Capitolo
10: Tornare alla vita di tutti i giorni.
Se
c'era una cosa di cui Edith aveva davvero paura era tornare a lavoro.
Da
quando era entrata a lavorare al 'The Guardian' aveva capito che ogni
suo passo sarebbe stato seguito con molta più attenzione di
quello di ogni altro direttore che aveva preso posto dietro quella
scrivania. Ed era una donna, oltretutto una donna alla guida di uno
dei giornali più potenti di tutto il Regno Unito. E
soprattutto era Edith Norton, la stessa che aveva invaso le copertine
patinate di mezzo mondo fino al giorno prima.
Da
una parte, Edith stessa capiva questo accanimento verso il suo lavoro
dal momento che lei per prima sarebbe stata diffidente nei confronti
di un direttore non tanto per il suo sesso o per le persone con cui
era andato a letto prima di lavorare nella sua stessa redazione, ma
per il fatto che le sarebbe risultato difficile, se non impossibile,
avere fiducia in qualcuno che aveva così poca esperienza ed
era comunque arrivato in alto.
Inoltre
la sua fedele spalla, Laura, che la seguiva dai tempi di Vanity Fair,
l'aveva tenuta aggiornata sulle chiacchiere di corridoio che
circolavano nei suoi confronti: da chi aveva giurato di averla vista
avere scambi di liquidi corporei con attori di vario tipo e genere -e
persino età!- ad altri che giuravano che tra lei e il vecchio
Tom Carlyle ci fosse del tenero e che per questo motivo, l'ormai
compianto direttore, l'avesse scelta come sua erede alla guida della
testata.
Per
quanto avesse raggiunto un livello di maturazione ben diverso da
quello della ragazza che sbraitava contro tutti senza paura solo
perché il suo capo le aveva chiesto di intervistare Orlando
Bloom e non uno dei politici più in voga di quel momento,
avvalendosi inoltre del fatto che nel frattempo avesse messo su un
paio di spalle da fare invidia anche ad un giocatore di football,
Edith si sentiva comunque pungere da quelle cattiverie.
Era
stanca di avere il dito di tutti puntato contro. Era stanca di essere
sempre su di un banco di prova.
Era
stanca, punto. E nessuno faceva niente per aiutarla.
Nessuno
a parte Gerard che la sera prima era riuscito persino a farla ridere.
Stava
ripensando alla chiamata con l'attore scozzese con un sorriso beota
dipinto sul viso, quando sentì lo scampanellio delle porte
dell'ascensore ed uscì sul grande atrio che altro non era che
l'ingresso della redazione.
Sentì
da subito gli sguardi di tutti puntati addosso e i saluti untuosi che
qualcuno le faceva di tanto in tanto e a cui rispondeva con un
piccolo cenno del capo.
Arrivò
alla porta del suo ufficio dopo quella che le parve un'eternità
e mettendosi a sedere dietro la scrivania, mentre riordinava le
carte, qualcuno bussò alla porta.
“Avanti!”
ordinò perentoria.
Doveva
far capire da subito chi comandava lì dentro.
Entrò
Laura.
Anche
lei aveva subito una trasformazione. Prima era una ragazza intimidita
da Edith, che sopportava in silenzio le angherie di Edith e le sue
bizze. Poi, dopo che Edith stessa aveva deciso di assumerla come
assistente quando prese la direzione di Vanity Uk, Laura era
cambiata. Era diventata più sicura, più cazzuta come
diceva Jude scherzosamente quando parlavano di lei. E di questo Edith
era davvero fiera. Sapeva infatti che una gran parte del cambiamento
avvenuto nella ragazza era dovuto anche a lei e vedere che i suoi
insegnamenti non erano andati perduti la rendeva orgogliosa.
“Edith!
Nessuna nuova sul fronte occidentale. Solo qualche notizia di qualche
possibile protesta in Turchia contro Erdogan...” disse Laura
porgendole dei fogli.
Edith
li prese e leggendoli con attenzione li poggiò sulla scrivania
e disse:
“Mettimi
in contatto con il nostro corrispondente in Turchia. Voglio essere la
prima a sapere se ci saranno degli scontri com'è successo in
Egitto, Siria e Libia”
“Pensi
ci sarà una nuova primavera araba?” domandò Laura
prendendo nota.
Edith
fece spallucce continuando a scrivere sulla sua agenda e rispose:
“Non
so. Però penso che la situazione turca sia da tenere sotto
controllo. Potrebbe succedere di tutto e non voglio che qualcuno
possa dire che il Guardian non sia stato all'altezza!”
Laura
annuì e disse:
“Ci
sono delle voci che dicono che alla redazione americana abbiano tra
le mani un pezzo bomba sulla storia della sicurezza e sul fatto che
siamo spiati!”
Edith
sollevò la testa. Dopo l'11 settembre tutti avevano cominciato
ad aver paura per la propria privacy, tutti avevano cominciato a
pretendere di essere più liberi. La possibilità che il
Guardian US stesse cavalcando quell'onda per vendere qualche copia in
più era più che probabile.
“Aspettiamo
ancora qualche giorno e fammi sapere se hai qualche nuova notizia. Se
quello che dicono è vero ci sarà qualcuno che ha
parlato. E quel qualcuno deve essere immischiato come minimo nella
sicurezza nazionale o in cose simili. E non credo che rischierebbero
uno scoop -o la vita di chi sta facendo far loro uno scoop- per
mettere in giro delle voci!”
Laura
annuì e prese nota. Poi, da sotto l'agenda tolse un piccolo
plico di lettere e porgendole ad Edith disse:
“La
tua posta giornaliera!”
Edith
la prese e senza nemmeno salutarla lasciò che Laura uscisse
dalla stanza. Sapeva che avrebbe di nuovo varcato la soglia
dell'ufficio prima dell'ora di pranzo.
Cominciò
a smistare la posta con poco interesse. La maggior parte erano
lettere di complimenti per la carica da lei raggiunta, una delle
quali scritta anche dal suo ex direttore di Vanity Uk. Di lui Edith
sapeva poco. Dopo essere stato licenziato da Vanity era praticamente
finito in disgrazia: a quanto pareva nel mondo della carta stampata
non piacevano le persone servili e senza palle come era stato Ronson
quando aveva diretto Vanity Uk.
Cestinò
la lettera dell'ex capo senza nemmeno aprirla quando tra le sue mani
capitò una lettera che non immaginava mai avrebbe ricevuto e
quindi letto.
Sopra
la carta da lettere c'era un nome, scritto a mano, che diceva: Brian
Stephensons.
Edith
rigirò la lettera alcune volte tra le mani, cercando di capire
se fosse vera, ma bastava guardare la grafia per non avere dubbi. Era
stata con Brian due anni e conosceva la sua grafia più che
bene, anche dopo tutto quel tempo.
Rigirò
la lettera tra le mani soppesando l'idea che per vendetta l'ormai ex
rampollo di casa Stephensons le avesse inviato una missiva
contaminata da antrace, ma allontanando quel pensiero, prese il
tagliacarte davanti a lei e aprì la busta tagliandola in tutta
la sua lunghezza.
Estrasse
la lettera e aprendola la lesse con attenzione, curiosa più di
sapere che cosa ci fosse scritto, che per la vera e propria necessità
di farlo.
“Ciao
Edith.
Ho
letto che sei diventata direttrice del Guardian.
Non
sono stupito. Non posso esserlo di qualche cosa che sapevo si sarebbe
avverata in qualche modo. Sei sempre stata una bravissima giornalista
e ho sempre creduto in te... So che ora starai pensando che sia un
ipocrita e che ho fatto di tutto per tarparti le ali. E me ne
vergogno, perché so che è vero. Ti ho costretta
all'esilio perché non accettavo che tu potessi mettermi
davanti all'uomo meschino che ero diventato. E soprattutto che non mi
amassi quanto ti amavo io.
So
che sarà inappropriato, dopo tutto questo tempo, chiederti di
vederci, specialmente perché ho saputo che sei diventata mamma
di due bellissimi bambini e immagino che unire la carriera e la
famiglia sia una cosa molto difficile. Però devo farlo.
Non
è una richiesta egoistica, ma quella di un uomo che sta
cercando con difficoltà di rinascere. Dopo la morte di mio
padre le cose per me non sono state poi così semplici. Ho
perso tutto, mia madre a malapena mi parlava. E il vizio della
cocaina è diventato una dipendenza. Sono caduto in una spirale
autodistruttiva che mi ha spinto ancora più in basso.
Ho
capito che dovevo cercare di risalire in qualsiasi modo quando
Vanessa mi ha proibito di vedere nostro figlio. In quel momento ho
capito che cosa ero diventato. E ho cominciato un lunghissimo
percorso che mi ha portato a disintossicarmi e a ricominciare.
Ed
è stato durante la mia rehab che ho capito i miei errori e che
il mio terapeuta mi ha consigliato di chiederti scusa per il male che
ti ho fatto. Me lo ha consigliato perché una nuova vita non
può ripartire senza il perdono. Ed io voglio davvero vederti e
scusarmi di tutto.
Chi
lo avrebbe detto, eh?
In
ogni caso... Capirò comunque se non vorrai parlarmi. Sono
stato davvero meschino nei tuoi confronti e se vuoi chiudere così
con me... Lo capirò.
Nel
frattempo aspetto una tua risposta. Quando vorrai chiamami. Il mio
numero è nel biglietto da visita che ho lasciato nella busta.
Spero
in una tua risposta positiva.
Con
affetto e con tutta la mia stima...
Brian.”
Edith
guardò la lettera scioccata.
In
tutti quegli anni il pensiero di Brian non era stato un pensiero
lieto.
Era
vero quello che aveva scritto: lui aveva cercato di metterle i
bastoni tra le ruote e se non fosse stato per il suo essere un
impenitente dongiovanni, molto probabilmente non sarebbe ancora
potuta ritornare in Gran Bretagna e non sarebbe stata alla guida del
Guardian.
E
dicendola tutta, Edith pensava davvero che Brian fosse un ipocrita. E
con la 'i' maiuscola tra l'altro. Ipocrita e anche egoista per essere
completi.
Però
qualche cosa la spingeva a chiamare. Qualcosa di atavico che non era
collegato con la ragazza che si era innamorata di Brian, no; era
qualcosa di meno nobile, molto più vicino al rancore che
all'affetto provato un tempo. E analizzandosi Edith capì con
suo sommo orrore che quello che provava era un semplice sentimento di
rivalsa. Incontrare Brian le avrebbe dato la possibilità di
guardare negli occhi l'uomo che l'aveva costretta a scappare e
magari divertirsi della sua disgrazia.
Guardò
il biglietto da visita e lo rigirò tra le dita.
Poi,
prendendo il telefono, compose un codice e dopo aver aspettato
qualche secondo compose il numero di Brian.
Non
attese più di tre squilli. Al terzo infatti Brian agganciò
la chiamata e incerto chiese:
“Pronto!”
“Brian?”
rispose Edith con distacco.
In
quel momento si sentì quasi in colpa. Come poteva essere così
fredda con un uomo che con lei aveva anche condiviso momenti
meravigliosi? Come poteva non sentire nulla verso l'uomo che le aveva
veramente insegnato cos'era l'amore fisico, che le aveva fatto
scoprire il suo corpo e la sua bellezza anche nella loro intimità?
Come poteva aver dimenticato le fughe d'amore che Brian organizzava
almeno una volta al mese a Parigi?
Cercò
dentro di sé un po' di affetto verso quella voce che aveva
sentito dall'altra parte del ricevitore, ma non la trovò.
“E-Edith!”
balbettò lui incerto, con la voce un po' rotta dell'emozione.
Edith
non rimase colpita nemmeno da questo e seria, quasi pratica, disse:
“Ho
ricevuto la tua lettera solo oggi...”
“Sapevo
che avresti risposto, sai?” intervenne lui.
La
sua voce non era più incerta, ma suonò sicura in quel
frangente. La stessa spavalda sicurezza che lo aveva portato più
volte a mentirle e a prenderla in giro, mentre si portava a letto
Emma e la faceva cadere in una spirale autodistruttiva dalla quale
Edith e tutta la sua famiglia, con l'aiuto di Orlando, erano riusciti
a farla uscire con difficoltà.
Socchiudendo
gli occhi e trattenendo l'impulso di sbattergli il telefono in
faccia, Edith prese un lungo respiro e disse:
“Hai
scritto una lettera dove mi chiedevi perdono per come ti sei
comportato al fine di cominciare una nuova vita... Non potevo negarti
questo. Non ad una persona che per me è stata importante,
nonostante tutto quello che ha fatto!”
Brian
trattenne il respiro. Edith sorrise. Quella era una sua piccola
vittoria alla faccia di quel bellimbusto.
“Lo
so quello che ho fatto. Ed è per questo motivo che sapevo che
mi avresti chiamato. Non sei una persona cattiva. Alle volte sei un
po' stronza, quello sì, ma non cattiva!” ammise mesto
Brian.
Edith
sospirò e chiese:
“Basta
questa chiamata o dobbiamo per forza incontrarci?”
Lo
disse in modo sprezzante, quasi -o meglio perché- le costasse
davvero tanto fare solo quella chiamata e l'idea di vederlo le
facesse venire l'orticaria.
“Vorrei
vederti!” pigolò Brian.
Edith
chiuse gli occhi e soppesò la richiesta.
Ricordava
troppo bene l'ultima volta che aveva parlato con Brian. Ricordava lo
schiaffo che lui le aveva dato quando lei aveva cominciato a
sputargli contro tutto il veleno che aveva dentro dopo aver scoperto
che era stato lui stesso a macchinare tutto con Ralph Felton. E
ricominciarono di nuovo a ritornare, dopo pochi secondi che l'avevano
abbandonata, i ricordi di quello che era costato a lei rompere
definitivamente con Brian.
Aveva
mille ragioni per dire di no. Aveva altre mille ragioni per chiudere
il telefono in faccia a quel cretino senza nemmeno dargli una
spiegazione.
Poi
ricordò Emma seduta in una poltrona che sembrava quasi
ingoiarla talmente era piccola e magra, la lettera che le aveva
scritto durante la riabilitazione a New York qualche anno prima e
tutto l'odio che le aveva sputato contro per le sue mancanze da
sorella maggiore. Scosse la testa pensando che non aveva abbandonato
Emma nonostante anche lei le avesse fatto del male. E per quanto
nessuno ci credesse, riallacciando il loro rapporto, era riuscita a
salvarla ed ora, dopo anni, era diventata una stilista affermata,
aveva sposato un uomo fantastico e aveva una bambina meravigliosa.
Perché
non poteva fare lo stesso con Brian?
Sospirò
di nuovo e domandò:
“Sei
a Londra?”
“Sì!”
rispose Brian con una certa urgenza nella voce. In quel momento Edith
pensò che forse nemmeno lui osasse sperare in così
tanto.
“A
pranzo ho un buco. Puoi avvicinarti nei pressi della redazione del
Guardian?” propose Edith con un tono di voce che in ogni
sillaba evidenziava quanto veramente le costasse dover vedere di
nuovo Brian.
“Certo!”
rispose entusiasta.
“Allora
alle 12 davanti alla Biblioteca Saint Pancras. C'è qualche
ristorante lì, potremo parlare di fronte ad un bel piatto
fumante di spaghetti alla bolognese!” concluse pratica Edith
con lo stesso tono che usava con i suoi dipendenti.
Brian
non parve notarlo e sorridendo replicò:
“Grazie
Edith. Grazie davvero!”
“Niente
Brian!” bisbigliò infastidita Edith e chiuse la chiamata
con uno sterile a dopo.
Poi,
lasciandosi andare con la schiena contro lo schienale della sua
poltrona, sospirò portando una mano sugli occhi.
Doveva
smetterla di essere così disponibile. Nel minore dei mali le
davano della puttana; nel peggiore doveva affrontare tutti i demoni
del suo passato come in quel momento.
Orlando
spense la sua sigaretta in uno dei cestini con annessi portacenere in
mezzo a Central Park. Aveva davvero bisogno di una boccata d'aria. O
meglio di scaricare tutta la tensione di quegli ultimi giorni con una
sigaretta.
Riflettendo
riguardo la sua ultima chiamata con Edith aveva capito che aveva solo
sbagliato con lei: si era dimostrato troppo frettoloso, quasi un
bambino viziato.
Che
fine aveva fatto il ragazzo che si era innamorato di quella ragazzina
con pretese da gran donna che era Edith?
Sorrise
pensando a come si erano conosciuti. A come si erano odiati.
Possibile
che non potesse tornare quel periodo? Possibile che tutto quello che
era stato tra di loro si fosse cancellato in un solo attimo?
Un
attimo? Una notte di sesso con una troietta in cerca di notorietà!
Orlando
ascoltò con disappunto la vocina che parlava dentro di lui.
Era vero. Lui aveva fatto mille problemi, mille storie quando Edith
aveva partorito: la mancanza del sesso, i litigi per colpa di Robin,
la ricerca di privacy che lui non poteva rispettare. Tutto era
culminato con l'intromissione di Violet che aveva persino detto di
aspettare un bambino da lui, cosa per niente vera tra l'altro, ma che
gli era costata la sua relazione con Edith e una fortuna da pagare
alla wedding planner quando i due avevano disdetto le loro nozze da
favola a Canterbury.
Certo!
Anche Edith ci aveva messo del suo.
Lei
era stata a letto con Jude proprio quando loro due erano in crisi.
Scosse
la testa cacciando quel ricordo: per quanto avesse fatto pace con il
suo vecchio amico, quella ferita bruciava ancora. Ricordava fin
troppo bene quando Edith, poco prima di Natale lo aveva lasciato
perché aveva bisogno dei suoi spazi e subito dopo aveva
cominciato la sua relazione con Jude.
Era
da lì che erano cominciati i problemi, da lì che lui
aveva cominciato a dare di matto, a comportarsi come una bambino, a
piangere quando non riusciva a convincere Edith. Era arrivato persino
a seguire come un'automa quello che gli diceva Robin e a rendere
quella che doveva essere una relazione per riempire i buchi, quella
con Miranda, una storia d'amore travagliata che fruttava scatti non
proprio rubati ai due in quelli che sembravano attimi di intimità
e che Orlando usava per far ingelosire Edith. Ma non era servito a
nulla.
Ogni
volta che sembrava che lei si stesse avvicinando di nuovo, qualcosa,
qualcuno la portava di nuovo via da lui: Jude, Miranda, il loro
reciproco orgoglio.
Sam,
sua sorella, scherzosamente gli aveva detto di andare in terapia, che
gli sarebbe stato utile per capire meglio quello che voleva. Orlando
ci aveva scherzato su, ma quando era solo quel pensiero gli frullava
per la testa. Aveva un ottimo psicoterapeuta, il suo diario, ma
quello non poteva dirgli niente, se non accogliere i suoi ricordi e
custodirli gelosamente finché qualcuno non li avrebbe buttati
nel fuoco o dentro il cestino della carta usata.
Uno
psicologo, invece, avrebbe in qualche modo sviscerato la situazione,
lo avrebbe messo a nudo e avrebbe magari messo fine a quella lunga
agonia, trovando il modo per uscire da quella situazione di impasse
riprendendosi Edith o lasciandola andare via per sempre.
Lo
sai che è impossibile che tu la lasci andare via per sempre.
Hai due figli con lei.
Quella
fastidiosa vocina dentro Orlando lo stava facendo uscire di testa.
Come se non avesse provato a rendere più semplici le cose con
Miranda per lasciarsi alle spalle Edith. Come se non avesse fatto di
tutto per riprendersela anche quando era a Kendall.
Ma
per quanto avesse provato in tutti i modi a riprendersela, per gli
altri era sempre lui quello che sbagliava. Tutti notavano i suoi
errori e alle volte lui per primo si dava del cretino -per essere
gentili- come quando aveva detto di amare ancora Edith nel momento in
cui una giornalista le aveva dato la notizia che Miranda aveva deciso
di lasciarlo. Per questo e per altri motivi tutti puntavano il dito
contro di lui ma non si rendevano conto che Edith aveva sposato un
altro uomo aspettando suo figlio, fingendo che quello stesso bambino
non fosse di Orlando bensì di Jude. E se non fosse stato per
Jude, Orlando si era chiesto mille volte, a che punto sarebbe
arrivata quella dannatissima farsa?
Edith
aveva sbagliato, solo che riusciva a coglierlo in fallo mille e una
volta e far sembrare lui quello che sbagliava.
Nervoso
accese un'altra sigaretta. Se lo avesse visto sua madre avrebbe
cominciato a fargli una ramanzina sul fatto che non era giusto fumare
in quel modo, che aveva tre figli e che doveva pensare alla sua
salute per preservare a loro un buon futuro.
Aspirò
la prima boccata quando sentì il cellulare vibrare nelle
tasca.
Era
John.
Per
quanto lo dicesse scherzando, Orlando pensava che nemmeno quando era
stato con Kate aveva avuto qualcuno di così appiccicoso.
John
lo chiamava almeno due volte al giorno, solo per chiedergli se tutto
fosse a posto, finendo poi con raccomandazioni materne sul mangiare
almeno a pranzo e a cena e di fare sesso protetto ogni volta finiva
nel letto di qualche ragazza compiacente.
Sputò
una grossa nube di fumo e sorridendo, rispondendo al cellulare,
Orlando disse:
“Johnny
boy! Che succede? Ti mancavo già?”
“Brutto
stronzetto, sappi che non ti chiamo più!” si lamentò
scherzosamente John dall'altro capo della cornetta e del mondo.
“Sarebbe
una benedizione divina, Johnny boy, lo sai?” continuò a
prenderlo in giro Orlando.
“Senti
Bloom, non mi rompere tanto i coglioni. Mi basta mia moglie alle
ultime settimane di gravidanza per quello!” replicò
John.
“Ancora
non ha scodellato l'erede?” domandò sorpreso Orlando.
“Che
poeta!” puntualizzò con sarcasmo John. “Davvero un
poeta. Da quando in qua le donne 'scodellano' eredi? Lo hanno fatto
anche Edith e Miranda per caso?”
“No.
Loro hanno messo al mondo la perfezione!” scherzò
Orlando.
Prendere
in giro John, il suo migliore amico, nonché confidente fidato
e unico capace di dargli notizie fresche su Edith era l'unico modo
per tornare ad essere il ragazzo spensierato che era stato un tempo.
“Se!
Comunque ti stavo chiamando per chiederti...” stava per dire
John quando Orlando lo interruppe e disse:
“Ho
mangiato Johnny boy. E ho anche bevuto due litri d'acqua ieri. E non
mi sto ubriacando. Per quanto riguarda il sesso, invece, non mi sto
dando così da fare. Con le prove teatrali è davvero
tanto se riesco ad arrivare a casa e mettermi a letto!”
John
rimase qualche secondo in silenzio e poi replicò:
“Non
era quello che ti stavo per dire ma sono davvero contento che tu mi
tenga informato sulla tua vita, compresa la ginnastica da camera che
mi fa pensare che tu sia ancora un membro dell'associazione no profit
F.I.G.A., ma quello che volevo dirti era altro. E riguarda una certa
giornalista che conosciamo entrambi!”
Orlando
drizzò la schiena e guardò davanti a sé, serio.
“Cosa
ha fatto Edith?” domandò subito.
John
prese qualche secondo e poi disse:
“Chi
ha detto niente di Edith?”
Orlando
sollevò gli occhi al cielo esasperato. Alle volte parlare con
John era davvero una tortura, specialmente quando cominciava a fare
il deficiente come in quel momento.
“Mi
parli di Rachel e delle sue voglie ogni sacrosanta volta che mi
chiami. Non penso che se mi devi parlare di una certa giornalista che
conosciamo sia riferito ad Edith e non a tua moglie!”
John
ridacchio divertito e Orlando prese mentalmente nota che la prossima
volta che lo avrebbe avuto tra le mani lo avrebbe sicuramente
conciato per le feste.
“Smettila
di fare il coglione e dimmi quello che sai!” continuò
Orlando che ormai era troppo sulle spine per continuare a scherzare
con il suo amico.
John,
capita l'antifona, prese un grosso respiro e disse:
“Edith
è tornata a Londra. Rachel l'ha sentita stamattina mentre
stava uscendo per andare a lavoro. Era un po' nervosa. A quanto ho
capito ieri sera, mentre era a pranzo con i suoi è successo un
mezzo casino per la storia della madre. Per quello che ha raccontato
Rach il vecchio Patrick sa tutto della malattia di Eloise”
Orlando
passò una mano sugli occhi: sapeva che quello doveva essere
stato un durissimo colpo per Edith, almeno per quello che aveva detto
al telefono qualche giorno prima.
“E
come l'ha presa lei?” chiese Orlando spegnendo l'ennesima
sigaretta.
“Come
vuoi che l'abbia presa? Non bene. Dice che era solo questa la
ciliegina sulla torta che mancava!”
Orlando
si sentì stranamente impotente. Al diavolo le prove teatrali.
Avrebbe preso il primo volo per Londra e avrebbe aiutato Edith, gli
sarebbe stato vicino.
“A
quanto pare però c'è dell'altro!”
In
un attimo il cuore di Orlando perse un battito.
“Cosa?”
chiese quasi avendo paura della risposta.
“A
quanto pare Edith ha ammesso di aver parlato con un suo nuovo amico,
qualcuno che sembra capirla come forse solo tu hai fatto al tempo in
cui lei si stava lasciando con Brian!” replicò John
serio.
A
quella frase il cuore di Orlando non perse un battito ma si bloccò
e si spezzò in tanti piccoli pezzi. E quasi avendo paura di
quello che stava dicendo, domandò:
“Per
caso si chiama Gerard questo suo amico?”
“Bravo!”
ammise John. “Rachel non mi ha detto altro, però -per
quello che ho capito- vuole parlare con Edith. Dice che ci manca solo
che si incasini di più la vita in questo preciso momento!”
Sentire
che Rachel non approvava questa amicizia rendeva Orlando un po' più
tranquillo, ma al contempo lo innervosiva ancora di più: se
anche Rachel pensava che ci fosse qualche cosa di più con quel
Butler le cose non andavano per niente bene. Infondo non era Rachel
quella che non aveva mai visto di buon occhio l'amicizia tra Edith e
Jude quando era cominciata?
John
notando che l'amico non le rispondeva, aggiunse:
“Ob.
Lo so che la tua storia con Edith è un'epopea che nemmeno Via
col Vento. E ti giuro, hai palle se vuoi ancora portarla avanti visto
che io avrei fatto di tutto per mettere fine a questo supplizio e
mettere più chilometri possibili tra me e lei. Ma se vuoi un
consiglio... Non fiatarle sul collo. Per quanto può sembrare
strano... Più metti da parte una donna, più quella ti
viene dietro. E non lo dico solo io. Lo dice qualsiasi uomo...”
“Cosa
vorresti dirmi?” domandò Orlando per niente convinto dal
fatto che Edith fosse una simile a tutte le altre e che bastassero
questi mezzucci perché lei tornasse a stare con lui.
John
prese un lungo respiro e disse:
“Quello
che ti sto dicendo. Prendi in mano la tua vita e smettila di fare la
vedova inconsolabile. Sembri un cretino. Sei l'unico VIP che conosco
che ha lasciato la moglie e non si è dato a del sano e
rigenerante sesso. Anche Jude Law, per quello che ne so, da quando ha
concesso il divorzio ad Edith non è stato propriamente un
santo, anzi, per quello che so sta saltando da un letto ad un altro
come una cavalletta affamata!”
“Mi
stai dicendo di darmi alla più sfrenata lussuria per far sì
che la donna che mi ha lasciato proprio perché l'ho tradita
torni da me?” replicò non proprio convinto Orlando.
“Non
ti ho detto di fare il mandrillo in calore!” spiegò
John. “Quello che voglio dirti è che forse sarebbe ora
che cominciassi a flirtare con qualcuna, far credere che ci stai
assieme. Anche per finta. Sbaglio o la tua agente era quella che ti
mandava i fotografi in bagno quando andavi di corpo dopo un lungo
periodo di stitichezza? Puoi benissimo mettere in scena una relazione
tra te e una presunta attricetta, modella, starlette del cinema che
non solo ci guadagnerebbe sull'immagine, ma potrebbe persino andare a
dire in giro che è venuta a letto con te...” e prendendo
fiato concluse: “Basta che non fai come l'ultima volta che per
fare un dispetto ad Edith hai messo incinta Miranda e te la sei
dovuta sposare!”
Orlando
soppesò quella possibilità. In effetti era vero. Le
cose tra lui ed Edith, prima che si mettessero assieme, erano
cambiate quando lei lo aveva visto a letto con una di cui non
ricordava nemmeno il nome. Certo, lei era andata a letto con Jude Law
prima, ma questo dettaglio era trascurabile dal momento che Orlando
si stava rendendo conto solo in quel momento che era bastato
quell'unico episodio per scatenare la gelosia di Edith.
“Tu
pensi davvero che se mi mettessi a fare il cretino con un'altra...
Edith tornerebbe da me strisciando?”
John
fece un verso d'assenso e Orlando guardò intorno con un
sorriso.
In
effetti che gli interessava a lui di Gerard Butler. Quello non poteva
competere con lui. O almeno con la sua storia con Edith.
Edith
stava seduta su di una panchina davanti alla biblioteca St. Pancras
quando vide una sagoma a lei conosciuta avvicinarsi lentamente.
Non
ci volle molto per capire chi fosse. Edith si sollevò e
aspettò che l'uomo si avvicinasse e quando lo fece quello che
vide non le piacque per niente.
Di
Brian, o almeno del Brian che lei conosceva, era rimasto davvero
poco: i capelli biondi erano diventati radi e gli occhi azzurri
sembravano quasi spenti, privi del lampo malizioso che Edith aveva
colto la prima volta che lo aveva visto. Il cappotto era un vecchio
modello che cadeva male sulle spalle magre e completamente sformato,
probabilmente risalente ai giorni di fasto della Stephensons Inc.,
quando Brian e suo padre fatturavano miliardi comprando e vendendo
aziende. La mascella un tempo volitiva era nascosta da una sparuta
barba che presentava qualche ciuffo bianco e la pelle aveva un
colorito malato, molto più simile al giallo che al colore
roseo che Edith ricordava.
Ogni
singolo aspetto del nuovo Brian fece stringere appena il cuore di
Edith. Una parte di lei provò pena per quel ragazzotto che
camminava con la testa un po' china e gli occhi spenti; ma la parte
più razionale di lei mantenne il controllo e il giusto
distacco dall'uomo che aveva cercato di rovinarla irrimediabilmente.
“Norton!
È un piacere vederti!” e si avvicinò baciando la
guancia di Edith che al solo contatto provò una scossa
percorrerle la schiena.
Non
era gioia o emozione. No. Era fastidio e disgusto.
La
giornalista lo guardò e cercando di sorridere chiese, cercando
di rompere il ghiaccio visto che non trovava niente di sensato da
dire:
“Sei
venuto a piedi?”
Brian
annuì e rispose:
“Chi
lo avrebbe mai detto che Brian Stephensons un giorno avrebbe preso la
metro. E che avrebbe saputo la differenza tra linea gialla e linea
verde...”
“Probabilmente
non ne conoscevi nemmeno l'esistenza!” ironizzò Edith
non riuscendo a trasmettere la stessa allegria alla voce.
“Dove
andiamo di bello?” domandò Brian guardandosi intorno.
Edith
indicò un ristorante poco lontano e rispose:
“Qua
vicino c'è un ristorante molto carino, che dici se andiamo
lì?”
Brian
si strinse nelle spalle e con un sorriso un po' preoccupato,
guardandosi intorno, disse:
“Se
proprio vuoi...” e seguì Edith che non disse niente fino
a che non raggiunsero l'ingresso del ristorante da lei scelto.
Mangiarono
l'auspicato piatto di spaghetti alla bolognese e quando finirono
Edith guardò il suo Bulgari con impazienza. Mancava un'ora al
suo prossimo appuntamento, poi avrebbe sistemato alcune cose e
sarebbe finalmente tornata a casa dove l'attendevano Ella, David e
Gordon -lui in video chiamata per sistemare alcune cose del copione
di cui avevano parlato per email quella mattina- e Posh che
cominciava a risentire degli anni che passavano.
“Hai
ancora quel Bulgari?” domandò stupito Brian.
Edith
rigirò il braccio, guardando l'orologio: in effetti era vero,
non aveva mai cambiato quell'orologio. Lo aveva comperato con il suo
primo stipendio e lo aveva pagato una fortuna e da quel momento lo
aveva tenuto con la stessa cura con cui aveva tenuto i suoi due
figli.
“Le
cose care, normalmente, si tengono vicine e con cura” rispose
lei.
Aveva
scelto quella frase con l'intento di ferire Brian. Non trovava niente
di produttivo in quell'incontro, anzi, sentiva che aveva sprecato
un'ora della sua vita al tavolo con una persona che per lei era
sterile come un terreno in mezzo al deserto, lontano da ogni oasi e
sul quale non pioveva da chissà quanto tempo.
Brian
colse la cattiveria in quelle parole e sospirando, disse:
“Lo
so che ce l'hai con me, Norton...”
“Non
dovrei? Hai quasi portato alla morte Emma, dopo averci divise per
anni; hai cercato di mettermi i bastoni tra le ruote e hai fatto in
modo che non potessi lavorare per nessun giornale inglese
costringendomi ad un esilio forzato...”
“Ma
grazie a me hai conosciuto ed amato Orlando...”
Quella
frase di Brian aveva bloccato l'elenco altrimenti lunghissimo delle
mancanze dell'uomo e aveva spiazzato Edith che puntò gli occhi
quel giorno verdi verso il suo ex senza dire altro. E Brian
incoraggiato da quel silenzio disse:
“Ammettilo
Edith... Hai amato Orlando dal primo momento che lo hai visto. L'ho
capito alla festa in tuo onore e a cui anche lui e Kate furono
invitati. Lui ti guardava già in quel modo... E tu eri così
tagliente con lui. Apertamente lo detestavi perché sapevi che
dentro di te qualche cosa stava cambiando, che quel ragazzo di
campagna stava smuovendo i tuoi sentimenti!”
Edith
deglutì. Al ricordo di quei giorni il cuore le salì in
gola. Quel periodo era stato difficile per lei, ma indubbiamente
aveva preceduto uno dei momenti più belli della sua vita. E
Brian non aveva tutti i torti quando diceva che se aveva cominciato
una storia con Orlando era anche merito di lui.
“Quando
stavo con te, io ed Orlando eravamo solo amici!” rispose secca
Edith poggiando la schiena contro lo schienale della sedia.
“Non
lo metto in dubbio. La Edith che ho conosciuto era una donna leale e
penso che tu non abbia avuto nessun rapporto con Orlando fino a che
non ci siamo lasciati. Ma quello che mi ha portato a comportarmi come
mi sono comportato è da ricollegare alla mia folle gelosia.
Non mi rendevo conto che ti stavo perdendo da prima che tu conoscessi
Orlando e che lui era solo una scusa per nascondere le mie mancanze.
Preferì vedere il marcio nella vostra relazione e distruggevi,
o almeno distruggere lui che sapevo ti stava lentamente portando via
da me... Ma le cose sono andate diversamente, come ben sai...”
“Karma!”
replicò Edith con una punta di cattiveria, per niente
intenerita dall'espressione mesta di Brian mentre spiegava le sue
ragioni.
“Brian,
si chiama karma e colpisce chi fa del male. E tu ne hai fatto. Non
solo a me, ma anche ad Orlando, a Kate, a mia sorella... Lo hai fatto
per tuo tornaconto, senza pensare alle conseguenze, solo per
vendetta...” continuò Edith, ma Brian la interruppe e
disse:
“Sono
una persona differente adesso, davvero. Voglio solo riprendere a
lavorare, vivere con dignità e poter stare con mio figlio. Ed
è per questo che sono qui. Voglio cominciare una nuova vita
chiedendo scusa a te per prima. Solo se mi perdonerai potrò
cominciare il mio lungo cammino...”
Edith
lo guardò corrugando la fronte e incuriosita domandò:
“Sia
chiaro che la mia è solo una constatazione, niente di più,
ma puoi spiegarmi perché vuoi chiedere scusa solo a me e non
lo fai anche con tutte le persone che hai ferito... E sono tante, lo
sai, vero?”
Brian
deglutì e giocherellando con il bordo del tovagliolo ammise:
“Ho
deciso di chiederti scusa perché solo ora, ora che ho passato
l'inferno, ora che sono meno di un impiegato fallito in una banca e
poco più di un barbone, ho capito che tu sei stata l'unica
donna davvero importante per me. Sei stata l'unica a cui ho chiesto
di sposarmi e sei stata l'unica che ha avuto le palle di
fronteggiarmi, in un modo o in un altro...”
Edith
trattenne il respiro. Brian non era un tipo da smancerie dirette. Era
uno a cui piaceva stupire, che si compiaceva ogni qualvolta la vedeva
sorpresa e felice come una bambina. Ma mai aveva esternato così
apertamente i suoi sentimenti.
La
giornalista chinò la testa e deglutendo disse:
“Mi
spiace che tu sia stato male. Ma quello che hai fatto è stato
tremendo... Per quanto mi fosse sembrato facile al telefono, giuro,
solo ora mi rendo conto di quanto invece sia difficile averti qui e
convincermi che perdonarti sia la scelta migliore...”
“Che
significa?” chiese Brian serio.
Edith
sospirò e disse:
“Penso
che il mio perdono non ti serva. Che la forza tu la possa trovare
dentro di te, senza che io ti perdoni o no. Un tempo forse avrei
detto, ok!, lo posso perdonare. Ma non ora, no! Non ci riuscirei e se
lo facessi non riuscirei a guardarmi allo specchio. È vero che
la nostra separazione è coincisa con uno dei miei momenti
personali più belli, visto che prima ho vissuto la storia
d'amore più bella e coinvolgente della mia vita e quasi subito
dopo sono diventata mamma di Ella, ma non penso, davvero, che dopo
tutto quello che mi hai fatto io possa perdonarti... Mi spiace
Brian!”
L'uomo
sbiancò e chinò la testa. Edith sapeva che era troppo
orgoglioso per piangere e non si stupì quando, rialzando lo
sguardo verso di lei, gli occhi dell'uomo erano del tutto asciutti.
“Immaginavo
che lo avresti detto. Ero pronto anche a questo...”
“Mi
spiace Brian... Ma penso che sia anche ora di mettere fine al nostro
incontro!” ammise con amarezza Edith.
Brian
annuì e serio disse:
“Lo
penso anche io!” e alzando il braccio chiamò un
cameriere che solerte si avvicinò e obbedì all'ordine
di portare il conto.
Quando
arrivò il conto e Brian aprì il libricino nel quale era
contenuto, leggendolo deglutì qualche volta e frugò
nella tasca. Mise la carta all'interno e la porse al giovane. Edith
attese qualche secondo poi vide tornare il giovane che con aria
dispiaciuta disse:
“Mi
spiace signor Stephensons. Ma la sua carta è stata rifiutata!”
Edith
emise un lungo respiro. Se era davvero il karma che stava agendo,
allora si stava comportando da vero bastardo e forse stava anche
esagerando.
“Com'è
possibile...” brontolò Brian e porgendo un'altra carta
disse: “Provi con questa!”
Il
ragazzo si allontanò e dopo qualche secondo con la stessa aria
contrita, disse:
“Mi
spiace ma anche questa carta è stata rifiutata!”
Gli
occhi di Brian si dilatarono. Forse per la prima volta dall'inizio di
quell'incontro si gonfiarono di lacrime. Edith aprì la borsa e
disse:
“Tranquillo.
Pago io” e porgendo la carta al cameriere sorrise senza
guardare Brian.
Mai
avrebbe immaginato che avrebbe umiliato la sua nemesi in quel modo.
Mai avrebbe immaginato che per lui avrebbe provato tutta quella pena.
Il
cameriere tornò con il conto pagato ed Edith sistemò la
carta all'interno del portafoglio a non guardare Brian. Cominciava a
sentirsi davvero in imbarazzo a stare seduta allo stesso tavolo di
quell'uomo.
Salutarono
i camerieri e uscirono in silenzio.
Fu
quando si trovarono in mezzo alla strada che l'urgenza di non
lasciare per sempre Brian con un semplice ciao, portò Edith a
dire:
“Non
è vero che c'è stato solo del male. Non potrò
perdonarti, questo è vero. Ma penso che se quello che hai
detto è vero, se davvero mi hai amata così tanto, ti
basterà il ricordo di tutti i momenti belli per poterti
rimboccare le maniche e ricominciare da zero. E magari costruire un
amore più sano con una donna che ti amerà per la
persona che diventerai!” e sollevandosi sulla punta dei piedi,
baciandogli una guancia, riuscì solo a mormorare: “Buona
fortuna!” prima di allontanarsi appena.
Attese
di aver svoltato l'angolo prima di girarsi e spiare Brian da quella
posizione nascosta. E guardando quell'uomo che non era altro che
l'ombra del ragazzo arrogante e senza scrupoli che aveva amato e
odiato, pensò che non riusciva a provare altro che pena per
Brian e che questo la riempiva ancora più di tristezza dal
momento che se si è davvero amato qualcuno non bisognerebbe
mai pensare una cosa simile. E mentre a passo svelto metteva una
certa distanza da Brian, sentiva il cuore alleggerirsi, come quando
si è scampato un grosso pericolo. Ad ogni passo che
l'allontanava da quel ristorante, da quella strada e dall'uomo che
per lei era solo una zavorra da buttare giù per volare più
in alto, Edith sorrideva un po' di più, conscia del fatto di
aver fatto la scelta giusta.
“Mamma!”
La
voce di David riempì l'ingresso e subito venne travolta dal
piccolo che allargando le braccine saltò al collo di Edith e
le baciò una guancia.
La
ragazza mise a posto i capelli che con il tempo si erano scuriti
ancora di più e scrutò gli occhioni del suo colore ma
della forma inequivocabile di quella di Orlando.
“Piccolo!
Lo sai che mi sei mancato!” sorrise Edith baciando il figlio di
nuovo sulla guancia.
Il
piccolo la strinse e tutto il gelo provato quel giorno cominciò
a sciogliersi. Era vero quando Rachel diceva che la maternità
l'aveva ammorbidita e lei non era poi la vecchia stronza che aveva
finto di essere per anni.
June,
la baby sitter sorrise e avvicinandosi ad Edith fece il resoconto
della giornata e attese che Edith le desse il permesso per andarsene.
Permesso che le venne accordato dopo che la giornalista informò
la giovane del fatto che l'avrebbe pagata ad ogni fine mese e che
poteva scegliere se farlo tramite bonifico o per assegno.
Finita
anche quell'incombenza, lasciò che tutti e due i suoi figli le
saltassero al collo e giocò con loro fino all'ora di cena
quando scongelò qualche manicaretto al microonde e li fece
cenare.
Era
stata una giornata faticosa e per quello, nonostante le proteste dei
bambini, decise di mandarli a letto presto, troppo stanca per sentire
litigi o storie assurde di litigate con compagni ingrati.
Si
mise a sedere nella poltrona e accese il computer. Si collegò
via Skype e chiamò Gordon per sistemare alcune cose del
copione come accordato quella mattina, nonostante la testa le stesse
scoppiando.
Fu
un'altra rogna per Edith che davvero faticò a tenere gli occhi
aperti per tutta la durata della video chiamata. Poi, quando finì,
guardò il tavolino e il plico della posta privata che
l'attendeva.
E
nonostante una parte di lei protestasse perché voleva che
andasse a letto e si mettesse a dormire, Edith allungò la mano
e prese le buste.
La
maggior parte erano offerte pubblicitarie. Solo una attirò
davvero la sua attenzione. Era una busta dall'aspetto formale e
portava il nome e il simbolo delle Corte Inglese.
L'aprì
con le dita che tremavano e quando lesse il contenuto una lacrima
solcò veloce il viso.
Il
testo diceva:
'All'attenzione
della Signora Edith Isabel Law, nata Norton.
Con
la presente la informiamo che il giorno giovedì 20 Giugno 2013
alle ore 10,30 dovrà presentarsi presso il Tribunale Civile
sito ad Aldgate per formalizzare la sentenza di divorzio richiesta da
David Jude Law.
La
preghiamo di presentarsi con un suo legale...'
Il
resto della lettera Edith non lo lesse.
Era
sconvolta, per quanto se lo aspettasse. Jude aveva detto che
l'avrebbe lasciata libera però Edith non aveva immaginato che
sarebbe successo tutto così in fretta.
Guardò
la lettera e un pensiero la fece raggelare: non voleva che un giorno,
incontrando Jude o Orlando per strada potesse succedere quello che
era successo con Brian.
Perché,
anche se la sua vita si era incasinata da quando li aveva conosciuti,
aveva amato troppo entrambi per finire a parlare con loro come se
fossero dei perfetti sconosciuti, come se fossero un obbligo
fastidioso da espletare prima di finire la giornata.
E
guardando la lettera compose veloce un numero.
Stavolta
non fu Gerard a rispondere ma Rachel.
E
non sembrava affatto tranquilla. Al contrario ansimava.
Edith
in un attimo dimenticò la lettera. Sapeva che cosa stava
succedendo e ne ebbe conferma quando Rachel, trattenendo a stento un
grido di dolore disse:
“Stavo
proprio per chiamarti io, Norton!” e cercando di essere
disinvolta per quanto le contrazioni glielo permettessero aggiunse:
“Non è che potresti tenermi i bambini... Sai... Sto per
partorire!”
Ringrazio
di cuore chiaretta e scarl che mi hanno recensita.
E
Margherita, la mia amica extra EFP che
legge
la storia e mi sprona a scrivere.
Se
avete dei nuovi capitoli lo dovete a lei.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
Un
po' di passaggio. Prometto che al prossimo ci
saranno
dei colpi di scena.
Con
affetto a tutti quelli che
mi
recensiscono o
mi
introducono in una delle tre liste
seguiti,
preferiti
e
ricordati...
Nella
speranza di non deludervi e annoiarvi.
Alla
prossima.
Niniel82.
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