Capitolo
II: Il fuggitivo
Aveva visto la
cosa precipitare dal cielo mentre era impegnato a correre. All'inizio
quasi non ci aveva fatto caso, la sua mole non indifferente gli
impediva di procedere oltre una certa velocità e lui ce la
stava mettendo tutta per cercare di superare i propri limiti. Del resto
ne andava della sua vita in quel momento, e la sua priorità
era riuscire a sfuggire ai suoi inseguitori. Non poté
però non accorgersene quando, salito in cima ad un piccolo
colle, vide il cielo tinto di rosso e la scia di fumo nero culminante
col bolide rosso in procinto di sfracellarsi al suolo. Non si
fermò ad osservarla meglio, qualsiasi istante perso poteva
essergli fatale conoscendo chi gli stava dando la caccia.
Sfruttò
il suo peso per sfrecciar giù dal rilievo, quasi cadendo e
mettendosi a rotolare ad un certo punto. Cercò di non farlo,
avrebbe sicuramente provocato troppo rumore attirando così
l'attenzione. Arrivato in fondo alla discesa si appoggiò ad
un albero per riprendere fiato, ma fu costretto a ripartire quasi
subito quando sentì delle grida non molto lontano. Riconobbe
alcune voci, e ciò gli tolse il dubbio di essersi lasciato o
meno i suoi "amici" alle spalle.
Entrò
nel bel mezzo di un campo coltivato, le piante alte a tal punto da
oscurargli completamente la visuale. Era un esemplare piuttosto basso
per la sua specie, anche perché era ancora molto giovane e
doveva ancora crescere del tutto, e ciò si rivelò
uno svantaggio. Proseguì alla cieca cercando di non farsi
prendere dal panico, le foglie che gli frustavano la faccia di pietra
lasciandogli dei graffi bianchi. Usò le braccia a
mò di mazza, spezzando ciò che lo ostacolava
cercando però di farlo il più piano possibile.
Le forze
presto però cominciarono a vernirgli meno. Aveva corso per
buona parte della notte, era stanco e infreddolito e aveva bisogno di
riposo. I suoi nemici invece erano addestrati per sopportare quel tipo
di avversità e non avevano mai dato segno di voler mollare,
così era stato costretto a spingersi ben oltre le proprie
normali capacità per non essere catturato. Le sue gambe
tozze avevano cominciato a stridergli già da un po', ma
aveva cercato di sopportare il dolore più a lungo possibile.
Adesso però stava cedendo, non riusciva più
nemmeno a vedere bene dove andava per la stanchezza. Si trascinava
mettendo un piede davanti all'altro per un puro automatismo, deciso a
non farsi raggiungere. Le sue intenzioni però stavano
venendo velocemente meno. Doveva trovare un posto dove nascondersi e
riposare, e subito.
Dopo un tempo
infinito uscì dal campo per ritrovarsi in uno stretto
sentiero tra le piante. Si guardò attorno: altri campi
simili si estendevano in ogni dove. Era come un labirinto, e non
sarebbe riuscito a scappare in quel momento. "Ci sarà un
nascondiglio da qualche parte, no?". Imboccò il sentiero
verso ovest, e ad un certo punto vide che alcune piante erano
schiacciate a formare un'altra piccola strada tra la vegetazione.
Decise di imboccarla, e dopo alcuni minuti di corsa-cammino
arrivò ad un piccolo spiazzo in mezzo ai filari.
Lì, seminascosta dalle frasche, c'era una catapecchia.
Si
avvicinò alla porta tremante, sperando che chiunque vi
abitasse fosse disposto ad accorglielo e nasconderlo. Bussò,
ma non ebbe risposta. Lo fece di nuovo e non accadde nulla.
Accostò l'orecchio al legno della porta: nessun rumore
dall'interno. Non c'era nessuno.
Provò
ad aprire la porta, e questa si mosse cigolando. "Meno male,
è aperta.". Entrò e se la chiuse velocemente alle
spalle. Dentro era talmente buio che non si vedeva quasi nulla, ma in
un angolo c'era una coperta. Era un'idea stupida, ne era consapevole,
ma non aveva molta altra scelta. Corse e afferrò il tessuto
gettandoselo poi adosso. Allora si sedette accostandosi al muro e
rimase immobile. Se avessero perlustrato la zona e fossero entrati
dentro la casa forse l'avrebbero scambiato per un mobile. Era una folle
speranza, ma la stanchezza giocava brutti scherzi.
Restò
immobile e ansimante ad osservare la stanza attraverso il lino sottile.
Nessun nuovo lo disturbò, si udiva solamente il raschiare
del proprio respiro. Le guancie gli bruciavano, i polmoni erano anche
peggio. Forse... forse ce l'aveva fatta a scappare, ma in fondo ne
dubitava. Sperò con tutto il cuore che i suoi nemici
considerassero la casa un nascondiglio troppo ovvio e guardassero
altrove. Non aveva ormai nemmeno più la forza di muoversi, e
alla fine non ce la fece più nemmeno a tenere gli occhi
aperti. Tutto si fece ancor più nero e si
addormentò seduto dove si trovava.
Ronah era
arrivato a metà della strada per il paese prima di rendersi
conto di essersi dimenticato di chiudere a chiave la casa. Con
un'imprecazione si era voltato e aveva preso a correre verso la sua
dimora, e adesso si affannava cercando di sbrigarsi. Era stato
totalmente rapito dallo strano accadimento da essersi completamente
dimenticato delle faccende più "mondane". Era colpa sua in
fondo, non avrebbe dovuto dormire così a lungo. Di solito si
svegliava sempre prima del tramonto e si affidava al proprio orologio
biologico per rientrare, e questa era la prima volta in assoluto che
faceva cilecca.
Aveva sempre
considerato la propria casa come nulla di più che una
semplice catapecchia, ma era tutto quel che aveva. Alla morte del suo
padre adottivo lui e i suoi figli si erano spartiti i suoi beni, e
nonostante al Treecko fosse toccato il campo più piccolo
assieme ad un semplice capanno aveva cercato di accontentarsi, in fondo
lui non poteva certo pretendere di avere di più. Se non
fosse stato raccolto poco dopo la nascita probabilmente sarebbe morto,
inutile fare recriminazioni. Anche se faceva schifo l'ammasso di rami e
pietre che chiamava casa era tutto ciò che possedeva oltre
al campo di Baccastagne da lavorare costantemente, e non vi avrebbe
potuto né dovuto rinunciare così facilmente per
un mero capriccio.
Percorse a
perdifiato gli infiniti campi attorno al villaggio e arrivò
in vista della propria abitazione dopo un tempo che gli parve eterno.
Si avvicinò velocemente, e vedendo che la porta era chiusa
tirò un sospiro di sollievo. "Meno male, non è
entrato nessuno.". Rallentò il passo, riprendendo fiato.
Sapere che non era successo niente l'aveva fatto stare meglio, e
cominciò a rilassarsi. Almeno finché non vide una
banda di pokemon uscire dalle piante poco distanti.
Erano in
cinque o sei e sembravano inferociti, dall'aria davvero poco
rassicurante. Uno di loro vide Ronah e lo indicò ad un
altro, un Gogoat con una vistosa cicatrice sul viso, che lo
squadrò da capo a piedi. "Probabilmente è il
capo" realizzò. Dopo alcuni attimi quello fece segno di no
con la testa, al che tutti gli altri cominciarono a ricercare nelle
zone limitrofe alla casa. "Cosa diavolo vorranno quei tizi?" si
domandò il Treecko "Meglio controllare. In fondo
è la mia proprietà, e non hanno il diritto di
irromperci così come se fossero i padroni di casa.". A
grandi passi avanzò verso di loro, deciso a farci i conti.
Si
svegliò appena percepì tutto il trambusto
all'esterno. Tese le orecchie e prese a respirare affannosamente come
poco prima, cercando però allo stesso tempo di fare
silenzio. Rimase immobile, il panico che si faceva strada dentro di lui
ogni istante che passava, ad attendere che succedesse qualcosa.
Dapprima confuso, il rumore si fece sempre più
distinguibile, come di una folla di pokemon che sta cercando qualcosa.
"Cercano me, ecco cosa.". Qualcuno però stava parlando, e
allora tese le orecchie per capire ciò che veniva detto.
- ...un
pericoloso criminale, sappiamo che è fuggito da queste parti.
- E chi
sarebbe questo pericoloso criminale?
- Non posso
dirlo.
-
Perché mai?
- Non sono
affari tuoi.
- Questa
è la mia proprietà, e io non permetto che gli
estranei vengano qui e facciano quel che gli pare.
- Attento a
te, noi siamo rappresentanti del governo. Potremmo arrestarti per
resistenza a pubblico ufficiale.
Sembrava che
il padrone della casa fosse ritornato, e se per caso lo avesse scoperto
sarebbero stati guai grossi. Col trucchetto del mobile avrebbe forse
potuto ingannare i suoi inseguitori, ma non certo uno che lì
dentro ci viveva. Si alzò e rigettò il lenzuolo
nell'angolo, cercando poi un nuovo nascondiglio come una cantina o
qualcosa del genere. Non sembrava però esserci nulla,
così si posizionò nel posto più
semplice da utilizzare in quel caso: dietro la porta. Almeno se si
fosse aperta l'anta l'avrebbe sicuramente coperto. Era estremamente
precaria come cosa, ma era l'unica carta che era ancora in grado di
giocare.
Si
accostò alla parete di fianco all'entrata quasi al
rallentatore, temendo di poter emettere qualsiasi tipo di suono che
avesse potuto farlo scoprire. Cominciò a sudare, e gli parve
di sentire ogni singola goccia di sudore fuoriuscirgli dai pori della
pelle alla stessa maniera di un parto. Quasi smise anche di respirare
pensando di essere troppo rumoroso, prendendo poi ad iperventilare con
naso per compensare la mancanza della normale affluenza d'aria.
- Ah
sì? E allora che farete, arresterete tutto il contado? Non
aspettatevi che la gente di qui vi lasci entrare solamente
perché dite di essere dello Stato. Sarete fortunati se vi
diranno semplicemente di no, ci sono alcuni che non useranno le buone
maniere.
Una risata gli
fece intuire che all'altro pokemon non importasse nulla delle maniere
che avrebbero usato i locali.
- Entreremo
comunque, con le buone o con le cattive. Se qualcuno si rifiuta vuol
dire che ha qualcosa da nascondere, e come incaricati del Governatore
possiamo perquisire la casa. Tu hai qualcosa da nascondere?
-
Assolutamente no.
- E' inutile
mentire, lo scopriremmo comunque in un modo o nell'altro.
- Se volete
controllare fate pure, in casa mia non c'è nulla. Ma se poi
con gli altri contadini avrete dei problemi non dite che non vi avevo
avvertito.
"Merda.".
Sentì gli zoccoli del Gogoat scalpitare sul terreno mentre
si stava dirigendo verso la casa, al che lui cercò di
appiattirsi il più possibile contro il muro. La sua era una
mole non indifferente, e al pensiero della sua larghezza si
pentì della scelta fatta pochi istanti prima. Se fosse
rimasto lì la porta si sarebbe potuta aprire di scatto e il
legno avrebbe sbattuto su di lui, facendolo quindi scoprire. Se
però si fosse spostato in un'altra posizione sarebbe
risultato di certo visibile. "Sono condannato in ogni caso"
realizzò. Il panico lo invase, facendolo paralizzare dove si
trovava. Smise pure di tremare se mai lo aveva fatto. Restò
col fiato sospeso ad ascoltare i passi del nemico a pochissima distanza
che si stava gradualmente avvicinando.
La porta si
aprì cigolando, facendoli sudare ancora di più.
Gli zoccoli che cozzavano contro il pavimento di legno provocavano un
baccano assordante in quella piccola abitazione, probabilmente si
sarebbe tappato le orecchie con le mani se non fosse stato
così timoroso di farsi sorprendere lì. L'anta di
legno proseguì inesorabile il suo cammino, cominciando
infine a ruotare verso di lui. Tutta la scena si stava svolgendo in
modo maledettamente lento, come se qualche entità diabolica
si divertisse a giocare col destino del ricercato, puntando a sfinirlo
dalla paura per puro piacere.
Venti
centimentri, dieci, sette, cinque, la porta si faceva sempre
più vicina. Ormai in preda al terrore non trovò
il coraggio di muoversi. Quattro centimetri, tre, due... Questione di
secondi e il Gogoat l'avrebbe trovato dopo che il contatto con la porta
avesse causato rumore. Di certo si sarebbe accorto dell'innaturale fine
del giro quando ancora non aveva toccato la parete, non ci voleva certo
un genio per capire che ci doveva essere qualcosa che la bloccava.
"No... Non voglio finire così...".
Fu un
movimento istintivo e repentino, quasi non se ne accorse nemmeno.
Quando il legno si era fatto a meno di un centimetro voltò
la testa, preparandosi all'impatto e al conseguente rumore. Un cigolio
sinistro gli invase le orecchie, assordandolo come se qualcuno gli
avesse urlato in faccia. "E' la fine...". Chiuse gli occhi,
rassegnandosi al fato ormai imminente. Trasalì quando si
sentì sfiorare la guancia dal legno. "Ecco, ci siamo, sono
morto.". Restò in silenzio ad aspettare il momento in cui
sarebbe stato scoperto, ogni secondo lungo come un eone. Ma non accadde
nulla. La porta si era fermata.
- Seh, che
desolazione qui dentro. - se ne uscì il Gogoat - Voi
contadini, poveracci che non siete altro, non avete poké
nemmeno per comprarvi una sedia. Mi fate pena.
Il pokemon
uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Avvertì lo spostamento d'aria, ma non reagì
subito. "Dev'essere un sogno, devono avermi messo fuori combattimento e
sto avendo un'allucinazione. E' sicuramente così, sto
delirando.". Probabilmente era stato tutto così veloce che
non se n'era nemmeno accorto, a quest'ora doveva essere già
legato su un carro per la più vicina base governativa.
Sarebbe stato processato e buttato in prigione per il resto della vita
o peggio ucciso, non aveva dubbi in proposito.
- Non hai
mentito, comunque - continuò il Gogoat una volta uscito.
- E
perché avrei dovuto? Non voglio guai, ho appena seminato e
devo far crescere le mie Bacche, altrimenti non saprei come
sopravvivere al prossimo inverno.
- Seh.
Ci fu un
rumore come di qualcuno che sputa per terra.
- Abbiamo
inseguito il criminale per tutta la notte, ma siamo usciti dalle nostre
zone di competenza. Ci serve una guida che ci porti al villaggio, al
paese o in qualunque posto che abbia una base del governo abbastanza
vicino.
- Ma prego,
desiderate anche un po' di Acqua Fresca?
- Non
è una richiesta, è un ordine. Ricorda con chi
stai parlando.
- Che gente
simpatica che ha con sé il Governatore, mi stupisco che non
sia più amato di com'è ora. Vi accompagno subito
al villaggio, tanto ci devo andare anch'io, però prima
lasciatemi chiudere casa. Girano parecchi ladri qui di notte.
- Seh.
Sbrigati.
Passarono
alcuni istanti, poi il rumore di un chiavistello che girava
riempì la piccola stanza. Sentì tremare la porta
vicino a sé come se qualcuno la stesse strattonando, e le
vibrazioni passarono dal legno alla parete e al pavimento. Erano
estremamente deboli, ma a lui sembrarono come un Terremoto di magnitudo
sette perlomeno. Poi, così com'erano iniziati, il suono e le
vibrazioni finirono.
- Fatto.
- Bene. Adesso
portaci al villaggio.
- Prego, non
c'è di che.
I rumori
dell'esterno cominciarono ad affievolirsi fino a scomparire totalmente
poco dopo. Solo a quel punto trovò il coraggio di aprire gli
occhi. Stava davvero sognando? Perché se era così
allora aveva un'immaginazione molto fervida. Riuscendo finalmente a
vincere le proprie paure fece un passo avanti, poi un altro e un altro
ancora. Gli era presa una nausea pazzesca, e solamente mettere un piede
davanti all'altro gli richiedeva un quantitativo di energie non
indifferente. "Sono davvero salvo?".
Provò
ad aprire la porta. Dapprima lo fece parecchio gentilmente, temendo di
richiamare l'attenzione di qualcuno che eventualmente non se ne fosse
ancora andato. Incontrò quasi subito una forte resistenza, e
nulla poté quando provando a spingere più forte
ottenne lo stesso risultato. "Sono chiuso dentro" realizzò
"Questo non è il mio giorno... fortunato...". Non
pensò che con la sua massa poteva facilmente buttarla
giù, era semplicemente troppo stanco per farlo. Era scampato
una seconda volta agli inseguitori in meno di ventiquattr'ore, era
sorprendente il fatto che non fosse ancora crollato. Senza nemmeno
terminare il pensiero si accasciò contro la porta dopo che
le gambe gli ebbero ceduto. Non sentì la testa battere contro
il legno, aveva già perso i sensi per quel momento.
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