That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.007
- Regole e Scelte
Remus
J. Lupin
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre
1971
Brividi, brividi tremendi lungo tutta la schiena. Mani gelide,
sudore freddo. Mi alzai nel cuore della notte, avendo cura di non fare
rumore, sapevo di aver tenuto sveglio Sirius le prime due notti, con i
miei lamenti soffocati, il mio udito sviluppato aveva percepito
benissimo la sua veglia, di là dei tendaggi. Dopo
la prima notte avevo avuto sempre cura di stringere il cuscino con i
denti, per limitare i suoni che non riuscivo a controllare, simile a
piccoli guaiti di terrore. Non c’era bisogno di controllare
l’origine del chiarore che proveniva da fuori della finestra,
sapevo già: era giunto il momento di pagare pegno alla mia
maledizione, come tutti i mesi, da quando avevo appena cinque anni.
Scivolai in lacrime a terra: cosa sarebbe successo se il piano di
Dumbledore non fosse riuscito? Guardavo le mie mani, percorse
da sottili cicatrici che rilucevano come madreperla, come tutto il
resto del mio corpo, non ce l’avrei fatta mai: sette anni,
più di ottanta lune piene, non sarei mai riuscito a non
farmi scoprire, non sarei mai riuscito a controllarmi per sempre, avrei
dimostrato di non meritare la fiducia del preside, li avrei feriti e
messi in pericolo tutti, tutti quanti.
“Remus, va tutto
bene?”
La voce sottile di James mi raggiunse da dietro la porta, ricacciai
indietro lacrime e paura, mi feci forza e mi nascosi dietro la bugia di
un brutto sogno. La mia prima bugia, la prima di una lunga serie. La
verità era che l’incubo era la mia
realtà. Io stesso era un incubo per tutti loro, ignari del
mostro che avevano accanto, un mostro che si preparava a uscire
dall’ombra del mio aspetto malato e rassicurante. Mi bagnai
la faccia con acqua fresca, mi guardai allo specchio: occhi verdi
solcati da una pupilla allungata, buia come la notte, come il demone
che celavo sotto pelle.
Licantropo...
Odiavo me stesso, per ciò che ero, perciò che ero
capace di fare. E presto sarei stato odiato anche da tutti gli
altri. Da tutti quelli che, ingannati, assurdamente, offrivano
la loro amicizia proprio a me. E questo mi lacerava dentro
più degli artigli sulla mia stessa pelle.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre
1971
Quell’angolo di parco era incantevole: racchiuso tra i
profili aspri delle montagne, il Lago Oscuro si schiudeva placido a
pochi metri da me, gli alberi secolari, i cui rami arrivavano a
sfiorarne le acque, ci sovrastavano con braccia tanto ampie da aver, di
sicuro, offerto comodi giacigli a molti studenti, prima di
noi. In primavera quel posto sarebbe stato meraviglioso: avrei
persino studiato volentieri lì, con lei
vicino… Come in quel momento. Chiusi gli
occhi, la faccia scaldata dal sole, fingendo di ascoltare solo la
natura, in realtà beandomi della sua presenza. Avevo
strappato a Meissa, senza troppa fatica a dire il vero, la promessa di
vederci subito dopo l’ultima lezione, giù al
cortile di Pietra; da lì, eravamo scesi verso il Lago
portandoci dietro qualcosa da mangiare: il sole e il clima ancora
stranamente mite consentivano anche quel giorno un gradito picnic.
L’avevo aiutata a portare i libri, lungo il tragitto in
discesa che costeggiava l’approdo delle barche. Da
quando avevo sentito i racconti di Meda su Hogwarts, mi ero sempre
immaginato mentre, sicuro e gentile, portavo i libri a una compagna di
scuola, ed ero felice che, la prima volta, la ragazzina in questione
fosse proprio Meissa.
La
prima volta…
Trattenni il respiro e divenni rubino, ripensando alle confidenze,
spiate alle mie cugine, di ben più importanti prime
volte… Un senso di languore mi prese allo stomaco,
aprii gli occhi e guardai Meissa, seduta accanto a me sul plaid, e
ripensai al nostro primo e unico bacio a Herrengton… Avrei
voluto… Sospirai, sapevo di non avere più il
diritto di sognare: da quando ero finito a Grifondoro, le
possibilità di essere preso sul serio da lei, un giorno, si
erano ridotte di molto, eppure spesso mi crogiolavo nelle stesse
immagini che mi avevano accompagnato durante tutta l’estate.
“Sei davvero un Grifondoro,
Sirius… Che coraggio! Tu, Lupin e Potter, affrontare tre
tipi tanto più grandi e grossi di voi!”
I pensieri tristi furono cacciati via da quelle parole: Meissa si era
alzata e ora, camminando giocosa all’indietro fino quasi al
lago, senza togliermi gli occhi da dosso, rideva ancora di quello che
le avevo raccontato al mattino a colazione, a proposito della
disavventura che ci aveva visto protagonisti la sera precedente.
Non ero mai stato tanto fiero, come in quel momento, di quei
colori che indossavo ormai da una settimana: non avrei mai creduto che,
qualora si fosse presentata l’occasione, lei avrebbe
apprezzato me, invece di difendere i suoi compagni di casa.
“Non dovresti parteggiare per
i tuoi amici?”
“Amici? Quegli idioti? Credi
che prendersela con delle matricole faccia onore alla nobile casata di
Salazar? Dovrebbero essere puniti per la loro idiozia!”
“Stavano punendo dei
SangueMisto: non è questo che predicava Salazar?”
Ghignai, ogni volta che parlavamo di quegli argomenti, Meissa si
arrabbiava e le sue lentiggini diventavano così…
divenni rosso fuoco… Si avvicinò,
saputa, come chi sta per farti una lezione di storia: sorrisi tra me,
senza più curarmi del rossore che mi stava tradendo.
“Salazar diceva che ai
Mezzosangue e ai SangueSporco non dovrebbe essere insegnata la Magia,
non che un Purosangue dovrebbe perdere tempo a far loro i
dispetti… Non mi sembra molto maturo…”
“Vorresti mettere nella stessa
frase Mulciber e la parola maturo?”
Scoppiai a ridere, lei mi guardò curiosa per un secondo,
cercando di decifrare quel mio cambiamento di umore, poi
iniziò a ridere anche più di me. Non
l’avrei mai creduto, i giorni precedenti, ma ora potevo
definirmi felice, bastava non pensare a casa mia, certo, ma in fondo
questo lo sapevo già prima di partire. Quando avevamo
raggiunto la nostra meta, scoperta i giorni precedenti per caso dalle
ragazze, Meissa mi aveva fatto un cenno con la testa per dirmi di
fermarmi: in realtà non ce n’era bisogno,
perché l’avevo riconosciuto subito. Quando pensavo
al luogo in cui un giorno l’avrei baciata, immaginavo un
posto identico a quello. Sospirai.
“Che cos’hai? Oggi
non fai altro che sospirare! Notizie da Grimmauld Place?”
Si avvicinò curiosa, lasciando da parte la storia di
Mulciber e puntando la lettera che emergeva tra le pagine del mio libro
di Storia, come un segnalibro: era arrivata proprio quella mattina. Era
stata l’unica lettera piacevole ricevuta in quei giorni, una
lettera incredibile, qualcosa che in cuor mio aspettavo da tanto, ma in
cui non osavo sperare, per non restare deluso.
“E’ una lettera di
mia cugina Meda…”
Meissa s’irrigidì e rimase con la mano sospesa per
aria, a pochi centimetri dalla carta, come se qualcuno
l’avesse pietrificata. Il suo viso si ricompose in una
smorfia di disappunto, poi si voltò per allontanarsi di
nuovo da me. Sentii il bisogno di giustificarmi. L’afferrai
per la mano, interrogativo, lei mi guardò fiera, era davvero
una Slytherin: probabilmente nel giro di pochi anni, forse anche solo
di pochi mesi, sarebbe diventata come tutte le ragazzine Serpeverde,
bella e pericolosa.
“… E’ mia
cugina… e finora, di tutta la mia famiglia e i miei amici,
è stata l’unica a farmi gli auguri per la
scuola… nemmeno Cissa…”
Meissa non mi ascoltava, l’espressione esprimeva rifiuto, lo
sguardo restava perso sulle acque placide.
“E’
l’unica, a parte te e Rigel, che mi stia vicino. A me importa
questo, non che si è fidanzata con un NatoBabbano!”
“A me, invece, importa solo
che “quella lì” ha umiliato mio
fratello!”
Il suo viso si era incupito dalla rabbia e faceva fatica a tornare al
colorito normale. Io non capivo di cosa stesse parlando.
“Che cosa stai
dicendo?”
“Lo sai, Black…
Mirzam era innamorato di Meda… lei se
n’è vantata a lungo con le sue amiche, poi gli ha
preferito un SangueSporco, umiliandolo!”
Rimasi sorpreso, a casa mia si diceva che Mirzam aveva offeso gli zii
rifiutando Bella, ma… così, certo, si spiegavano
tanti discorsi che avevo sentito fare a mia madre. Eppure non
era da Meda oltraggiare… E Mirzam non sembrava…
Meissa sospirò e tornò a giochicchiare con un
sasso che aveva raccolto.
“Beh… Dopo quasi un
anno di silenzio… che cosa vuole? Congratularsi
perché ora sei tu il numero uno nella lista nera dei
Black?”
Scagliò il sasso lontano nel lago, quello schizzò
tre volte a pelo dell’acqua e infine s’immerse.
“Mi ha esortato a star lontano
dai guai e a impegnarmi a scuola… non ha accennato al
malumore che ho provocato a casa… lei sta bene, sta
sistemando con Tonks la loro casetta…”
Sentii chiaramente quello che doveva essere un insulto in gaelico, ma
non volevo litigare con lei per quel ragazzo, che non avevo mai nemmeno
visto.
“Ormai è passato,
Meissa… Anche tuo fratello sta per sposarsi, mancano ormai
pochi mesi a Yule…”
La bocca le s’incurvò ancora più
all’ingiù, in una smorfia poco simpatica.
“Che cosa
c’è? Sembra quasi che non ti piaccia nemmeno lei!
Mi sono accorto, sai, che non parli mai di questa famigerata ragazza
irlandese!”
“Che cosa dovrei dire? Non
l’ho mai vista, non ho idea di chi e come
sia…”
“Quindi ho ragione, non ti
piace nemmeno lei… Per me sei gelosa: una perfetta
sconosciuta ti porta via il fratello preferito, quello che ti protegge
da sempre. Saresti gelosa di chiunque, anche della persona
più buona, disponibile e gentile della
terra…”
“Io non sono gelosa di
nessuno…”
“… Se lo dici
tu… ”
In silenzio, aprii il contenitore che ci avevano dato gli elfi delle
cucine e le passai la porzione di pasticcio che avevo chiesto loro per
lei: sperai che, almeno questo, le avrebbe fatto tornare il sorriso, ma
restava con l’aria persa in un mondo lontano, triste. Il
silenzio tra noi era rotto solo dal cinguettio insistente di un paio di
ospiti della grande quercia di fronte: fu allora che mi accorsi che tra
gli alberi correvano un paio di scoiattoli, forse alla ricerca
dell’ultima scorta prima dell’inverno. Era tutto
così simile a Herrengton… Mi sistemai comodo,
appoggiandomi al tronco di un faggio. Cercai di moderare la
voracità con cui avevo iniziato a
“giustiziare” la mia porzione di torta di zucca, ma
poi, vedendo che mi guardava curiosa, iniziai a fare un po’
di scena: sapevo che quando mi comportavo in modo buffo, quando
lasciavo da parte le regole di casa Black, riuscivo sempre a farla
sorridere. E fu così per l’ennesima volta.
“Di Sile Kelly so pochissimo,
Sirius: è l’unica figlia femmina di uno dei
più cari amici di mio padre, vivono a Doire, la stessa
contea da cui viene mia madre; ha frequentato Hogwarts insieme a mio
fratello, hanno la stessa età. Non so altro, ma…
per mio fratello è una delle tante, non prova un affetto
particolare per lei, tra loro non è come per i miei
genitori…”
“Come fai a dirlo? Nemmeno
l’hai mai vista!”
“Due settimane prima di
fidanzarsi con lei, mio fratello frequentava
un’altra… una ragazza cui voleva bene, ero
convinta che fosse la ragazza giusta, che avrebbe chiesto a lei di
sposarlo… poi però… non so
perché, tutta quella fretta… So solo che Mirzam
non si è fidanzato per amore…”
“Un’unione di
convenienza? Ma tuo padre non vi ha promesso di lasciarvi liberi di
scegliere?”
“Non è stato per
mio padre… Lo so che è strano, Sirius, ma mio
fratello pur potendo scegliere di testa propria, non ha seguito i suoi
sentimenti… ma qualcos’altro… che non
riesco a capire…”
“Ed è per questo
che non l’ha frequentata in tutti questi mesi? Che non
l’ha mai portata a Herrengton?”
“No… quello
no… Vedi… E’ la tradizione: gli Sherton
si sposano così… da sempre… Dopo aver
fatto la proposta al padre di Sile, Mirzam non deve vederla fino al
giorno del matrimonio… e la cerimonia può
svolgersi solo a Yule, per sfruttare i doni del Nuovo
Sole…”
“Quanti riti strani e
misteriosi… Quante regole assurde e…
affascinanti…”
La guardai rapito, stare accanto agli Sherton era come aprire un libro
di Storia Magica e vederla prendere vita.
“A casa mia le regole sono di
tutt’altro genere: “Impugna così la
forchetta”, “Non appoggiare i gomiti sul
tavolo”, “Stai diritto con la schiena”,
“Non parlare senza il permesso”…
ecc…”
“Perché vuoi
conoscere le regole del Nord? A cosa ti serve? Ormai queste abitudini
le conservano solo poche famiglie, non le conosce più
nessuno!”
“Appunto! Non lo sai che
“la Conoscenza è Potere” ?”
Ghignai, a volte non riuscivo a trattenermi dall’esibire
qualcuno dei motti, tipicamente Slytherin, della mia famiglia e dei
miei precettori. Per mia fortuna Meissa poteva capirmi senza
spaventarsi, mentre quando mi uscivano frasi del genere con i ragazzi,
vedevo benissimo i loro sguardi preoccupati e sgomenti.
“Di sicuro vedrai il
matrimonio con i tuoi occhi, Sirius, sarete invitati tutti a
Yule…”
Sorrisi, lo speravo davvero, ma dopo gli ultimi avvenimenti immaginavo
che avrei passato la giornata di Yule da solo, confinato a Grimmauld
Place. C’erano circa tre mesi, durante i quali mia madre
sarebbe riuscita di sicuro a trovare un modo per estromettermi,
percui… No, non dovevo pensare a mia madre. Mi
passò per la testa una cosa che avevo capito
quell’estate e mi sembrò il modo più
sfacciato e sicuro di cambiare tono ai discorsi.
“I tuoi, però, non
hanno rispettato i rituali… Voglio dire… Mirzam
compie gli anni a maggio, non a settembre…”
Ridacchiai, guardandola impacciato e al tempo stesso malizioso.
“Non c’è
bisogno di celebrare il tipico matrimonio del Nord per fare un figlio,
Black, ormai sei grande abbastanza, da saperlo anche tu… o a
Londra non vi spiegano nemmeno quello?”
Ghignai di nuovo, cercando di soffocare il rossore e compiacendomi nel
vederla in imbarazzo a sua volta: come suo solito, cercava di fare
battute pungenti sul fatto che ero solo “Uno sciocco damerino
inglese”, senza però riuscirci, stavolta.
“Credevo solo che tutti gli
Sherton fossero rispettosi dei riti…”
“I miei si sono sposati come
semplici maghi, solo dopo la nascita di mio fratello papà ha
fatto pace col nonno e si è potuto sposare secondo i riti
del Nord… ma quel matrimonio è solo una conferma
pubblica, una festa. Il rito vero e più importante, quello
con cui i due si scelgono per la vita, è un fatto
esclusivamente privato, e può avvenire anche molto prima del
matrimonio.”
“Vorrei ben dire! Sarebbe
molto imbarazzante se non fosse un rito privato...”
Stavolta scoppiai davvero a ridere, rosso fino alle orecchie, mentre
lei mi guardava a bocca aperta.
“Black… Hai da
sempre una fantasia così malata o… o questi sono
i primi sintomi di quel cravattino rosso-oro? Si tratta solo di un
bacio… il bacio più importante della nostra vita,
con cui stabiliamo un legame immortale.”
Mi sorprese, sia per la semplicità di una cosa tanto
importante, sia per l’espressione che aveva in quel momento:
sembrava un mago che avesse creato la Pietra Filosofale, ne parlava con
lo stesso rispetto e sacralità. Naturalmente dovevo buttare
sul ridere anche quel momento.
“Un bacio? Merlino! Questo
vuol dire che se fossi riuscito a baciarti a Zennor, a
quest’ora a mia madre non importerebbe più niente
di questo cravattino!”
Sorrise a sua volta, forse per la stupidaggine che avevo detto o per il
ricordo di quella giornata per me leggendaria: era stato il compleanno
più emozionante della mia vita, ero stato un ragazzino
stupido, vero, ma forse senza quella giornata non saremmo mai diventati
così amici.
“Mi spiace, Sirius Black, ma
per scoprire i segreti di quel bacio devi volere davvero una
Sherton… perché poi non si torna
indietro…”
Mi canzonò con aria divertita, per lei stavo solo
scherzando, in cuor mio sapevo di essere interessato davvero. Tutte
quelle storie e quelle leggende mi affascinavano e più ne
credevo di sapere, più trovavo nuovi misteri da scoprire. E
poi cercavo solo una scusa per stamparle un bel bacio sulle labbra,
giusto perché sapesse che avevo già delle idee
abbastanza chiare su quello che volevo nella vita. Forse
intuì qualcosa, come sempre troppo in fretta, si
alzò, rapida, andando a raggiungere una figura che si
stagliava in lontananza. Era già finita l’ora che
c’eravamo ritagliati solo per noi: a breve sarebbero arrivate
tutte quelle nullità con cui dovevo dividerla…
per studiare Pozioni, tra l’altro. Mi alzai a mia volta,
presi a calci un sasso fino a che non s’immerse in acqua:
avrei voluto farli evanescere tutti quanti. Le prime ad arrivare furono
le ragazze di Corvonero, Pauline McDougal e Sheila Clearwater:
effettivamente non erano antipatiche, anzi, però mi
guardavano piuttosto interessate e mi sorridevano di continuo,
soprattutto quando Meissa era impegnata con gli altri ragazzi. Io mi
sentivo in imbarazzo e al tempo stesso lusingato: era strano e
piacevole essere così apertamente apprezzato, anche se non
era il loro, l’apprezzamento che desideravo… Alice
e Lily Evans arrivarono con una ragazza impacciata di Tassorosso, Norah
Felton, seguite da Frank Longbottom: le ragazze presero a confabulare
con Meissa, Frank, a disagio, iniziò a tediarmi con una
serie di discorsi noiosi di Erbologia, da cui non vedevo
l’ora di salvarmi in qualche modo. Quando apparvero James e
Peter, perciò, tirai un sospiro di sollievo e non esitai a
lanciarmi verso di loro, letteralmente grato per avermi liberato. Che
strano, però, Remus dov’era?
Emily Bones, Mattew Abbott e Colette Midgen di Tassorosso arrivarono
tutti insieme, sembravano fratelli siamese, non si separavano mai:
notai subito l’espressione di James perdere la proverbiale
sfacciataggine, per assumere un rossore che ancora non gli avevo visto
mai, quando vide la piccola Emily rivolgergli un sorriso
radioso. Infine comparve l’amica di Mei, Zelda,
seguita da Bullstrode e Yaxley; immaginavo che con loro sarebbe
arrivato anche Snivellus, ma rimasi rapidamente deluso: mi dovetti
rassegnare subito al fatto che fosse talmente vigliacco da non volerci
affrontare. In tutte le case, la proposta di Meissa aveva avuto un buon
successo, sicuramente insolito, ma, com’era prevedibile, non
a Serpeverde: della sua casa alla fine si erano presentati solo in tre.
“Come mai non
c’è Snivellus?”
James si guardava attorno curioso, rimarcando la parola
“Snivellus” quando vide Lily Evans passarci
accanto: l’unica cosa che ottenne fu un’occhiata
glaciale, seguita da un leggero mugugno. Alice e Frank le
andarono incontro e la scortarono fino a mettersi tutti insieme accanto
a Meissa. M’incupii subito: avevo immaginato, molto
fantasiosamente lo sapevo, di poterle stare vicino tutto il tempo,
invece quella rossa odiosa mi aveva già spodestato.
“Va tutto bene
Meissa?”
Mei guardava verso le sue montagne, preoccupata, delle nuvole si erano
levate e ormai rendevano minaccioso il cielo verso est; fece una
smorfia e ci ammonì.
“E’ meglio se ci
diamo da fare: entro un paio d’ore dovremo tornare al
castello, pioverà di certo!”
“Beh… se queste
sono le ultime ore di sole dell’anno, io proporrei di
impegnarle in modo più costruttivo: da qui ci vuole
mezz’ora per arrivare al campo da Quidditch!”
James ammiccava alle ragazze di Corvonero, cercando di sostenere lo
sguardo di Emily, che con i suoi occhioni da cerbiatto
l’avevano ridotto ormai a un tappetino, nemmeno fosse stato
vittima di un pesante incantesimo “Confundus”.
“I soliti Grifondoro
sfaticati!”
Yaxley ci squadrava con aria di superiorità, James era
pronto alla sfida, ma io non avevo intenzione di rovinare il pomeriggio
di Mei. Visto che non c’era Remus a fare il saggio del
gruppo, provai a prenderne il posto, per una volta, anche se mi sentivo
ridicolo già da solo a pronunciare quelle parole,
così lontane dal mio modo di essere.
“Sarà bene studiare
Pozioni: lunedì si avvicina e quel vecchio tricheco mi
sembra pignolo… e al campo oggi non c’è
da vedere nulla…”
“Merlino santissimo! Sei
proprio tu?”
“Dai,
James…”
“Godric, pietà, non
ne bastava uno di Lupin?”
James si gettò sconsolato a peso morto sul plaid e,
sbuffando, aprì il testo alla pagina indicata, spiegazzando
le pagine con malagrazia. Mei mi rivolse uno sguardo grato e le nostre
due ore da incubo finalmente ebbero inizio: le ragazze di Corvonero,
Frank ed io eravamo a pari livello, sicuramente più alto
della media, Abbott, Peter e Bones non nascosero invece di avere dei
dubbi che furono risolti confrontandoci. Yaxley non poté
evitare di denigrare e scambiare stupide battute su Grifoni e
Tassorosso con il suo tirapiedi, ottenendo delle risatine di
approvazione dalle Corvonero: in fondo, non erano poi così
simpatiche come avevo sempre pensato in quella settimana. Anzi. Era
proprio vero, i Corvonero non erano altro che Serpeverde senza
ambizione. Meissa ogni tanto sbuffava e fingeva di non aver capito
qualcosa, solo per far credere che anche tra i Serpeverde ci fossero
dubbi, ma nessuno prendeva sul serio la sua tattica. Frank la osservava
con ammirazione crescente: perfetto, ora anche lui mi suscitava guizzi
di assurda gelosia! In fondo però dovevo ammettere
che era normale: per chi non la conosceva, era difficile credere che
potesse essere gentile con il prossimo, o che non si curasse, come
tutti i Serpeverde, di maltrattare gli altri e guardare il mondo con
altezzosità. Sarebbe stato bello se non fosse
cambiata mai! Alla fine dovetti ammettere che il pomeriggio fu un
successo: mi ritrovai a chiarire io stesso alcuni concetti che
contrastavano con quello che mi avevano spiegato i precettori,
salvandomi così da una sicura insufficienza.
“Potremmo rifarlo sabato,
così per la prova di lunedì non avremo
problemi… potremmo coinvolgere anche
altri…”
“Dovremmo aiutare i nostri
compagni di casa più che gli altri, Sherton: in fondo le
prove servono anche per far guadagnare punti utili alla Coppa delle
Case!”
Yaxley la buttava sul pragmatico, ma da figlio di Serpeverde, sapevo
che quello che aveva fatto Meissa, quel giorno, rasentava
l’eresia: avesse coinvolto solo i Corvonero, tanto
tanto… ma i Grifondoro!
“Dobbiamo anche imparare,
Yaxley, non solo fare punti… per quello
c’è il Quidditch e
lì…”
Fece un occhietto malizioso e Yaxley ghignò come risposta,
imitato da quella sottospecie di troll di Bullstrode.
“Noi torniamo al castello, si
sta facendo freddo e tra un po’ si metterà a
piovere…”
Le Corvonero si dileguarono, con un ulteriore battito di ciglia verso
di me, che stavolta non sfuggì a Meissa: non riuscii a
decifrarne l’espressione quando se ne rese conto. Zelda si
accodò a Lily, Alice e Frank e insieme raggiunsero i
Tassorosso. James era diviso tra la voglia di svolazzare attorno a
Emily e la necessità di restare con me e Peter per fare
battute sugli altri e organizzare qualcosa di divertente per la serata,
poi però si rese conto che se mi trattenevo ancora non era
per loro, così prese sotto la sua ala protettiva Peter e si
avviò sghignazzando dietro agli altri, verso il castello.
“Il cervello sveglio di James
è sempre molto utile…”
“Peccato sia sempre
così strano e… d'accordo, oggi si è
comportato bene, in fondo. Ma Remus? Sembrava tanto contento della
nostra idea?”
“James ha detto che doveva
parlare alla McGonagall, forse ha qualche problema, non lo
so…”
“Mi dispiace… poi
sembra così cagionevole di salute… Per me sta
anche peggio di quel giorno sul treno…”
“In effetti… ma
ancora non lo conosco tanto bene, non ho idea di quale sia il
problema… però ti assicuro che è uno
in gamba, il migliore della mia stanza…”
“Migliore anche di
Potter?”
Ghignò e lasciò cadere lì il discorso.
Le sorrisi, mentre piegava il suo plaid ed io mi rimettevo il mantello
sopra la giacca: stava diventando davvero freddo. Mi sporsi e le presi
nuovamente i libri, poi le diedi la mano: me la prese, senza
esitazioni, eravamo rimasti tanto indietro da non essere più
visti dagli altri.
“Vorrei chiedere a Rigel se
posso accompagnarti alla cena di Slughorn, domani
sera…”
“Sei un tipo strano,
Black… che c’entra mio fratello? Non dovresti
chiederlo a me?”
Si voltò e mi sorrise, il vento le muoveva appena i capelli
e di nuovo mi ritrovai ad ammirare quelle labbra che sembravano
ciliegie.
“Io intendevo…
“
Divenni rosso, aveva ragione, ma spesso consideravo ovvia la risposta
di Mei: forse dovevo imparare a non dare sempre tutto per scontato.
“… Credo non ci
siano problemi, no? Voglio dire… non credo che Malfoy possa
fare stupidaggini davanti a Slughorn… Sempre se
vuoi…”
“Da quello che mi ha
raccontato Rigel, aspettati una serata da incubo, noia assicurata! Se
non ci fossi tu, cercherei di non andarci, Sirius!”
“Stai scherzando? Merlino!
Perfetto! Dopo una giornata all’insegna di Storia della
Magia, ci mancava anche la cena!”
Iniziò a piovere, ci mettemmo a correre per la salita che
riportava al castello, ci tirammo i mantelli e il cappuccio sopra la
testa e, ridendo, raggiungemmo fradici e con un certo affanno il
Cortile di Pietra, cercando riparo sotto i portici millenari.
“Sei un mollaccione, Black!
Sempre senza fiato!”
“Io avevo il peso dei
libri!”
“Tutte scuse!”
Rideva… La stavo guardando come un idiota, ormai
deciso, dopo averlo sognato tutto il pomeriggio, a farmi coraggio e
abbracciarla, cogliendola di sorpresa e…
“Ragazzi…”
Una voce alle mie spalle mi riportò alla realtà,
Meissa si voltò, in fiamme, mentre Amos Diggory, Caposcuola
di Tassorosso, incombeva su di noi con aria a metà tra il
divertito e il severo.
“Non avete lezione o compiti
da fare in biblioteca?”
Ci guardava incuriosito, certo doveva trovare strano che un Grifondoro
e una Serpeverde stessero insieme senza insultarsi, anzi, in
atteggiamenti per lo meno sospetti, soprattutto io… E di
sicuro aveva riconosciuto Meissa. Chi non la conosceva
già, in quella scuola, dopo appena una settimana? Ce ne
andammo con la coda tra le gambe, rossi in viso, io notevolmente
frustrato.
“Vado di sotto Sir…
Ci vediamo a cena o domani, a lezione…”
“Mei…”
Merlino, l’avevo messa in imbarazzo in pubblico e lei si era
resa conto delle mie intenzioni! Che vergogna! La inseguii fino
all’ingresso di Serpeverde, sapevo di non poter andare oltre,
ma non potevo lasciarla andare così, temevo si fosse
arrabbiata di nuovo.
“Mei…
aspetta… Non volevo…”
L’afferrai con un certo impeto per un braccio, facendola
voltare, non era arrabbiata, sembrava delusa…
“Peccato Black…
magari io avrei voluto…”
E detto questo sparì oltre il ritratto, un leggero ghigno
malizioso in faccia, lasciandomi sbigottito e confuso, lungo i corridoi
del sotterraneo. Che cosa voleva dire? Anche lei aveva i miei stessi
pensieri? Ripensai a Herrengton, a quella sera in cui avevo quasi
annullato tutto… Allora era stata lei…
Sì, sorrisi tra me, doveva essere davvero
così… Ero così felice di quella
piccola speranza, che spegneva tutte le paure e rendeva radioso il
futuro, che non mi resi subito conto di non essere solo.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre
1971
Rigel, in piedi in mezzo alla stanza, era completamente preso dalla sua
esposizione degli schemi di gioco, Cox e Beckett, due ragazzi alti e
grossi, del quarto anno, rispettivamente portiere e battitore, lo
ascoltavano rapiti seduti a terra, mentre Rabastan e Angie Crabble,
battitore e cacciatrice, nemmeno fingevano di ascoltarlo, avvinghiati
come due piovre sul divanetto alla sinistra di mio fratello: lei, una
ragazzina minuta del terzo anno, era considerata una delle giovani
più attraenti e sfacciate di tutto il castello, e ora,
camicetta fin troppo sbottonata e mani di quel maniaco ovunque, ne
capivo chiaramente il motivo. Sull’altro divano, di fronte,
Malfoy e Mills, settimo anno e cacciatori, nemmeno se ne curavano,
forse fin troppo abituati a quelle scene: Mills sembrava convinto delle
proposte di mio fratello, Malfoy, al contrario, aveva come sempre la
sua classica puzza sotto il naso. Erano gli unici ragazzi presenti
nella Sala Comune, mi ero scordata le raccomandazioni di Rigel.
“Tieniti alla larga fino
all’ora di cena, puoi andare dove ti pare, Lucius
starà tutto il pomeriggio con me”.
Ormai il danno era fatto: avevo la mente in subbuglio per Sirius, si
era comportato in modo davvero strano tutto il pomeriggio, prima con
quelle domande su mio fratello e i riti del Nord, poi quella faccia
alla fine… Volevo solo andare a nascondermi nei dormitori, a
ripensare a quel pomeriggio, rivedermi quei momenti
bellissimi… Avevo promesso alla mamma di non farmi
distrarre, ma con Black era praticamente impossibile.
“Che sorpresa! Meissa! Rigel,
mi sa che tua sorella ti sta cercando…”
Cox mi sorrideva, Rigel si voltò, nel giro di pochi istanti,
pur rimasta in silenzio, avevo attirato l’attenzione di
tutti. Pregai di non arrossire troppo, mentre lo sguardo di Malfoy
sembrava volesse ridurmi in cenere, mi feci coraggio e cercai di
mostrarmi serena e indifferente.
“Qualcosa non va,
Mei?”
“No… sparisco
subito… devo scendere di sotto a prendere dei
libri…”
Rigel fece un cenno di assenso e tornò subito ai suoi
schemi, ma Rabastan non sembrava d’accordo.
“Perché non resti?
Secondo me dovresti, tanto sappiamo già che l’anno
prossimo sarai in squadra con noi… buon sangue…
”
“Non è il modo
regolare di scegliere i componenti della squadra, Basty!”
“E allora? L’anno
prossimo sarò io il capitano, non tu, Malfoy, quindi
prenderò in squadra chi voglio, scegliendolo come
voglio!”
Angie si mosse stizzita sul divano lanciando a Lestrange
un’occhiata omicida, Malfoy sogghignò alla sua
maniera, con l’aria di chi minaccia nemmeno troppo
velatamente; gli amici di Rigel non dissero una parola, ma Cox mi fece
spazio, invitandomi a sedermi tra lui e Beckett: quei due erano
simpatici e un po’ strani e, soprattutto, non mettevano
paura, al contrario della maggior parte degli altri Serpeverde. Inoltre
ero curiosa, avevo sentito dire che mio fratello incantava quando si
trattava di Quidditch, sia con i fatti sia con le parole: tutti
dicevano che nel gioco era identico a mio padre, ed io, che
già avevo imparato ad apprezzarlo in quei pochi giorni, non
vedevo l’ora di ammirarlo di persona. Ottenuta una sua
occhiata di consenso, perciò, andai a sedermi a terra, sul
tappeto: forse anche lui voleva che dimostrassi di non aver paura di
nessuno. Lestrange e Malfoy fingevano di seguire Rigel, ma sapevo
benissimo che mi stavano studiando, io mi mostravo indifferente, ma il
nervosismo era più che palese, visto il modo paranoico con
cui spianavo di continuo le pieghe della mia gonna, quasi volessi
cancellarmi al loro sguardo. Malfoy, vigliaccamente e stupidamente,
provò a chiedermi un paio di regole di Quidditch, sicuro di
cogliermi impreparata, non tenendo conto che, ascoltando tutte le
discussioni e i racconti di mio padre e i miei fratelli, avevo ormai
un’ottima preparazione teorica, tanto che lo lasciai a bocca
asciutta.
“Visto? Che cosa ti dicevo,
Malfoy? Io proporrei di lanciare un boccino e vedere chi dei due lo
prende per primo!”
Rabastan raccolse altri consensi con questa iniziativa, si
staccò da Angie, ormai visibilmente scocciata, e
andò nel dormitorio dei maschi a recuperare la pallina
dorata; Rigel mi guardava sconsolato, dalla faccia funerea capivo che
mi accusava in silenzio di aver mandato a monte qualcosa per lui
importante. Mi strinsi nelle spalle: forse se avessi dimostrato subito
la mia inettitudine, non avrebbero più avuto scuse per
romperci le scatole.
“Eccolo qua!”
Rabastan riemerse trionfante, con il boccino dorato che vibrava tra le
sue dita: la camicia era ancora per metà fuori dai pantaloni
e in parte aperta, e ora che riuscivo a vederlo più da
vicino, aveva evidenti tracce di rossetto sul collo e la faccia. Aveva
la stessa espressione selvaggia del giorno del matrimonio a Black
Manor: all’improvviso, compresi da quale tipo di
attività si era appena allontanato, quando l’avevo
incontrato, in quel chiostro. Senza apparente motivo, divenni rosso
fuoco.
“E’ una prova
stupida, Meissa non ha mai toccato un boccino e ha appena iniziato a
volare su una scopa! Qua dentro rischiamo di rompere qualcosa e farci
male!”
“Stupidaggini,
Sherton… sulla scopa ci sa già stare…
l’ho vista io sabato giù nel cortile: per essere
una matricola alla prima settimana, già si muove
bene… eventualmente basterà un
“reparo”.”
Perfetto, ci mancava il parere non richiesto di Malfoy... Iniziai a
inquietarmi, non volevo che mi tirassero dentro i loro stupidi giochi,
il Quidditch nemmeno mi piaceva!
“Sono quasi caduta dalla
scopa, sabato, e del Quidditch non m’importa nulla!”
“Non ti farai nulla,
Meissa… Gli imporrò di volare basso, non
servirà che tu salga sulla scopa! Voglio solo vedere se hai
lo stesso fiuto dei tuoi fratelli!”
Mi alzai e presi la via dei dormitori, lasciandoli tutti basiti, di
certo non avrei soddisfatto le curiosità di un Lestrange, ma
Basty lasciò libero il boccino che iniziò a
fluttuare e zigzagare per la stanza. Voltandomi, vidi che mio fratello
aveva già il classico sguardo predatore tipico di un
cercatore nato, puntato sull’oggetto alato, e con sorpresa mi
accorsi che riuscivo a tenere a mia volta gli occhi incollati su quella
pallina svolazzante senza difficoltà.
“Visto? Ce l’hanno
nel sangue… Sembrano ipnotizzati tutti e due!”
Cox si mise a ridere, confermando le osservazioni di Beckett, Mills
tirò fuori un sacchetto di galeoni dalla giacca e mi mise a
contare.
“A questo punto sarebbe
più divertente se ci scommettessimo sopra
qualcosa… Io punto sulla ragazzina!”
Lasciò tintinnare alcune monete sul tavolo, seguito da tutti
gli altri, alla fine sul tavolo c’era una bella montagnetta
d’oro. Sapevo che se avessi seguito l’istinto, che
avevo ereditato da mio padre col sangue, non mi avrebbero mai lasciato
in pace, quindi finsi: smisi di seguire il boccino, cercandolo dove
sapevo benissimo che non l’avrei trovato, visto che tenevo
costantemente d’occhio il movimento dorato lasciandomelo
sempre ai margini del campo visivo. Impedire alla mano di tendersi e
acciuffarlo fu invece più impegnativo. In breve,
Rigel mise fine alla mia recita, impugnando la pallina dorata a pochi
centimetri dalla faccia scocciata di Angie. Malfoy proruppe in un
applauso, era l’unico ad aver puntato, come sempre, contro di
me.
“Peccato Mills! E... grazie,
cuginetti: mi avete fatto guadagnare un bel gruzzolo!”
Lucius si alzò con un bel sacchetto pieno di galeoni poi si
diresse alla porta, avviandosi al suo turno di guardia lungo i corridoi
del sotterraneo: gli altri erano imbronciati, avevano scommesso tutti
contro Rigel, che se ne stava ancora in piedi sul tavolo, il boccino in
mano, a guardarli beffardo.
“Non te la prendere
Mei… magari con un po’ di
esercizio…”
Cox cercava di consolarmi, offrendomi delle cioccorane, Rabastan
però non demordeva.
“Per me avete
barato… ma anche se fosse… Il cercatore non ci
serve, l’abbiamo già, la alleneremo come
cacciatrice! L’anno prossimo ce ne serviranno addirittura
due!”
Ghignò a mio fratello, alludendo alla partenza di Malfoy: mi
resi conto che non ero l’unica a trovarlo insopportabile!
“I Lestrange non mollano mai
con gli Sherton, vero Basty?”
Rigel gli sorrideva, anche se a me non piaceva, avevo visto benissimo
che Basty con mio fratello era sempre gentile e amichevole, sembrava
quasi una persona a posto, forse mio padre esagerava…
“Devi convincere lei, Basty, e
non sarà una cosa facile, credimi… non hai idea
di quanto sia testarda!”
“A me piacciono tanto le
sfide… lo sai…”
Mi ghignò radioso, la Crabble si alzò tutta
offesa, Mills rise tanto che la burrobirra gli passò dal
naso, poi Lestrange, senza più guardarmi direttamente,
rivolse a tutti gli altri il suo miglior sorriso serafico.
“In fondo come per tutte le
altre cose che avete nel sangue… basta scoprire quali tasti
bisogna toccare…”
Si parlava soltanto di Quidditch, lo sapevo, ma Lestrange riusciva a
essere anche più inquietante di Malfoy. Mio padre aveva
ragione, non dovevo fidarmi di lui. Non dovevo scordarmelo mai.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre
1971
“Guarda un
po’… Un Grifondoro… solo soletto, nei
sotterranei di Serpeverde…”
Mi voltai di scatto, riconoscendo la voce del tizio che aveva istigato
i troll contro Peter e l’altro ragazzino, la sera prima:
Walden McNair. Deglutii a stento, ero stato un idiota a
rimanere tanto a lungo nei sotterranei, per di più da solo.
E in quell’ora c’erano pochissime persone in giro.
Nessuno a cui chiedere aiuto.
“Ti sei mangiato la lingua,
rinnegato?”
Mi sfilai la bacchetta dalla cintola, ben sapendo che comunque sarebbe
stato tutto inutile. Studiai la situazione, l’unica via di
fuga era alle sue spalle.
“Che scenetta divertente, che
cosa vorresti farci con quella?”
Si avvicinò, indietreggiai, alla fine appoggiò la
mano ossuta sulla mia testa, scansandomi con facilità fino
ad addossarmi a una parete, in un punto particolarmente buio e
nascosto. Io gli ringhiai addosso, prendendolo a pugni tirati a
casaccio.
“Toglimi subito quella zampa
da dosso, McNair…”
“Altrimenti che mi
fai?”
Sghignazzò, tirandomi una ciocca di capelli, io cercai di
centrargli il basso ventre con un calcio ma mi sollevò di
peso, sbattendomi contro una colonna, un dolore terribile ai reni:
iniziò a darmele, colpendo a ripetizione, sempre in punti
non visibili. Non avevo più fiato nemmeno per squittire.
“Vedi che succede ai
rinnegati, Black?”
L’ennesimo colpo. Scivolai a terra, tossii e vidi uscirmi
sangue dalla bocca: non mi era capitato mai, ero terrorizzato a morte,
iniziai a credere che sarei morto in quell’oscuro e remoto
angolo dei sotterranei, nessuno mi avrebbe trovato mai. Non capivo
più niente, era tutto confuso, era tutto dolore, sembrava
che tutto diventasse notte. Mi mosse con un piede e
sghignazzò con fare sinistro, ma la sua voce era deformata
nelle mie orecchie. Poi un lampo d luce rossa uscì
dall’oscurità, McNair si ritrovò
sbalzato all’indietro, cadendo di schiena a qualche metro da
me: se era stato uno “stupeficium”, non era stato
molto potente, di certo McNair era rimasto più che
dolorante, sorpreso…
“Che cosa diavolo…
Perché l’hai fatto?”
“Lascialo andare, Walden!
Abbiamo cose più importanti cui pensare, non possiamo
più sporcarci con questi giochetti!”
Il ronzio nelle orecchie non mi permetteva di comprendere altro,
né di riconoscere la voce, bisbigliata
nell’oscurità. Percepii solo un’ombra
alta che mi sovrastava, bisbigliò qualcosa e sentii le
palpebre farsi pesanti, non riuscivo ad aprire gli occhi e vedere cosa
mi accadeva attorno, ero completamente cieco. L’ultimo
arrivato prese a tastarmi il viso, l’unica parte di me che
non mi faceva male, poi scese lungo il torace, provocandomi non poco
dolore.
“Hai fatto un casino! Come
glielo spieghiamo alla Chips? Questo non è un Sangue Sporco
qualunque…”
“Ma è un
Grifondoro, un rinnegato…”
“Taci idiota! Questo
è il figlio di Black! Ancora non sappiamo come interpretare
questo fatto…”
Sentii tirarmi il cravattino. Che cosa stava accadendo attorno a me?
Chi era quel ragazzo che mi proteggeva, quasi avesse paura di me? Del
fatto che qualcuno si lamentasse per quello che mi era successo.
“Aiutami!”
McNair prese a sghignazzare, poi mi sentii sollevare e caricare sulle
spalle, camminammo a lungo, aprimmo diverse porte, ogni passo era una
lunga e lenta fitta d’incredibile dolore. Non mi usciva
nemmeno il fiato per urlare.
“Tu ora resti qui e fai il
palo! Hai capito, essere inutile?”
La voce di un elfo domestico squittì
nell’oscurità forse eravamo nelle cucine. Mi
scaricò di colpo su una superficie dura e rigida fredda, mi
uscì appena un lamento mentre quelle mani calde e nervose mi
aprivano la camicia e mi tastavano le costole.
“Dove ti fa male?”
Non capivo perché le mie orecchie sentissero quella voce
distorta al punto da non riconoscerla, non avevo ricevuto colpi in
testa, forse mi avevano confuso o fatto qualcos’altro, come
agli occhi.
“Non mi fa male
nulla…”
“Certo… come
no…”
Sentii qualcosa di freddo e umido sul petto, dei rapidi massaggi e un
odore intenso di piante curative, lo sconosciuto cercava di guarirmi o
per lo meno rendere meno evidenti i lividi che quel bastardo di McNair
mi aveva provocato. Lentamente i dolori sembrarono attenuarsi,
senza però sparire.
“Ora può passare
per una caduta, basta aggiungere l’unica cosa che
manca…”
Un colpo violento al naso, a stordirmi completamente, sentii
l’odore metallico del sangue invadermi la gola. Poi il legno
della bacchetta venne puntata sulla mia fronte e la voce sibilante
bisbigliò qualcosa al mio orecchio… Le forze e la
coscienza sparirono. Ora tutto era oscurità e silenzio.
***
Remus
J. Lupin
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre
1971
“Conosci le regole,
tesoro… Dentro troverai tutto, come si sono accordati tua
madre e il preside…”
Minerva McGonagall, l’arcigna e severa professoressa di
Trasfigurazione, direttrice della casa dei Grifondoro, sembrava non
volermi lasciare andare, stringeva le mie mani tra le sue, amorevole e
preoccupata, uno strano sguardo pieno di pietà e dolore,
così simile a quello che aveva mia madre quando mi
osservava. Non c’erano paura e disgusto nei suoi occhi,
com’era possibile? Eravamo nel parco, immersi nel buio, la
luna celata ancora di là dei monti, ancora un’ora
e la sua maledizione avrebbe fatto il suo corso, trasformandomi in un
essere orrendo. Deglutii e mi feci forza, un bastone premeva ai piedi
di un platano incantato, avrebbe evitato che uscissi di lì o
che qualcuno, maldestramente entrasse e mi scoprisse. Un cunicolo si
apriva sotto l’albero, non volevo entrare, sembrava una bocca
pronta a inghiottirmi, a farmi scivolare fino all’inferno.
“Ora io e la signora Chips ti
accompagniamo e… domattina torniamo a prenderti, starai in
infermeria, ci prenderemo cura di te… non devi avere
paura…”
Sentivo le lacrime forzare per sgorgarmi dagli occhi, strinsi i pugni e
avanzai di un passo, vidi le due donne lanciarsi uno sguardo
preoccupato e partecipe, erano veramente addolorate per me, non
provavano paura per se stesse. Dovevano avere una grande considerazione
e fiducia in Dumbledore e nei suoi piani, ne ero certo. Forse dovevo
semplicemente lasciarmi andare anch’io e fidarmi di tutti
loro, a mia volta. Quel cunicolo era lunghissimo, sentivo
l’odore della terra umida penetrarmi il naso e la pelle, ma
quasi non gli prestai attenzione, sentivo ben altro: la carne iniziava
a tendersi, i brividi aumentavano, avevo sempre più caldo e
sete e un odio che mi montava da dentro. Quando finalmente arrivammo
nel sotterraneo della casa che avevano costruito per me, sentivo che
ormai mancava poco.
“Andatevene, non
c’è più tempo, rischiate di ritrovarvi
ancora qua dentro quando… quando…”
Strinsi le mani e mi lasciai sfuggire delle lacrime, avevo combattuto a
lungo, ma ormai mi sentivo sconfitto. La professoressa
McGonagall mi accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla
fronte, cercando di farmi coraggio, prese la mia mano, le vene ormai
erano chiaramente in evidenza, piccoli fiumi scuri che solcavano una
pelle perlacea e lunare.
“Sei un ragazzo bravo e
coraggioso, Remus Lupin! Godric in persona ti avrebbe scelto tra i suoi
studenti più meritevoli. Tra poche ore sarà tutto
finito… tieni duro…”
“Andate!”
Rientrarono nel cunicolo, lasciandomi solo a esplorare quel mondo tutto
mio. Quel mondo che avrei imparato a conoscere fin troppo bene. Quando
sentii richiudere la grata che doveva contenermi, urlai con tutto il
fiato che avevo in gola “Grazie”, prima che la mia
umanità scivolasse nell’oblio. Poi il dolore
lacerò la pelle, sentii le ossa e i muscoli deformarsi,
tendersi, stirarsi, sentii la mia energia incontenibile sgorgare e
anelare a quella vita selvaggia e senza regole che non dovevo in nessun
modo assecondare.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre
1971
“Che cosa ti è
saltato in mente di partecipare alla riunione di Quidditch?”
Sapevo che alla fine la ramanzina sarebbe arrivata, e puntuale
arrivò quando Rigel mi accompagnò in Sala Grande
per la cena.
“Volevo parlarti…
Sirius mi ha chiesto se può accompagnarmi lui alla cena di
Slughorn.”
“Sirius Black non
potrà portarti da nessuna parte…”
Punto. Niente di più, niente di meno, mio fratello aveva
preso da mia madre i modi decisi e irremovibili, lo sapevo da tanto.
“Ma Rigel! Malfoy non
può farmi niente davanti a Slughorn, non essere
paranoico!”
“Non hai capito! Black in
questo momento è ricoverato in infermeria, dicono sia caduto
per le scale, di sicuro non uscirà prima di
venerdì, perché ha battuto la testa e non ricorda
niente…”
“Che cosa? Quando…?
Come sta?”
“L’ha trovato Amos
Diggory ai piedi della scalinata che va alle cucine, meno di un'ora fa,
ha chiamato aiuto, ora la Chips lo sta curando in
infermeria…”
“Devo andare subito!”
“NO! Per questa sera tu non
vai da nessuna parte, lui deve riposare… e tu…
stai già facendo parlare la gente anche troppo!”
“Che cosa vorresti
dire?”
“Che devi dare ascolto alla
mamma! Che cosa sono questi pomeriggi con i Grifondoro? Va bene Sirius,
ma gli altri? Dovresti fare in modo che sia lui a riavvicinarsi agli
altri Serpeverde, invece sembra che sia tu a volerti trasformare in una
Grifondoro!”
“Io voglio stare con i miei
amici, non m’importa dei colori…”
“Non sei nella casa di nostro
padre, Meissa… qui non valgono le regole di papà,
qui ci sono altre leggi e tu devi impararle... o la prossima a
“cadere per sbaglio” dalle scale potresti essere
tu… per favore …”
“Merlino! Vuoi dire che
è stato attaccato? E’ così,
vero? Dimmi cosa sai! Scrivo a casa… e a
Orion… devono sapere…”
“Salazar! Che cosa pensi di
ottenere, Meissa? Sirius deve crescere… Tu devi crescere...
Credi che Black sia l’unico ad aver dovuto tirar fuori pugni
e bacchette per difendersi?”
“Che cosa vuoi dire?”
“Se vuoi sopravvivere a
Hogwarts, devi imparare le sue regole e vivere secondo quelle
regole… se non sei disposto a rispettarle, beh…
allora devi farti i muscoli per difendere te stesso e la vita che hai
scelto di seguire… tutto qui…”
“Ma ha undici anni…
e i prefetti? E il professor Slughorn? Posso dire a lui quello
che…”
“Tu e Black dovete imparare a
difendervi da soli e soprattutto… stare lontano dai
guai… punto!”
“Rigel…”
“Che cosa vuoi
ancora?”
“Per favore… vai
per me dalla Chips e chiedi come sta? Per favore…”
Mi guardò burbero, sospirò, ma sapevo che
l’avrebbe fatto.
"Domani non verrò alla cena
da Slughorn... Se le regole a Serpeverde sono queste, io non ci
verrò mai!"
Non disse nulla, non provò a farmi ragionare, forse la
pensava addirittura come me. Quella sera non mangiai nulla,
giochicchiai con il porridge senza curarmi se ero osservata,
né risposi a chi mi chiedeva qualcosa. Dovevo scrivere a
casa. Osservavo il tavolo di Serpeverde, ero certa che i responsabili
fossero loro, ma non riuscivo a capire chi, di certo McNair, ma non
sembrava tanto furbo e accorto da far passare un pestaggio per una
caduta. E gli altri… Le persone di cui meno mi
fidavo erano con me a parlare di Quidditch… C’era
quindi un altro mostro nell’ombra? Di certo quello che era
capitato a Sirius era solo colpa mia. Non dovevo lasciare che mi
seguisse nei sotterranei del castello. Non sarebbe acaduto mai
più. Prima di andare a dormire, seppi che Sirius era in cura
a tutto procedeva normalmente, osservai i Grifondoro, nemmeno Remus era
ancora tornato, alla fine avevo scoperto che era stato poco bene nel
pomeriggio. Per lo meno, forse, Sirius avrebbe passato la notte con uno
dei suoi
più cari amici.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9
settembre 1971
Non doveva essere ancora l’alba quando
sentii dei rumori strani e delle voci soffocate. Mi
svegliai. Il dolore diffuso e l’oscurità
rischiarata appena dalle torce in fondo alla stanza non mi
fecero capire subito dove mi trovassi, di certo non ero nel mio
baldacchino: il mio sguardo velato spaziò fino in alto, dove
dalla penombra emergevano appena i profili delle volte di pietra che
s’intrecciavano in eleganti volute e giochi intricati, come
gli arabeschi che ornavano le dita di Meissa. Le percepivo
appena, più con i ricordi che con lo
sguardo. Ancora confuso, la prima cosa cui pensai fu la
bellissima camera che mi aveva ospitato per due mesi a Herrengton, ma
razionalmente sapevo che non poteva essere vero. Girai lentamente la
testa, delle fitte di dolore mi scorrevano dentro, dalle costole
salivano e si concentravano sul naso. Rimasi immobile col
resto del corpo, sconfitto: sembrava che tutte le ossa del mio petto
reclamassero pietà, mentre un persistente e disgustoso
sapore di sangue continuava a salirmi dallo stomaco. Un senso
di calore opprimente m’impediva di respirare dal naso, di
conseguenza avevo la bocca riarsa e assetata, le labbra screpolate. Non
ricordavo niente, solo che alcune ore prima stavo sotto le mani esperte
e preoccupate di Madame Chips, che mi parlava rassicurante, dicendomi
che il mio naso sarebbe tornato perfetto, perfetto come il mio
nome. Non capivo… Dovevo essere ancora in
infermeria… Cercai di sgombrare la mente, la porta in fondo
alla stanza si aprì, Madame Chips, avvolta in una vestaglia
borgogna, reggeva la lampada e faceva strada a un gruppo di persone: il
preside Dumbledore, in una ricca veste da camera celeste nascosta sotto
una pesante vestaglia più scura, la professoressa
McGonagall, i capelli raccolti in una treccia corposa e avvolta in una
miriade di scialli e tessuti dal disegno scozzese e, a chiudere la
strana processione, un uomo corpulento, alto quasi fino al soffitto,
dall’aspetto ispido e incolto, quasi minaccioso, se non
avesse avuto uno sguardo rassicurante, nascosto in mezzo a quella
foresta di capelli neri e nodosi, gli enormi baffi selvatici e la barba
irsuta.
“Appoggialo lì,
Hagrid, per favore… delicatamente!”
Parlando in un sussurro, il preside diede le sue indicazioni
all’omone gigantesco: lo vidi estrarre dall’enorme
pastrano prima la testa bionda poi tutto il corpo esile di un
ragazzino, che fu adagiato con delicatezza insospettabile nel letto
accanto al mio. Non potevo crederci: era Remus Lupin.
M’immobilizzai, fingendo di dormire, non riuscivo a capire:
perché anche lui si trovava lì? Stando a
James, non si era sentito bene il pomeriggio precedente, ma ore prima
non l’avevo visto in quella stanza: si era forse sentito male
di nuovo? La lampada si fermò per un attimo sul suo
viso sofferente, un enorme graffio gli solcava la
guancia. Aveva un aspetto orribile, tremai: che
cos’era successo? Tesi le orecchie, ma non ci fu verso di
capire qualcosa, percepii, anzi, attraverso le palpebre socchiuse, lo
sguardo preoccupato di Dumbledore soffermarsi su di me, poi
pronunciò un flebile “Parliamone
di là in privato”, rivolto agli
altri. Forse mi aveva scoperto, vidi che si limitò
a dare rapide indicazioni all’omone che, rapidamente,
salutò ossequioso e se ne andò. Madame Chips e la
professoressa McGonagall rimasero con lui a confabulare nel buio in
fondo alla stanza, non riuscivo a capire niente di quello che
affannosamente si stavano dicendo, poi all’improvviso si
separarono, e rimanemmo soli, io, Remus e l’infermiera. Remus
Lupin respirava con una certa difficoltà, si contorceva
lentamente e si lamentava, Madame Chips trafficò al suo
capezzale, prendendosi cura delle sue mani ferite e del graffio sul
viso, e facendogli degli impacchi di una qualche sostanza lenitiva
sulla fronte. Dopo alcuni minuti spense la lampada e il buio
tornò ad avvolgermi: sentii con un certo sollievo che ora
Remus respirava con minori difficoltà ed io, cullato dal
rumore della pioggia, che frustava placida le imponenti vetrate
variopinte, e sfinito dai dolori che mi sentivo un po’
ovunque addosso, tornai ad addormentarmi.
***
Orion
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9
settembre 1971
Misuravo a grandi passi lo studio, appoggiandomi, pur senza averne
bisogno, al bastone da passeggio di pregiato legno intarsiato, la veste
da mago verde bottiglia che ondeggiava fluida secondo i miei movimenti,
nervosi ma pur sempre aristocratici, intervallati dalle mie soste e dai
miei sospiri. Mi soffermavo sui volti degli antichi presidi
sonnecchianti, li osservavo lisciandomi la barba o torcendomi le mani,
preda d’impazienza e timore, poi volgevo lo sguardo su
Phineas, il mio antenato che fingeva di dormire come tutti gli altri e
che in realtà, come suo solito, mi studiava e mi giudicava.
Era stato lui a dare l’allarme, per volere di Dumbledore, la
sera prima, sgattaiolando dal ritratto nell’ufficio del
preside e riapparendo, come spesso faceva, a Grimmauld Place.
“Quel rinnegato di vostro figlio è stato trovato
svenuto presso le cucine!”
Mi si era contorto lo stomaco sotto l’ennesimo attacco di
bile, sentendolo definire a quel modo mio figlio. Phineas veva preso a
strepitare, mentre eravamo tutti a tavola, impegnati in una cena tra
familiari e amici: c’erano Pollux e Irma con Cygnus, Druella
e Bellatrix, con suo marito Rodolphus, e, naturalmente, mio figlio
Regulus e Alshain con Deidra e i loro figli più piccoli.
Walburga aveva lasciato cadere nel piatto, inorridita, la forchetta,
che fino a quel momento teneva austeramente in mano, più per
l’insulto che per la notizia che nostro figlio era ferito, io
rimasi impietrito a tavola, una sensazione sconosciuta nel petto, un
misto di terrore e rabbia. Lanciai uno sguardo interrogativo ad
Alshain: non era meno preoccupato di me.
Lo sapevo... Lo sapevo...
Walburga fulminò me e Alshain con sguardo assassino poi
iniziò a tempestare Phineas di domande, chiedendogli qual
era la situazione: a mano a mano che il vecchiaccio parlava, mia moglie
passava dal classico colorito pallido ed esangue, a toni sempre
più accesi di rosso, a esprimere la rabbia per quello che
stava ascoltando, finché non la vidi scivolare a terra,
svenuta. Druella, Dei e Irma accorsero subito in suo aiuto, Regulus,
come al solito, si mise a piangere e Deidra lasciò perdere
Walburga per prendersi cura di lui, Pollux mi lanciò uno
sguardo divertito, proprio come la sua degna nipote, avrei desiderato
cruciarli all’istante entrambi!
“Come sta ora?”
Alshain fece a Phineas l’unica domanda sensata in quel
momento, mentre Rodolphus si preoccupava che stessi bene e provava a
calmarmi, Cygnus al contrario, come suo padre, mostrava di non curarsi
per niente degli avvenimenti: per tutti loro, dal momento in cui mio
figlio aveva mancato lo smistamento a Serpeverde, aveva smesso di
essere uno della famiglia. La cena era finita così, un misto
di terrore, fuso a rabbia e sconcerto mi attanagliava il petto: non
dormii tutta la notte, preda di una serie di domande che si
accavallavano nella mia mente; il gufo che arrivò in piena
notte, poi, non fece altro che peggiorare la mia insonnia, al punto
che, all’alba, ero già pronto, in partenza per
Hogwarts: dovevo vedere con i miei occhi in quali condizioni si
trovasse mio figlio, al diavolo tutto quello che avevo promesso a
Walburga, anni e anni prima. La versione ufficiale giunta
all’orecchio del preside era che Sirius era stato trovato
incosciente e con vari lividi addosso alla base della scala che
conduceva alle cucine. Conoscendolo, non mi sembrava strano
che fosse stato trovato lì, in fondo da sempre aveva il
poderoso appetito dei Black e, a volte, era anche abbastanza distratto
e spericolato da farsi del male da solo, comportandosi da stupido o da
incosciente: già all’età di cinque
anni, amava salire sui corrimani di Grimmauld Place, lasciandosi
scivolare in basso a tutta velocità, facendo così
tremare dalla paura sua madre e procurandosi non pochi lividi e
sbucciature. A nulla erano valse le giornate in castigo nella camera
del sottotetto, adibita a camera di punizione proprio per cercare di
mettere un freno alla sua eccessiva vitalità e incoscienza:
in realtà, io vedevo il suo comportamento come il chiaro
segno dell’enorme esuberanza che gli avevo passato col sangue
e non potevo che esserne orgoglioso, anche se non dovevo darlo a
vedere. Sua madre, al contrario, traeva da questi episodi la scusa per
attaccare il sangue malato tipico del mio ramo della nostra famiglia,
dicendo che nostro figlio prometteva fin dalla culla di diventare un
problema, esattamente come me. Il fatto che Sirius fosse una
specie di calamità da sempre, però, non riusciva
a togliermi quel senso di angoscia e sospetto da dosso, scatenato
ulteriormente dopo aver letto la lettera inviata da Meissa a me e ai
suoi genitori.
“Milord,
mi scuso per
l’impudenza di questa lettera, ma non posso evitare di
denunciare quello che so alla mia famiglia e a lei, mio gentile amico e
mio adorato padrino…”
Avevo quasi ceduto, commosso, nel leggere “adorato”:
nessun altro, oltre alla piccola Meissa Sherton, avrebbe mai scritto
quella parola, rivolgendosi a me, provando sinceramente quei sentimenti
d’affetto. Mi riscossi dal pensiero della mia figlioccia e
ripercorsi il senso profondo di quella lettera: Meissa mi rivelava che
Sirius, la sera precedente l’incidente, si era reso
protagonista di un gesto di enorme coraggio e generosità
difendendo un paio di ragazzini del primo anno
dall’aggressione di Waldan McNair e altri due ceffi e,
stranamente, dopo nemmeno ventiquattro ore, era stato ritrovato svenuto
e ferito nei sotterranei dopo che l’aveva riaccompagnata
all’ingresso della casata degli Slytherins. Non potevo
condividere il suo affetto per quei dannati grifoni, certo, ma in parte
ero responsabile di tutto quello che gli stava accadendo e,
soprattutto, mi sentivo stranamente compiaciuto nel sapere che mio
figlio era capace di mettersi in gioco per qualcosa in cui credeva.
Anche se non potevo e non dovevo darlo a vedere,
quell’episodio mi rendeva enormemente orgoglioso di lui,
sarebbe diventato un vero uomo, un uomo e un mago sicuramente migliore
di me.
Guardai con una certa impazienza il mio orologio da taschino, quel
dannato Mezzosangue se la stava prendendo comoda! Ero arrivato via
metro polvere, opportunamente annunciato da Phineas, già da
mezzora, ma quello screanzato babbanofilo tardava ancora a ricevermi,
benché avesse disposto che fossi opportunamente accolto con
ogni comodità e riguardo nel suo ufficio. Ripresi a
osservare la stanza, molto cambiata da quando avevo frequentato
Hogwarts, affascinato dalla miriade di oggetti meravigliosi che mi
circondavano. Era piena di oggetti ricercati e attraenti, di libri
preziosi, come avevo fatto in tempo a rendermi conto durante quella
prolungata attesa, e poi sul trespolo accanto alla finestra, avevo
finalmente visto la famosa fenice di Dumbledore: doveva essere risorta
da poco, era davvero bellissima, con i piumaggi vaporosi e dagli
sgargianti colori tendenti al rosso. E infine… Avevo alzato
gli occhi fino a trovarlo, appisolato sul ripiano più alto
di una libreria stracarica di libri sulla trasfigurazione: il cappello
magico di Godric Griffyndor. Mi aveva terrorizzato fin dalla prima
volta che c’eravamo incontrati, quella dannata sera di
trentuno anni prima, quando proprio Dumbledore me l’aveva
appoggiato sulla testa: io ero salito sullo sgabello con una certa
arroganza e un chiaro impeto, tipicamente Black, ma quella voce sottile
e deridente aveva subito messo fine alla mia spavalderia. E
all’illusione che le cose del mondo fossero come me le
raccontava sempre mio padre.
“Orion… Black… un Black davvero strano,
non c’è che dire… amore per la fama,
ambizione, astuzia… certo, ma anche…
cos’è questa, compassione? E
temerarietà… ne hai di caratteristiche strane,
mio giovane “principe dei purosangue”: allora
dimmi, che cosa vuoi farne della tua vita?”
“Seguire la nobile strada dei miei avi!”
“Ne sei davvero sicuro? È questo che vuoi davvero
per te stesso?”
“Voglio che mio padre sia orgoglioso di me, e posso ottenerlo
solo diventando grande, grande attraverso la casa di Salazar
Slytherin...”
“Se è davvero questo che
vuoi…”
“Se è
davvero questo che vuoi…”
Lo ripetei a fior di labbra, osservandolo, il cappellaccio
aprì la tasca sfatta che era la sua bocca e
l’atteggiò a quello che poteva sembrare un ghigno
di derisione.
“Orion Black…
quanti anni! Tuo figlio ha preso con coraggio la strada che
era destinata a te, lo sai?”
“Taci, dannata canaglia! Ci
hai goduto, vero, a rovinargli la vita!”
“Sappiamo entrambi la
verità, amico mio: non è la pura ambizione ma
qualcosa di strano chiamato amore, ciò che alberga nel
vostro sangue… Hai dato l’avvio a
un’età nuova, a una nuova progenie di Black, mio
caro Orion… anche se insisti a nasconderti dietro quelle tue
stupide maschere…”
“Ti ho detto di tacere,
vecchio sacco pulcioso! Tieni per te stesso queste idiozie, o ti
distruggo con le mie mani…”
Estrassi la bacchetta, un lampo di esuberante follia accese il mio
volto, mentre con gli occhi dell’immaginazione guardavo quel
dannato cappello preda delle fiamme che potevo facilmente appiccare
là dentro.
“Orion
Black…”
Mi voltai, nascondendo la bacchetta nella manica e ricomponendo il
volto in un’espressione arcigna e sprezzante, la serafica
figura di Dumbledore era alla fine apparsa, avvolto in una bella veste
pervinca con intarsi argentei, la barba sempre più lunga e
candida, i capelli lisci e rilucenti, sciolti fino oltre le spalle.
Avevo sempre avuto un terrore sacro per il mio ex professore di
Trasfigurazione, un uomo solido e deciso, ben diverso
dall’allora preside Dippett, senza dubbio incapace di reggere
quella scuola con lo stesso ardore e la stessa determinazione di
quell’astuto Mezzosangue. Alshain era nel giusto:
quell’uomo era una minaccia per la conveniente crescita
morale dei nostri figli Purosangue, con quelle sue permissive idee
filobabbane, ma al tempo stesso, di là della diversa visione
del mondo e della politica, non potevamo negare che fosse una persona
giusta e onesta che poneva, sopra i propri interessi, la
verità e la sicurezza dei ragazzi. Mi avvicinai indossando
la mia migliore maschera da Black, fatta di pura arroganza e una certa
maleducazione, quella che mostravo sempre nei confronti di chi
consideravo mio inferiore, quella dietro alla quale dovevo nascondermi
di fronte al nemico, sempre, se volevo che un certo piano andasse in
porto, senza troppi rischi.
“Albus…
Dumbledore… ho ricevuto il messaggio di Phineas e sono qui
per sapere come sta mio figlio…”
“Madame Chips gli ha dato
delle pozioni calmanti, ha curato le lesioni interne e ha rimesso a
posto il naso: non gli resteranno segni di questa disavventura.
Sentirà solo del dolore per alcuni giorni. Come ti ha
già detto Phineas, Amos Diggory l’ha trovato ieri
sera prima di cena, svenuto presso le cucine, le lesioni sono classiche
ecchimosi da caduta.”
“E di questo sai
qualcosa?”
Gli porsi la lettera di Meissa, Dumbledore la scorse rapidamente con lo
sguardo e annuì, poi mi diede la schiena, si
versò qualcosa da bere e ne offrì anche a me, ma
rifiutai.
“Il giovane Sherton
è venuto ieri sera da me, dopo cena, per espormi le teorie
della sorella, mossa giusta e saggia: indagherò, ma come ben
sai, sarà difficile arrivare alla
verità… soprattutto perché
è palese la veridicità di quanto è
scritto lì.”
“Come fai a dirlo? Hai appena
detto che sono ferite da caduta…”
“Qualcuno deve averlo di certo
pestato, ma c’è stata almeno un’altra
persona che ha provveduto a cancellare e mimetizzare le tracce, forse
si sono accorti in ritardo che si trattava di tuo figlio. Quando ho
visto il ragazzo, era palesemente sotto
“Confundus”, un incantesimo ben fatto, per
carità, ma evidente come la luna piena della notte scorsa:
tuo figlio non sapeva dire come fosse arrivato alle cucine, nessuno
degli Elfi si ricorda d’averlo visto laggiù, gli
ultimi ricordi chiari di Sirius risalivano addirittura a
metà del pomeriggio, non ricordava nemmeno di aver
già incontrato Diggory con la Sherton poche ore
prima…”
“Capisco…”
Mi avvicinai alla finestra, il parco del castello, con tutti i ricordi
della parte migliore della mia vita, si apriva ai miei piedi, sotto
l’assalto di una pioggia violenta.
“Devo preoccuparmi?”
“Credo che tutti noi dobbiamo
preoccuparci… leggi, è appena
arrivata...”
Mi porse la copia appena consegnata del Daily Prophet, la scorsi
rapidamente, non potevo dirmi meravigliato, non dopo la cena di una
settimana prima.
DAILY PROPHET
-- Edizione speciale -- 9 settembre 1971 --
MISTERIOSE SPARIZIONI A GODRIC HOLLOW
Le famiglie di tre Maghi di origine Babbana (John
Richards, Emmett Wyatt e Jeff Donovan) sono scomparse la notte scorsa
senza lasciare traccia dal villaggio magico di Godric Hollow. Secondo
le testimonianze raccolte sul posto dagli ispettori del Ministero,
nulla è stato toccato nelle loro case, non ci sono segni di
effrazione magica, né si registrano attività
sospette sulla linea della metro polvere. Dai primi rilievi, gli
inquirenti desumono che i rapitori fossero persone note alle vittime,
che con tutta probabilità li hanno invitati spontaneamente
in casa propria. Il fatto che le tre famiglie siano accomunate dallo
“Stato di Sangue” e da forti legami con il mondo
babbano, fa temere che siano rimaste vittima delle attività
criminali di qualche Mago Oscuro. Il Ministero ha pertanto disposto
l’esame dettagliato di tutto i reperti recuperati sul posto:
l’idea più accreditata tra gli inquirenti
è che le famiglie siano rimaste vittima non di un semplice
rapimento ma di omicidio con successiva trasfigurazione in oggetto
inanimato… (servizi a pag. 2-3-4.)
ATTACCO DI LICANTROPI NEL CORNWALL MERIDIONALE
La presenza del lupo mannaro Greyback, tristemente
noto per le sue numerose attività illecite e la sua
mostruosa predilezione nell’attaccare giovani e bambini,
è stata nuovamente segnalata nel Cornwall: testimoni
attendibili sostengono che il noto criminale stia serrando le sue fila
a sud di St. Austell e che il suo branco originario di cinque elementi
si sia per lo meno raddoppiato. Sette le tentate aggressioni avvenute
la notte scorsa, notte di luna piena, nei boschi attorno alla cittadina
di Falmouth. Fortunatamente non si registrano vittime, gli aggrediti
hanno avuto il tempo di mettersi in salvo tramite smaterializzazione,
anche se alcuni esperti del Ministero sospettano che quelle della notte
scorsa siano solo azioni dimostrative… (segue a pag.5.)
STRANI EVENTI METEOROLOGICI TRA IL SUFFOLK E IL
NORFOLK
Ieri i notiziari babbani hanno registrato strane
tempeste di sabbia su tutta la costa orientale inglese, con numerose
trombe d’aria concentrate sui territori del Norfolk e del
Suffolk. Gli scienziati babbani, che già nelle scorse
settimane non hanno saputo dare spiegazioni del permanere di un clima
stranamente secco e asciutto per questa stagione su tutto il territorio
del Regno, non hanno trovato motivazioni scientifiche alla
straordinarietà degli eventi. Il Ministero della Magia
indaga sull’ipotesi del rientro, in territorio britannico, di
un paio di Giganti… (segue pag.8.)
Gli riconsegnai la copia, controllando a
stento un’espressione a dir poco preoccupata, ben sapendo che
se avessi commesso qualche errore, avrei prima o poi fatto la fine di
uno di quei maghi orrendamente scomparsi.
“Certo tu magari festeggerai
nel leggere queste notizie, ma non puoi negare che questi…
questi siano i segni di una guerra ormai alle porte.”
“Festeggiare, Dumbledore? Per
chi mi hai preso? Ho anch’io dei figli… Come
potrei festeggiare sapendo che quel mostro di Greyback è
ancora libero di seminare morte e distruzione, soprattutto tra i
ragazzini?”
Mi rivolse una strana occhiata,
più enigmatica di quelle che mi rivolgeva in aula
trent’anni prima.
“Se, o meglio…
quando scoppierà una guerra… Che cosa
farà la famiglia Black? Ora avete un figlio a
Grifondoro…”
“E allora, Dumbledore? Il
sangue di mio figlio resta sempre il sangue puro di un Black! Conosco
il motivo percui Sirius è a Grifondoro, vecchio, non crearti
fantasie strane sul mio ragazzo… E’ evidente che
quel sacco pulcioso là sopra è impazzito!
E’ questa la ragione… Mio figlio è
esattamente come me, puro e perfetto come me…”
“Se la pensi così,
perché tu e tua moglie non avete richiesto un nuovo
smistamento?”
“Sirius non ha bisogno di
sottostare di nuovo a quella pagliacciata, dimostrerà con le
azioni quello che ha nel cuore…”
“Ho visto il suo anello,
Black, un anello molto antico e potente… inconfondibile,
oserei dire… che cosa avete in mente tu e Sherton?”
“Non so di cosa
parli!”
“Orion…”
Mi mise una mano
sull’avambraccio, lo fulminai con un’occhiata
disgustata e sprezzante.
“Ora vorrei vedere in quali
condizioni la tua incapacità di mantenere l’ordine
in questa scuola ha ridotto mio figlio: devo assicurarmi che abbia le
cure adeguate al nostro nome, mi sono portato il mio Medimago
personale, vorrei che lo vedesse…”
Il vegliardo mi lanciò
un’occhiata divertita ed eloquente, lasciandomi poi indietro
e dandomi le spalle.
“Naturalmente…
seguimi…”
Scendemmo in silenzio quelle strane
scale elicoidali, nascoste dietro a una statua di pietra, prendemmo
corridoi e passaggi, attraversammo i cortili, respirai l’aria
umida di pioggia e carica dell’odore di erba ormai secca, la
mente si riempì dei ricordi di avventure straordinarie, mi
sentivo soffocare da una strana ansia fatta di rimpianto ed
esaltazione. Arrivati all’infermeria ebbi
un attimo di esitazione.
“Vorrei che il ragazzo non
sapesse che sono qui…”
Dumbledore mi guardò
interrogativo, poi come illuminato da un’improvvisa
comprensione, introdusse il Medimago nell’infermeria; vidi,
attraverso la vetrata, due letti in fondo alla stanza occupata da due
ragazzini, riconobbi subito mio figlio dalle morbide chiome corvine che
emergevano dalle coperte, capii che doveva essere addormentato e non
riuscii a trattenermi, come spesso accadeva anche a Grimmauld Place:
dovevo entrare, dovevo vederlo assolutamente. Scorsi rapidamente la
figura nel letto
accanto, un altro bambino, probabilmente della stessa età di
Sirius, capelli biondi attaccati a un viso pallido, con un profondo
graffio sulla guancia, guardai sgomento Dumbledore, che diavolo stava
accadendo in quella scuola? Ma il preside mi fece cenno di
avvicinarmi, Sirius era ancora addormentato, gli scansai i capelli con
la mano e quando vidi quel livido a deturpargli la faccia mi sentii lo
stomaco in subbuglio, una rabbia omicida attraversami completamente,
strinsi il bastone con forza, fino a sentir scricchiolare il legno
sotto le dita. Gliela avrei fatta pagare, oh
sì… Il vecchio McNair avrebbe pagato per
primo per le colpe di suo figlio, l’avrei rovinato, nessuno
poteva fare del male ai miei ragazzi e sperare di cavarsela. Poi
sarebbe toccato a quel bastardo di
suo figlio. Il medico controllò il corpo
di Sirius, vedere quei lividi sul suo corpo ancora esile di bambino mi
mandò definitivamente il sangue alla testa, dovetti uscire
accompagnato da Albus Dumbledore, evidentemente affascinato dalla mia
inaspettata reazione emotiva, davanti all’aspetto sofferente
di mio figlio. In tutto il mondo magico ero noto come
una persona priva di emozioni, glaciale, interessato solamente agli
affari, totalmente distaccato persino dai miei stessi
figli. L’odioso mezzosangue aveva
appena scoperto che quelle dicerie non avevano alcun fondamento.
“Voglio essere tenuto al
corrente delle sue condizioni, Albus, e spero che questa sia
l’ultima volta che … lei deve evitare che fatti
del genere accadano ancora nella sua scuola… si ricordi che
questa millenaria istituzione ha sempre potuto contare sulle ricche
donazioni della mia famiglia, io stesso mi sono molto adoperato anche
quando non ne avevo motivo… Non vorrei vedermi costretto a
tagliare i fondi alla scuola di Hogwarts e iscrivere il mio ragazzo a
Durmstrang o simili… sa bene che il mio esempio potrebbe
essere seguito da molti e che… posso essere molto influente
nelle decisioni del Consiglio… siamo intesi?”
“Ho capito molto bene, Orion,
non ti preoccupare… ho capito molto più di quanto
tu creda o voglia… ora se vuoi seguirmi, ti riaccompagno al
camino… mi attende un sorbetto al limone, ne vuoi?”
Lo guardai confuso, era un
pazzo… indubbiamente, un geniale, pericoloso, pazzo. Ripresi
i corridoi della scuola,
seguendolo in un muto e iroso silenzio, rientrammo nel suo studio, mi
porse la ciotola della polvere volante e con un saluto sprezzante
sparii diretto a Grimmauld Place.
***
Remus
Lupin
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9
settembre 1971
Mi svegliai che era molto tardi, in un
letto morbido e accogliente: non mi ero reso conto di nulla,
l’ultimo ricordo umano era stato la grata dietro alla quale
avevo visto sparire la McGonagall e l’infermiera, non avevo
idea di cosa fosse accaduto dopo. I dolori che sentivo addosso
erano i
soliti, sembrava che qualcuno mi avesse tagliato in tanti pezzetti e
ricucito insieme alla meglio. Sollevai le mani, la luce spenta
che
filtrava dalle vetrate mi aiutò a mettere a fuoco i segni
dell’ennesima battaglia. Sospirai.
“Era ora che ti svegliassi,
Lupin! Mi stavo decisamente annoiando!”
Quella voce, fin troppo nota,
m’inchiodò al letto, come quando mia madre mi
coglieva di sorpresa mentre cercavo di raggiungere i barattoli della
marmellata, che teneva nascosti sui ripiani più in alto. Mi
voltai verso la voce con le guance in
fiamme, affatto pronto a subire la presenza, che ancora non ero in
grado di comprendere appieno, di Sirius Black. Cosa diavolo ci faceva
Sirius Black in
infermeria? A stento trattenni un verso fatto di
spavento e compassione: quella faccia arrogante di ragazzino viziato e
impudente era offesa da un vistoso livido, sembrava che qualcuno avesse
cercato di spaccargli il naso.
Godric! Che
cosa avrà
combinato stavolta? Possibile che Snape sia capace di una cosa
simile?
“Tieni, la Chips ha detto di
darti questo appena ti fossi svegliato…”
Mi porgeva un enorme scacco di
cioccolato, a dire il vero ne aveva una confezione intera,
l’aveva rotta in tanti pezzi identici, uno lo porgeva a me e
uno se lo ficcò rapidamente in bocca, goloso. Lo ringraziai,
ma non pareva curarsi
molto delle cerimonie, risi, nonostante non ne avessi né la
voglia né la forza: aveva già fatto sparire la
sua porzione e ora aveva due maestosi baffi di cioccolata a far da
pendant con il naso massacrato.
“Merlino, Black, dovresti
guardarti adesso! Sei uno spasso conciato così!”
Sirius si tirò su con qualche
difficoltà, si mise davanti alla finestra e vide sul vetro
la sua immagine dannatamente buffa che gli rideva addosso.
“Grande! Se mi resta
così…”
E intanto girava lentamente la testa a
destra e a sinistra e si ammirava il profilo acciaccato sul vetro.
“Oh sì... se mi
resta così non sembrerò più il figlio
di mia madre…”
Si toccava con la punta
dell’indice il suo naso grande più del doppio del
normale, facendo delle spassose smorfie che di sicuro gli provocavano
dolore, ma che lo rendevano anche dannatamente buffo.
“Signor Black, si metta subito
giù, deve stare fermo e smetterla di toccarsi il naso, o la
pozione ristrutturante non farà effetto!”
“Ma quante volte glielo devo
dire, Madame? Io non voglio che faccia effetto!”
La guardava allegro e ribelle, con
l’aria che in pochissimi giorni avevo imparato ad associare a
quando stava per combinarne una delle sue.
“Stia buono o sarò
costretta a farle un “petrificus”, signor
Black!”
L’infermiera si
avvicinò a me, per controllarmi le mani, alle sue spalle
vedevo Sirius che la scimmiottava e non potei fare a meno di scoppiare
a ridere a mia volta.
“Merlino! Signor Lupin, non ci
si metta anche lei, d’accordo?”
Io divenni rosso papavero, difficilmente
qualcuno vi aveva mai ripreso in tutta la mia vita e in quel momento
avrei voluto trovarmi davanti una buca stretta e profonda, dove
nascondermi, annichilito dalla mia figuraccia. La mia espressione
affranta fece ridere
ancora di più il mio “nobile” compagno
di sventure.
“Devi essere una forza, Lupin,
una volta che sarò riuscito a farti smettere di avere paura
di me… ci divertiremo un mondo, noi due, in questa
scuola!”
“Io non ho paura di
te… Black…”
“mmm…
Sì, credo che tu dica la verità. Sei
più alto e forte di me, e spesso anche più
furbo… puoi non avere paura di me, Lupin, ma di sicuro hai
paura dei guai in cui son tanto bravo a cacciarmi…”
Lo guardai a bocca aperta, preso dalla
veridicità di quanto aveva appena detto. Ero letteralmente
affascinato da quel
ragazzino pestifero, era questa la verità.
“Mia madre direbbe che sei
proprio un malandrino, Sirius Black!”
Lo pensai ma non ebbi il coraggio di
dirlo, quel ragazzino mi affascinava ma era vero, mi metteva paura con
tutta quella straordinaria capacità di creare casino e
scompiglio. Lo guardai di nuovo, di sottecchi,
stupito, mentre mi rilanciava un sorriso sghembo e mi porgeva un altro
scacco di cioccolata.
“La Chips ha detto che
dobbiamo mangiarla tutta…”
Riprese ad addentare ghignante il suo
pezzo di cioccolato, iniziai a pensare che forse non sarebbe stato
tanto male passare quella giornata, che temevo noiosa, in infermeria:
forse mi sbagliavo, forse dovevo mantenere la guardia alzata, ma Black
in quel momento tutto sembrava tranne quel ragazzino altezzoso e
prepotente che mi era parso i primi giorni… Era
dall’altra sera che lo
pensavo, da quando era bastato uno sguardo e si era schierato, lui, un
principe purosangue, a difesa del piccolo Peter.
“Chi ti ha conciato
così, Black? Non ti sarai azzuffato di nuovo con
Snape?”
“Non lo so, Diggory mi ha
trovato in fondo alle scale davanti alle cucine, dicono che io sia
caduto, ma non ricordo nulla… e tu? Quando sono arrivato
ieri sera ricordo che non c’eri… eppure dovevi
esserci, non stavi male già ieri pomeriggio?
Divenni rosso fuoco, non avevo idea di
cosa rispondergli… Deglutii a fatica, con la mente vuota,
mentire non era mai stato una mia capacità innata. Il
preside mi aveva detto che ci avrebbe
pensato lui a fornirmi delle scuse credibili. Di certo non immaginava
che avrei
passato quel giorno in infermeria con un mio compagno di stanza, un
Black per giunta!
“Basta signor Black, dovete
riposare tutti e due… o nemmeno domattina
riuscirò a liberarmi di voi…”
"Io sono stanco di dormire,
Madame… e anche lui ha dormito… pure troppo
direi… su… la prego… ci faccia
giocare…”
“Remus è stato male
tutto ieri pomeriggio, l’ho dimesso ma si è
sentito male di nuovo… lo faccia riposare, signor Black, o
sarò costretta a cambiarlo di letto…”
“Uffa!”
Sirius mise su un broncio da bambino,
esaltato dal suo aspetto divertente, sembrava un clown, un vero clown,
con quell’aria buffa e al tempo stesso triste e dolorante.
“Dai Sir… lascia
stare, chiacchieriamo dopo, e giocheremo pure a scacchi…
è meglio se ti riposi, ora… o la tua piccola
principessa Slytherin non avrà più voglia di
baciarti, se ti resta quel naso rozzo e sfatto!”
Divenne rosso porpora e di colpo prese a
tastarsi il naso ogni pochi minuti, quasi ad assicurarsi che poco per
volta il naso tornasse alle dimensioni normali, io ridacchiai un paio
di volte sotto le coperte, facendomi beccare, Sirius mi
sentì e inizio a tastarsi il naso solo dopo essersi guardato
circospetto ed essersi assicurato che io stessi dormendo…
Piccolo illuso… Sorrisi tra le coperte. Ero stanco,
stravolto, dolorante e
umiliato dalla mia condizione, come sempre, eppure in fondo al cuore,
per la prima volta, sentivo un piccolo barlume di felicità
che premeva per emergere dal buio della mia vita.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9
settembre 1971
“Che ne pensi
Malfoy?”
Lucius, comodamente seduto su uno dei
divanetti della sala comune, afferrò al volo la copia del
giornale che Rabastan gli aveva lanciato contro dall’altra
parte della stanza, l’aprì con un ghigno malefico
sul viso e gli sorrise.
“Brindiamo alla conquista del
mondo, Lestrange... ancora pochi mesi e finalmente… ci
saranno anche le mie gesta su questo dannato giornale!”
“Shhh…”
Narcissa Black, bella come un angelo e
sinuosa come una gatta, stava accoccolata sul petto di Lucius, proprio
di fronte al caminetto, per scaldarsi da quel primo giorno veramente
autunnale e particolarmente rigido, là sotto, nei
sotterranei di Serpeverde: pose la sua mano pallida e nobile su quella
di Malfoy, che le lanciò uno sguardo carico di promesse.
“Dedicherò a te le
mie gesta, mia adorata Narcissa…”
Prese la sua mano e la baciò
lentamente, dito dopo dito, facendole tingere di un acceso rosso
vermiglio l’incarnato diafano tipicamente Black. La mano di Lucius sparì tra
quei capelli biondi e lisci come seta, l’attirò a
sé, scoccandole un bacio fatto di dominio e passione sulle
labbra tremanti. La scena fu talmente rapida che
probabilmente la notarono in pochi, a me però non
sfuggì, ormai avevo una specie di sesto senso ipersviluppato
quando si trattava di mettere a fuoco, e assicurarsi di quali danni
stesse facendo, Lucius Malfoy. Non potevo che essere grata a Salazar
quando vedevo scene come quella: Narcissa Black non era una ragazza
come tante in quella scuola, scene come quella stavano a significare
che c’era qualcosa di serio tra i due, qualcosa che doveva
avere un seguito, pena profondo imbarazzo per due famiglie
così importanti e in vista. Pregavo Salazar che fosse
davvero
così, che dalla mia parte, a proteggermi da un futuro
orribile, ci fosse ormai anche una giovane donna ben decisa a
diventare, in tempi brevi, la legittima compagna di Lucius Malfoy.
Questi e altri pensieri si accavallavano
nella mia mente quel pomeriggio improduttivo. Alla fine la pioggia era
arrivata
davvero, le nuvole cariche scendevano imponenti dal mio Nord ammantando
i cieli di Hogwarts di una pesante coltre color piombo, il vento
frustava deciso, raggiungere le serre di Erbologia era stato un vero
supplizio, quella mattina. Col passare delle ore non era cambiato
nulla, anzi quel poco di luminosità che si era fatta strada
tra le coltri plumbee verso mezzogiorno, si era spenta rapidamente, per
i corridoi e nelle aule, innumerevoli fiaccole incantate avevano
illuminato artificialmente gli ambienti fin dal primo mattino, dando ai
quei luoghi un’aura ancor più austera e imponente.
Osservavo le gocce rincorrersi e
fondersi sulle ampie vetrate della biblioteca, Severus al mio fianco
non staccava gli occhi dal libro, Lily ogni tanto intrecciava il suo
sguardo al mio, facendomi dei timidi sorrisi
d’incoraggiamento. Scorsi con gli occhi la sala,
aspettandomi da un momento all’altro di vedere comparire
Potter, per chiedergli novità su Sirius, invano: era chiaro
che probabilmente quello era l’unico posto del castello in
cui non l’avrei incrociato mai. Ero stata a lezione tutto il
giorno,
erbologia e storia, trasfigurazione e pozioni, ma non avevo seguito
molto, presa com’ero dal pensiero della sedia vuota di
Sirius. E dei titoli che avevo letto sulla copia
del Daily Prophet, la stessa che, dopo pranzo, Lucius aveva lasciato
abbandonata in Sala Comune: quelle storie mi avevano messo i brividi,
non ero abituata a leggere cose così spaventose. A
Herrengton, mio padre gettava sempre i
giornali sul fuoco quando si parlava dei licantropi, non voleva che mi
mettessi più a urlare nella notte, come mi era capitato da
piccola, la prima volta che ne avevo sentito parlare per sbaglio.
Tornai al presente, c’eravamo
fermati a studiare per la prova di lunedì in biblioteca, ma
la mia mente era ancora lontana. Volevo scrivere di nuovo a casa, e
soprattutto volevo scrivere di nuovo a Orion, per cercare di
convincerlo a venire a Hogwarts, ma mi rendevo conto che avevo
già esagerato la sera precedente, quando con un trucco ero
riuscita a convincere Cox a spedire per me due lettere insieme con le
sue. Mi sentivo sola e vulnerabile, i
discorsi di mio fratello mi avevano terrorizzato. Non potevo credere
che, in quella scuola, nessuno mi avrebbe aiutato se fossi stata nei
guai.
“Scusatemi…”
Dopo quello che era successo, era da
pazzi muoversi per il castello da sola, lo sapevo, era questo che mio
fratello voleva che mi entrasse in testa, ma Rigel in quel momento era
ancora a lezione, e nulla mi avrebbe tenuto ancora lontana da Sirius,
ero pronta a ferirmi pur di poter andare in infermeria
anch’io. Avevo evitato le domande di Slughorn, al
quale mio fratello aveva lasciato intuire che non sarei andata alla
cena, quella sera, e oramai avevo la ferma decisione di passare il
tempo che mi separava dal coprifuoco in infermeria accanto a lui. Non
avevo dormito tutta la notte,
ripensando a chi poteva aver partecipato
all’aggressione… Lucius era uscito con
quel sacchetto
d’oro per fare una ronda, poteva essere stato lui? No,
impossibile, la Chips aveva
raccattato Sirius praticamente mentre noi stavamo ancora discutendo per
quel dannato boccino. Lo stesso valeva per Lestrange. E poi, Sirius era
il figlio di Orion
Black, solo un idiota poteva fare la stupidaggine di metterselo
contro… E se Lucius era davvero interessato a Narcissa,
per quanto Sirius potesse essere caduto in disgrazia con lo
smistamento, di sicuro non avrebbe offeso la sua famiglia per uno
stupido scherzo. Quanto a Rabastan, erano già
in qualche modo imparentati, Orion era amico di Roland Lestrange, non
c’erano motivi validi per comportarsi in maniera sciocca.
Salii rapida per le scale, incrociando
molte ragazze e ragazzi di varie case che mi salutavano gentili: che
male c’era in tutto questo? Sapevo che anche i miei fratelli
avevano
amici fuori della casa di Salazar, perché io dovevo
richiudermi là dentro? Mio padre aveva detto che potevo
essere
amica di chiunque, c’era solo una cosa che dovevo evitare, o
Salazar l’avrebbe evitato per me. Dovevo assolutamente
parlare con mio
padre e farmi spiegare cos’era cambiato. Arrivai alla porta
dell’infermeria, bussai: ora iniziavo a temere che la Chips
potesse cacciarmi in malo modo impedendomi di vedere Sirius. Invece
l’infermiera si
affacciò, preoccupata, temendo ci fosse un’altra
emergenza, io le chiesi di Sirius e lei, vedendomi affranta, mi porse
un pezzetto di cioccolato in mano e m’invitò a
entrare. La stanza oblunga, che avevo
già consociuto pochi giorni prima, aveva colonne che
salivano attorcigliate fino a tessere un intricato bosco di pietra sul
soffitto, e conteneva una decina di letti, solo due di essi in quel
momento erano occupati. Sirius era lì, sul letto
accanto alla finestra, non immobile e sdraiato come nei miei
terrificanti incubi, ma seduto, a chiacchierare con l’altro
ospite della sala: Remus Lupin era particolarmente pallido, un vistoso
graffio sul viso, le mani fasciate, un’espressione dolorante
e smarrita, stava con il suo pezzo di cioccolato in bocca, seduto di
fronte a Sirius, a dividerli solo una scacchiera. Black si
voltò e subito si
aprì in un sorriso storto, un enorme livido sul viso, non
potei evitare di emettere un verso di paura e stupore.
“Non ti preoccupare, non
è rotto!”
Ammiccando a Remus che gli rispose con
un sorriso impertinente, andò a sfiorarsi ridendo il naso,
l’aria birbante in faccia, la tavoletta di cioccolata
scomparsa ormai da tempo gli aveva lasciato in ricordo un paio di
enormi baffi scuri ai lati della bocca, mi scesero le lacrime senza
volerlo… Io non dovevo piangere, ma…
“Ehi… non ho
niente…tranquilla!”
Ero rimasta impietrita a pochi passi, il
viso affondato nelle mani e le spalle scosse dai singhiozzi, sentii una
presenza calda e silenziosa accanto a me, che mi cingeva le spalle
accompagnandomi con dolcezza in avanti, aprii gli occhi, Remus mi aveva
stretto a sé e mi aveva portato fino davanti a Sirius.
“Io non posso ancora scendere
dal letto, mi spiace…”
Mi sfuggì di nuovo una
lacrima.
“Ehi… mi ricordo la
storia… di qualcuno che non poteva piangere davanti agli
estranei…”
Mi fece l’occhietto, di nuovo
storto, e di nuovo il sorriso sghembo, Remus tornò sul suo
letto, mentre io gli lanciavo un sorriso pieno di gratitudine e mi
sedevo su quello di Sirius. Ora che gli ero così vicina,
quel livido era ancora più spaventoso… come
avevano potuto ridurlo così?
“Chi è stato?
Dimmelo… se non ci pensa tuo padre, ci penserò il
mio…”
“A castigare i miei piedi o le
scale?”
“Sirius!”
“Sono caduto Mei…
sono letteralmente inciampato nei miei piedi, stavo approfittando di
essere nei sotterranei per andare a chiedere qualcosa in cucina,
ma… forse ci ho messo troppo
entusiasmo…”
“Sei sicuro? Ieri dicevano che
non ricordavi niente!”
“Le cure della Chips sono
portentose Mei… piano piano sto ricordando… e
poi… ora ho le mie prime cicatrici di guerra!”
Sorrise, si aprì i primi
cinque bottoni del suo pigiama, mostrando un vistoso graffio che gli
solcava la pelle sotto la linea delle costole…
“Ho chiesto alla Chips di
sistemarmi il naso… ma questo lo voglio a ricordo, la mia
prima battaglia seria di Hogwarts: contro le scale, uscito
sconfitto!”
Prese l’alfiere e lo
levò in alto, come fosse l’elsa di una spada.
“Tu sei tutto pazzo
Black!”
Remus si mise a ridere, non
l’avevo mai visto così…
sereno… Lo osservai meglio: era davvero in
condizioni penose, anche peggiori del solito, pallido ed emaciato, con
vari lividi… a guardarli così, si sarebbe detto
che fossero caduti entrambi dalle scale, o meglio che fossero stati
pestati a sangue tutti e due. L’unica differenza era
che
Sirius aveva lividi, Remus… sembravano tagli o graffi. Smisi
di squadrarlo con insistenza, non
volevo apparire maleducata.
“Tu come stai Lupin? E non
venirmi a dire che sei caduto anche tu! Siete stati picchiati entrambi
da quell’energumeno di Mcnair e dai suoi scagnozzi!
E’ più che evidente!”
“Meissa…
No… ti sbagli… io sono… ho avuto un
capogiro e sono caduto in mezzo al roseto dietro il cortile
sud…”
Percepii un’occhaita dubbiosa
in Sirius, a quelle parole, ma non indagai, ero indignata dal senso
dell’onore dei grifoni, incapaci d fare la spia anche se per
ottenere giustizia.
“Maledetti grifoni! Voi e il
vostro dannato senso dell’onore! Meglio morti che traditori,
vero? Io sono Serpeverde, e se non lo farete voi, lo farò
io… lo denuncerò io Mcnair!”
“Meissa, ti stiamo dicendo la
verità, vuoi capirlo? Lascia stare
Mcnair…”
Guardai Sirius risoluta, non era
supplichevole, non era spaventato, era divertito… quanto a
Remus, era in sincero imbarazzo.
“Voi due non me la raccontate
giusta!”
“Beh… abbiamo
approfittato delle reciproche sventure per conoscerci meglio e stilare
i piani per la conquista del mondo!”
Remus annuiva, facendomi notare come i
pezzi dalla sua parte della scacchiera fossero assai
più numerosi di quelli rimasti a Black, di certo stava per
dargli scacco in un paio di mosse.
“Black è negato con
gli scacchi, Lupin…”
“Me ne sono accorto!”
Risero, ed io, nonostante non ne avessi
alcuna voglia, mi ritrovai a ridere con loro. Avevo avuto paura, una
paura
incredibile: solo per la mamma, finora, avevo avuto altrettanta paura.
Ora lo vedevo conciato male, vero, ma anche
più allegro del solito, con quel Lupin che, a quanto pareva,
era un vero amico, lo rendeva sereno e felice come non
l’avevo mai visto nemmeno a Herrenton. Ero orgogliosa di
Sirius, era un bambino
come me, ma aveva detto di voler essere diverso dai suoi, e
c’era riuscito. Avrei desiderato poter essere libera di
scegliere il mio mondo come stava facendo Sirius, ma come diceva Rigel,
quello era il genere di conquiste che potevo ottenere solo battendomi,
non potevo più aspettarmi che tutto mi fosse concesso solo
perché lo desideravo. Come lui, anch’io iniziavo a
comprendere che eravamo sospesi tra due mondi, e che nella mia vita
avrei dovuto fare delle scelte. anche se ancora non avevo idea di quali
sarebbero state le mie.
“Non dovresti prepararti per
andare alla cena di Slughorn, Mei? Magari, pazzo
com’è di te, potrebbe lasciarsi sfuggire qualcosa
di utile per la prova di lunedì…”
Sorrisi, se parlava così, non
c’erano più motivi per preoccuparmi di lui.
“Ho già
fatto sapere che non sarei andata stasera…"
“Come mai?
“Bisogna fare delle scelte,
Sir… ed io voglio iniziare a fare le
mie…”
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine:
non ho ancora ritrovato la fonte di questa immagine
|