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LA PRIMA STELLA DELLA SERA
E' il suono familiare di un
cavallo al galoppo quello che interrompe il nostro abbraccio.
Da come si modula lo scalpiccio, e il nitrito, capisco che si
è fermato davanti all'entrata principale.
Lascio la tua mano ma non c'è bisogno che ti chieda di
seguirmi,
so che pensi quello che penso io, e in pochi passi veloci siamo sul
corridoio, affacciati dallo scalone.
Alain sull'attenti sorride alla nonna, che in un angolo tortura il
grembiule tra le sue piccole dita, e poi volge lo sguardo
quassù.
Riferisce a voce alta il dispaccio inviatomi da Dagôut,
fissandomi con quegli occhi irriverenti che ormai conosco bene, e che
ho imparato ad apprezzare, in questi mesi. Quando tace, sento il sangue
martellare nelle tempie, e mi aggrappo alla balaustra.
"Il momento è arrivato, quindi...", mormoro.
Alain socchiude gli occhi, ancora sull'attenti. Ma poi getta
un'occhiata ad André, e vi colgo una sottile allusione, o
forse
è solo un'impressione.
Non ci ha mai visto, in abiti civili.
Forse si stupisce di come sembriamo così simili, io e te,
André. Di come sei al mio fianco, e mi sovrasti in altezza,
vestito al pari mio, e nessuno direbbe che siamo soldati... che tu sei
uno dei miei soldati. E ha ragione. Perché adesso siamo solo
un uomo e una donna, André.
Un uomo e una donna che si amano.
Domattina alle 8 il Reggimento B è comandato a Parigi e
affiancherà la milizia nazionale.
Il dispaccio è conciso e chiarissimo.
E se arrivasse l'ordine di sparare sulla folla...
"Riferisci che rientrerò in caserma domattina, Alain. E
tranquillizza i tuoi compagni".
Porta la mano alla fronte, un ultimo guizzo i suoi occhi scuri sul
volto di André, e sparisce dall'ingresso.
"Domattina, all'alba, lasceremo questa casa".
Mi volto verso di te. Ora che una voragine si è aperta sotto
di me ho bisogno che tu mi tenga stretta, André.
E lo fai, afferrandomi il polso.
"Vieni".
Ti seguo senza parlare.
Come da bambini, corriamo per i lunghi corridoi di questa casa antica.
Ne conosciamo ogni passaggio segreto, ogni gradino, ogni cunicolo, ogni
stanza.
Vorrei chiederti del tuo occhio, ma ti muovi così sicuro e
veloce, nella penombra, che non oso farti domande.
Anche perché mi mentiresti, come tuo solito, solo per farmi
stare tranquilla.
"Attenta, qui", mi avverti.
Non ce n'è bisogno in verità, ricordo questo
punto, dove il soffitto si
abbassa, e una piccola scala porta a un'ala della casa abbandonata da
tempo, e mai restaurata.
Ci venivamo spesso da bambini, a mangiare biscotti prima, a leggere
poi, e spesso a guardare le stelle di notte, dal piccolo balcone con il
parapetto semicrollato che da quassù incatena la
vista sulla tenuta dei Jarjayes.
Lo sguardo scivola sulla poca mobilia coperta da teli ingialliti dal
tempo, e poi si ferma su un involto appoggiato in un angolo.
Mi fai un cenno con la mano e ti aiuto. Ridi un po', e il suono della
tua risata mi illumina il volto, che immagino molto pallido.
Prego perché tu non ti accorga che non mi sento affatto bene.
La corsa di poco fa mi ha tolto il respiro. Il petto brucia e sento che
...
Maledizione...
Mi trattengo finché posso, ma poi esplodo in un accesso di
tosse, rapida a darti la schiena, una mano appoggiata alla parete, e
una manica premuta contro la bocca.
La tua voce mi invoca allarmata, mi cingi le spalle, non voglio che
guardi... non voglio che tu sappia.
Quando l'attacco finisce, mi accorgo che mi stai sostenendo
completamente tu.
Ingoio il sangue rimasto sulla punta della lingua, il sapore ferroso mi
disgusta, ma ormai ci ho quasi fatto l'abitudine.
"Oscar, dimmi che succede".
Il tono è imperioso e spaventato al contempo. Scrollo la
testa,
cerco di sorridere, arrotolo con la mano libera la manica striata di
saliva rossastra, e nego.
"Deve essere stata la polvere...". In effetti
c'era polvere nel telo che abbiamo tolto dal nostro
tappeto, e
altrettanta si è sollevata quando lo hai fatto cadere in
terra, per srotolarlo. Vedo che lo hai sistemato come facevamo da
bambini, per guardare il cielo stellato seduti vicini.
"E da quando in qua la polvere ti dà fastidio?" ribatti.
Cosa vuoi sentirti dire André? Che sono malata? Che il
dottor Lassonne mi ha concesso pochi mesi di vita?
Non posso... non posso proprio farti questo.
Non sei l'unico ad avere dei segreti.
Voglio tenere la tristezza lontana da noi, questa sera.
Fare finta che tu ci veda benissimo, che io sia sanissima, e che a
Parigi domani nessuno sparerà.
Apri la portafinestra, e l'aria calda di questa sera estiva invade la
stanza.
Trascini il tappeto verso la soglia del balconcino e poi mi aiuti a
sedermi. E' soffice, raduno le ginocchia al petto, e tu ti accomodi
accanto a me, una gamba piegata e l'altra stesa, come fossimo
su
un prato.
I grilli hanno iniziato le loro canzoni, e il rosso del tramonto si
è fatto cupo e violaceo. Da qui si coglie una buona porzione
di
cielo. Da bambini avevamo imparato a memoria la posizione delle
costellazioni. Ci piaceva molto osservare le stelle.
"Come ti è venuto in mente questo posto?" ti chiedo.
La calma della sera pacifica anche il mio cuore. E' così
tanto che non parliamo io e te, vicini tanto da sfiorarci.
"Qui non ci cercherà nessuno", rispondi. Ed è
vero. E'
tutt'ora una parte del palazzo che mio padre reputa proibita.
La tua malizia mi sorprende piacevolmente. Sei ancora
l'André
ragazzino, furbetto e calcolatore che la faceva in barba a tutto il
palazzo, nonnina e Generale compresi.
"E poi, questo posto parla di noi", aggiungi.
La dolcezza della tua voce mi risplende fin nelle viscere. Cerco la tua
mano, e tu mi stringi a te, la testa posata
sulla tua spalla.
Guardo incantata il cielo che ha indossato ormai quasi del tutto la sua
veste notturna, intarsiata di piccoli diamanti.
Uno su tutti spicca per la sua fissità, noi lo conosciamo
bene.
"Vedo la prima stella della sera, André!". La mia voce
risuona
di un entusiasmo infantile, perché da piccoli facevamo a
gara a
chi la individuava per primo.
Mi volto verso di te, quasi con l'intenzione di indicartela, pur
sapendo che nemmeno distingui bene la mia figura
così
vicino alla tua.
E mi blocco.
Mi stai guardando, non so da quanto tempo. Il tuo sguardo è
denso e profondo come il buio che dilaga oltre questo balcone.
Mi turba profondamente, eppure non sono a disagio.
La tua mano raggiunge il mio viso, mentre continui a fissarmi,
scivolando da una pupilla all'altra, indugiando sulle mie labbra
dischiuse, e tornando poi ai miei occhi.
"Sei tu la mia stella, Oscar", sussurri.
Rido del complimento galante che ti è uscito dalle labbra,
una
risata un po' nervosa, che già vibra del desiderio che provo
per
te.
E mi baci di nuovo, mentre mi dici che sono il tuo sole, la tua vita, e
tutto ciò che hai.
Sono tutto ciò che hai.
Il tuo bacio ha perso la delicatezza che avevo conosciuto nel salone.
Si è fatto più profondo, mi spinge contro questo
tappeto.
Accarezzo la tua nuca, le spalle, sento la tensione dei muscoli delle
tue braccia sotto alle dita, e scalzo a piccoli strattoni la tua
camicia, perché è il contatto con la tua pelle
che cerco.
Non ti aspettavi che lo facessi, ti stacchi dalle mie labbra, e mi
osservi, con un'espressione quasi rapita.
Voglio essere tua in questa notte che sembra appesa a un filo sottile,
perso chissà dove nell'universo.
"Ti amo così tanto".
E' l'unica cosa che riesco a dire, mentre ti attiro a me.
La luna si è alzata sull'orizzonte, seguendo la sua curva
siderale.
La sua luce è poco più di un velo di latte
adagiato sui profili dei nostri corpi.
Sdraiati fianco a fianco,
sento l'aria tiepida della notte sulla pelle sudata
e la mia mano accarezza la tua schiena, in un gesto gemello del tuo.
La tua voce è poco più di un bisbiglio, che
solletica le
mie labbra, e restiamo così, a guardarci, gli occhi a tratti
socchiusi.
Rido contro la tua bocca per le piccole verità che l'amore
ci fa dire, e che mi suonano dolci e ardite insieme.
Respiro l'amore infinito che hai per me.
Ci sono sensazioni che non si possono descrivere, ma solo vivere. E io
le ho vissute, con te.
Dov'eravamo fino a oggi, André?
Avremmo potuto essere felici già tanto tempo fa.
Non è importante, mi rassicuri. Siamo sempre stati indivisibili.
Ora lo saremo ancora di più.
Ed è fragile il confine tra di noi, così sottile
e
indistinto ... che lo abbiamo già annullato ... di nuovo.
Basta che la tua bocca si fonda con la mia. E' un gioco
morbido, sempre più intenso e poi...
le tue mani ...
sfiorano
accarezzano
stringono
scendono
si insinuano
scivolano
si allacciano, umide, alle mie...
... e poi...
Oh, André... non fermarti...
non...
Ti voglio dentro di me
voglio la tenerezza con cui scioglierai anche l'ultimo dolore
voglio la tua forza e il tuo ardore
voglio conoscere il tuo sapore nella mia bocca
voglio perdermi nella tua voce che gode di me
voglio il calore del tuo seme che esplode nel mio ventre
e bruciare anche io, stavolta, insieme a te.
Io mi sento viva. Io voglio vivere. Per te.