Nessuna festa è poi tanto male, se con te ci sono le persone giuste di LysL (/viewuser.php?uid=101833)
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Nessuna
festa è poi tanto male, se con te ci sono le persone giuste
{Corazon}{Child!Law}
«A tutti i bambini piace Halloween!», non ai Mostri
Bianchi
Trafalgar
Law non aveva mai amato le feste. Era una persona solitaria, e
preferiva
passare il tempo in compagnia di un bel libro scientifico, o a testare
sul
campo, dissezionando rane e qualunque altra cosa gli capitasse tra le
mani; le
feste erano rumorose, caotiche, il chiacchiericcio gli faceva ronzare
le
orecchie, e le lucine intermittenti delle bancarelle gli procuravano un
mal di
testa perforante.
Però
c’era stato un tempo in cui Law ci andava
comunque, se non per amore
dell’atmosfera gioiosa e calda, allora per poter rendere
felice sua sorella
Lamy. Non sarebbe mai riuscito a sopportare di essere la causa di un
broncio,
amava troppo il sorriso della sua sorellina, anche se non
l’avrebbe ammesso ad
alta voce nemmeno se gliel’avessero chiesto.
Da
tre anni a quella parte, tuttavia, non aveva più partecipato
ad eventi del
genere. Un po’ perché non ne aveva avuta
l’occasione, ma soprattutto perché non
aveva più trovato un motivo per cui valesse la pena farlo.
Qualcuno per cui
valesse la pena farlo.
E
non capiva come si fosse ritrovato con la faccia impiastricciata dei
trucchi di
Cora-san, a camminare tra la folla chiassosa e pressante, con il
suddetto
adulto che gli trotterellava alle calcagna.
Masticò
un’imprecazione, alla vista di Cora-san che si guardava in
giro con gli occhi
spalancati di un bambino, inciampando dappertutto, visto che si
ostinava a
tenere il naso puntato verso le lanternine a forma di pipistrello che
pendevano
tra una casa e l’altra. Era riuscito anche a darsi fuoco due
volte, per
osservare da vicino due grandi zucche spolpate e intagliate in modo da
rappresentare una smorfia ghignante. Ovviamente, era toccato a Law il
compito
di spegnere il fuoco di cui l’altro non s’era
affatto accorto.
In
quel momento l’uomo, vestito per l’occasione da
zombie (particolarmente
credibile, nonostante l’onnipresente giacca di piume nere),
con tanto di
vestiti strappati e pelle cadente, si era fermato di fronte ad un
negozietto di
dolci, e stava pagando un paio di zucche-leccalecca, Law a pochi metri
da lui,
imbronciato come al solito nel suo vestito da vampiro, che comprendeva
anche
canini finti, rivolo di sangue sul mento e un mantello scuro che lo
copriva dal
collo ai piedi come una tenda.
Inutile
dire che se avesse potuto, si sarebbe strappato di dosso quella roba e
se ne
sarebbe andato; anche se non è che avesse proprio un posto
dove andare,
considerato il tipo di vita che facevano lui e Cora-san, tuttavia
ovunque sarebbe
stato meglio di lì. C’era un’aria troppo
festosa e troppi sorrisi.
«Non
provarci nemmeno!»
Law
stava quasi per togliersi i canini di gomma, che lo facevano sbavare e
gli
tenevano la mascella in una posizione innaturale, quando la voce
alterata e
offesa di Corazon lo raggiunse e lo fece paralizzare con la mano a
mezz’aria e
la lingua poggiata alla base di quella roba, pronto già a
fare pressione e
lasciarla cadere sul palmo aperto.
Alzò
lo sguardo, lentamente, sull’uomo, solo per trovarlo con il
labbro inferiore
sporto all’infuori, in un’inconfondibile
espressione corrucciata. Law fece una
smorfia: gli faceva un po’ senso con la faccia tutta verde e
con i pezzi di
carta colorati di rosso appiccicati di sopra, come ferite aperte; era
più
strano del solito, ma restava lo stesso Cora-san di sempre, quindi,
abbassando
di nuovo gli occhi, sputò via la protesi gommosa, che gli
atterrò sulla mano.
«Law!»
lo sentì protestare.
«Mi
danno fastidio.» Rispose allora, prima di cominciare a
camminare verso una zona
meno caotica. E non solo quelli gli davano fastidio. Gli dava fastidio
la
festa, quella roba appiccicosa che Cora-san gli aveva messo sul mento
per
ricreare il sangue, l’odore di zucchero, quello stupido
mantello che non gli
permetteva di muoversi bene e, ultimi ma non ultimi, i sorrisi di
quelle persone.
Non gli trasmettevano alcuna gioia, solo la violenta voglia di spaccare
qualcosa.
La
voce di Corazon gli giungeva ancora alle orecchie, mentre si fermava il
un
vicolo più stretto e buio degli altri, lontano dalla bolgia.
Dei passi pesanti
e il rumore di uno scivolone gli fecero capire che Cora-san gli era
venuto
dietro; non che si aspettasse qualcosa di diverso, quell’uomo
poteva essere
davvero insistente quando voleva.
«Andiamo,
Law! Torniamo di là, altrimenti ci perdiamo tutto il
divertimento.» Fu la prima
sua argomentazione, seguita da uno sguardo implorante che Law aveva
imparato a
riconoscere.
«Umpf.»
Fu invece la monosillabica riposta del ragazzo, ugualmente coordinata
ad una
delle sue solite occhiatacce.
«Ehi!
Guarda, ho comprato anche dei leccalecca!» Glieli
sventolò di fronte al naso,
in un tentativo di provocargli una qualche reazione più
entusiasta.
Law
seguì con lo sguardo il movimento ondulatorio dei dolciumi.
«È una festa, Law!
Devi divertiti!» continuò l’altro,
abbassandosi alla sua altezza, accovacciato.
«Non
mi piace questa festa, allora. E non vedo perché debba
piacermi per forza.» Senza
osare alzare gli occhi, Law ribatté ancora, mentre un
secondo fiotto di rabbia
gli cresceva nel petto. Perché non riusciva semplicemente a
capire e lasciarlo
in pace almeno per una volta?
«A
tutti i bambini piace Halloween!» Esclamò
scandalizzato Corazon. Law strinse i
pugni sotto il mantello, e digrignò i denti. Gli ci volle
tutta la sua forza di
volontà per non tirare un cazzotto in faccia a Cora-san. Lo
sapeva, sapeva
benissimo che lui voleva solo la sua felicità, e che voleva
aiutarlo. Sapeva
che persona buona fosse in realtà Donquijiote Rocinante, ma
in quel momento non
bastava. Lo stava trattando come un bambino
capriccioso, non come individuo, non come sopravvissuto di
Flevance.
Law
alzò finalmente lo sguardo su Corazon. «Io non sono
“tutti i bambini”. “Tutti i
bambini” non hanno visto cadere la propria città
sotto i loro occhi. “Tutti i
bambini” non hanno dovuto far nascondere la propria sorella
dentro un armadio
per paura che la uccidessero, senza riuscire nemmeno a salvarla.
“Tutti i
bambini” non hanno visto la loro mamma e il loro
papà in un lago di sangue, con
i fori dei proiettili sulla schiena. Non sono stati emarginati, temuti,
braccati, trattati come mostri.» non aveva urlato, non aveva
pianto. Si era
ripromesso di non farlo più, non ripensando a quello che era
accaduto. Aveva
pianto troppo e le lacrime non avevano risolto nulla.
Cora-san
restava zitto, fissandolo negli occhi grigi e spenti. Law prese fiato.
«Io non
sono “tutti i bambini”, sono un Mostro Bianco,
Cora-san, fattene una ragione.»
Rimasero
a fissarsi, Law con il volto truccato di bianco, a simulare il pallore
dei
vampiri, sul quale tuttavia si intravedevano ancora le macchie di
bianco
causate dalla malattia; Corazon con le labbra strette in una linea, gli
occhi
ancora fissi in quelli del bambino.
Fu
la seconda volta che Law vide Cora-san piangere. Lente e silenziose
lacrime gli
scorrevano sulle guance, sciogliendo il trucco verde.
Cora-san
cadde sulle ginocchia e il momento dopo aveva chinato la testa, e gli
stava
chiedendo perdono. Ancora.
«Lo
so. Lo so, Law…» Sussurrò, lo sguardo
nuovamente alzato. «Io… Puoi perdonarmi?»
Le
ultime parole furono quasi inudibili.
Law
non sapeva niente di Corazon. Non sapeva quanto si fosse rivisto in
quelle sue
parole, non sapeva quanto avessero in comune, nonostante la differenza
d’età,
di provenienza, di esperienza; però quel pianto muto,
disperato e triste, aveva
sciolto il guscio di rabbia che gli stringeva il petto, e una piccola e
pallida
mano si posò sulle spalle coperte dalle piume, stringendo
debolmente.
«Cora-san…»
sussurrò, per far sì che l’adulto
alzasse gli occhi. Corazon lo fece, frenando
le lacrime, il labbro inferiore tremante stretto tra i denti.
«Ti
perdono, Cora-san.» continuò, le dita che
stringevano la presa sulla spalla.
La
cosa successiva a quelle parole flebili, fu un abbraccio di piume
nere che
odorava di pianto e comprensione, un abbraccio al quale Law si
abbandonò come
non faceva da troppo tempo, permettendosi di essere fragile e lasciando
che gli
altri facessero gli adulti. Fu il ragazzino orfano, che aveva visto
troppo
dolore nella sua breve vita, per quei pochi minuti.
Poi
Corazon si scostò, e gli sorrise, con tutto il trucco
sciolto e pasticciato, ma
gli sorrise, e Law si lasciò prendere la mano, finalmente in
pace e pensando
che forse quella strana e stupida festa di Halloween non doveva essere
poi così
male, se affrontata con la persona giusta al tuo fianco.
Note
dell’autrice:
Salve!
Perché
ho scritto tutto ciò? Non lo so, e in realtà non
credo di volerlo sapere.
Halloween dovrebbe portare caramelle e gggioia e io invece scrivo
queste cose.
Bene.
Però
il prompt era quello che era (Tu che hai inventato questo prompt,
chiunque tu
sia, io ti amo) e io dovevo scriverci qualcosa per forza,
perché quando si
tratta di parlare di un Law bambino io sono sempre in prima linea.
Ringrazio
le ragazze ed il ragazzo (sì, ne abbiamo solo uno per ora)
del gruppo facebook
EFP – Fandom One Piece per aver ideato la challenge, aver
contagiato tutti con
il loro entusiasmo, e per essere così fantasticamente
fantastici ogni singolo
giorno.
Un
grazie speciale va, come sempre, al mio tesoro, alla mia ancora e mia praticamente-beta Zaira, ossia _Lady di
inchiostro_, che ha l’onore (lei
dice,
ma io credo sia più un fardello) di leggere le mie storie in
anteprima, che sopporta
i miei complessi e mi rimprovera e mi dà a ragione della
stupida, ma che riesce
sempre a trovare le parole giuste per tirarmi su ed aiutarmi. Non so
come farei
senza di lei <3
Detto
questo, spero che questa storia sia piaciuta almeno un po’, e
ringrazio
chiunque abbia letto, e spero che vorrete farmi sapere cosa ne pensate
(soprattutto riguardo la caratterizzazione dei personaggi, che sono
incapace di giudicare quando riguarda qualcosa scritto da me).
LysL
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