Capitolo
12: Bentornati.
C'è
qualche cosa di tranquillizzante nell'alba. Forse il silenzio che
segue la notte, lo stiracchiarsi sonnacchioso di ogni finestra che si
sveglia per vivere un nuovo giorno.
Quell'alba,
per Edith, segnava l'inizio di una nuova giornata, difficile, ma
comunque un nuovo giorno ancora da vivere con sua madre.
Camminando
per le strade silenziose, Edith, teneva il bavero della giacca,
mentre una silenziosa Liverpool Street cominciava a riempirsi di
pendolari, uomini d'affari e gente di ogni tipo che si apprestava ad
iniziare una nuova giornata lavorativa. Entrò in uno dei tanti
coffee shop che stavano aprendo e prese un caffè nero
bollente. Si mise a sedere su di un tavolo e si guardò intorno
con aria persa, pensando a tutto e non pensando realmente a niente.
Quella
notte era stata lunghissima. Sua madre era stata molto male e i
dottori erano stati altrettanto realistici: non le rimaneva molto da
vivere. Alternandosi al suo capezzale, tutti e tre figli e il marito
avevano vegliato su di lei, che ignara dormiva beata. E nei momenti
di silenzio, quando Edith rimase a guardare la madre, sciupata,
coperta dal lenzuolo bianco sentì dentro di sé aprirsi
un baratro che la stava separando dal resto del mondo e che aveva
creato un muro invisibile che la divideva anche da quelle persone che
consumavano allegre la loro colazione in quel momento che era lontana
dal reparto di oncologia dove sua madre era ricoverata.
Si
stava guardando attorno, chiedendosi se fosse il caso di chiamare o
no Rachel quando la sua attenzione venne attirata da una rivista
patinata, con sopra una foto di Orlando che stava stretto ad una
ragazza slavata, che sembrava una piccola Barbie Malibù. Ci
volle qualche secondo perché riuscisse a capire quello che gli
occhi le stavano proponendo. La sua testa cercò di formulare
pensieri riguardanti il fatto che fossero appena le sette del
mattino, che lei non avesse dormito abbastanza, che la stanchezza le
stesse giocando brutti scherzi, prima che la rabbia prendesse il
sopravvento, ma fu inutile: l'immagine rimase dov'era e la rabbia
stava cominciando a salire lentamente, strisciante come una serpe.
Guardò,
cercando di non essere troppo invadente, il giornale dell'avventore
sconosciuto e dovette arrendersi all'evidenza: Orlando stava con
un'altra. Un'altra molto alta, molto bella e molto simile a Kate, tra
l'altro, molto più di quanto lo erano state lei e Miranda.
Sentì
l'aria mancarle, la testa girare e le mani tremare.
Cosa
le stava succedendo?
Boccheggiando
si sollevò in piedi, di scatto -facendo voltare alcuni
avventori che le riservarono uno sguardo risentito- e uscì dal
locale a passo svelto, tenendo tra le mani il suo caffè che
inerte non poteva far altro che sciaguattare contro le pareti della
tazza di plastica ad ogni passo della sua incauta padrona.
Non
sapeva cosa fare. Sapeva che i suoi piedi la stavano guidando contro
la sua volontà e la sua testa stava frullando pensieri non
proprio carini su Orlando e sulla sua nuova compagna. Si sentiva
tradita, senza capire perché.
Si
sentiva ferita. E questo la spaventava.
Entrò
nel primo off licence disponibile senza nemmeno sapere come ci fosse
arrivata e si tuffò tra i giornali, cercando la conferma di
quello che aveva visto solo qualche istante prima. Ci volle poco
perché si rendesse conto, con suo grande stupore, che un po'
tutti avevano in prima pagina quella dannatissima foto.
Ne
agguantò un paio e si mise a sfogliarli con forza, cercando
gli articoli. Voleva sapere il nome di quella donna. Voleva sapere
come e perché Orlando si fosse dimenticato di avvisarla di
questo piccolo dettaglio.
Stava
cercando su di un articolo il nome della bionda quando una zaffata di
curry e di chissà Dio cos'altro la investì e chiudendo
gli occhi disgustata si voltò e guardò un uomo che
divertito la guardava masticando solo lui sapeva cosa.
“Tu
legge, tu compra!”
Edith
sollevò un sopracciglio e l'uomo, pensando che non l'avesse
capita, ripeté più lentamente:
“Tu
legge mie giornali. Tu compra mie giornali!”
Edith
si trattenne dal gridare a quel perfetto sconosciuto quanto fosse
idiota e prendendo un grosso respiro disse, porgendole i giornali:
“Li
prendo tutti” e dirigendosi alla cassa prese il borsellino e
pagò l'importo chiedendo una busta dove infilare tutte quelle
riviste.
Quando
uscì dall'off licence, Edith si sentì un'idiota.
Erano
anni, secoli che non comprava una rivista patinata. L'ultima l'aveva
comperata per vedere la faccia di Joanna Kelly, la ragazza di Mark
Owen dei Take That. E dopo aver notato che non era butterata e che
non presentava niente di terribile ed al contrario era bella e
sembrava pure simpatica, Edith buttò sconsolata nella
spazzatura la rivista assieme al suo sogno di diventare la signora
Owen.
Comperare
quindi una di quelle riviste e cercare la foto dell'uomo che non solo
aveva condiviso con lei il letto, la casa e la vita per tanto tempo,
ma era anche il padre dei suoi figli la faceva sentire una perfetta
deficiente, oltre che una pazza stalker senza speranze che spiava il
suo idolo tra una pagina e l'altra di qualche rotocalco.
Camminò
a passo spedito verso l'ospedale. Entrò e prese quasi subito
l'ascensore. Il caffè dentro la sua tazza di plastica si era
ormai raffreddato, ma ad Edith non importava. Voleva solo ed
esclusivamente vedere quelle dannatissime foto.
Lasciò
che le porte si aprissero davanti a lei. Saltò fuori
dall'ascensore senza nemmeno guardare chi della sua famiglia,
preoccupato nel vederla in quelle condizioni, si era avvicinato a lei
chiedendole perché fosse così sconvolta, Edith si mise
a sedere in un angolo e lesse l'articolo della prima rivista che le
era capitata tra le mani.
ORLANDO
BLOOM E LA SUA NUOVA FIDANZATA NELLA BELLISSIMA ESTATE NEWYORKESE.
NEW
YORK: A quanto pare Orlando
ci ha messo davvero poco a mettere in archivio il suo divorzio con
Miranda Kerr e i continui rifiuti della sua ex Edith Norton. E lo fa
alla luce del sole di una calda estate newyorkese.
L'attore,
che sta lavorando nella Grande Mela alla preparazione dello
spettacolo di Broadway che lo vede vestire i panni di Romeo
nell'adattamento teatrale della celebre opera di Shakespeare, a
quanto pare non ha perso tempo per mettersi il cuore in pace. E lo ha
fatto con una ragazza di cui ancora non si conosce il nome.
Il
tutto alla luce del sole e di molti riflettori.
“Orlando
ha sofferto molto. Prima la separazione con Edith. Poi quella con
Miranda. Penso che abbia davvero bisogno di un po' di tranquillità!”
dice una persona molto vicina all'attore di Canterbury.
“Con
lei Orlando sta trovando la pace che merita. Spero davvero che questa
sia la donna giusta!”
A
quanto pare Orlando pensa lo stesso visto che ha deciso di non
nascondersi più...
Edith
sbuffò infastidita. Era una giornalista e sapeva quando un
articolo era montato ad arte su delle foto compromettenti. Non era
successo lo stesso quando Brian e Felton avevano messo su un teatrino
mica male inventandosi chissà quale storia di tradimenti e di
sesso quando lei e Orlando erano usciti assieme solo come amici?
Sentendosi
ancora di più una stupida, Edith prese un'altra rivista e non
notò alcuna differenza con la precedente, a parte qualche
riquadro dove era ritrattata lei che camminava da sola e sotto
qualche didascalia di cattivo gusto che la dava triste ed affranta
per la nuova relazione di Orlando.
Ma
il peggio lo si toccò con l'ultima rivista che oltre quella
incriminata aveva deciso di mettere in campo un po' tutte le foto che
avevano costellato gli ultimi mesi di vita di Edith e di Orlando,
annessi e concessi tutti gli altri protagonisti consapevoli e no di
quel rondò.
I
LOVE YOU YES. I LOVE YOU NOT. TUTTI GLI AMORI DI EDITH NORTON.
LONDRA:
La giornalista stroncacarriere, Edith Norton, ora direttrice del
Guardian UK, non se la passa affatto bene. A quanto pare Orlando
Bloom (foto 1,4,6), ex della Norton, nonostante abbia divorziato da
pochissimo con Miranda Kerr (foto 6 e 9), rivale della bionda ed
eterea giornalista, non ha esitato a rimpiazzare la giovane
giornalista con una donna più giovane e decisamente più
hot.
“Orlando
ama molto Cheryl. Si sono conosciuti quando lui è arrivato a
New York qualche tempo fa e d'allora fanno coppia fissa!” dice
una persona molto amica della coppia.
Ma
le cose per la Norton sembrano peggiorare sempre più. Jude Law
(foto 2,5,7) ha chiesto il divorzio dalla giornalista e non sembra
averla presa poi tanto male. Al contrario si sta dando alla bella
vita: esce ogni sera e frequenta una donna differente almeno ogni
settimana. Chi lo conosce dice di non averlo mai visto più
felice e tranquillo in vita sua.
“Edith
ha ferito parecchio Jude. È stata molto meschina nei suoi
confronti. E il motivo lo sapete tutti!” dice un grande amico
dell'attore.
Il
motivo di sicuro è da ricongiungere alla nascita di David
Bloom (foto 10, assieme alla sorella Ella Bloom, anche lei figlia
dell'attore Orlando Bloom), già Law, che l'attore aveva
riconosciuto come suo nonostante fosse figlio del suo rivale Orlando.
Una
storia degna da romanzo di appendice visto che a complicare le cose
si è messo il terzo incomodo: Gerard Butler (foto 3,8).
Gerard, che ha lavorato con Edith prima che lei decidesse di tornare
a Londra per seguire meglio la redazione del Guardian, a detta di
molti è diventato un grandissimo amico di Edith. Talmente
tanto che si pensa siano diventati qualcosa di più che
semplici amici.
Ma
a quanto pare, anche l'amore con Butler sembra destinato a risolversi
in un nulla di fatto. Infatti, la gelosissima e bellissima fidanzata
dell'attore scozzese, Madalina Ghenea, ha deciso di raggiungere il
bel Gerard sul set e come attestano le foto del prossimo articolo,
sono innamorati più che mai.
C'è
chi parla addirittura di matrimonio imminente!
Stanca
di leggere altro, Edith chiuse il giornale e poggiò la testa
al muro, sospirando e chiudendo gli occhi. Si sentiva stanca e
frustrata: non bastava quello che stava succedendo a sua madre, ci
voleva anche quella dannatissima foto.
Orlando,
Jude e Gerard avevano tutto il diritto di vivere la loro vita come e
con chi volevano, ma i giornali non potevano stravolgere la sua.
Bastava quello che faceva lei da autodidatta a renderla più
dura di quello che doveva essere.
Sentì
qualcuno sedersi vicino a lei e aprendo gli occhi vide suo padre.
Era
stanco e sotto gli occhi aveva due profonde occhiaie scure. Edith non
lo aveva mai visto così.
“Sei
entrata come una furia poco fa, che è successo?”
Edith
sospirò e indicò con lo sguardo le riviste che stavano
sulle sue gambe. Il padre ne prese una e osservandola con attenzione,
disse:
“Ti
ho sempre detto che non dovevi lasciare Jude. Quello è un
bravo ragazzo!”
Edith
sorrise sarcastica e sistemandosi nella sedia, disse:
“Credi?
Apri a pagina 4!”
Il
padre fece come ordinato e guardò in silenzio le foto. E
ridando il giornale alla figlia disse:
“Ma
per quale motivo non ti sei sposata con Martin McFly?”
Edith
si voltò verso il padre e sollevando un sopracciglio rispose:
“A
parte che il suo nome mi ricordava il protagonista di 'Ritorno al
Futuro'...”
“Ma
tu lo adoravi!” intervenne il padre.
“Il
film, indubbiamente!” precisò Edith. “Ma non amavo
la faccia del tuo prediletto. Sembrava un quadro di Picasso, papà!”
I
due risero. E Patrick, sistemandosi nella sedia, guardò la
figlia e le domandò:
“Cosa
ti ha ferita?”
Edith
sollevò le sopracciglia ripetendosi mentalmente quella stessa
domanda.
Cosa
l'aveva ferita?
Le
foto di Jude che viveva la sua vita come se lei e la loro storia non
fossero mai esistite?
No.
Le
foto di Gerard che abbracciava Madalina mostrando al mondo il suo
amore?
No.
Le
foto di Orlando che aveva trovato un'altra donna?
Uno
strano fastidio alla bocca dello stomaco fece salire alla bocca una
strana sensazione di amaro e improvvisamente gli occhi cominciarono a
prudere pericolosamente ai lati.
Sì!
Le dava fastidio quello.
“Se
ami Orlando... O Jude... O qualcun altro... Ti do un consiglio. Poi
vedi tu se seguirlo o no. Ok?” disse Patrick bloccando il
flusso di pensieri della giornalista.
Edith
non disse niente e Patrick continuò:
“Se
ami qualcuno diglielo. Non aspettare. Non fare il mio stesso errore
che mi trovo fuori da una stanza di ospedale aspettando che tua madre
mi dica di entrare. Aspettando che quel poco che le rimane da vivere
lei lo voglia vivere con me... Se ami un uomo faglielo capire.
Bacialo quando meno se lo aspetta. Fagli capire che per te è
la cosa più importante!”
“E
se quella persona mi dovesse respingere?” domandò Edith
seria.
“Se
ti ama davvero non lo farà. Chi ti respinge non ti ama o non
prova il tuo stesso sentimento! Quando succederà saprai che è
arrivato il momento di andare avanti!”rispose Patrick con
dolcezza.
Edith
sospirò e pensò a tutto quello che era successo. Aveva
voglia di chiudersi in casa e piangere. Tanto. Abbandonata nel divano
buttare fuori tutto quel dolore, quel disprezzo, quella rabbia che
sentiva contro il mondo, contro Orlando, contro Jude e contro se
stessa.
“Se
poi la persona che ti respinge lo fa per altri motivi... Lotta. Come
sto lottando io con tua madre!”
Edith
sorrise e abbracciò il padre.
Aveva
gli occhi pericolosamente lucidi, ma in quel momento sapeva che
l'unica cosa che davvero voleva era stare tra le braccia dell'unico
uomo che per tutta la sua infanzia l'aveva protetta. E anche se alle
volte non si erano capiti, si erano gridati contro, alla fine si
erano sempre ritrovati e suo padre era tornato ad essere l'unico
capace di capirla come mai nessuno era riuscito a fare.
E
dentro quell'abbraccio, per la prima volta da tanto tempo, Edith si
sentì finalmente protetta.
A
casa.
Robin
sbuffò infastidita guardando Orlando torva.
“Quando
volevi dirmi che tu e questa gallina senza cervello state assieme?”
Orlando
sbuffò passando una mano tra i capelli e rispose, stringendosi
nelle spalle:
“Non
ti ho detto niente perché io e quella gallina senza cervello
non stiamo assieme, ecco tutto!”
Robin
annuì e mostrando il giornale che aveva tra le mani, disse:
“E
questo? Cos'è?”
Orlando
guardò la foto che c'era sul giornale e disse:
“Ti
farai venire un'emorragia nasale se continui così!”
Gli
occhi di Robin si dilatarono e sollevando il giornale per mostrare
meglio la foto, disse:
“Tu
lo sai che non mi frega un cazzo di chi usi o chi non usi per
svuotarti le palle, Orlando. Quello che io devo fare è
proteggere la tua immagine e se fai cazzate simili io non posso far
altro che prenderne atto e dirti che se lo rifai il nostro rapporto
lavorativo si conclude così!”
Orlando
la guardò e lo fece con uno sguardo speranzoso. Sapeva che se
Robin non ci fosse stata nella sua vita molti dei casini che si erano
venuti a creare non si sarebbero presentati. Robin aveva la capacità
di mettere in discussione ogni sua decisione e di scombinare ogni suo
lavoro. Era stata lei quella che aveva architettato tutto quel
teatrino sul matrimonio ai Caraibi, segreto e senza foto. Perfino
John, il suo migliore amico, si era davvero arrabbiato quando aveva
scoperto quello che aveva fatto.
Ma
si trattenne perché lavorare ad Hollywood senza un agente era
davvero una pazzia.
“Robin...
Non dire cazzate!” replicò fingendosi risentito Orlando.
“Allora
fammi il grosso piacere di non farne tu di stronzate, OB! Sono stanca
di correre da una parte all'altra mettendo a posto i casini che
combini!” sentenziò Robin seria.
Orlando
guardò da un'altra parte. Se si voleva parlare di casini,
Orlando stava cercando disperatamente di mettere a posto quelli che
aveva fatto lei.
“OB!
Io capisco che stai passando un brutto periodo!” continuò
Robin con fare materno, anche se Orlando non poteva pensare che fosse
sempre più simile ad un rapace: “Io voglio davvero che
tu sia felice, ma non puoi esserlo se continui a comportarti così!”
Orlando
la guardò sollevando entrambe le sopracciglia e Robin
continuò:
“So
cosa è stato per te la separazione con Miranda. E so cosa vuol
dire per te avere tre figli e non poterne crescere nemmeno uno. Ma
sai quanto potresti guadagnarci da questa storia?”
“Robin
ti ho detto mille volte di tenere fuori miei figli dai tuoi piani!”
replicò Orlando con la voce talmente bassa e minacciosa che
lui stesso si chiese come Robin non stesse scappando a gambe levate.
“Invece
servirebbe. Un bel serivizio fotografico con Ella, Flynn e David,
mettendo in risalto la storia del secondo figlio che hai avuto con la
Norton. Sai come ne guadagnerebbe la tua immagine? Tradito dalle
donne che ami! Con un figlio che ancora fatichi a sentire tuo...”
Quella
fu la goccia che fece traboccare il vaso. Orlando puntò un
dito contro Robin e alzando la voce, facendosi pericolosamente
vicino, disse:
“Non
ti permetterai mai, mai e ripeto, mai, di mettere mio figlio David o
gli altri due su di una copertina di un giornale per farmi e farti
pubblicità. Loro non c'entrano niente e non voglio, davvero
che tu li metta in mezzo. Ho già problemi a guardarmi allo
specchio la mattina per quello che mi hai costretto a fare, non penso
che ci voglia anche questa a peggiorare la situazione!”
Robin
guardò Orlando stupita. Ma lo stupore durò solo qualche
secondo. Sorrise spostando i capelli dietro l'orecchio e seria disse:
“Cerco
di toglierti dalle scatole quella gallinella bionda!” e
allontanandosi aggiunse: “E mi raccomando. Cerca di non fare
casini mentre io non ci sono!” e lasciò Orlando che
ancora tremava di rabbia guardandola allontanarsi.
Edith
stava seduta nella corsia dell'ospedale.
Si
era fatto molto tardi e Paul, Emma e suo padre erano andati a casa:
chi per passare un po' di tempo con i propri figli, chi perché
troppo stanco.
Da
quello che avevano detto i dottori, Eloise doveva stare sotto
osservazione ancora per tutta la notte e poi l'avrebbero rimandata a
casa il giorno dopo.
Si
sentiva stanca.
Dentro
di sé qualche cosa si era irrimediabilmente spezzato e la
malattia della madre era la causa principale di quella rottura.
Da
quella mattina le foto di Orlando che si baciava con un'altra si
erano come ridimensionate e la rabbia era diventata un fastidio
persistente piazzato come una spina nel cuore, ma non doloroso come
vedere sua madre sdraiata su di un letto, inerme, piccola e bianca,
più magra e sciupata di quanto la ricordava.
In
quel momento si rese conto che sua madre era la cosa più
importante in quel momento. Lei e il tempo da vivere con lei.
Seduta
su di una sedia nel corridoio, con la testa poggiata contro il muro,
Edith stava guardando una luce a neon che lampeggiava con un leggero
ronzio, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Si
voltò e vide sua zia Maggie che la guardava con un sorriso
dolce.
“Sei
distrutta!” le disse piano.
Edith
annuì passò una mano sul viso e Maggie le chiese:
“Non
pensi che sia ora di andare a casa?”
“Volevo
stare ancora un po' con la mamma!” replicò Edith con un
sospiro.
Maggie
annuì e disse:
“Lo
so che adesso il tuo corpo è pronto ad affrontare qualsiasi
cosa e immagino che tu voglia passare con tua madre tutto il tempo
che puoi. Ma ti devo dare un consiglio. Non esagerare. Perché
quando sarà il momento in cui la tua presenza sarà
essenziale dovrai davvero essere in forma. E se vuoi esserlo non devi
fiaccarti già da adesso!”
Edith
guardò la zia e sentì un moto di gratitudine nei
confronti della donna. L'abbracciò grata e prima di alzarsi,
sistemando la borsetta, disse:
“Mi
chiamerai se ci sarà bisogno?”
“Certo!”
disse Maggie con un sorriso dolce.
Edith
annuì.
Solo
in quel momento si rese conto che aveva davvero bisogno di casa sua,
di una doccia, di qualcosa di caldo e forte e del suo letto. E in
quell'ordine. E aveva un disperato bisogno di piangere e liberarsi
dal peso di quella giornata.
“Grazie!”
sussurrò prima di andare.
Maggie
sorrise e indicando la camera replicò:
“Vai
a salutare tua madre, corri!”
C'è
un silenzio raccolto in alcune corsie.
In
silenzio che sembra quasi il preambolo di quello che deve accadere.
Edith
sentiva piombarle addosso troppe cose in quella corsia d'ospedale:
l'odore della malattia che si mischiava ai medicinali e quel silenzio
che le faceva ronzare le orecchie, le faceva scoppiare il cuore.
Entrò
nella stanza di sua madre in un silenzio raccolto, socchiudendo
appena la porta e intrufolandosi come un ospite che inatteso arriva
all'ultimo momento e cerca di non far rumore per non disturbare.
Eloise,
che sveglia guardava fuori dalla finestra si voltò e puntò
gli occhi dentro quelli della figlia. Lo stesso colore contro lo
stesso colore. La stessa forma contro la stessa forma.
Edith
sentì il cuore perdere un battito guardando la madre stesa sul
letto.
Quello
che era successo le era caduto addosso con la pesantezza di un
macigno già ore prima. Ormai si stava lentamente arrendendo
all'inevitabile ma nonostante questo la consapevolezza non era meno
dolorosa. Dentro di lei qualche meccanismo si era rotto e perdeva
riempendole il cuore di una tristezza che non aveva mai provato: una
tristezza fatta di rassegnazione e di incapacità, quella di
reagire. Sapeva che stava perdendo sua madre, sapeva di non poter far
niente, che doveva rassegnarsi in qualche modo a quello che stava
succedendo, prepararsi al peggio insomma, proprio come aveva detto
sua zia Maggie, ma non ci riusciva. Quella tristezza, come il cancro
che aveva colpito Eloise, si stava diffondendo silenziosamente e non
lasciava una sola fibra del suo corpo libera.
“Ciao”
sussurrò Eloise con un sorriso tirato.
Edith
trattenne a stento le lacrime e sorridendo con voce rotta rispose:
“Ciao
guerriera!”
Eloise
sorrise ancora. Edith sapeva che anche quello per lei era un sforzo
immane e voleva gridarle di non farlo, ma sapeva che se lo avesse
detto Eloise avrebbe cominciato a spegnersi lentamente e nello stesso
modo se ne sarebbe andata via, con il solo dolore come compagno.
Eloise
sospirò e scuotendo la testa, con quel debole stiracchiato
sorriso stampato sulle labbra, disse:
“Edith
Isabel Norton... Ti conosco da quando sei nata e so che stai cercando
di fare la donna forte. Lo hai sempre fatto...” e battendo la
mano sul letto con la voce ridotta ad un soffio aggiunse: “Vieni
qua. Vicino alla mamma” e fece un po' di spazio.
Edith
fece come ordinato e si mise nel letto con lei.
Le
due si abbracciarono. E in un attimo la mente di Edith volò e
mille ricordi la pervasero: quante volte aveva fatto lo stesso nel
grande letto king size di casa Norton? Quante volte la mamma l'aveva
rassicurata quando il buio sembrava solo un covo pieno di mostri
assassini?
Lente
e silenziose le lacrime cominciarono a scendere uno dopo l'altra,
scivolando come biglie senza l'anima colorata sul viso di Edith,
andando a morire sul cuscino bianco e privo di consistenza
dell'ospedale.
Eloise
allungò la mano dove avevano messo l'ago cannula e accarezzò
i capelli della figlia. Sospirò appena e disse:
“Ti
ricordi quando eri piccola e mi chiamavi in camera tua perché
avevi fatto un brutto sogno?”
Edith
tirò su col naso e annuì senza aggiungere altro ed
Eloise continuò:
“Ricordi
che mi chiedevi sempre di cantarti la tua ninna nanna!”
Edith
annuì trattenendo un grido di dolore che si era piantato tra
lo sterno e la gola.
Eloise
fece finta di non rendersi conto delle lacrime di Edith che
scendevano più veloci. Cercò di non pensare alla paura,
al dolore e sospirando di nuovo, dolcemente intonò:
“Twinkle,
twinkle, little star
twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
Edith
sentì il cuore spezzarsi sotto il peso di quelle parole.
Poteva la stessa ninna nanna che cantava ai suoi due figli farle così
male?
“Up
above the world so high,
like
a diamond in the sky.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
Eppure
era ferma lì, le membra come la pietra che non riuscivano a
muoversi, la gola chiusa, serrata da quel grido di dolore, le mani
che tremavano impercettibilmente. E la voce roca di sua madre, ma
così dolorosamente dolce, che continuava a canticchiare.
“When
the blazing sun is gone,
when
he nothing shines upon,
then
you show your little light,
twinkle,
twinkle, all the night.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
Gli
occhi di Edith si riempirono di lacrime e senza sapere perché
cantò il resto della canzone con la madre, stringendola forte:
“Then
the traveler in the dark
thanks
you for your tiny spark;
he
could not see which way to go,
if
you did not twinkle so.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!
In
the dark blue sky you keep,
and
often through my curtains peep,
for
you never shut your eye
till
the sun is in the sky.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!
As
your bright and tiny spark
lights
the traveler in the dark,
though
I know not what you are,
twinkle,
twinkle, little star.
Twinkle,
twinkle, little star,
how
I wonder what you are!”
In
quel momento tutto divenne doloroso, come quando dopo la pioggia si
apre il cielo dietro le nuvole e uno spicchio di sole invade le
strade, riscalda le piante che ancora gocciolano fradice e fa male
agli occhi, così quel dolore la lasciò attonita e
stringendosi forte alla madre, come quando era bambina e succedeva
qualche cosa che la faceva soffrire, Edith pianse forte, ripetendo in
quello che prima era un sussurro e poi divenne una grido soffocato:
“Mamma!”
Eloise
strinse forte la figlia. Non versò una lacrima, lasciò
che la figlia si sfogasse e quando i singhiozzi cominciarono ad
attenuarsi, con un sospiro disse:
“Non
lottare se non vuoi. Metti le armi a posto e aspetta di rimetterti in
sesto prima di scendere di nuovo in campo. Anche la vita ci da delle
tregue. E tu approfittane quando lo fa!” e sollevando il mento
della figlia, asciugandole gli occhi aggiunse:
“Non
aver paura di essere quella che sei. Sei così cambiata da
quando sei diventata mamma, Edith! Tu non lo vedi ma il tuo carattere
si è così ammorbidito che persino io che conosco ogni
tua sfumatura ne sono rimasta piacevolmente colpita...” e
spostandole i capelli, baciandole la fronte concluse: “Non
voglio che quando me ne andrò via, per colpa del dolore, tu
rimetta su quella scorza dura e inespugnabile. Voglio che tu reagisca
e che faccia la cosa che tu sai fare meglio di tutte. E non sto
parlando del tuo lavoro o di suonare il piano. Sto parlando di essere
mamma! Voglio che tu renda il dolore gioia. Voglio che tu possa
superare questo momento con i tuoi due figli. Perché non c'è
niente di meglio del sorriso di un bambino quando qualcuno che ami se
ne va via per sempre...”
Edith
guardò la madre negli occhi e si domandò
silenziosamente come poteva chiederle una cosa simile. Come poteva
pensare che avrebbe fatto finta di nulla quando sarebbe stato il
momento? Come non poteva capire che solo l'idea di perderla la stava
distruggendo già in quel momento?
“E
quando succederà... Voglio che tu vada nel nostro bar, nel
nostro posto e con Ella continui a a fare quello che facevamo noi
due, assieme. E parla con lei, tienila vicino fino a che potrai, fino
a quando non sarà troppo grande per stare dentro il nido, fino
a quando non deciderà di volare da sola nel cielo!”
Edith
si strinse alla mamma e piangendo sussurrò tra le lacrime
quella che era una preghiera, una richiesta che lei per prima sapeva
essere stupida ma che in quel momento era l'unica cosa sensata che
riusciva a dire:
“Non
te ne andare. Resta con me!”
Eloise
sorrise e passando una mano sui capelli della figlia disse:
“Non
me ne sto ancora andando, piccola. Sono ancora qui con te. A guardare
il tuo cammino fino a che potrò!” e baciandole la testa
ancora una volta lasciò che Edith sfogasse quel dolore
stringendola in un silente abbraccio.
John
guardò l'orario mentre il cellulare squillava.
La
tempestività della stampa aveva voluto che proprio quel giorno
venisse pubblicato l'articolo di Orlando che seguiva il consiglio che
lui stesso gli aveva dato e che ora gli sembrava solo una grande
cavolata.
“OB!”
disse prendendo il giornale.
“Ho
fatto come mi hai detto. Da voi è già uscito qualche
cosa?!” domandò Orlando dall'altro capo.
John
si schiarì la voce e disse:
“Non
si parla d'altro”
Orlando
rimase qualche secondo in silenzio e poi, incerto chiese:
“Come
mai questa voce da funerale? È successo qualche cosa che devo
sapere?”
John
guardò Rachel che allattava il piccolo Mark. Una morsa allo
stomaco lo attanagliò un attimo sapendo la bomba che stava per
sganciare.
“Sì.
In effetti tuo figli sono a casa nostra da ieri notte. Eloise sta
morendo!”
Ci
fu l'ennesimo secondo di silenzio. John attese la risposta che non
tardò ad arrivare.
Edith
aveva chiesto a Rachel il favore di tenere Ella e David ancora per
quella notte. Le fu davvero grata di non aver fatto un solo
riferimento a quello che era uscito nei giornali quel giorno e per
averle chiesto solo come stava sua madre.
Era
salita in macchina e aveva guidato. Le strade di Londra cominciavano
a svuotarsi lentamente. Solo gli autobus coloravano le strade vicino
a casa sua, qualcuno pronto ad andare in deposito, qualcuno invece,
facendo l'ennesima fermata prima che la lunga notte finisse.
Nella
testa risuonava come un monito quella ninna nanna che prima Eloise
aveva intonato e ogni volta che un nuovo verso, una nuova strofa si
aggiungeva nel mare dei ricordi Edith sentiva il cuore fare un'altra
crepa, spezzarsi ancora un po' di più.
Parcheggiò
la macchina vicino casa e chiuse mettendo l'antifurto che scattò
facendo illuminare i fari e producendo quel simpatico suono metallico
che fanno tutte le macchine quando le si chiude con la chiusura
centralizzata.
Nel
silenzio della sua strada bene Edith si guardò intorno
aspettandosi qualche paparazzo spuntare dal nulla, dopo l'articolo di
quella mattina. Ma a quanto pareva anche per la stampa era mezzanotte
e nessuno l'attendeva come l'ultima volta, quando Orlando aveva
lasciato Miranda e aveva detto di essere ancora innamorato di lei.
Prese
le chiavi dalla borsetta, sentendo solo il rumore dei suoi tacchi
rimbombare per la strada, come unico compagno.
Quella
era la prima volta che aveva davvero bisogno di qualcuno.
Avrebbe
voluto chiudersi in casa, sedersi su di una poltrona, aspettare che
qualcuno di sdraiasse accanto a lei e la stringesse, senza dire
niente.
Arrivò
all'ingresso di casa sua, salì i tre gradini e dopo aver fatto
scattare la serratura, scivolò dentro il suo appartamento,
accendendo la lampada vicino alla finestra e guardandosi intorno.
Quando
qualcuno che ami si ammala, ed Edith questo lo aveva capito in quel
momento, non vuoi il silenzio.
In
un attimo si pentì di non aver lasciato l'ospedale prima e di
non aver preso con sé Ella e David. Sapeva dentro di sé
che se ci fossero stati loro in quel momento con lei avrebbe
affrontato diversamente quel momento. E forse quel nodo alla gola che
difficilmente voleva andare giù si sarebbe sciolto.
Invece,
nel silenzio della casa, si lasciò cadere sulla poltrona e
invece di avere qualcuno che stringesse lei, Edith si accucciò
portando su le gambe e stringendo al petto il cuscino in tinta che le
era costato un occhio delle testa dal tappezziere e che adesso stava
inondando di lacrime.
Stava
piangendo con tutta la forza che le rimaneva dopo quella giornata
sfibrante quando il campanello suonò facendola trasalire.
Orlando
sentì il terreno mancarle sotto i piedi.
Quando
era morto suo padre putativo era troppo piccolo e davvero ricordava
poco di quello che era successo. Ricordava solo un dolore sordo che
grazie a Dio non aveva più provato.
Poteva
solo immaginare, quindi, cosa potesse passare in quel momento Edith.
E si sentì terribilmente in colpa per non essere lì con
lei.
“John!
Dimmi che stai scherzando ti prego!” disse Orlando serio.
John
schiarì di nuovo la voce e disse:
“Non
sto scherzando! È stata male ieri notte. E quei dannatissimi
giornali sono usciti oggi...”
Per
l'ennesima volta da quando aveva chiamato l'amico, Orlando sentì
la terra mancargli da sotto i piedi. Solo in quel momento si rese
conto dell'immensa cazzata che aveva fatto dando retta a John.
“Lo
so cosa stai pensando!” disse John quasi fosse riuscito a
leggergli nella mente: “Lo so OB! È tutta colpa mia e se
vuoi venire a Londra solo per prendermi a pugni, sappi che ti darei
ragione io per primo!”
Orlando
scosse la testa e serio disse:
“Scusa
Johnny boy ma questa è l'ultima cosa che sto pensando. Voglio
tornare a Londra. Domani parlo con la produzione e chiedo qualche
giorno. E non lo faccio per mettere a tacere la coscienza. Lo faccio
per miei figli e per Edith. Hanno più bisogno di me a Londra
che qui a New York dove non posso fare niente!”
Edith
si voltò e guardò l'ora nel grande orologio appeso alla
parete.
Era
mezzanotte meno cinque.
Chi
diavolo suonava a quell'ora.
Con
il cuore in gola, pensando subito al peggio corse ad aprire la porta
senza nemmeno chiedere chi fosse.
E
quando vide chi c'era dall'altra parte sentì il cuore farsi
leggero come una piuma.
Se
ami un uomo faglielo capire. Bacialo quando meno se lo aspetta. Fagli
capire che per te è la cosa più importante!
E
senza pensarci saltò al collo del nuovo venuto senza nemmeno
dirgli 'Bentornato'.
Lo
abbracciò e infilando le dita tra i capelli, spingendolo
dentro, chiuse la porta con un calcio e lo baciò. E lo fece
con passione.
Perché
lo voleva.
Perché
in quel momento sentì che era la cosa e la persona giusta con
cui farlo.
Perché
da quando l'aveva conosciuto era l'unica cosa che aveva davvero
desiderato.
Baciare
il suo migliore amico.
Baciare
Gerard Butler.
Ringrazio
chiaretta, nonnina e Scarlett per le recensioni e per le persone che
silenziosamente hanno letto la mia storia e non hanno lasciato un
segno. La critica costruttiva è il modo per migliorarsi che
tutti noi abbiamo.
Alla
prossima. Un bacio.
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