Il Cappello Parlante sbaglia,
fratellino
Quando
venni a sapere che Regulus si era unito ai Mangiamorte, per un
attimo mi balenò in testa l’idea di tornare a
casa, di urlargli contro, di portarlo via. Di farlo venire con me.
Avrei parlato con Silente, con i membri dell'Ordine, avrei spiegato che
mio fratello era sempre stato sottomesso ai nostri genitori. Aveva solo
sedici anni, maledizione. Loro mi avrebbero aiutato a fargli cambiare
idea.
Esitai a lungo, con l'idea di andare a prendere mio fratello.
Ma alla fine non lo feci.
Pensai che lui aveva fatto la sua scelta, pensai che non mi avrebbe
ascoltato, che mi avrebbe cacciato con rabbia e che avrei solo sprecato
fiato.
Pensai che era come tutti gli altri Black, pieno di sé e
convinto del fatto che i Purosangue fossero i migliori in assoluto in
tutto il mondo magico. Pensai che probabilmente in quel momento stava
fremendo dall’impazienza di compiere un qualche servizio per
il suo Signore.
Pensai che ormai ci odiavamo, pensai che i rapporti tra noi erano
raggelati, e non valeva la pena di correre da lui solo per farmi
prendere a pugni. Pensai che sarebbe stato stupido incontrare ancora
una volta le occhiate disgustate dei miei genitori e il suo disprezzo
solo per un piano avventato che di certo non avrebbe funzionato.
Pensai…
Pensai una marea di altre bugie, solo per nascondermi dalla vera
ragione per la quale non osavo andare da lui.
Perché avevo paura.
Temevo di sentirlo gridare contro di me, di trovarlo completamente
uguale a quei maghi della mia famiglia che tanto odiavo. Avevo paura di
non riuscire più a conservare l’immagine di lui
come un fratellino con il quale litigare per qualche Cioccorana. Avevo
paura che i miei ricordi – quelli che avevo ancora intatti
– fossero sbriciolati da una nuova immagine di lui, Regulus
il Mangiamorte, in folle adorazione del Signore Oscuro, smanioso di
sterminare Babbani.
Quando arrivò la notizia che era morto, riuscii solo a
pensare, furibondo, che se l’era meritato. Che cretino. Non
poteva pensare di passare dalla parte di Voldemort e poi, da un giorno
all’altro, decidere di dare le dimissioni.
Mi arrabbiai da morire e pensai fino in fondo che era stata tutta colpa
sua.
Ancora una volta, avevo paura.
Avevo paura di soffrire troppo, avevo paura di sentirmi abbandonato, di
sentirmi troppo solo.
Rifiutai di ricordare quella sera quando avevo desiderato di montare in
sella alla mia moto, di sentire il vento tra i capelli e la
velocità sfrenata. Per andare a prenderlo.
Non ci pensai, perché altrimenti sarebbe stata colpa mia, e
ne avrei sofferto troppo.
“Che idiota che sei, Regulus. Quando decidi di unirti a una
setta del genere, non puoi tornare indietro”. Fu tutto quello
che riuscii a dire mentalmente.
Pensai che, se solo in quel momento ti avessi avuto sotto mano, ti avrei
massacrato, a forza di botte e di incantesimi. Sì, ti avrei
riempito di sberle e fatture.
Come prima di andare a Hogwarts, quando alla fine scappavi da nostra
madre piagnucolando. Già, litigavamo di brutto, Reg. Ma alla
sera venivi a bussare alla mia porta con il preteso di volere le mie
scuse.
Allora ci azzuffavamo, rotolandoci sul pavimento.
Io ti tenevo a terra. Ti dicevo che le mie scuse te le potevi scordare.
E poi scoppiavamo a ridere.
Ed era di nuovo tutto a posto.
Sì. Ti avrei picchiato di nuovo, ma se anche tu mi avessi
ferito, non me ne sarebbe importato. Perché per prendermi a
pugni avresti dovuto essere al mio fianco.
E invece non c’eri, ed io ero solo, e non potevo nemmeno
sfogarmi.
Non potevo piangere, perché mi dicevo fino allo stremo che
non ero triste. No, non ero affatto triste. Ero solo arrabbiato,
infuriato con te.
Perché era colpa mia.
Avevo avuto paura.
Il Cappello Parlante sbaglia, Reg. Grifondoro è per i
coraggiosi, non per i codardi come me.
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