? Semplice non mi
ha dato scelta per l’ennesima volta, ma appena ne ho
l’occasione me le paga
tutte e con lo scotto.
Una figura slanciata si precipita fuori dalla
sede. O-oh! È il mio superiore, Chris Dolan. Ci mancava solo
lui.
<< Wild! Ma dove diavolo eri finita?! Lo
sai quante consegne dobbiamo fare? E tu sparisci così senza
dire nulla, né
avvisare! Mi devi una spiegaz…>> si blocca a
metà fissandomi accigliato.
<< Che cavolo ti è successo?>>
avrà notato la fasciatura che ho
sulla fronte? o il sangue raggrumato dappertutto?
<< E chi sono quelli?>> aggiunge
indicando le due figure imbacuccate che compongono il gruppo.
Non gli do spiegazioni altrimenti si fa notte, mi
limito solamente ad informarlo che devo parlare con Tiberius il padrone
dello
stabile e quindi di passare le mie consegne a qualcun altro. Stupefatto
mi
chiede chiarimenti mentre mi corre dietro per non farsi distanziare.
Faccio
segno agli altri di seguirmi dopo aver posato la bici nella apposita
rastrelliera ed entriamo in un luogo ampio ma soffocato da scatoloni,
fatture,
gente che va e viene, un rumore di macchine e informazioni urlate che
riempie
l’aria. Tanto è il ronzio che sembra di essere
all’ interno di un alveare in piena
attività. Su entrambe le lunghezze maggiori del capanno ci
sono due soppalchi
dove sono disposti in verticale dei cubicoli rettangolari che ospitano
le
richieste di tutta Cardia, inoltre
i
due lati sono messi in comunicazione sia da binari metallici, su cui
corrono i
carrelli, permettendo il passaggio di qualsiasi materiale da una parte
all’altra dell’edificio grazie anche a dei
montacarichi verticali. Per fortuna
l’energia elettrica non manca mai (guarda caso), altrimenti
saremmo in grossi
guai. Chris, ancora attaccato alle costole, continua a rimproverare la
mia
discutibile condotta e bla bla bla…
perciò lo semino tra le pile di imballaggi e per essere
sicura di lasciarmelo definitivamente
alle spalle, passo sotto ad una fila ordinata di pacchi che frecciano
su un
nastro trasportatore che taglia a metà la ditta,
immancabilmente vengo imitata
dagli altri. Come previsto il mio capo è troppo alto e
orgoglioso, per
abbassarsi e passare sotto al nastro e quando mi lancia
l’ultima minaccia: “non
abbiamo finito”, alzo un braccio per salutarlo
“affettuosamente” senza
voltarmi. Chris con la sua etica lavorativa è davvero un
seccatore se ci si
mette, ma basterà dirgli che il grande-capo mi ha fatto una
lavata di testa,
perché si metta l’anima in pace. Saliamo la ripida
scalinata che porta all’
ufficio-casa sopraelevato di Tiberius Carrol da cui è
possibile osservare tutto
il locale. L’ambiente in cui sostiamo è
completamente diverso: confortevole e
accogliente, non sembra
per niente il
cuore della ditta, anche perché pile e pile di libri,
progetti, anche un albero
genealogico dei Dei greci, sono ordinatamente stipati ovunque. Infatti
il
proprietario è un maniaco della sistemazione oltre ad avere
una smodata
attrattiva per la cultura greca, tanto che alcune pagine e
raffigurazioni su
carta sono appese su fili che corrono da una parte all’altra
del soffitto
formando un percorso didattico. Il ragazzo del centro sembra
interessato e per
vedere meglio si toglie il cappuccio della felpa di Kid e gli occhiali
da sole
che gli ho costretto a far indossare. Lo ammetto sono talmente
paranoica da
quando siamo usciti dal rifugio, che li sorveglio con la coda
dell’occhio in
ogni istante.
<< Solo un attimo, arrivo subito>>
annuncia una voce dal cucinino ricavato in un angolo apparentemente
sgombro
della casa. Mi sono sempre chiesta come riesca a non far appiccare un
incendio.
Dopo pochi minuti la persona che stavamo aspettando ci raggiunge al
centro
della stanza dove è posto un ampio tavolo seppellito da
carte macchiate da
impronte di bicchieri e penna. <<
Oh!
April sei tu, non ti aspettavo così presto. Cosa ti porta da
me? spero non
quello che ti è capitato>> sorride bonario.
Tiberius, per le persone più
in confidenza Titt, è un alto e scheletrico signore di
settant’anni suonati, viso
spigoloso, lunga barba e occhi marroni
ingranditi a dismisura da spesse lenti tonde. È dotato di un
spiccato senso di
osservazione, tanto
che basta un unico
sguardo accurato perché possa dirti cosa ti sia capitato
nelle ultime ore,
infatti credo si sia già fatto più di un idea sul
motivo della nostra visita. Eppure
non mette mai fretta ed aspetta pazientemente che sia tu a raccontargli
quel
che vuoi.
<< Ci serve il tuo aiuto>> esordisce
Kid, visto che non mi propongo a riguardo << abbiamo
bisogno di un modo
per arrivare alla Cupola senza essere visti>>.
<< Per i vostri amici?>> chiede
pacato intercettando lo sguardo dei Centriani.
Sorvolo sulla parola amici e vostri,
limitandomi ad assentire. << per questo, immagino tu
voglia chiedermi le
mappe dei tunnel>>
<< Sì, signore>> risponde
prontamente il ragazzo.
<< D’accordo. Sapete che quello che state
facendo è decisamente pericoloso? Anche per voi
>> si rivolge ai
forestieri.
<< Certo>> risponde il giovane dai
capelli diafani.
<< Bene, April potresti venire a darmi una
mano?>>
Rimango leggermente stupita dalla sua
accondiscendenza e come me anche il mio amico che si affretta a
domandare
<< Tiberius, non mi chiedi proprio nulla?>>
L’arzillo vecchietto si limita a sorridere
delicatamente, facendomi segno di seguirlo in fondo alla sala.
<< Mi sorprende che tu abbia deciso di
aiutare quei due giovani. Me lo sarei aspettato da Kirckland, e posso
dedurre
che in parte tu sia qui per proteggerlo sapendo quanto tieni a lui. Ma
spero
anche che tu non sia venuta solo per questo. Hai cambiato idea alla
fine?>>
chiede una volta fuori dalla portata degli altri, osservandomi
intensamente e
soppesando la mia reazione. Tiberius,
oltre ad essere colui che mi ha dato lavoro, è anche la
persona che ha saputo
aiutarmi in un momento difficile dalla mia vita, preoccupandosi di
tirarmi piano
piano fuori dal cunicolo nero in cui ero, ed in parte ancora sono,
intrappolata. Lo considero un amico molto saggio a cui posso affidarmi,
dire
liberamente ciò che penso (pur entro certi limiti) e non
solo per una questione
di riconoscenza.
<< Mi dispiace, ma la mia idea non è
cambiata>>
dico a testa china, sapendo che quelle parole lo feriscono molto, ma su
questo
punto non posso assolutamente cambiare il mio pensiero.
<< Capisco>> sospira << Sappi
però che sei giovane per rimanere ancorata al passato anche
se quello che hai vissuto
ti sembra inaccettabile, perché è proprio grazie
ai ragazzi della tua età, con
la vostra particolare capacità di stupirci, se possiamo
sperare che un giorno
possa iniziare un futuro migliore. Per questo ti chiedo solo una cosa,
un
piccolo favore: non chiudere le porte a tutto ciò che pensi
possa ricollegarsi
al passato, anzi cerca di affrontarlo, perché solo
così potrai liberartene una
volta per tutte>> posa una mano sulla mia spalla,
tuttavia non apro bocca
per replicare. << Non vederlo come un rimprovero o una
forzatura. Pensalo
come un consiglio per essere finalmente libera dal rancore e poter
vivere
serenamente. Adesso, passiamo alla mappa che vi serve, dovrebbe essere
da
queste parti>> parlotta rovistando tra vecchi fascicoli e
cartelle
nascoste dentro a grossi tomi.
So perfettamente che Titt cerca di darmi una
mano a dire finalmente addio al vecchio dolore, ma ho paura, una paura
folle
che una volta superato questo odio, non mi resti più nulla
per cui andare avanti
e alla fine scoprire di essere una
persona vuota e debole. Per questo non riesco a buttarmi semplicemente
tutto
alle spalle e cambiare il mio modo di comportarmi in
determinate situazioni, perché non voglio
sentirmi un’incapace e un’ indifesa. Questo,
però, non ho il coraggio di dirlo
ad alta voce, soprattutto a Tiberius, non sopporterei l’idea
di deluderlo con
il mio modo di agire. La paura è una gran brutta cosa.
Torniamo dagli altri con una ruvida mappa in
scala ripiegata più volte su se stessa e, che una volta
spiegata, ci rivela una
labirinto di passaggi nascosti sotto terra che ci permetteranno di
raggiungere
la parte esterna del Centro in totale sicurezza.
Sono sbalordita nello scoprire come il
sottosuolo assomigli ad una tana per talpe con tutti quei passaggi e
biforcazioni. Titt ricalca velocemente un quadrante ben preciso,
segnandoci i
passaggi cruciali ed eventuali punti di riferimento per non perderci,
oltre ad
evidenziare eventuali tunnel crollati o deviati e la presenza di nidi
di ratti.
Come mai questo signore possiede informazioni
tanto preziose è presto detto: ha lavorato per molti anni
nella divisione per
la manutenzione delle gallerie che prima erano viste come un rifugio
anti
attacco dall’esterno ma, visto che ormai sappiamo di essere
completamente soli
per miglia e miglia, mi chiedo quando la squadra sia stata smembrata.
Adesso invece
viene inviato occasionalmente qualche gruppo di
“volontari” a controllare lo
stato delle murature e fine della storia. Dopo che ci è
stato raccomandato di riportargli
la mappa, riceviamo altre due maschere per i forestieri ed una torcia
elettrica
a mulinello, e dopo aver ringraziato. raggiungiamo il punto di accesso
alla
rete sotterranea.
Non immaginavo quest’odore che ci accoglie una
volta forzata la porta blindata che immette nel primo tratto del
percorso; è un
misto tra formaggio ammuffito, acqua stagnante e non ho il coraggio di
approfondire
cos’altro. Perciò indosso per precauzione la
mascherina, non si sa mai,
potremmo morire stecchiti non per le esalazioni tossiche, ma per il
tanfo.
Decidiamo allora come organizzarci per
l’avanzata: il mio amico in testa con le indicazioni, a
seguire i forestieri e
a chiudere la fila la sottoscritta, così riesco a tenere
sotto controllo tutti a
causa della mia solita paranoia sui complotti (ovviamente questo non
l’ho detto
a Kid).
Il primo tratto, proprio come ci è stato
raccontato, non ci da grossi problemi: una lunga strada dritta da
percorrere
sguazzando nelle pozzanghere putrescenti, aggiungerei anche ultra
infette di
batteri soltanto per il colore, mucchietti di cadaveri di topi
rosicchiati
probabilmente dai loro simili e poi che altro … tutto il
lerciume misto a
fanghiglia che si possa immaginare per una discarica. Mi sembra di
essere
entrata nelle viscere di un enorme mostro mangia carogne e che non ci
fosse
altra alternativa se non quella di finire digeriti dal suo abnorme
stomaco. Siccome
lo scenario non è molto invitante, prendo un buon minuto per
osservare la
biondina schizzinosa, i suoi modi mi divertono. È schifata
da tutto, cammina
con le braccia strette al corpo ed posa ogni passo come se stesse per
calpestare dell’acido che inevitabilmente le
scioglierà il piede con tutta la
gamba. Ha paura che un enorme batterio gigante la attacchi da un
momento
all’altro? Io avrei più paura dei roditori
assassini nell’ombra! Che ridere.
A parte le beffe, siamo arrivati ad uno dei nodi
cruciali della mappa. Ci troviamo ad uno svincolo, una piazzetta
circolare
illuminata da un tombino che getta sulle nostre teste dei motivi da
carcerati,
e tutt’attorno si affacciano numerosi archi scuri: altri
tunnel. Stranamente
questi sono caratterizzati da sagome sbiadite e corrose dal tempo. Non
riesco a
distinguere che forme vi siano incise.
<< Dove si va adesso?>> chiede la
biondina impaziente, mentre schiva l’ennesimo ristagno.
<< Non riesco a capire. Deve essere il
terzo o il secondo partendo da destra>> ci illumina la
nostra giuda,
sovrastando di poco il suono di uno sgocciolio lontano.
<< Fantastico>> borbotto tra me e
me. Per finire questa giornata in bellezza dobbiamo giustamente
rimanere
bloccati nel sottosuolo.
<< Fammi vedere>> parla il
ragazzo
dai capelli chiari avvicinandosi a Kid, poi estrae un oggetto da una
tasca della
cintura, da cui parte un lampo che diviene fisso, come un faro nella
notte, per
illuminare meglio il foglio.
<< Cos’è quello?>>
sbotto allarmata
indicando l’aggeggio in mano al ragazzo, sembra
più grosso di un normale telefono
cellulare.
<< È il mio cellulare?!>>
risponde
sarcastico.
<< Ma davvero?! Devi spegnerlo>>
ribatto perentoria.
<< Perché mai?>>
<< Di un po’, sei stupido per caso? E tu
verresti dal Centro?!>> dico in tono acido.
<< Senti un po’ che problema
hai?!>>
mi rinfaccia, scattando nella mia direzione. A quanto pare non solo io
ho i
nervi a fior di pelle. È una novità inaspettata
vedere un barlume di carattere
in tipi come loro.
<< Vuoi litigare Centriano?>> sibilo
avvicinandomi a mia volta.
<< Mi chiamo Nagìl>> ribatte
indispettito.
<< Vuoi litigare Nagìl?>>
ripeto, facendo
un passo avanti fino a trovarmi a pochi centimetri da lui per fissarlo
dritto
negli occhi. Non chiedo di meglio che di prenderlo a calci nel di
dietro, così
eliminerei all’istante uno dei miei problemi, ma purtroppo
veniamo interrotti.
<< Fatela finita! April piantala, potevi
chiederglielo in altro modo>> Kid sembra davvero stanco.
<< Allora parlaci tu
signor-nobel-per-la-pace!>> sbotto stizzita strappandogli
di mano la
cartina e, dopo averle dato una rapida occhiata, mi dirigo verso il
terzo
tunnel caricando con foga la torcia elettrica.
Perché gli ho tolto la mappa? Forse per tenermi
occupata e non schiaffeggiare una certa persona che oggi mi sta davvero
facendo
incavolare ed il resto del viaggio si svolge in silenzio. Kid ha fatto
spegnere
i telefoni ai
forestieri per non farci
rintracciare con il GPS, d’obbligo ormai su tutti gli
apparecchi elettronici,
perciò non abbiamo altro motivo di interagire (e di questo
sono grata), così mi
limito a sfogare la rabbia e la frustrazione sulla torcia caricandola
troppo e
troppo spesso, cercando di scacciare i pensieri che si avvicinano
pericolosamente nella mia testa come mosche sullo zucchero.
Arrivati al capolinea ci assicuriamo che i tizzi
restituiscano la felpa e gli altri oggetti prestati e sbuchino in
superficie, per
poi tornare sui nostri passi. Decido che il mio amico non è
degno di rivolgermi
la parola. Mi sento tradita ed ingabbiata come un animale da circo, il
che mi
da i nervi, perciò Io e Kid non parliamo per il resto del
tragitto.
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