17.
C'erano
stati solo due aspetti positivi in questa macabra e malata storia,
che avevano fatto in modo che il suo intero mondo non cadesse nel
baratro più totale. O meglio, che cadesse con qualche giorno
di
ritardo dalla reale data di scadenza. E di tutto questo se ne stava
rendendo finalmente conto mentre perdeva il fiato a causa della
stretta al collo. Le dita di Mark si strinsero sempre più
forte
mentre lei si inginocchiava con malsana lentezza, come se il tempo
avesse iniziato a girarle intorno più affannosamente. A
causa della
mancanza d'ossigeno iniziarono a seccarlesi gli occhi, inchiodati a
quelli di lui che stava mormorando qualcosa a bassa voce mentre la
guardava morire; ma lei non poteva udirlo perché aveva
iniziato a
perdere qualsiasi speranza di liberarsi, come se avesse accettato il
momento con infinito coraggio, maledicendolo fra le labbra sottili
come una dannazione che lo avrebbe accompagnato per sempre. Ma Mark
era già dannato, era già un uomo finito, con o
senza di lei. Sapeva
sin dall'inizio che avrebbe raggiunto la fine e che il suo correre
lontana ed il suo affannarsi l'avrebbe sempre e comunque ricondotto a
lei. Rivedere e rivivere Brian era stato come una boccata di aria
fresca, acqua gelida in viso, la scarica elettrica dell'adrenalina
che la risvegliava dal torpore, e le era bastato così. Era
stato il
pericolo più grande e allo stesso tempo la
necessità più fervida
che l'avesse mai motivata a vincere la paura. Forse ne era valsa la
pena, o forse no, certi ricordi stavano pian piano sfollando la
mente, faticava a ricordare e quella sensazione di abbandono
cominciò
ad appesantirle le braccia.
-Tu
andrai via dalla città, non è vero?- ebbe una
boccata di aria che
attirò a sè con un inspiro fortissimo, come
uscita da una corrente
di acqua.
-S-s...
- l'uomo la derise avvicinando l'orecchio alla bocca di lei, fingendo
di non capire cosa dicesse. Jillian allungò una mano
debolmente e
gliela portò al viso cercando di spingerlo via, ma non
riuscì, come
paralizzata da una forza misteriosa.
-Se
resti quì potrebbero approfittare per farti parlare,
potrebbero
indurti a dire cose cattive su di me. Voglio allontanarci Jillian, lo
capisci questo? Perché tutte queste persone vogliono che io
mi
separi da te. - Continuò a nutrirla di aria pian piano,
allentando
la presa con voce sempre più docile e carezze al viso che
non
avrebbe mai preferito agli schiaffi. -Tu devi andartene, stanotte!
Sparire dalla cazzo di circolazione, lasciare la città,
chiuderti in
una cazzo di topaia finché il processo non sarà
finito! Vedrai che
ci vorrà poco e quando tutto sarà risolto ti
raggiungerò e potremo
stare di nuovo insieme, amore mio. - Jillian riaprì gli
occhi di
scatto per impedirsi di perdere i sensi. -Eh Jillian, hai capito? Non
permetterò mai che manderai tutto a puttane per fare la
troia con
Haner! -
C'erano
stati solo due aspetti positivi in questa macabra e malata storia. Ma
ora ne ricordava solo uno.
-Và
al..dia..volo. - non era un sorriso, forse un ghigno, fatto sta che
il colpo fu così forte che seppe di morire.
***
Non
c'era stato modo di non cedere all'impulsività,
nè di sopprimere le
voci presenti nella sua testa nonostante la maturità dei
suoi
trent'anni. Il materializzarsi di questi ultimi anni in così
pochi
mesi aveva avuto un impatto così forte da demolire quasi la
sua
ragione, non gli aveva dato neanche il tempo di capire o di provare a
capacitarsi di ciò che stava per colpirlo con tanta foga.
Forse gli
era stata data finalmente la possibilità di liberarsi dei
fantasmi
del passato che continuavano segretamente a tormentarlo e a
chiedergli quale fosse la sua colpa, e forse, seppur nel peggior modo
possibile, gli era stata ceduta la risposta che avrebbe chiuso il
capitolo di venti anni della sua vita. Non sarebbe stato facile e
questo lo sapeva, non gli avrebbe dato scampo conoscere o immaginare
di sapere, ma almeno avrebbe alleviato un pò il peso al
cuore. Era
così disabilitato che al cospetto della stampa tenne gli
occhiali
sul naso calando il viso sotto il bordo del cappello come fosse un
ladro, un fedifrago e traditore di stati. Il vociare perpetuo e i
flash lo costrinsero a vaneggiare con lo sguardo aprendosi una strada
fra la complicità dei suoi amici, che erano arrivati a
tirarlo fuori
dalla sua "cella" fatta di mura di vetro e notiziari alla
tv.
-Dove
stiamo andando? - riuscì solo a dire una volta entrato di
soppiatto
nel fuoristrada della band, dove Johnny inserì la marcia con
una
forza maggiore del solito.
-A
mettere la parola fine a questa storia.- Brian guardò le
sagome dei
giornalisti iniziare a rimpicciolirsi al lato opposto della strada,
nonostante i flash continuassero a raggiungerlo imperterriti,
costringendolo ancora per qualche secondo ad una fuga di sguardi.
-Johnny
che cazzo sta succedendo? Come avete fatto a farmi uscire? - una
fugace occhiata fu scambiata fra chitarrista e bassista, che
iniziò
a mordicchiarsi il labbro nervosamente.
-Chiedilo
a Matt appena lo raggiungeremo. -
-Che
vuoi dire? Cosa c'entra Matt? -
***
Lo
sfregare delle ruote sull'asfaldo emesse un suono stridulo che si
udì
a distanza di metri, mentre Matthew scivolava via dall'abitacolo
incurante del resto delle auto che venivano in senso contrario,
precipitandosi all'interno della casa che vide aperta. Entrò
con
cautela penetrando nel più assoluto silenzio ed incapace di
capire
cosa aspettarsi iniziò a chiamare il nome di Jillian.
-Jill?
.. Dove sei Jillian? - chiamava, attento ai cocci di vetro sparsi per
il pavimento e il disordine trascurato. Cercò di stare
attento a
qualsiasi movimento e si sporse verso gli angoli nascosti del
soggiorno e della cucina, prima di precipitarsi nella camera da
letto.
-Cazzo...
Jillian! - disse a bassa voce, mentre si abbassava sul corpo inerme
di lei riverso a terra completamente incosciente. O almeno
così
sperava Matthew. -Non posso crederci, sono arrivato in ritardo..
rispondi Jillian, maledizione! - rantolò con la voce ridotta
ad un
soffio, mentre spostava i capelli dal viso tumefatto di lei notando
una fuoriuscita di sangue. Cercò di tamponare la ferita con
le
lenzuola del letto prima di udire un fruscio alle sue spalle: gli
sarebbe bastato mezzo millimetro in più e Mark avrebbe
potuto
aprirgli il cranio come aveva ben pensato di fare.
-La
solita fortuna, Sanders. - Matt ancora spaventato iniziò ad
annaspare mentre si era gettato completamente al lato opposto della
stanza per evitare l'aggressione. Mark invece se ne stava in piedi
mentre maneggiava la sua mazza da baseball, nonostante la postura
fosse piuttosto sofferente e imprecisa.
-Che
diavolo ti passa per quella testa di cazzo, Mark! Quanta merda ti sei
tirato al cervello per finire così? Avrei dovuto credere a
Brian
quando diceva che avevi completamente perso il senno.-
-Sì,
bravo, avresti dovuto farlo. - esclamò con una voce pacata e
flebile, mentre la vena al collo di Matt si gonfiava a testimoniare
la sua incontenibile rabbia.
-Che
cosa diavolo le hai fatto? - Mark guardò Jillian inerme
capendo si
riferisse a lei.
-Sta
solo dormendo..- Matt fece uno scattò violento contro di lui
con un
pugno chiuso all'altezza del viso, tanto che colto alla sprovvista
Mark cercò di parare con la sua arma.
-Giuro
che se non si risveglia io ti ammazzo con le mie mani, e non
basteranno uomini a togliermi dal tuo sudicio corpo! -
-Sempre
pronti alla difesa del più debole..- li schernì
l'uomo, liberandosi
con un colpo di anca prima di caricare l'arma verso il suo avversario
e colpirlo violentemente alla spalla. Matt gridò per il
dolore prima
di caricare nuovamente contro di lui schiantandosi entrambi contro la
parete alle loro spalle, digrignando per il dolore con in sottofondo
il suono di oggetti che frastagliavano a terra frantumandosi in mille
pezzi. Cercò di bloccarlo nella presa ma nonostante la
disabilità
riuscì a sfuggirgli come un fuscello fra le mani.
-Non
so come hai fatto ad arrivare quì nel momento giusto, ma
avresti
dovuto preferire startene a casa con la tua famiglia. O anche tu
avevi una tresca con questa maledetta ed eri venuto per rotolarti a
letto con lei? - Matt digrignò i denti e lo colpì
in pieno volto
facendogli sputare sangue.
-Di
che cazzo stai parlando? - iniziò ad avere il fiato corto.
Mark
sorrise con la bocca tumefatta e denti completamente cinabri.
-Non
dirmi che non lo sapevi... che non sapevi che lei e Brian stavano
insieme. Facevano tutto sotto i nostri occhi, ci hanno preso per il
culo. - Restò completamente paralizzato dalla notizia, non
poteva
credere che Valary avesse ragione sul suo conto. -Oh, non dirmi che
il tuo amico non ti ha detto niente? Ah già, forse
perché anche lui
è sposato. - Matt deglutì forzatamente, senza
sapere cosa dire, se
credere ad una calunnia del genere o se fosse solo una stupida
trovata di quel bastardo.
-Rimangiati
quello che hai detto. -
-E
se non lo facessi? - Matt si trattenne la spalla slogata mentre
l'altro continuava a bavare sangue fra i denti.
-Tanto
è finita Mark, le pattuglie degli sbirri stanno arrivando
per te e
stavolta non ti basterà stordire Jillian perché
ci sarò io a
sputarti tutto il veleno addosso in tribunale. Cazzo, avrai molti
anni per pensare a quanto tu sia stato un perdente nella tua
esistenza. Potrei farti un riassunto di quella che sarà la
tua vita
in carcere se ci tieni. Mi fai davvero.. pena.- Un gruppo di sirene
si udirono in lontananza mentre Matt prese finalmente a sorridere
sollevato, avevano vinto. Finalmente le prove che Mark non era
più
mentalmente stabile avevano dato i suoi frutti, perché ora
lui e
Jillian erano testimoni oculari della sua pazzia. Notò
mancargli il
fiato e iniziare a guardarsi intorno spaesato, prima di scattare
contro di lui per uscire dalla porta della camera e fuggire fuori
dalla casa cercando di mettere in moto l'auto. Matthew non se ne
curò, anzi si parò per difendersi da una
possibile aggressione
mentre cercava di fuggire nel suo pessimo stato. Si prese coraggio e
si calò contro la donna sperando di sentire i suoi battini.
-Un'ambulanza
per favore, 124, Avenue Street. Fate in fretta.- le
pulì il
viso con premura mentre riponeva il cellulare nuovamente.
-Non
sono riuscito ad evitarlo. Perdonami..-
***
-Ma
che diavolo succede quì? - mormorò Johnny con la
voce spezzata
dalla sorpresa, mentre l'entrata al viale della casa di Jillian
brulicava di auto della polizia e di un'ambulanza proprio davanti il
suo porticato. -Deve essere successo qualcosa..- Johnny fece per
rivolgersi all'amico ma questi scattò fuori dall'auto
correndo a
perdifiato verso l'entrata della strada, respirando a gran polmoni
l'aria fredda del mattino. -Brian! Dove diavolo pensi di andare?-
chiamò battendo contro il metallo dell'auto, ma era ormai
lontano,
la voce parve a Brian solo un lamento che andava sfumando. Slittava
fra le auto con gran velocità, inciampando fra i piedi,
urtando gli
agenti che ostruivano il suo passaggio. Cercava con lo sguardo un
viso amico, qualcuno che potesse spiegargli cosa fosse successo e
perché, se stavano tutti bene, dove si trovasse Jillian.
-Fermo,
non può stare qua. - Un uomo in divisa gli si
parò davanti,
portandogli un palmo al petto per cercare di contenerlo.
-Agente,
cos'è successo? -
-C'è
stato un arresto. -
-Dov'è
Jillian?-
-Chi
è Jillian?-
-L'..
l'inquilina dell'abitazione.- continuava a lanciare occhiate in giro
come un forsennato, perdendo fiato nonostante fosse immobile
dirimpetto la casa costernata di fermi degli agenti.
-Non
conosco i nomi delle persone fermate, sono almeno tre. Non posso
darle altre informazioni se lei non è un parente stretto,
quindi la
prego di farsi indietro.- Dall'altro capo della linea che li
divideva, gli operatori dell'ambulanza uscirono in barrella e
tirò
un sospiro di sollievo quando la possente figura di Matt
uscì
insieme a loro accompagnandoli verso la discesa delle brevi scalinate
dell'entrata.
-Matt!
- l'agente si ritrovò travolto dalla sua impazienza e fece
in modo
di bloccarlo ulteriormente. -Matt! Sono quì! -
iniziò a sbracciare
e riuscì finalmente ad attirare l'attenzione del ragazzo che
gli si
precipitò contro trattenendosi la spalla fasciata fedelmente.
-Che
cosa ti è successo?-
-È
una lunga storia..- Matt lo abbracciò come se non lo avesse
mai
fatto in tutti questi anni. -Avevi ragione Brian. Jillian è
sull'ambulanza, ma stà tranquillo hanno detto che si
riprenderà. Io
dovrò andare a firmare delle deposizioni sull'accaduto.-
l'altro
asserì ma in realtà la sua testa vorticava come
se ci fosse un
terremoto sotto i piedi e ritrovarsi all'oscuro della situazione
iniziava a tormentarlo. Si diresse a passo spedito verso l'entrata
dell'ambulanza e nonostante gli agenti cercassero di trattenerlo il
suo unico pensiero si preoccupava di sapere di lei.
-Lasciatemi
andare! Sono l'unico che può restare con lei!-
-Ci
serve il permesso di un parente.-
-Non
vado da nessuna parte! Sono io la persona più vicina, ha
bisogno di
me!-
***
Le
pareti atone e bianche ricreavano un ambiente sterile e freddo,
così
surreale che sembrava quasi di essere atterrati su una nuvola.
L'orologio da parete era l'unico rumore nella stanza d'attesa, un
ticchettare monotono e continuo che sembrava quasi colmare qualsiasi
pensiero nella testa nonostante ce ne fossero stati fin troppi.
-Signori.-
Tutti si drizzarono in piedi come schegge all'arrivo del medico,
mentre il fiato rimaneva bloccato nelle gole esterrefatte di tutti,
consorti comprese. -Sembra che la paziente sia sveglia e fuori
pericolo, credo quindi che non le faccia male vedere qualche faccia
amica dopo quello che è successo. Vi chiedo solo di essere
molto
cauti, ha comunque subito una frattura. Scegliete magari con cura chi
può farle visita in questo momento delicato.- fece per
salutare
calando il capo, mentre ognuno di loro ringraziava con una calorosa
stretta di mano una volta passata la preoccupazione di quelle ore.
Quando il gruppo si ritrovò da solo cercarono di consolarsi
fra
loro, contenti di aver superato la situazione critica di pericolo.
Matt si lasciò aiutare da Valary ad indossare la sua giacca,
essendo
stato costretto ad ingessare la zona della scapola per qualche
settimana per non correre pericoli, mentre il resto parlottava fra
sé
cercando di capire cosa fosse meglio fare.
-Brian.
Secondo me è lui che dovrebbe andare. - Il borbottare di
fondo
tacque alle parole di Michelle, che calò gli occhi come
sopraffatta
dalla sua stessa rivelazione, nonostante gli altri si trovassero
d'accordo. Anche Brian tacque, la guardò con occhi languidi
come
catturato dalla sua bontà nonostante la conoscesse; la
conosceva
bene infatti, conosceva la sua dolcezza d'animo eppure non se ne
sarebbe mai abituato. Non sarebbe mai riuscito a stare a passo con la
generosità di lei, di quella donna così nobile
che aveva avuto
l'onore di sposare. La ringraziò con uno sguardo taciturno
pieno di
gratitudine, prima di sfiorarle appena le spalle per non metterla a
disagio a causa delle ultime cose che erano capitate fra di loro:
presto sarebbe riuscito a farsi perdonare, o almeno sarebbe arrivato
il momento di migliorarsi per lei.
Il
passaggio dalla sala d'attesa in quella in cui giaceva Jillian
coricata era come fare un salto in un passaggio magico, che gli
scombussolava i muscoli e la forza delle gambe, che gli imperlava la
mente di ricordi, di riguardi e di paure. Quando lanciò un
occhio
alla stanza la vide lì, raggomitolata fra le coperte,
stretta in un
casco di bende dal capo al collo, con i capelli ramati che cascavano
alla rinfusa e gli occhi gonfi e lividi da renderla irriconoscibile.
Ma non ai suoi occhi. Quando lo notò entrare vide come quel
semplice
sforzo le costasse dolore e come la mano di lui, sulle sue raccolte
in grembo, le dessero la forza di muoversi appena per guardarlo
dritto negli occhi. Non dissero nulla, non ci vollero parole, come
non ci vollero gesti degni di nota che loro stessi non apprezzassero.
-Ciao..-
Jillian sorrise e mosse il capo ricambiando il saluto, nonostante le
costasse ancor più che parlare, ma a quel punto le parole
non
uscivano, solo le lacrime e la gratitudine.
Brian
si accomodò su una sedia lì di fianco e ancora
una volta strinse
una mano nella sua per darle conforto. Che pena vederla
così,
fortuna voleva che non sarebbe durata. -Come stai? Solo qualche
giorno e sarai dimessa, potrai continuare le cure da casa.-
-Già..-
biascicò lei. -Mi sento solo la testa gonfia come un
pallone.- Brian
fece una smorfia guardandola attentamente in viso.
-Beh..
in effetti.. - scoppiarono entrambi in una risata, prima che la donna
si fermasse per il fastidio alla bocca.
-Smettila,
non posso...- disse a bassa voce continuando a ridacchiare.
-Sì,
scusa.- Si dedicarono qualche secondo, poi ripresero.
-Sono
davvero una fortunella, non c'è che dire.- Brian
ridacchiò
amaramente insieme a lei; quanto le era costata questa cocciutaggine?
Forse tutto quello che aveva perso finora e che mai più
sarebbe
riuscita a riavere. -Grazie.-
L'uomo
si portò le dita affusolare di lei alla bocca per baciarle
appena,
per ricambiare la gratitudine che anche lui provava nei suoi
confronti, in un piccolo sigillo racchiuso sulle labbra che sarebbe
rimasto per sempre fra loro.
-Avrei
dovuto fare di più.-
-No,
sai che non te lo avrei permesso.-
-Lo
so. Hai fatto in modo che non potessi accorgermene in nessun modo ed
è stato un grave errore.- Il silenzio che albergava fra loro
non
pesava ai loro cuori, piuttosto li rendeva leggeri, liberi
dall'opprimente bisogno di spiegare e di parlare.
-Mi
dispiace Bri. Sono tornata a sconvolgere la tua vita e tutto questo
perché non ho saputo tenere le redini della mia.-
-Non
è stata colpa tua.-
-Non
so neanche io come è possibile spiegare una cosa simile,
è così
difficile esprimere quello che mi passa per la testa. Adesso
ascoltandomi sembrano anche a me vaneggiamenti di una pazza e non
posso darti torto.- Brian la zittì negando col capo: poteva
ben
capire cosa voleva dire dipendere totalmente da una persona ed era
per questo che il suo allontanamento lo aveva completamente reso
impotente di reagire alla situazione. Gli ci erano voluti anni eppure
nel suo cuore sentiva forte il battito di lei ogni volta la pensava.
-Non avrei potuto fare scelta peggiore. Ho rovinato le nostre vite.-
Brian
si strinse attorno al palmo di lei mormorandole di fare silenzio, di
smetterla, che non c'era bisogno di continuare.
-Ti
ho già perdonata da tempo. È tutto finito. Tutto.
Anche Mark. Mai
più ti farà del male.-
-Mark
è stata la mia redenzione. Avevo continuato a convincermi
che era
quello che mi meritavo.-
-Nessuna
donna merita questo Jillian, neanche tu.- l'uomo si portò
una mano
alla faccia come a scaricare la tensione di quelle ultime ore.
Finalmente Mark era stato arrestato a pochi isolati dalla casa di
Jillian, ed in più era stato accusato di furto d'auto,
aggressione e
tentato omicidio, nonché possesso di qualche stupefacente di
poco
conto. La deposizione di Matt insieme a quella di Jillian gli
sarebbero costati così tanti anni che gli sarebbe servito
solo un
miracolo uscirne in meno di dieci, anche perché fuori
avrebbe sempre
trovato loro ad attenderlo al minimo passo falso.
-Questo..
è un addio?- Brian affondò nei suoi occhi
finché poté, poi il
peso fu troppo grande da abbandonarlo.
-Non
lo so cosa sarà. So solo che ho qualcuno che mi aspetta
oltre quella
porta e ha bisogno di me.. ed io di lei.- Jillian annuì,
come di
coscienza, mentre il forte pizzicore andava a torturarle gli occhi
fino a sprofondare sulle guancie violacee. Sentì il sapore
tipico di
una lacrima scivolarle nelle labbra e così
l'assaporò, prima però
chiuse gli occhi per evitare di guardarlo.
-Wow...
- iniziò con un risolino. -Non ti facevo davvero
così maturo,
Haner.- rise, eppure stavolta le lacrime divennero scie salate
impossibili da fermare e le parole singhiozzi che le impedirono di
continuare. Brian strinse le labbra e si alzò a posarle la
bocca
alla fronte in un bacio casto, abbracciandole il capo con un braccio
per fermare il suo sfogo, mentre lei si portava le mani a coprire il
viso per la vergogna. Le parole non avrebbero fatto altro che
graffiare la loro gola, uscendo con difficoltà, ferendo
entrambi
come fendenti. Preferirono quindi restare immobili ad ascoltarsi in
silenzio: le mani calde, il battito del cuore, i respiri infranti
dalla commozione. Non lo sapevano con certezza ma non ci sarebbe mai
stato un addio fra di loro, o forse preferivano non dirselo per non
sfidare il destino. Cosa importante, che riuscì a colmare i
loro
cuori dopo anni, fu la sincera disponibilità ad amarsi
sempre: ma
non ad amarsi come amanti, ma nel senso mutaforme della parola;
nell'ascoltarsi, nel difendersi, nel conoscersi e capirsi senza
essere costretti a parlarsi. Erano l'uno l'ombra dell'altra,
nonostante fosse stata quella la loro paura più grande.
Erano come
quei legami che anche lontani e senza meta, avrebbero avuto un filo
conduttore ad unirli, un sottile filo di cotone, rosso magari,
stretto all'anulare nella mano. Non c'era ma si sentiva, si percepiva
come un dito intrecciato all'altro e questo rubò loro un
sorriso che
fu l'epilogo del loro incontro. Non il primo, ma sicuramente
più
forte di quello fù.
EPILOGO
L'odore
di caffè cominciò ad impregnare l'aria della
cucina dolcemente,
lasciando che i pensieri di Jillian si rilassassero e che venissero
interrotti a malapena dallo sbuffo della macchinetta, in quell'ultimo
periodo che caratterizzava ormai la fine dell'inverno e si avvicinava
all'inizio del nuovo anno. Erano passati ben otto mesi dalla sua
completa ripresa: era di nuovo tornata ad uscire con la voglia di
riprendere fra le mani la propria vita e risistemare le cose
sfuggitele per troppo tempo fra le dita. Da quando tutto era finito
non c'era più timore né pensiero che svalutasse
la sua autostima;
era tornata una ragazza dai complicati gusti letterali, appassionata
di giornalismo e thriller in seconda serata. Ogni giorno era quasi
come riscoprirsi di nuovo, e il dolce sapore della vita tornava a
rinvigorire il suo corpo gioviale e dalle curve ammalianti, e adesso,
come grande ritorno, aveva tenuto conto di un monolocale che distava
appena un paio di miglia dal precedente, completamente abbandonato
anche di tutti i mobili ed effetti personali che l'avevano riguardata
da dodici anni a quella parte.
Probabilmente
era ancora tutto uguale, nessuno da fuori avrebbe notato
l'incredibile cambiamento o forse era anche fin troppo evidente da
non rendersene neanche pienamente conto.
Dovette
sbrigarsi a spegnere la fiamma del fornetto e a rinsavire dai suoi
pensieri quando si accorse che stava combinando uno dei suoi soliti
disastri e che oramai andava ripulito tutto.
Non
sbuffò, piuttosto mangiucchiò qualche biscotto
poi si riempì la
tazza di caffè rimasto, allontanandosi solo dopo nell'altra
stanza a
piedi nudi e scivolando sul pavimento con passi felpati come se
stesse danzando, fino al salottino antecedente la stanza da letto.
Aveva
pochi effetti personali ricomprati nell'ultimo periodo ma
perfettamente riposti, vestiti nuovi e qualche piccolo accessorio
distribuito in giro. Tutto quello che ci voleva era una buona
scrollata di spalle e la possibilità di cedesi del meritato
relax.
Quando
l'acqua della doccia cominciò a gettarlesi contro, i capelli
ramati
le si incollarono alle spalle, costringendola a chiudere gli occhi e
a passarsi le dita nel mezzo per districarli appena.
Era
il momento perfetto che si dedicava per smettere di pensare, per
lasciarsi coccolare da un momento intimo e per tornare a potersi
toccare senza la paura di sentire dolore. Era tutto risanato, il suo
corpo lo aveva fatto altre centinaia di volte ma il suo animo, quello
stava iniziando a ricucirsi da solo, pian piano, con grandi
risultati.
Lasciò
scivolare via tutto il sapone dal proprio corpo e si coprì
con un
asciugamano quando ne uscì, sbrinando lo specchio del bagno
con il
palmo della mano per spiare l'immagine riflessa: era lei, sempre lei.
Quella di un tempo e quella di adesso. Quasi si immaginava
lì
davanti con uno zigomo un po' gonfio e qualche lividura sul braccio e
avrebbe voluto carezzarsi, ma poi guardando bene vedeva un'altra
sé:
la pelle candida, le linee perfette.
Sorrise
e osservò la curva delle labbra cincerle il viso prima di
dirigersi
distrattamente nell'altra stanza, come ogni mattino a ripetere sempre
i soliti gesti quotidiani senza accorgersene, tamponando la lunga
chioma e spettinandola con le mani.
La
sua attenzione si lasciò cogliere dalla rivista Kerrang!
con
in copertina una composizione piuttosto selvaggia degli Avenged
Sevenfold, che erano finalmente tornati in campo musicale con
altri scritti da portare in sala di registrazione insieme al nuovo
batterista. I ragazzi si erano dati subito da fare con le audizioni
ed un certo Arin aveva bussato alla loro porta come bravura e
incredibili capacità di improvvisazione nonostante la
giovane età.
Era ancora una decisione poco condivisa dalla band, ma presto si
sarebbero abituati ad una nuova e stabile figura al posto di Jimbo.
Serviva andare avanti in questi casi, come aveva fatto lei.
All'articolo sulla band della prima pagina come quella di copertina
c'era anche il suo nome, come intervistatrice gli avevano concesso
una giornata di domande più che contenti e la cosa aveva
giovato a
tutti nel miglior modo possibile. Finalmente aveva il lavoro che
amava e che mai avrebbe sperato di ottenere; fu finalmente un buon
inizio che avrebbe accompagnato il resto di ciò che sarebbe
stato di
lei.
Lo
squillo del cellulare partì all'improvviso e Jillian
sussultò. Lo
schermo del display si illuminava ininterrottamente per svariati
secondi, finché non lo afferrò per rispondere
ancora un pò
assopita dalla dolcezza della doccia.
-Hei
Jill, sono Brian. Sei dei nostri anche stasera? Johnny ha perso una
scommessa e gli tocca pagare da bere!- Sorrise nell'udire la sua
voce, poi tornando a posare lo sguardo sulla rivista sfogliò
qualche
pagina svogliatamente ascoltando gli altri ridere di sottofondo.
-Ma
sì dai, anche perché per stasera ho solo da
festeggiare. L'articolo
è stato una bomba, ha venduto milioni di copie.-
-Grande!
Allora stasera è d'obbligo un brindisi, anche se non avevo
dubbi.-
Si udì un mormorio compiaciuto e poi lo scoccare di una
lingua sotto
al palato.
-Già,
anche se non ho voglia di ubriacarmi almeno per una volta voglio
sentirmi.. sobria.-
Fine
E
quindi la parola "Fine", "Epilogo", "Conclusione"
hanno fatto capolino e come ogni storia ha smesso di esistere almeno
per il momento. Non so, sempre ieri ho continuato a pensare che forse
potrei scrivere altri sprazzi della loro vita che vanno ad
incatenarsi un pò nel futuro, ma è solo un'idea
che al momento non
ha avuto accoglienza. Se sono riuscita ad arrivare alla fine devo
ringraziare chi mi ha seguita e invogliata sempre di più
nonostante
il tempo scarseggi e anche l'ispirazione si lasci desiderare, ma non
diniego che in cantiere ho qualche altra situazione sicuramente meno
tragica di quella che è stata "Sober"; e tornando appunto
alla fanfiction, spero che non abbia turbato nessun animo ma mi sono
attenuta ad una scelta che di gran lunga avrebbe fatto qualsiasi
persona normale, senza ritenere i miei personaggi solo frutto di una
storia. Se questo ultimo epilogo invece vi dà l'impressione
di
averlo già letto da qualche parte non state sbagliando,
è in
effetti tutto il prologo della storia revisionato per la sua
conclusione: così com'è iniziata la storia
è finita, o almeno ha
fatto un paragone tra il prima e il dopo. Mi auguro di leggere
qualche commento da parte di chi è rimasto contento della
storia o
di chi abbia avuto qualche perplessità, qualcosa da chiarire
o da
farmi sapere. Grazie a tutti voi per la compagnia e per la passione
che ci accomuna a questi cinque ragazzi!
P.S.
Nella storia è inteso il nome di Arin per rispettare lo
spazio-tempo
della realtà.
|