Heilà!
Chiedo venia per questo mio ennesimo e obbrobrioso
ritardo: purtroppo, ho avuto un incidente che m'ha messo fuori uso la mano per
un bel po' di tempo e ancora oggi dopo un po' di ore a battere al computer mi
dà fastidio. Non contiamo poi che, lavorando nel settore degli eventi, l’estate
non è un bel periodo per scrivere in tutta tranquillità.
Ciliegina sulla
torta, quando questo tanto agognato epilogo era lì lì per essere pubblicato,
cos'è successo? La mia chiavetta è andata in gloria. Impossibile aprirla.
Kaputt ohne Hoffnung. Risultato? Ho perso il capitolo e l'ho dovuto
riscrivere. Duh. Un’impresa titanica e spero che questa versione sia buona lo
stesso.
Ma in fin dei conti meglio tardi che mai e voilà la
conclusione di questa fic: evvai! Ce n'è voluto di tempo, ma scrivere gli
ultimi capitoli è sempre triste, perché ci si accomiata da personaggi divenuti
"cari", di cui vorremmo sapere sempre di più, rimanendone però delusi
per motivi di trama.
Adesso vediamo di proseguire con le altre storie, “Stigma” in primis ...
Nel frattempo, prima di lasciarvi al capitolo e alle note
finali, un sentito ringraziamento ai miei lettori e recensori, in particolare
ad Imoto e Jo95. Grazie davvero, miei cari recensori sia degli ultimi
aggiornamenti che dell'intera fic, per il vostro supporto e per il tempo
dedicato a leggere e condividere i vostri pensieri su questo mio sghiribizzo.
Merci!
Ringrazio poi: Glaucopide
Atena26; Monaco e Paola DP per aver messo questa storia tra le preferite.
Ed infine, ringrazio: Aulica; Babynaru90; Braveheart_99; Camelia _Calliope; ChibiRoby;
Clarisse44; Giulia_Cullen;Isangel; Krikka86; Luffy_chan; Lululove2; Mekbul;
Reika701; Thera e Trouble00 per averla messa tra le seguite.
Se qualcuno avesse voglia di lasciare una piccola
recensione di commiato, faccia pure, siamo aperti 24/7! XD
Ci vediamo brevemente dopo il "the end" per
l'ultima comunicazione di servizio ...
Buona lettura,
H.
*************************************************************************************************
Scioglimento
Sfogliando le ultime pagine del libro, Terumi Mei prese a
leggere ad alta voce, nel frattempo che lei e l'horror writer deambulavano nel
cortile del tempio.
Avevo
già menzionato come né mia madre né io ci fossimo più rivolte la parola in
seguito alla mia decisione di continuare la gravidanza e di sposare Sasuke e vi
confesso che all’inizio non diedi il giusto peso a questo nostro bellicoso
accordo: forse perché avevo mio padre che ci faceva da mediatore; forse perché giostrandomi
tra casa, lavoro e famiglia non avevo materialmente il tempo di meditarci
troppo sopra. Qualunque fosse il motivo non mi diedi alcuna pena di
riallacciare il nostro rapporto guastatosi così scioccamente.
Fu
soltanto nel 2004, poco prima di decidere di raccontarvi questa mia esperienza,
che volli ricostruire i ponti bruciati con Okaasan.
Sasuke,
ovviamente, aveva storto il naso a riguardo, ma non ebbe più di tanto da
obiettare dinanzi alla mia iniziativa: se essa avesse potuto in qualche modo
giovarmi ad affrontare con maggior serenità il futuro, allora che quell’ultimo
confronto avesse pure inizio. Diciamo che la notizia del prossimo arrivo del
nostro secondogenito l'aveva assai ammorbidito. Con mia madre la questione si
rivelò più ostica: a lungo ella ignorò le mie telefonate e le conseguenti
ambasciate tramite Otōsan e Menma-nii, ma alla fine cedette. Sapevo che dietro
alla sua maschera d’orgoglio ferito, anche Okaasan desiderava poter interagire
sul serio col suo unico nipote, al di là dei bigliettini di circostanza che ci
si scambiava durante le feste di precetto. Mio padre si riferiva a lui con tale
entusiasmo di Ojiisan da suscitarle un persistente e dispettoso interesse, che
le s’ingrossava perfido in petto col trascorrere degli anni alla stregua del ventre di un rospo gracidante.
Sicché,
dopo mesi di trattative, riuscii finalmente a fare breccia nel suo animo che
portò Acchan e la sottoscritta a ritrovarsi a scampanellare alla porta di casa
dei miei genitori in un umido tardo pomeriggio di pien'estate […]
"Devo ammettere che, rispetto alle sue altre storie,
L'Appuntamento è la meno ...
sorprendente, ecco."
L'horror writer arcuò il sopracciglio, più per curiosità
che per irritazione. "In che senso, prego?"
"Non fraintenda, Tobirama-sensei. Le vicende sono
appassionanti come sempre e anche le atmosfere suscitano inquietudine e
terrore, come si confà al genere horror. Tuttavia, non so, l'effetto sorpresa è
mancato: molti lettori hanno dichiarato d'aver subito capito come Naruko-san
fosse incinta. Di conseguenza, l'opinione generale fattasi da parte del
pubblico è che la trama appare piuttosto banale e talvolta prevedibile!"
Tobirama annuì senza scomporsi. "E secondo lei, è
banale e prevedibile per una futura madre la scelta d'abortire il suo
bambino?", domandò tranquillamente, rivolgendo alla giornalista un sorrisetto
grondante di compatimento, provocando per sua intima delizia una mezza sincope
nella donna, la quale si affrettò a spiegarsi meglio onde evitare uno
spiacevole malinteso:
"No, no, certamente no, ma dal punto di vista
tecnico ..."
[…] “E’
come la ricordavi?”
Col naso
all’aria, gironzolai distrattamente per la mia cameretta, bevendo tuttavia ogni
dettaglio, permettendo che i ricordi della mia infanzia m’avvolgessero.
“Sì, non è
cambiato nulla”, commentai con un mezzo sorriso, fermandomi al centro della
stanza. “Grazie, Okaasan”, mormorai sincera, colmando di un poco la distanza
tra noi due. M’irrigidii però al notare come mia madre avesse indietreggiato di
qualche passo. “Sai quanto significhi per me. E per Acchan”, aggiunsi.
Okaasan
annuì in silenzio.
“E’ un
bravo bambino”, borbottò poi, allontanandosi verso il corridoio. “Ho aggiunto
degli asciugamani in bagno. Le lenzuola sono pulite, ovviamente. Dimmi se ti
serve qualcos’altro.”
Mi servirebbe che tu mi guardassi dritto negli occhi, volevo dirle, ma tacqui. “Va bene così,
Okaasan.”
“D’accordo.”
Una volta
uscita mia madre mi sedetti sul futon, passandomi una mano sulla fronte madida
di sudore. Forse la mia era stata una pessima idea. Non sarei dovuta venire a trovarla.
Forse avrei fatto meglio a telefonare a Sasuke, comunicandogli la mia decisione
di prendere il primo treno per Kyōto e
di rincasare al più presto.
In ogni caso, ero grata che Acchan se ne fosse stato in
salotto col nonno, evitando d’assistere a simili scene. Sperai inoltre che il
sonno mi portasse consiglio sul da farsi.
In un certo senso, andò esattamente così.
"L'Appuntamento
non è stato concepito allo scopo d'intrattenere i lettori, bensì di farli
riflettere. Lo si potrebbe definire un "horror filosofico", uno snap-shot
della nostra società, che invece di promuovere la prevenzione favorisce l'eliminazione
d'un problema, sia questi un feto o il traffico. Non a caso la storia è stata
ambientata nel 1998, l'anno precedente alla legalizzazione in Giappone della
pillola anticoncezionale."
"Quindi lei è pro-vita?"
Fu il caldo
a destarmi quella notte. Tale era l’umido, da non trovare neppure nelle ore
notturne un poco di refrigerio dalla canicola estiva. Dopo molti anni lontana
da casa m'ero scordata della terribile afa estiva di Konoha. In aggiunta,
Acchan, come tutti i bambini, emanava un calore da piccolo termosifone,
incrementando conseguentemente la mia agonia.
Giunta
quindi allo zenit della mia sopportazione, dopo molto inquieto e incessante
rigirarsi nei limiti concessimi dal crescente pancione, decisi di scendere giù
in cucina e di servirmi d’un bel bicchierone d’acqua ghiacciata.
La mia mano
fece appena in tempo ad appoggiarsi sulla porta che un famigliare gelo m’invase
le viscere.
Tap-tap-tap.
Avevo udito
quei passi troppe volte per sbagliarmi sull’identità del loro creatore.
"Non prendo posizioni pro o contro l’aborto.
Semplicemente, in questo romanzo volevo far capire il peso delle nostre azioni,
su come esse coinvolgano non soltanto noi stessi ma anche chi ci circonda, nel
bene e soprattutto nel male."
"Rappresentate appunto dal Mizuko."
"Esatto. Il rancore di una vita che non è potuta esistere
e magari più meritevole di vivere di
quella che l’ha terminata anzitempo", Tobirama sospirò, il viso contorto
in un’espressione talmente affranta, che Mei avvertì un insistente impulso di
appoggiare a mo’ di conforto la mano sul suo braccio. “E talvolta … non sempre
è colpa della madre …”
Malgrado il
terrore che gradualmente mi stava paralizzando, per amore d’Acchan e del
bambino che portavo in grembo mi sforzai a non
urlare né di svenire o comunque dar segni di cedimento dinanzi a
quell’entità persecutrice, qual era il Mizuko.
Invece,
appoggiai l’orecchio alla porta, cercando di capire quanto distante fosse da
noi quell’essere. Perché mi perseguitava ancora? Dopo sei anni! Non volevo mica
abortire il mio piccino! Che ce l’avesse ancora con Sasuke, dopo tutto questo
tempo ancora voleva vendicarsi per quell’incidente?
Tap-tap-tap.
Con mio
sommo orrore, scoprii come il Mizuko si stesse facendo sempre più vicino alla
mia stanza. Avrebbe mai avuto una fine quest’assurdo carosello di vendetta?
Tap-tap-tap.
Strinsi le
labbra, pronta ad affrontarlo. Se voleva nuocere ai miei due tesori, sarebbe
prima dovuto passare sul mio cadavere.
Tap-tap-tap.
Lanciai
un’ultima occhiata ad Acchan, il quale seguitava a sognare ignaro di tutto,
cullato nel suo dolce mondo onirico.
Tap-tap-tap.
Potevo
quasi percepire il gelo dell’acqua del Mizuko scivolare da sotto la porta e
lambirmi i piedi …
Tap-tap-tap.
Eccolo …
Tap-tap- ta … “Kawa-chan!”
Eh?! Come?!
Si era fermato?!
“Kawa-chan!
Lascia Naru-tan in pace! Vieni qui, Kawa-chan!
Tap-tap-tap ma nella
direzione opposta, distante dalla mia stanza. Il Mizuko si stava allontanando.
“Vieni, Kawa-chan! Vieni da Kaa-san!”
Tap-tap-tap.
Smisi di
respirare.
Tap-tap-tap.
Caddi in
ginocchio, priva di forze, proteggendo il mio crescente pancione con ambedue le
braccia e tremando dalla testa ai piedi.
Tap-tap-tap.
Sussultai
violentemente al timido contatto di una manina sulla mia spalla. “Kaa-san?”,
farfugliò Acchan con voce impastata, strofinandosi assonnato l’occhio destro.
“Perché stai piangendo? E’ successo qualcosa ai nonni? A Tou-san?”
L’abbracciai
d’impeto. “Ti voglio tanto bene, anima mia”, singhiozzai. “Tanto bene …”
“Stando al finale, il Mizuko, nei confronti di
Naruko-san, può dunque essere definito un’entità positiva a negativa?”
"Entrambe. Premetto, che l'idea che desideravo che
il lettore si facesse di Naruko è quella di una giovane donna certamente
intelligente, ma molto insicura se affermare la sua individualità o se
adeguarsi alla comunità per il quieto vivere. Il Mizuko quindi è una sorta di
grillo parlante, rappresenta la sua coscienza, ecco, la quale la sprona a
prendere una decisione non per compiacere gli altri, bensì per essere in pace
con se stessa. E’ difficile infatti
convivere da soli. Seppure, come avrà
sicuramente letto nell'epilogo, il Mizuko non è pacifico né è spinto da nobili
motivazioni, al contrario, esiste per riversare tutto il suo odio e la sua
tristezza nella persona che sta per commettere, a suo giudizio, la medesima
azione che gli ha impedito di vivere. I conflitti interiori non sono mai teneri
e piacevoli, non a caso li chiamiamo appunto “conflitti” e spesso alla fine ci
si porta appresso molte cicatrici. L’importante è uscirne sulle proprie gambe,
vincitori. Altre domande?"
Presi in
disparte mia madre soltanto dopo la colazione, quando Otōsan e Acchan uscirono di casa per recarsi a
trovare la sua nonna paterna e gli zii. Non fu difficile, la trovai in salotto
intenta a passare l’aspirapolvere e dovetti schiarirmi più volte la gola per
attirare la sua attenzione, cosa che non avvenne nell’immediato e quando chiuse
quell’infernale aggeggio ella si voltò verso di me con deliberata lentezza.
“Sì,
cara?”
Raddrizzai
il collo, abbozzando ad un tirato sorrisino, giusto per non lasciarle ad
intendere la mia intima agitazione.
“Kaa-san
... ieri notte …”, iniziai impacciata, cercando le parole più adatte onde
affrontare quel discorso che, ad orecchie profane, poteva suonare ridicolo se
non folle.
“Uhm…?”,
m’incoraggiò distrattamente mia madre, riprendendo il lavoro interrotto.
“Ecco
… ho sentito dei rumori ...”
Okaasan non parve particolarmente impressionata.“Oh,
davvero?”
“All'inizio
ho pensato trattarsi di Tou-san, ma poi ...”
“Poi?
Nacchan, ti sbrighi o continui a parlarmi a puntante? Devo sbrigarmi con le
pulizie, ho il pranzo da preparare, sai!”
Annuii
velocemente e m’umettai le labbra secche, torcendomi le dita sul mio ventre
sempre più rotondo.“Kaa-san ... chi è Kawa-chan?”
Okaasan
cessò d’aspirare per terra, pietrificata.
"Ne avrei molte, Tobirama –sensei, ma una in
particolare sta tormentando i lettori da molto tempo! Il romanzo incomincia con:
Dalla testimonianza di Namikaze Naruko e
lei ha confermato che le vicende narrate sono assolutamente vere."
"Sì, sebbene un poco romanzate e ingentilite, poiché
avrebbero potuto offendere la sensibilità delle persone coinvolte."
"Indubbio. La domanda che ne consegue è questa:
dov'è Naruko-san? Lei aveva promesso di portarcela per l'intervista, ma ... ma
non abbiamo ancora avuto modo d'incontrarla. Per caso ha avuto dei
ripensamenti? Oppure il suo è un alias per proteggere la sua privacy?"
Meccanicamente,
mia madre si erse dritta, continuando tuttavia a fissare il pavimento, incapace
( o non desiderosa) d’incrociare i nostri sguardi. I suoi occhi, dal poco che
riuscii a scorgere, mi parvero più opachi e vuoti d’un cadavere.
Nascosi
a stento un brivido.
“A che
mese sei, Nacchan?”
Mi
rifiutai di risponderle. Qualcosa dentro di me urlava di allontanarmi quanto
prima da lei, dal salotto, dalla casa, dalla stessa Konoha. Percepii un vuoto
allo stomaco e chissà se anche il mio
piccino stava sperimentando quel malessere. “Cosa c'entra?”, mi risolsi a ribattere,
suonando falsamente annoiata da quella domanda.
Ancora,
mia madre non diede cenno di volermi guardare dritto in faccia e fu meglio
così, considerato il tono gelido, da automa, che impregnò la sua spiegazione.“E'
meglio che tu non ritorni in questa casa fino al parto.”
Indietreggiai,
colta da un'improvvisa realizzazione.
"No, nessun ripensamento. Vede, Mei-san, lei ha già
conosciuto Naruko."
"Sì nel romanzo, però io intendevo di persona
..."
"Appunto."
"Prego?"
Plick-plick-plick.
In
lontananza, nel silenzio mortifero sceso in salotto, udii il famigliare
gocciolio dell'acqua scendere pingue e
lenta giù dalle scale ...
Plick-plick-plick.
M’appoggiai
sullo stipite della porta a mo’ di sostegno, mancandomi per un istante l’aria,
di nuovo in neanche ventiquattrore. Al diavolo i doveri figliali. Appena
rincasati dalla loro visita agli Uchiwa, avrei pigliato Acchan per recarci
immediatamente alla stazione.
Plick-plick-plick.
"Kaa-san
...”, ansimai, avvertendo gocce di sudore freddo scendermi lungo le tempie. “Kawa-chan
… è il mio ...?"
Seguii
con lo sguardo la pozza d’acqua che univa mia madre e la sottoscritta,
arrivando alla fonte di tale scia, come una lumaca che lascia la bava ovunque
si sposti. E di fatti, aggrappato alla sua gonna, il Mizuko mi sorrideva
ambiguo, trionfo, un ghigno che, ammorbidito da una più genuina benevolenza,
avevo già visto su di un altro volto.
Quello
di Mikoto. O meglio, del suo defunto fratello.
Plick-plick-plick …
L’horror writer indicò una delle molte statuette di
bambini accostate l’un l’altre nel cortile del tempio.
"Mei-san, lei ha qui davanti Naruko."
Se
Izuna o Hashirama lo avessero saputo, si sarebbero arrabbiati moltissimo,
Tobirama ne era al corrente. Ciononostante, non poteva rimanere passivamente a
casa, sorbendosi per l’ennesima volta la visione del Mizuko senza capire perché
accidenti la perseguitasse ancora, dopo anni trascorsi dalla prima
manifestazione. La prima volta poteva anche comprendere, sì, aveva considerato
l’opzione dell’aborto ma ora, che senso aveva? Era sposata con Izuna, avevano
avuto un secondo figlio, come mai quello stronzetto d’un fantasma perseverava
nella sua persecuzione? Credeva che scrivendo il libro il Mizuko si sarebbe
placato, invece …
Perciò,
complice anche la telefonata quasi provvidenziale, la scrittrice s’era recata
alla casa paterna, dove aveva giurato anni addietro di non metterci mai più
piede.
Le
venne ad aprire la donna delle pulizie, ignara della tacita faida tra lei e suo
padre, Senju Butsuma. In seguito alla morte della madre in un incidente
stradale, il rapporto tra lui e i figli s’era bruttamente incrinato, solo che
Tobirama, contrariamente a suo fratello Hashirama, era sempre stata più abile
nelle sottigliezze, nel dare la carne al padre non ribellandosi apertamente
bensì tramite della subdola manipolazione. Finché non era arrivato anche per
lei il punto d’ebollizione.
Butsuma
s’era immediatamente accorto della sua presenza in salotto, ma non diede cenno
d’averla riconosciuta né di rivolgerle lui per primo la parola. Tobirama non
cedette a quella senile provocazione, limitandosi a schiarirsi più volte la gola onde attirare l’attenzione
del padre, cosa che non avvenne nell’immediato e quando chiuse il giornale,
sbuffando, egli s’arrese a quella silente ostinazione della figlia e si voltò
verso di lei con deliberata lentezza.
“Ebbene?
Che c’è? Hai già finito di firmare autografi?”
La
scrittrice raddrizzò il collo, abbozzando ad un tirato sorrisino, giusto per
non lasciargli ad intendere la sua intima agitazione, specie in seguito a
quelle spiacevoli telefonate.
“Mi
hai contattato spesso ultimamente e quindi pensavo di venirti a visitare, visto
che sembravi così impaziente di risentirmi, soprattutto dopo la pubblicazione
del mio ultimo romanzo”, iniziò l’albina freddamente, cercando le parole più
adatte onde affrontare quel discorso che, ad orecchie profane, poteva suonare
ridicolo se non folle.
“Uhm…?”,
l’incoraggiò distrattamente suo padre, riprendendo la lettura interrotta. “E
che me ne dovrebbe importare? Credevo che tu possedessi un po’ d’amor proprio
per evitare tale sputtanamento pubblico tuo e della tua famiglia.”
“Certo,
se chi lo legge ha la coscienza sporca ...”
Butsuma non parve particolarmente impressionato.“Oh,
davvero? Sentiamo: perché dovrei sentirmi preso in causa?”
“All'inizio
non avevo collegato la tua rabbia iniziale riguardo il mio desiderio di
sposarmi con Izuna, ma poi, diciamo che alcune tue affermazioni mi hanno fatta
riflettere ... Così come la tua particolare devozione a Jizō-sama.” E il nome
su quella statuetta con la sciarpina rossa nel cortile al tempio a lui
dedicato.
“E
allora? Tobirama, ti sbrighi o continui a parlarmi a sciarade e indovinelli? Non
ho tutto il giorno da perdere dietro le tue idiozie, sai!”
L’interpellata
annuì velocemente e s’umettò le labbra
secche, torcendosi le dita sul ventre ancora piatto.“ Otōsan... al tempio di
Jizō-sama … accanto a te in questo stesso momento … chi è Kawa-chan?”
Butsuma
cessò di leggere definitivamente il giornale, guardando fisso davanti a sé,
pietrificato.
Terumi Mei sembrò quasi sul punto di schiattare lì, in
mezzo al cortile, strabuzzando un paio d’occhi tondi quasi come delle palline
da golf. "Quindi ... quindi L'Appuntamento
è la sua autobiografia?", boccheggiò stordita e guardando al limite
dello sconcerto la statuetta, Tobirama e la copia del libro e non esattamente
nell’ordine sopracitato.
L’albina accompagnò dolcemente la giornalista alla prima
panchina disponibile, lasciandole abbastanza tempo e spazio per riprendersi da
quella rivelazione decisamente inaspettata. D’altronde, non si poteva dire che
Tobirama avesse dischiuso molte informazioni circa il suo passato e solo dopo
essersi più volte consultata col fratello e con il marito (omettendo però il
Mizuko) s’era decisa a rivelare almeno parzialmente quell’episodio fondante
della sua vita.
"Un'autobiografia
camuffata, sì. Namikaze Naruko è il
nom de plume che usavo sia da ragazzina, quando scrivevo da dilettante, sia da giornalista d’inchiesta, prima di dedicarmi
esclusivamente ai romanzi. Infatti, ricevendo spesso minacce da parte delle
“vittime” dei miei articoli, ho sempre giudicato opportuno difendere la mia
identità e la mia privacy. Non può figurarsi la soddisfazione di smettere di
indossare parrucche e lenti a contatto onde passare inosservata. Malgrado ciò,
al momento di scegliere il nome della protagonista, non ho resistito
all’impulso, anzi al dovere, di usare Naruko: glielo dovevo, dopo intensi anni
di collaborazione lavorativa”, le spiegò semplicemente la scrittrice,
intrecciando le dita sul grembo. “Ma non per questo quanto narrato nel libro
deve essere preso alla lettera: le dinamiche ne L’Appuntamento non si snodano esattamente come vengono lì descritte.
Mori, dove sono nata, è divenuta Konoha e Kagami-kun nacque d’inverno, non
d’estate. Non condividevo la casa con le mie compagne di corso all’università,
mi consideravano troppo stramba per i loro gusti. Il funerale iniziale era di
mia suocera, non di mio suocero. I dialoghi col bisnonno e coi bambini non hanno mai avuto luogo, sono una mia invenzione. Mia madre è morta, giusto per citare il
rapporto Naruko-Kushina, ma come quest’ultima anche lei s’era divertita
parecchio prima e dopo il matrimonio con mio padre, che di sicuro non era
comprensivo come Minato né tantomeno sindaco. Hashirama ed io siamo stati cresciuti
dalla nostra matrigna, da cui è nato
Itama, il nostro fratellastro.
Né tutti i personaggi corrispondono per filo e per segno
ai miei parenti e conoscenti, del resto. Ad esempio, mio fratello non è omosessuale
anzi ha pure un figlio appresso; mia
cognata Mito – poverina e pace all’anima sua – ha cambiato sesso ed è divenuta
Gaara. Quanto a mio cognato Madara non sì è mai sposato, figurarsi se ha cinque
figli! Ma come Itachi e Menma, lui e Hashirama sono legati da una profonda
amicizia, sebbene Madara possegga un carattere ben più … problematico rispetto
ad Itachi. Shisui è una mia cara amica per la cui privacy non rivelerò il nome.
Insomma, ho preso
le loro personalità e le ho scisse, rimescolate, creando nuove identità, ho
addolcito alcuni aspetti, ma alla fine il succo della storia non cambia ... Sì,
lo ammetto: rimasi incinta del mio primo figlio, Kagami-kun, appena ventenne e
all’epoca, non sicura di come mio marito Izuna avesse potuto reagito alla
notizia, avevo considerato d’abortire. Ma poi desistetti dal mio proposito e,
chiaritici, decidemmo di sposarci.”
“Quindi il Mizuko non esiste? Espediente narrativo?”
“Uhm … sì, diciamo di sì …”
“E … sua madre …?”
Il volto di Tobirama s’oscurò all’improvviso.
Meccanicamente,
suo padre s’alzò dal divano, continuando tuttavia a studiare rigido il
pavimento, incapace ( o non desideroso) d’incrociare i loro sguardi. I suoi
occhi, dal poco che la donna riuscì a scorgere, le parvero più opachi e vuoti
d’un cadavere.
Tobirama
nascose a stento un brivido.
“A che
mese sei, musume?”
L’albina
si rifiutò di rispondergli. Qualcosa dentro di lei urlava di allontanarsi
quanto prima dall’uomo, dal salotto, dalla casa, dalla stessa Mori. Percepì un
vuoto allo stomaco e chissà se anche il
suo piccino stava sperimentando quel malessere. “Cosa c'entra?”, si risolse a ribattere,
suonando falsamente annoiata da quella domanda.
Ancora,
suo padre non diede cenno di volerla guardare dritto in faccia e fu meglio
così, considerato il tono gelido, da automa, che impregnò la sua spiegazione.“E'
meglio che tu non ritorni in questa casa fino al parto.”
Tobirama
indietreggiò, colta da un'improvvisa realizzazione. S’appoggiò sullo stipite
della porta a mo’ di sostegno, mancandole per un istante l’aria, di nuovo in
neanche ventiquattrore. Al diavolo i doveri figliali. Appena ottenuta la
dolorosa conferma, sarebbe corsa immediatamente alla stazione e avrebbe pigliato
il primo treno per rincasare.
Plick-plick-plick.
In
lontananza, nel silenzio mortifero sceso in salotto, udì il famigliare
gocciolio dell'acqua scendere pingue e
lenta giù dalle scale ...
Plick-plick-plick.
"
Otōsan...”, ansimò, avvertendo gocce di sudore freddo scenderle lungo le
tempie. “Kawa-chan … è il mio ...? Quando Kaa-san è morta ...? Eravamo in due?"
Plick-plick-plick …
“La mia vera madre perì in un incidente in macchina e
assieme a lei il mio fratello gemello, Kawarama, all'inizio del settimo mese di
gravidanza. Mi salvai per puro miracolo." O almeno questa era la versione
ufficiale inculcatale volente o nolente da suo padre. Ma il dubbio – il dubbio!
– le sorgeva ogniqualvolta si guardava allo specchio, ogniqualvolta parlava con
Hashirama, non riflettendosi nei suoi tratti somatici … “Se ci fosse stato un Mizuko
sarebbe sicuramente stato Kawarama, il quale mi avrebbe punito e al contempo
conceduto una seconda opportunità per meglio riflettere riguardo la mia volontà
d’abortire Kagami-kun.” Peccato che non
sussistesse alcun “se”, ma Tobirama non gradiva condividere certe esperienze
con chiunque, soprattutto se c’era la possibilità d’accusarla di pazzia.
Figurarsi se la gente credeva sul serio all’esistenza dei fantasmi.
Un lungo silenziò s’insinuava intanto tra le due donne,
rendendole stranamente unite in quel segreto tuttavia ben compreso dalla
giornalista, che, sospirando profondamente, commentò sincera:
"Lei è stata molto coraggiosa, Tobirama-sensei. Non
molti scrittori avrebbero avuto il fegato d’esporsi così, raccontando vicende
così dolorose anche se … edulcorate e camuffate in un romanzo."
"O sventata, Mei-san. Ho tagliato i ponti con la mia
famiglia, tranne ovviamente con mio fratello maggiore. Solo di recente, dopo
aver concluso il romanzo, ho tentato di ... No, lasci perdere questo punto."
Meglio glissare sull’ultima conversazione avuta con Butsuma.
Mei fece cenno di sì col capo, comprensiva. "Quindi
Uchiwa Sasuke è suo marito? Uchiha Izuna?"
La tensione scomparve in parte dal viso della scrittrice,
rilassandolo. "Sì, quand'era giovane e sciocco come me."
"Kirisutokyouto anche lui? Medico?"
"Esatto. Veda un po' lei com'erano contenti i miei genitori,
mio padre in particolare, quando appresero come la loro reclusa-albina-freak
d'una figlia se l’intendesse con una di quelle strane creature, rimanendone
perfino incinta e questo praticamente sotto il loro naso! Fu grazie alla
complicità di Hashirama se potei scappare di casa e sposarmi con Izuna: mi
avevano praticamente messa sottochiave fino all’appuntamento col medico …”,
Tobirama s’interruppe, ridacchiando un poco imbarazza. Se non fosse stata tanto
terrorizzata dal Mizuko, avrebbe all’epoca
giudicato tutto quel gioioso bordello alla stregua d’una pessima trama da
romanzetto rosa.
La giornalista si coprì con la mano la bocca, stringendo
caparbia le labbra onde reprimere un sorrisetto divertito. "Beh, in questo
caso non mi resta che porgerle i miei più vivi complimenti per la sua terza
gravidanza e per la felice pubblicazione del suo romanzo!”
“Grazie, è molto gentile da parte sua.”
“Immagino suo marito sia molto contento?”
“Moltissimo e così anche Kagami-kun e Naori-chan sono
entusiasti all’idea di avere un fratellino o una sorellina.”
“Un'ultima domanda: è stato per caso celebrato un Mizuko
kuyō e fatta un'offerta a Jizō-sama per il suo fratellino?"
"No, questo romanzo è la sua cerimonia funebre”,
parziale, avrebbe voluto aggiungere Tobirama, ma tacque. Dopo aver finalmente
regolato i conti e appresa la verità, forse il Mizuko non l’avrebbe mai più
infastidita. Forse. “Mi sono convertita, tali riti non hanno più senso per me. Non
è un caso che il Mizuko abbia lo stesso nome del mio fratellino."
"Anche lui ... figlio dell’adulterio?"
"Così m’è stato suggerito dagli avvenimenti."
"Un momento! Non vorrà mica insinuare ...?",
sgranò gli occhi Mei, abbandonando scioccata la penna sul block-notes. “Che lei
e … e suo fratello siete figli di …?”
"Chi può dirlo?"
Tobirama
seguì con lo sguardo la pozza d’acqua
che univa lei e suo padre, arrivando alla fonte di tale scia, come una lumaca
che lascia la bava ovunque si sposti. E di fatti, aggrappato ai pantaloni, il
Mizuko, o Kawarama, le sorrideva ambiguo, trionfo, un ghigno che, ammorbidito
da una più genuina benevolenza, lei aveva già visto su di un altro volto.
Nel
suo, fosse stata maschio, ma non certo in quello di Butsuma. Né d’Hashirama.
O
della sua defunta madre.
Plick-plick-plick.
"Perché
me l’hai tenuto nascosto? Perché farmi abortire quando già abbiamo un Mizuko in
casa? Eravate tanto ansiosi di averne un secondo?!", prese a tremare
Tobirama e stavolta di rabbia, stringendo i pugni fino a ferirsi i palmi con le
unghie. Dinanzi al cocciuto silenzio del padre, ella digrignò i denti,
resistendo a malapena all’impulso d’afferrare l’abat-jour e di fracassargliela
in testa. “O magari, ti dispiace proprio che io per prima sia sopravvissuta
all’incidente?!”
"Bisognava
mantenere il segreto."
"Quale?"
Silenzio.
"Non
chiedermi questo."
Plick-plick-plick …
“… ovvio che no, Mei-san. Ovvio che no. Ma è così bello
vendicarmi tramite il romanzo, facendoglielo credere.”
E Tobirama rise perfida.
***
“Baby
Blue, Baby Blue ,
I know that
thing t’was done to you ...
... You
killed your baby!”
- The End -
************************************************************************************
Scioccati? Incavolati? Mi dispiace, non si accettano
minacce di morte! ^^
Ebbene sì: se non lo avevate già capito, il tag “Genderbender”
non si riferiva solo a Naruto, bensì anche a Tobirama! Infatti, rileggendo,
noterete come abbia insistito sui capelli corti di Naruko, quando invece nel
manga ha le codine alla Sailor Moon. Inoltre, occhi a parte, un poco si
assomigliano. Ma soprattutto, complice anche l’affermazione del nostro Shodai
preferito, Sasuke e Izuna sono pressoché identici e quindi il “parallelo” ci
stava.
Infine, avete notato come non avessi mai usato né
aggettivi declinabili né tantomeno pronomi personali riferiti al sesso di
Tobirama? E' stata un'agonia grammaticale, davvero! Ma ne è valsa la pena,
buahahahhaha!!!
Dunque siamo arrivati veramente alla fine: è stato
divertente scrivere questa storia, nonostante i temi trattati, e ne sono
relativamente soddisfatta.
Se volete lasciare qualche commento o se avete alcune
curiosità sulla storia, non esitate a lasciarmi o una recensione o un pm!
Rispondiamo – quasi – subito! ;-P
Grazie ancora a tutti voi che mi avete seguito fino al
The End!
Alla prossima storia!
|