Michele bussò leggermente alla porta socchiusa, prima di
entrare nello lo studio di Prospero.
«Buongiorno signor Limardi. Mi stava
cercando?» domandò con voce attenta e controllata.
L’uomo scattò in piedi,
picchiando con forza un pugno sulla scrivania.
«Toreggiani!»
ululò. Michele non si scompose.
«Sì, signore?»
«Qualcuno si è introdotto
nella mia biblioteca» lo informò Prospero con aria
minacciosa. L’altro ostentò
un’espressione stupita, confusa, incredula.
«Non è possibile!»
esclamò. «Chi è stato, che tracce ci
sono?»
«Nessuna» ringhiò
Prospero in risposta, «tranne un dettaglio».
Sbatté sul tavolo alcuni libri; avevano
l’aria antica. Ne prese uno e lo lanciò
all’uomo al di là della scrivania. «Le
sembra normale quel libro, Toreggiani?» domandò.
Michele ne osservò attentamente la
copertina, prima di sfogliare rapidamente le pagine.
«Direi di sì,
signore» rispose infine.
«È un libro scritto da un
Portatore degli Elementi» sottolineò Prospero.
Michele aggrottò la fronte.
«Ma non ci sono tracce di
Aura» disse pensieroso.
«Appunto: è una
copia». Il tono di Prospero si era inacidito. «E
poi c’è questo» aggiunse, lanciandogli
un altro libro. Michele lo agguantò, e il suo stomaco si
contrasse in modo spiacevole: in quel libro c’era un
frammento dell’Aura di Sofia. Minuscolo, ma comunque
riconoscibile.
«Chiunque si sia introdotto nella mia
biblioteca, rubando i libri originali e lasciando queste copie al loro
posto, ha eseguito un lavoro magistrale. Avrei pensato a un uomo, ma
l’Aura in quel libro è chiaramente
femminile» ammise Prospero di malavoglia.
«Davvero degno di nota»
convenne Michele in tono piatto, «non fosse che per questa
piccola sbavatura».
«Quello che non mi spiego è:
perché prendersi la briga di rubare gli originali, pur
essendo già in possesso delle copie?»
rifletté Prospero alta voce.
Michele non rispose: sapeva bene che quelle copie
erano state create al momento del furto, ma parlare non avrebbe giovato
né a lui né a Sofia. Perciò rimase in
silenzio.
«Di certo, però»
riprese Prospero, «sappiamo quando sono stati
rubati»
«Il giorno in cui quel ragazzo
l’ha avvicinata qui fuori, più di due mesi
fa» annuì Michele. Era l’unica cosa
insolita accaduta negli ultimi mesi.
«Già. Mattia Liverano.
Abbiamo fatto dei controlli, su di lui» la voce
dell’uomo era poco più di un sussurro,
«e il ragazzo che quel giorno era qui di certo non
è chi aveva detto di essere»
«Sicuramente è lui, il
ladro» disse immediatamente Michele; percepiva vagamente dove
volesse arrivare Prospero, ma non aveva alcuna intenzione di aiutarlo
ad arrivarci.
Il sorriso di Prospero era molto più
simile a un ghigno feroce che a un sorriso vero e proprio.
«Oh, no. Io credo che quel ragazzo fosse
soltanto un’esca, un diversivo» lo corresse,
passeggiando avanti e indietro dietro la scrivania. «Il vero
ladro è qualcun altro… e lei lo sa benissimo,
visto che proprio quel giorno si trovava nella mia
biblioteca».
Michele non si diede la pena di negare; i suoi
colleghi sapevano che quel giorno si era allontanato, durante la
dimostrazione di Prospero, e ad Aldo aveva detto di stare facendo un
giro di controllo proprio sul piano su cui si trovava la biblioteca.
Attese in silenzio che Prospero proseguisse.
«Non parla, Toreggiani?» lo
dileggiò. Si aspettava qualche segno di agitazione, di
panico, ma il volto di Michele era inespressivo. «Negli
ultimi mesi, qualcuno ha consultato l’elenco dei Custodi
della Verità. Quell’elenco è riservato,
e nessuno ha richiesto la mia autorizzazione per prenderne visione:
inoltre nessuno può incontrare un Custode e uscirne vivo.
Quindi perché non la facciamo finita e non mi dice
cos’ha in mente?».
Non si aspettava davvero che l’altro
rispondesse; ma la reazione di Michele lo spiazzò.
«Io gliel’ho detto, di non
farlo» sbottò; «è troppo
pericoloso, e poi si sta consumando, non può reggere
all’incontro con un Decano, o peggio, con un Oracolo!
È già un miracolo che sia sopravvissuta
all’incontro con gli altri Custodi!».
Non credendo alle proprie orecchie, Prospero
strabuzzò gli occhi.
«Mi sta dicendo che il ladro, questa
donna, è già stata da ben due Custodi della
Verità? Ed è sopravvissuta? E soprattutto, lei ne
conosce l’identità?».
Rendendosi conto troppo tardi
dell’errore che aveva commesso, Michele tenne la bocca chiusa.
«Allora? Come ha fatto?» lo
incalzò Prospero. Non ottenne risposta.
«Toreggiani, lei ha permesso a
un’estranea di penetrare nella mia biblioteca privata e di
rubare dei libri di inestimabile valore. Inoltre ha consultato dei
documenti riservati senza autorizzazione. Se mi dice tutto quello che
sa su questa donna, non subirà le conseguenze delle sue
azioni» gli fece presente. Per qualche minuto un silenzio
carico di attesa si dilatò tra i due uomini; lo sguardo di
Prospero s’indurì.
«Non m’interessa come,
né quanto ci vorrà» decretò,
evocando dal nulla un bastone nodoso e portandosi di fronte a Michele
«ma lei mi dirà quello che voglio
sapere». Con un movimento fulmineo fece roteare il bastone,
colpendo l’altro sulle costole dal basso verso
l’alto; alcune ossa scricchiolarono sinistre. Michele si
piegò su se stesso, boccheggiando.
«Come si chiama la ladra?»
domandò; Michele scosse la testa, in silenzio. Senza esitare
Prospero gli assestò un colpo violento in mezzo alla schiena
con il pomo del bastone, facendo crollare a terra l’uomo.
«Dove posso trovare
quest’audace ladruncola di libri?»
insisté. Infilò un piede sotto il corpo steso sul
pavimento e lo rivoltò. Stordito, Michele scosse di nuovo la
testa, rifiutandosi di parlare. Prospero lo colpì allo
stomaco, poi si accovacciò accanto a lui.
«Perché si dà
tanta pena per proteggere questa donna?» gli
domandò. Sollevandosi a fatica su un gomito, Michele mise a
fuoco la figura che gli stava vicino.
«Non ho mai saputo dove vive. Ma se
anche le dessi quello che vuole – un nome, un numero di
telefono, qualunque cosa – non le servirebbe a
nulla» disse a fatica.
L’altro lo guardò, sollevando
un sopracciglio. Michele proseguì.
«Non riuscirà a prenderla. Mai. È
stata addestrata in maniera eccellente, molto meglio di me e dei miei
colleghi».
Prospero lo prese per i capelli, costringendolo a
reclinare la testa all’indietro.
«E io che credevo foste il meglio sulla
piazza, quanto ad addestramento» disse con voce mielata.
«È così»
replicò Michele, dolorante. «Ma lei
è… diversa. Troppo abile, e in grado di fare
qualunque cosa, pur di raggiungere un obiettivo»
«Non importa. La intrappolerò
come fa un gatto col topo non appena lei, Toreggiani, si
deciderà a collaborare» replicò
Prospero, sferrandogli un pugno in pieno volto prima di uscire dalla
stanza, lasciandolo abbandonato sul pavimento.
*
Seduto al proprio tavolo, Michele scrutava impaziente la folla di
avventori che ciarlava allegra nel ristorante.
«Ehi, eccoti qui!». Una mano
si posò con forza sulla sua spalla, facendolo trasalire
mentre una scarica dolorosa gli si propagava lungo tutto il braccio.
«Finalmente sei arrivato!»
disse in tono di rimprovero, scrutando con la fronte aggrottata suo
fratello.
«Per qualche minuto di ritardo non
c’è bisogno di fare tante storie!»
replicò Luca.
«Fai tardi tutte le volte»
sottolineò Michele con una smorfia. Pranzavano insieme una
volta a settimana da anni, ormai, e non c’era stata una sola
occasione in cui suo fratello fosse stato puntuale. «Ti ho
portato un regalo» annunciò poi, porgendogli un
pacchetto rettangolare.
«Cos’è?»
domandò Luca incuriosito, mentre si accingeva a strappare la
carta. Suo fratello lo fermò.
«Non aprirlo qui. Aspetta di essere a
casa» gli mormorò.
«Va bene… certo che hai un
aspetto orrendo! Ma che ti è successo?» chiese
Luca, guardando attentamente suo fratello per la prima volta. Aveva un
occhio nero e un taglio sul naso, era pallido e, da come si muoveva,
sembrava avesse qualche costola rotta. Quando alzò appena il
braccio destro per richiamare l’attenzione di un cameriere
fece una brutta smorfia di dolore.
«Non è niente…
è stata una settimana complicata»
tagliò corto. «Sto benissimo».
«Non si direbbe
affatto…» cominciò Luca, ma fu subito
interrotto dal telefono. Rispose brevemente e poi chiuse la
comunicazione. «Scusa Michele, ma Linda è rimasta
a piedi e non sa come andare al lavoro, devo scappare».
Suo fratello abbozzò un sorriso.
«Sta’ tranquillo, ci vediamo
la prossima settimana» disse, mentre Luca si alzava e correva
via.
*
«Ti passo a prendere alle otto».
Quando Linda scese dall’auto Luca spense
il motore e afferrò il pacchetto che gli aveva dato Michele.
Strappò la carta che l’avvolgeva e
scoprì un libro: Dona
Flor e i suoi due mariti.
«Un libro?». Perplesso, Luca
sfogliò distrattamente le pagine: sparse, trovò
tre lettere chiuse e complete di destinatario e indirizzo e un
biglietto per lui stesso.
«’Spedisci queste lettere e brucia
il biglietto. Non parlarne con nessuno. Non chiedermi niente. Michele’».
«Ma che accidenti…»
mormorò tra sé. Poi chiuse di scatto il libro,
mise in moto la macchina e fece ciò che suo fratello gli
aveva chiesto.
*
«Bene. Ora concentratevi… Marcos, se fai di nuovo
una cosa del genere ti retrocedo ad Apprendista di primo
livello… ed evocate un muro di Fuoco»
«Sofi!».
Martina stava correndo – cosa
già di per sé insolita – verso di lei,
per di più tallonata da Aleja e Claire.
«Va bene ragazzi, quindici minuti di
pausa». Mentre gli Apprendisti di secondo livello si
dividevano in gruppuscoli, le tre ragazze la raggiunsero.
«Martina, ma tu non avevi del lavoro da sbrigare a
Roma?»
«Sono tornata» rispose
sbrigativa l’altra. «Ho ricevuto una lettera. Anche
Claire e Aleja ne hanno ricevuta una uguale».
Sofia non capiva. «E allora?»
«E allora, riguarda te».
Martina si schiarì la voce. «’So che questa lettera
suonerà strana, ma per favore, leggila fino in fondo.
Di’ a Sofia che non possiamo più vederci e che non
deve cercarmi, né venire a Roma o dovunque io mi trovi.
Michele’».
«Più che una lettera, sembra
un telegramma» sottolineò Claire.
«Sono arrivate una settimana fa, ma tra
il Natale e tutto il resto non ce ne siamo accorte fino a
oggi» aggiunse Aleja a mo’ di scusa.
Sofia allungò una mano e
afferrò il foglio che Martina stringeva tra le dita. Rilesse
il breve messaggio mentre le altre la osservavano in silenzio: poi,
sempre senza parlare, restituì la lettera a Martina e
uscì dalla sala a grandi passi. Arrivata nell’Ala
Est, aprì una porta e mise la testa in una delle sale
più ampie.
«Laurence, ce l’hai un
minuto?».
Lui le lanciò un’occhiata di
sbieco.
«D’accordo ragazzi, per oggi
abbiamo finito. Potete andare» disse rivolto agli Apprendisti
di terzo livello. Mentre i ragazzi sciamavano verso la porta,
chiacchierando e confrontandosi, Sofia scivolò dentro,
chiudendo la porta non appena tutti furono usciti.
Perplesso Laurence la guardò,
aspettando in silenzio che parlasse. Non ricordava che Sofia avesse mai
interrotto una lezione prima di allora, e da quando erano alla Valle
aveva vietato a tutti di farlo; ora non riusciva immaginare quale
motivo l’avesse spinta a violare una regola che lei stessa
aveva posto.
«Mi serve un favore. Vieni con
me» gli disse a bassa voce andando verso le stanze dei
Maestri, al piano superiore; la sua camera da letto e quella di
Laurence erano divise da quella di Blaze.
«Entra» lo esortò,
aprendo la porta della propria e andando alla scrivania. Laurence la
seguì, sedendosi su un angolo del letto: anche
così era alto almeno quanto lei. Sofia frugò in
un cassetto, spostando quaderni e pile di fogli; quando ebbe trovato
quello che cercava, andò a sedersi accanto a Laurence e in
silenzio gli mise in mano una foto.
L’uomo osservò attentamente
il viso allegro ritratto accanto a quello della sua amica. Poi
alzò lo sguardo su Sofia e si schiarì la voce.
«E così, questa
è…» iniziò, esitante.
«La persona di cui abbiamo parlato,
sì» concluse la ragazza al suo posto,
tormentandosi le mani.
«Perché mi fai vedere questa
foto proprio adesso?» le chiese Laurence dolcemente. Lei
sospirò.
«Ho bisogno che tu vada in un posto per
me» rispose Sofia. Laurence annuì.
«Cosa vuoi che gli dica?».
Lei lo guardò sorpresa.
«Oh, non devi dirgli nulla!
Solo… controlla che stia bene» mormorò.
Lui annuì di nuovo mentre Sofia gli spiegava dove andare.
Poi l’abbracciò fugacemente.
«Ci vado subito» le disse
sorridendo. Non pensò neanche per un istante di chiederle il
perché di quella strana richiesta: non conosceva gli
avvenimenti che l’avevano portata a chiederle un aiuto tanto
singolare, ma sapeva perché Sofia aveva scelto proprio lui,
per essere aiutata, e cosa la spingesse a preoccuparsi tanto di una
persona che vedeva solo di rado. Così uscì,
mentre il vento gelido gli frustava il volto e gli faceva turbinare
davanti agli occhi una miriade di fiocchi candidi, e si
incamminò oltre le prime colline.
*
Nascosto dietro a un giornale, Laurence spiava tra il via vai di
turisti cercando di farsi notare il meno possibile, per un uomo alto
due metri. Dopo un paio d’ore vide avvicinarsi due uomini in
completo scuro: uno parlava con aria severa e, a tratti, supplichevole;
l’altro si muoveva lentamente, a fatica, e nonostante
sembrasse piuttosto malridotto, aveva in volto un’espressione
risoluta. Quando entrarono in un bar lì vicino, Laurence
ripiegò il giornale e li seguì velocemente.
Ordinò un caffè, parlando in
inglese; il posto era pieno di turisti ed era facile mimetizzarsi.
Fingendo di non capire una parola si avvicinò al bancone,
tendendo le orecchie per ascoltare il discorso dei due che avevano
attirato la sua attenzione.
«…e se ti ostini a non
parlare potrebbe finire veramente male» stava dicendo uno dei
due. «Si può sapere perché non dici a
Prospero quello che vuole sapere?».
L’altro lo ignorò.
«Che qualcuno si sia introdotto nel
palazzo di Prospero sotto il nostro naso e abbia persino rubato dei
libri antichi è un fatto gravissimo, ma che tu sappia chi
è il ladro e non ti decida a parlare è, se
possibile, ancora più grave!» insisté
il primo uomo.
«Luigi, basta!»
sbottò Michele, infastidito. «Non
cambierò idea, va bene? Quindi è inutile che tu
insista a farmi la predica!».
Risentito, Luigi gli rivolse un’occhiata
offesa.
«D’accordo, fai come vuoi, ma
sono tre settimane che la cosa va avanti e non so per quanto tempo
ancora potrai resistere. Di questo passo, Prospero ti
romperà tutte le ossa» sottolineò.
«Se anche gli dicessi quello che vuole
sapere, non cambierebbe nulla. Non lo prenderà mai, quel
ladro, perché è molto, molto più abile
di tutti noi» ribatté Michele in tono definitivo,
ed entrambi tacquero.
Decidendo di aver sentito abbastanza Laurence
andò via, desideroso di tornare alla Valle il prima
possibile.
*
«…e così lo sta mettendo sotto torchio
per sapere chi si è introdotto nella sua
biblioteca».
Appena tornato alla Valle, Laurence si era
precipitato da Sofia per raccontarle la conversazione che aveva
origliato.
«Che razza d’idiota»
commentò la ragazza, camminando su e giù per la
stanza con le mani nei capelli. «Perché non gli
dice il mio nome e non la fa finita con questa storia
assurda?»
«Credo tu lo conosca, il
perché» disse Laurence, rivolgendole
un’occhiata penetrante.
«Certo che lo conosco, ma è
da pazzi che debba rimetterci lui!»
«E allora cosa vuoi fare? Andare a
bussare alla porta di Prospero Limardi e dirgli: “Ehilà, salve, sono io
la ladra che cerca con tanta insistenza!”?»
domandò Laurence con la voce intrisa di sarcasmo.
«Ed entrare nella tana del lupo? Mi ci
vorrebbe un miracolo per uscirne… anche
se…». Sofia tacque, soprappensiero.
«Anche se, cosa?»
indagò l’altro, sospettoso.
«Mi hai dato un’idea.
Un’ottima idea, e la metterò in pratica il prima
possibile» rispose la ragazza, spingendolo fuori dalla
stanza. Poi sedette alla scrivania, accese il portatile e
iniziò a delineare con maggior precisione il proprio piano.
*
Dopo due notti passate a studiare informazioni, controllare itinerari e
verificare date, Sofia era pronta. Erano le dieci e trenta: gli allievi
si erano ritirati da un bel pezzo e lei si era chiusa nella propria
stanza, apparentemente a causa di un forte mal di testa. Nabeela,
appollaiata sullo schienale della sedia, osservava la ragazza darsi
un’ultima controllata allo specchio e indossare un soprabito
nero sopra il vestito.
«Che ne dici, Nabeela?»
esclamò Sofia ruotando su se stessa. La Fenice agito la coda
ed emise un versetto tremulo. «Perfetto. E adesso
andiamo» ordinò la ragazza.
*
Di pessimo umore, Prospero stava scolando un drink dietro
l’altro mentre, mollemente abbandonato su una comoda
poltroncina, osservava gli avventori del locale ciarlare a vuoto.
Diverse donne lo guardavano con interesse; un gruppetto di persone
– suoi conoscenti – passando, lo salutò.
«È incredibile il modo in cui
sprecano il loro tempo» notò a bassa voce.
«E quanto siano superficiali».
«Fanno ciò che ci si aspetta
dalle persone ricche o di potere: si mettono in mostra»
replicò una delle sue guardie, anche lui a bassa voce.
«Così pare». In un
solo sorso Prospero vuotò il bicchiere e attirò
l’attenzione di un cameriere con un gesto. «Me ne
porti un altro» ordinò; il cameriere
annuì ossequioso e sparì. Ricomparve un minuto
più tardi, con un bicchiere pieno e una busta da lettere
bianca sul vassoio.
«Per lei, dalla signorina al
bar» mormorò. Senza degnare la lettera di uno
sguardo, Prospero la lanciò sul tavolino e
afferrò il bicchiere.
«Una donna che abborda uomini in un bar?
Audace» ridacchiò una delle guardie. Quello al suo
fianco fece una battuta volgare, scatenando le risate degli altri
cinque.
«Sarà una delle solite
sciocche» commentò Prospero, indifferente.
«Pare che le clienti abituali di questo posto, pur essendo
ricche, manchino completamente di classe e
dignità».
«Non è una nostra cliente.
Nessuno l’ha mai vista prima d’ora» disse
il cameriere.
«Ah no?». La risposta non
richiesta del cameriere aveva suscitato la curiosità di
Prospero. «Qual è la signorina in
questione?» domandò, sporgendosi in avanti e
riprendendo la lettera.
«Quella seduta da sola al bar, signore,
laggiù» rispose l’altro, indicando con
discrezione davanti a sé.
Seguendo la direzione del dito del cameriere,
Prospero allungò il collo tentando di vedere oltre la folla.
Intorno all’elegante bancone del bar si affollavano coppie e
gruppetti di persone che bevevano, chiacchierando allegramente; e
proprio in mezzo a quel bailamme sedeva una donna vestita di nero,
sola. Gli dava le spalle: non se ne vedeva altro che la schiena,
lasciata completamente nuda dalla profonda scollatura
dell’abito che indossava, e una gran massa di capelli
raccolti in cima alla testa. Come se avesse sentito lo sguardo
dell’uomo, la ragazza si voltò e gli rivolse
un’occhiata che lo colpì: sembrava studiarlo con
lo stesso interesse con cui un predatore studi una preda che ancora non
sa di essere caduta in trappola. Era uno sguardo di sfida.
Ipnotizzato da quegli occhi color ambra che gli
sembravano stranamente familiari, Prospero guardò la donna
alzare il bicchiere al suo indirizzo in un tacito brindisi. Dopo averlo
vuotato, scivolò giù dalla sedia:
l’abito aderente e accollato la fasciava come un guanto. Con
la gonna che le arrivava appena sopra il ginocchio e le maniche lunghe,
senza alcun gioiello addosso, contrastava in modo quasi bizzarro con le
altre donne presenti: era come un’ombra sfuggita a ogni
controllo.
Con un’ultima occhiata ironica, la
ragazza afferrò il soprabito e si diresse con passo altero
verso il bagno. Scuotendo la testa, Prospero aprì la busta.
«Sembrava una ragazzina»
commentò una delle guardie.
«È
una ragazzina» replicò Prospero, spiegando il
foglio che aveva in mano e scacciando la strana sensazione di aver
già visto quegli occhi. «Non avrà avuto
più di venticinque anni».
Tutti tacquero mentre l’uomo leggeva la
lettera – che era lunga non più di mezza pagina
– scritta con una grafia minuta. Quando ebbe terminato
scattò in piedi, il volto impallidito dalla collera.
«Andate a prendere quella ragazza. Subito!»
sibilò, stringendo convulsamente il foglio nel pugno.
Obbedendo all’ordine tre delle guardie scattarono verso la
toilette, ma tornarono a mani vuote. Prospero li guardò,
impaziente. «Allora? Dov’è?».
I tre si guardarono l’un
l’altro, a disagio.
«Ecco, lei è…
sparita» ammisero a testa bassa.
«Nessuno sparisce
così!» replicò l’uomo,
furioso.
«A quanto pare, lei
sì» disse uno dei tre uomini.
«C’erano alcune donne, lì. Hanno detto
di averla vista entrare in uno dei bagni e accostare la porta; un
attimo dopo la porta si è aperta e lei…
be’, non c’era più».
Prospero si prese la testa tra le mani.
«Cosa vi pago a fare, mi chiedo? E voi
sareste stati addestrati? Sarà uscita dalla finestra!
Possibile che debba dirvelo io?» li rimbrottò,
incollerito.
«Il bagno non ha finestre» si
giustificò un’altra delle guardie.
«Va bene, ora basta»
sbottò Prospero, dirigendosi a lunghi passi verso
l’uscita. «Stasera voglio chiarire questa faccenda
una volta per tutte» ringhiò.
*
Il trillo del campanello fece sobbalzare i due uomini.
«Ci penso io» disse Luca,
andando alla porta. Non fece in tempo ad aprirla che un drappello di
uomini lo spinse da parte e si fece strada nell’ingresso,
Prospero in testa.
«Signor Limardi»
salutò Michele, alzandosi a fatica dal divano. «A
cosa devo il piacere?»
«Lo sa benissimo». Tremante di
rabbia, Prospero gli lanciò la lettera che tanto
l’aveva turbato. Dopo averla letta, Michele non
riuscì a trattenere un sorriso.
«Lo trova divertente,
Toreggiani?» ruggì Prospero.
«Molto, in effetti.
Gliel’avevo detto, che non sarebbe riuscito a
prenderla» replicò l’altro con aria
compiaciuta, restituendogli la lettera.
«La sta aiutando, Toreggiani»
sibilò l’altro. «Altrimenti come avrebbe
potuto sapere dove trovarmi?»
«Sofia è piena di risorse.
Non ha bisogno del mio aiuto, e in ogni caso non l’ho vista
né sentita» replicò Michele. Prospero
sbuffò, incredulo.
«Non si aspetterà che io ci
creda!» disse.
Luca s’intromise. «Signor
Limardi, sono rimasto con mio fratello dalle cinque di questo
pomeriggio e le posso garantire che da quel momento non ha visto
né sentito nessuno» disse con sguardo duro.
«Potrebbe aver telefonato»
insisté Prospero, guardando torvo Michele.
«Non l’ho fatto»
«Non ci credo»
«Allora controlli»
ribatté sfrontato Michele.
«Lo farò» rispose
Prospero in tono definitivo. Con un cenno richiamò i suoi
uomini e uscì spedito dall’appartamento. La porta
sbatté dietro di loro e nel salotto rimasero solo i due
fratelli, uno divertito, l’altro confuso.
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