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Autore: Terre_del_Nord    11/03/2009    30 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.007 -  Regole e Scelte

II.007


Remus J. Lupin
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre 1971

Brividi, brividi tremendi lungo tutta la schiena. Mani gelide, sudore freddo. Mi alzai nel cuore della notte, avendo cura di non fare rumore, sapevo di aver tenuto sveglio Sirius le prime due notti, con i miei lamenti soffocati, il mio udito sviluppato aveva percepito benissimo la sua veglia, di là dei tendaggi. Dopo la prima notte avevo avuto sempre cura di stringere il cuscino con i denti, per limitare i suoni che non riuscivo a controllare, simile a piccoli guaiti di terrore. Non c’era bisogno di controllare l’origine del chiarore che proveniva da fuori della finestra, sapevo già: era giunto il momento di pagare pegno alla mia maledizione, come tutti i mesi, da quando avevo appena cinque anni. Scivolai in lacrime a terra: cosa sarebbe successo se il piano di Dumbledore non fosse riuscito? Guardavo le mie mani, percorse da sottili cicatrici che rilucevano come madreperla, come tutto il resto del mio corpo, non ce l’avrei fatta mai: sette anni, più di ottanta lune piene, non sarei mai riuscito a non farmi scoprire, non sarei mai riuscito a controllarmi per sempre, avrei dimostrato di non meritare la fiducia del preside, li avrei feriti e messi in pericolo tutti, tutti quanti.

    “Remus, va tutto bene?”

La voce sottile di James mi raggiunse da dietro la porta, ricacciai indietro lacrime e paura, mi feci forza e mi nascosi dietro la bugia di un brutto sogno. La mia prima bugia, la prima di una lunga serie. La verità era che l’incubo era la mia realtà. Io stesso era un incubo per tutti loro, ignari del mostro che avevano accanto, un mostro che si preparava a uscire dall’ombra del mio aspetto malato e rassicurante. Mi bagnai la faccia con acqua fresca, mi guardai allo specchio: occhi verdi solcati da una pupilla allungata, buia come la notte, come il demone che celavo sotto pelle.

    Licantropo...

Odiavo me stesso, per ciò che ero, perciò che ero capace di fare. E presto sarei stato odiato anche da tutti gli altri. Da tutti quelli che, ingannati, assurdamente, offrivano la loro amicizia proprio a me. E questo mi lacerava dentro più degli artigli sulla mia stessa pelle.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre 1971

Quell’angolo di parco era incantevole: racchiuso tra i profili aspri delle montagne, il Lago Oscuro si schiudeva placido a pochi metri da me, gli alberi secolari, i cui rami arrivavano a sfiorarne le acque, ci sovrastavano con braccia tanto ampie da aver, di sicuro, offerto comodi giacigli a molti studenti, prima di noi. In primavera quel posto sarebbe stato meraviglioso: avrei persino studiato volentieri lì, con lei vicino… Come in quel momento. Chiusi gli occhi, la faccia scaldata dal sole, fingendo di ascoltare solo la natura, in realtà beandomi della sua presenza. Avevo strappato a Meissa, senza troppa fatica a dire il vero, la promessa di vederci subito dopo l’ultima lezione, giù al cortile di Pietra; da lì, eravamo scesi verso il Lago portandoci dietro qualcosa da mangiare: il sole e il clima ancora stranamente mite consentivano anche quel giorno un gradito picnic. L’avevo aiutata a portare i libri, lungo il tragitto in discesa che costeggiava l’approdo delle barche. Da quando avevo sentito i racconti di Meda su Hogwarts, mi ero sempre immaginato mentre, sicuro e gentile, portavo i libri a una compagna di scuola, ed ero felice che, la prima volta, la ragazzina in questione fosse proprio Meissa.

    La prima volta…

Trattenni il respiro e divenni rubino, ripensando alle confidenze, spiate alle mie cugine, di ben più importanti prime volte… Un senso di languore mi prese allo stomaco, aprii gli occhi e guardai Meissa, seduta accanto a me sul plaid, e ripensai al nostro primo e unico bacio a Herrengton… Avrei voluto… Sospirai, sapevo di non avere più il diritto di sognare: da quando ero finito a Grifondoro, le possibilità di essere preso sul serio da lei, un giorno, si erano ridotte di molto, eppure spesso mi crogiolavo nelle stesse immagini che mi avevano accompagnato durante tutta l’estate.

    “Sei davvero un Grifondoro, Sirius… Che coraggio! Tu, Lupin e Potter, affrontare tre tipi tanto più grandi e grossi di voi!”

I pensieri tristi furono cacciati via da quelle parole: Meissa si era alzata e ora, camminando giocosa all’indietro fino quasi al lago, senza togliermi gli occhi da dosso, rideva ancora di quello che le avevo raccontato al mattino a colazione, a proposito della disavventura che ci aveva visto protagonisti la sera precedente.  Non ero mai stato tanto fiero, come in quel momento, di quei colori che indossavo ormai da una settimana: non avrei mai creduto che, qualora si fosse presentata l’occasione, lei avrebbe apprezzato me, invece di difendere i suoi compagni di casa.

    “Non dovresti parteggiare per i tuoi amici?”
    “Amici? Quegli idioti? Credi che prendersela con delle matricole faccia onore alla nobile casata di Salazar? Dovrebbero essere puniti per la loro idiozia!”
    “Stavano punendo dei SangueMisto: non è questo che predicava Salazar?”

Ghignai, ogni volta che parlavamo di quegli argomenti, Meissa si arrabbiava e le sue lentiggini diventavano così… divenni rosso fuoco… Si avvicinò, saputa, come chi sta per farti una lezione di storia: sorrisi tra me, senza più curarmi del rossore che mi stava tradendo.

    “Salazar diceva che ai Mezzosangue e ai SangueSporco non dovrebbe essere insegnata la Magia, non che un Purosangue dovrebbe perdere tempo a far loro i dispetti… Non mi sembra molto maturo…”
    “Vorresti mettere nella stessa frase Mulciber e la parola maturo?”

Scoppiai a ridere, lei mi guardò curiosa per un secondo, cercando di decifrare quel mio cambiamento di umore, poi iniziò a ridere anche più di me. Non l’avrei mai creduto, i giorni precedenti, ma ora potevo definirmi felice, bastava non pensare a casa mia, certo, ma in fondo questo lo sapevo già prima di partire. Quando avevamo raggiunto la nostra meta, scoperta i giorni precedenti per caso dalle ragazze, Meissa mi aveva fatto un cenno con la testa per dirmi di fermarmi: in realtà non ce n’era bisogno, perché l’avevo riconosciuto subito. Quando pensavo al luogo in cui un giorno l’avrei baciata, immaginavo un posto identico a quello. Sospirai.

    “Che cos’hai? Oggi non fai altro che sospirare! Notizie da Grimmauld Place?”

Si avvicinò curiosa, lasciando da parte la storia di Mulciber e puntando la lettera che emergeva tra le pagine del mio libro di Storia, come un segnalibro: era arrivata proprio quella mattina. Era stata l’unica lettera piacevole ricevuta in quei giorni, una lettera incredibile, qualcosa che in cuor mio aspettavo da tanto, ma in cui non osavo sperare, per non restare deluso.

    “E’ una lettera di mia cugina Meda…”

Meissa s’irrigidì e rimase con la mano sospesa per aria, a pochi centimetri dalla carta, come se qualcuno l’avesse pietrificata. Il suo viso si ricompose in una smorfia di disappunto, poi si voltò per allontanarsi di nuovo da me. Sentii il bisogno di giustificarmi. L’afferrai per la mano, interrogativo, lei mi guardò fiera, era davvero una Slytherin: probabilmente nel giro di pochi anni, forse anche solo di pochi mesi, sarebbe diventata come tutte le ragazzine Serpeverde, bella e pericolosa.

    “… E’ mia cugina… e finora, di tutta la mia famiglia e i miei amici, è stata l’unica a farmi gli auguri per la scuola… nemmeno Cissa…”

Meissa non mi ascoltava, l’espressione esprimeva rifiuto, lo sguardo restava perso sulle acque placide.

    “E’ l’unica, a parte te e Rigel, che mi stia vicino. A me importa questo, non che si è fidanzata con un NatoBabbano!”
    “A me, invece, importa solo che “quella lì” ha umiliato mio fratello!”

Il suo viso si era incupito dalla rabbia e faceva fatica a tornare al colorito normale. Io non capivo di cosa stesse parlando.

    “Che cosa stai dicendo?”
    “Lo sai, Black… Mirzam era innamorato di Meda… lei se n’è vantata a lungo con le sue amiche, poi gli ha preferito un SangueSporco, umiliandolo!”

Rimasi sorpreso, a casa mia si diceva che Mirzam aveva offeso gli zii rifiutando Bella, ma… così, certo, si spiegavano tanti discorsi che avevo sentito fare a mia madre. Eppure non era da Meda oltraggiare… E Mirzam non sembrava… Meissa sospirò e tornò a giochicchiare con un sasso che aveva raccolto.

    “Beh… Dopo quasi un anno di silenzio… che cosa vuole? Congratularsi perché ora sei tu il numero uno nella lista nera dei Black?”

Scagliò il sasso lontano nel lago, quello schizzò tre volte a pelo dell’acqua e infine s’immerse.

    “Mi ha esortato a star lontano dai guai e a impegnarmi a scuola… non ha accennato al malumore che ho provocato a casa… lei sta bene, sta sistemando con Tonks la loro casetta…”

Sentii chiaramente quello che doveva essere un insulto in gaelico, ma non volevo litigare con lei per quel ragazzo, che non avevo mai nemmeno visto.

    “Ormai è passato, Meissa… Anche tuo fratello sta per sposarsi, mancano ormai pochi mesi a Yule…”

La bocca le s’incurvò ancora più all’ingiù, in una smorfia poco simpatica.

    “Che cosa c’è? Sembra quasi che non ti piaccia nemmeno lei! Mi sono accorto, sai, che non parli mai di questa famigerata ragazza irlandese!”
    “Che cosa dovrei dire? Non l’ho mai vista, non ho idea di chi e come sia…”
    “Quindi ho ragione, non ti piace nemmeno lei… Per me sei gelosa: una perfetta sconosciuta ti porta via il fratello preferito, quello che ti protegge da sempre. Saresti gelosa di chiunque, anche della persona più buona, disponibile e gentile della terra…”
    “Io non sono gelosa di nessuno…”
    “… Se lo dici tu… ”

In silenzio, aprii il contenitore che ci avevano dato gli elfi delle cucine e le passai la porzione di pasticcio che avevo chiesto loro per lei: sperai che, almeno questo, le avrebbe fatto tornare il sorriso, ma restava con l’aria persa in un mondo lontano, triste. Il silenzio tra noi era rotto solo dal cinguettio insistente di un paio di ospiti della grande quercia di fronte: fu allora che mi accorsi che tra gli alberi correvano un paio di scoiattoli, forse alla ricerca dell’ultima scorta prima dell’inverno. Era tutto così simile a Herrengton… Mi sistemai comodo, appoggiandomi al tronco di un faggio. Cercai di moderare la voracità con cui avevo iniziato a “giustiziare” la mia porzione di torta di zucca, ma poi, vedendo che mi guardava curiosa, iniziai a fare un po’ di scena: sapevo che quando mi comportavo in modo buffo, quando lasciavo da parte le regole di casa Black, riuscivo sempre a farla sorridere. E fu così per l’ennesima volta.
   
    “Di Sile Kelly so pochissimo, Sirius: è l’unica figlia femmina di uno dei più cari amici di mio padre, vivono a Doire, la stessa contea da cui viene mia madre; ha frequentato Hogwarts insieme a mio fratello, hanno la stessa età. Non so altro, ma… per mio fratello è una delle tante, non prova un affetto particolare per lei, tra loro non è come per i miei genitori…”
    “Come fai a dirlo? Nemmeno l’hai mai vista!”
    “Due settimane prima di fidanzarsi con lei, mio fratello frequentava un’altra… una ragazza cui voleva bene, ero convinta che fosse la ragazza giusta, che avrebbe chiesto a lei di sposarlo… poi però… non so perché, tutta quella fretta… So solo che Mirzam non si è fidanzato per amore…”
    “Un’unione di convenienza? Ma tuo padre non vi ha promesso di lasciarvi liberi di scegliere?”
    “Non è stato per mio padre… Lo so che è strano, Sirius, ma mio fratello pur potendo scegliere di testa propria, non ha seguito i suoi sentimenti… ma qualcos’altro… che non riesco a capire…”
    “Ed è per questo che non l’ha frequentata in tutti questi mesi? Che non l’ha mai portata a Herrengton?”
    “No… quello no… Vedi… E’ la tradizione: gli Sherton si sposano così… da sempre… Dopo aver fatto la proposta al padre di Sile, Mirzam non deve vederla fino al giorno del matrimonio… e la cerimonia può svolgersi solo a Yule, per sfruttare i doni del Nuovo Sole…”
    “Quanti riti strani e misteriosi… Quante regole assurde e… affascinanti…”

La guardai rapito, stare accanto agli Sherton era come aprire un libro di Storia Magica e vederla prendere vita.

    “A casa mia le regole sono di tutt’altro genere: “Impugna così la forchetta”, “Non appoggiare i gomiti sul tavolo”, “Stai diritto con la schiena”, “Non parlare senza il permesso”… ecc…”
    “Perché vuoi conoscere le regole del Nord? A cosa ti serve? Ormai queste abitudini le conservano solo poche famiglie, non le conosce più nessuno!”
    “Appunto! Non lo sai che “la Conoscenza è Potere” ?”

Ghignai, a volte non riuscivo a trattenermi dall’esibire qualcuno dei motti, tipicamente Slytherin, della mia famiglia e dei miei precettori. Per mia fortuna Meissa poteva capirmi senza spaventarsi, mentre quando mi uscivano frasi del genere con i ragazzi, vedevo benissimo i loro sguardi preoccupati e sgomenti.

    “Di sicuro vedrai il matrimonio con i tuoi occhi, Sirius, sarete invitati tutti a Yule…”

Sorrisi, lo speravo davvero, ma dopo gli ultimi avvenimenti immaginavo che avrei passato la giornata di Yule da solo, confinato a Grimmauld Place. C’erano circa tre mesi, durante i quali mia madre sarebbe riuscita di sicuro a trovare un modo per estromettermi, percui… No, non dovevo pensare a mia madre. Mi passò per la testa una cosa che avevo capito quell’estate e mi sembrò il modo più sfacciato e sicuro di cambiare tono ai discorsi.

    “I tuoi, però, non hanno rispettato i rituali… Voglio dire… Mirzam compie gli anni a maggio, non a settembre…”

Ridacchiai, guardandola impacciato e al tempo stesso malizioso.

    “Non c’è bisogno di celebrare il tipico matrimonio del Nord per fare un figlio, Black, ormai sei grande abbastanza, da saperlo anche tu… o a Londra non vi spiegano nemmeno quello?”

Ghignai di nuovo, cercando di soffocare il rossore e compiacendomi nel vederla in imbarazzo a sua volta: come suo solito, cercava di fare battute pungenti sul fatto che ero solo “Uno sciocco damerino inglese”, senza però riuscirci, stavolta.

    “Credevo solo che tutti gli Sherton fossero rispettosi dei riti…”
    “I miei si sono sposati come semplici maghi, solo dopo la nascita di mio fratello papà ha fatto pace col nonno e si è potuto sposare secondo i riti del Nord… ma quel matrimonio è solo una conferma pubblica, una festa. Il rito vero e più importante, quello con cui i due si scelgono per la vita, è un fatto esclusivamente privato, e può avvenire anche molto prima del matrimonio.”
    “Vorrei ben dire! Sarebbe molto imbarazzante se non fosse un rito privato...”

Stavolta scoppiai davvero a ridere, rosso fino alle orecchie, mentre lei mi guardava a bocca aperta.

    “Black… Hai da sempre una fantasia così malata o… o questi sono i primi sintomi di quel cravattino rosso-oro? Si tratta solo di un bacio… il bacio più importante della nostra vita, con cui stabiliamo un legame immortale.”

Mi sorprese, sia per la semplicità di una cosa tanto importante, sia per l’espressione che aveva in quel momento: sembrava un mago che avesse creato la Pietra Filosofale, ne parlava con lo stesso rispetto e sacralità. Naturalmente dovevo buttare sul ridere anche quel momento.

    “Un bacio? Merlino! Questo vuol dire che se fossi riuscito a baciarti a Zennor, a quest’ora a mia madre non importerebbe più niente di questo cravattino!”

Sorrise a sua volta, forse per la stupidaggine che avevo detto o per il ricordo di quella giornata per me leggendaria: era stato il compleanno più emozionante della mia vita, ero stato un ragazzino stupido, vero, ma forse senza quella giornata non saremmo mai diventati così amici.

    “Mi spiace, Sirius Black, ma per scoprire i segreti di quel bacio devi volere davvero una Sherton… perché poi non si torna indietro…”

Mi canzonò con aria divertita, per lei stavo solo scherzando, in cuor mio sapevo di essere interessato davvero. Tutte quelle storie e quelle leggende mi affascinavano e più ne credevo di sapere, più trovavo nuovi misteri da scoprire. E poi cercavo solo una scusa per stamparle un bel bacio sulle labbra, giusto perché sapesse che avevo già delle idee abbastanza chiare su quello che volevo nella vita. Forse intuì qualcosa, come sempre troppo in fretta, si alzò, rapida, andando a raggiungere una figura che si stagliava in lontananza. Era già finita l’ora che c’eravamo ritagliati solo per noi: a breve sarebbero arrivate tutte quelle nullità con cui dovevo dividerla… per studiare Pozioni, tra l’altro. Mi alzai a mia volta, presi a calci un sasso fino a che non s’immerse in acqua: avrei voluto farli evanescere tutti quanti. Le prime ad arrivare furono le ragazze di Corvonero, Pauline McDougal e Sheila Clearwater: effettivamente non erano antipatiche, anzi, però mi guardavano piuttosto interessate e mi sorridevano di continuo, soprattutto quando Meissa era impegnata con gli altri ragazzi. Io mi sentivo in imbarazzo e al tempo stesso lusingato: era strano e piacevole essere così apertamente apprezzato, anche se non era il loro, l’apprezzamento che desideravo… Alice e Lily Evans arrivarono con una ragazza impacciata di Tassorosso, Norah Felton, seguite da Frank Longbottom: le ragazze presero a confabulare con Meissa, Frank, a disagio, iniziò a tediarmi con una serie di discorsi noiosi di Erbologia, da cui non vedevo l’ora di salvarmi in qualche modo. Quando apparvero James e Peter, perciò, tirai un sospiro di sollievo e non esitai a lanciarmi verso di loro, letteralmente grato per avermi liberato. Che strano, però, Remus dov’era?
Emily Bones, Mattew Abbott e Colette Midgen di Tassorosso arrivarono tutti insieme, sembravano fratelli siamese, non si separavano mai: notai subito l’espressione di James perdere la proverbiale sfacciataggine, per assumere un rossore che ancora non gli avevo visto mai, quando vide la piccola Emily rivolgergli un sorriso radioso. Infine comparve l’amica di Mei, Zelda, seguita da Bullstrode e Yaxley; immaginavo che con loro sarebbe arrivato anche Snivellus, ma rimasi rapidamente deluso: mi dovetti rassegnare subito al fatto che fosse talmente vigliacco da non volerci affrontare. In tutte le case, la proposta di Meissa aveva avuto un buon successo, sicuramente insolito, ma, com’era prevedibile, non a Serpeverde: della sua casa alla fine si erano presentati solo in tre.

    “Come mai non c’è Snivellus?”

James si guardava attorno curioso, rimarcando la parola “Snivellus” quando vide Lily Evans passarci accanto: l’unica cosa che ottenne fu un’occhiata glaciale, seguita da un leggero mugugno.  Alice e Frank le andarono incontro e la scortarono fino a mettersi tutti insieme accanto a Meissa. M’incupii subito: avevo immaginato, molto fantasiosamente lo sapevo, di poterle stare vicino tutto il tempo, invece quella rossa odiosa mi aveva già spodestato.

    “Va tutto bene Meissa?”

Mei guardava verso le sue montagne, preoccupata, delle nuvole si erano levate e ormai rendevano minaccioso il cielo verso est; fece una smorfia e ci ammonì.

    “E’ meglio se ci diamo da fare: entro un paio d’ore dovremo tornare al castello, pioverà di certo!”
    “Beh… se queste sono le ultime ore di sole dell’anno, io proporrei di impegnarle in modo più costruttivo: da qui ci vuole mezz’ora per arrivare al campo da Quidditch!”

James ammiccava alle ragazze di Corvonero, cercando di sostenere lo sguardo di Emily, che con i suoi occhioni da cerbiatto l’avevano ridotto ormai a un tappetino, nemmeno fosse stato vittima di un pesante incantesimo “Confundus”.

    “I soliti Grifondoro sfaticati!”

Yaxley ci squadrava con aria di superiorità, James era pronto alla sfida, ma io non avevo intenzione di rovinare il pomeriggio di Mei. Visto che non c’era Remus a fare il saggio del gruppo, provai a prenderne il posto, per una volta, anche se mi sentivo ridicolo già da solo a pronunciare quelle parole, così lontane dal mio modo di essere.

    “Sarà bene studiare Pozioni: lunedì si avvicina e quel vecchio tricheco mi sembra pignolo… e al campo oggi non c’è da vedere nulla…”
    “Merlino santissimo! Sei proprio tu?”
    “Dai, James…”
    “Godric, pietà, non ne bastava uno di Lupin?”

James si gettò sconsolato a peso morto sul plaid e, sbuffando, aprì il testo alla pagina indicata, spiegazzando le pagine con malagrazia. Mei mi rivolse uno sguardo grato e le nostre due ore da incubo finalmente ebbero inizio: le ragazze di Corvonero, Frank ed io eravamo a pari livello, sicuramente più alto della media, Abbott, Peter e Bones non nascosero invece di avere dei dubbi che furono risolti confrontandoci. Yaxley non poté evitare di denigrare e scambiare stupide battute su Grifoni e Tassorosso con il suo tirapiedi, ottenendo delle risatine di approvazione dalle Corvonero: in fondo, non erano poi così simpatiche come avevo sempre pensato in quella settimana. Anzi. Era proprio vero, i Corvonero non erano altro che Serpeverde senza ambizione. Meissa ogni tanto sbuffava e fingeva di non aver capito qualcosa, solo per far credere che anche tra i Serpeverde ci fossero dubbi, ma nessuno prendeva sul serio la sua tattica. Frank la osservava con ammirazione crescente: perfetto, ora anche lui mi suscitava guizzi di assurda gelosia! In fondo però dovevo ammettere che era normale: per chi non la conosceva, era difficile credere che potesse essere gentile con il prossimo, o che non si curasse, come tutti i Serpeverde, di maltrattare gli altri e guardare il mondo con altezzosità. Sarebbe stato bello se non fosse cambiata mai! Alla fine dovetti ammettere che il pomeriggio fu un successo: mi ritrovai a chiarire io stesso alcuni concetti che contrastavano con quello che mi avevano spiegato i precettori, salvandomi così da una sicura insufficienza.

    “Potremmo rifarlo sabato, così per la prova di lunedì non avremo problemi… potremmo coinvolgere anche altri…”
    “Dovremmo aiutare i nostri compagni di casa più che gli altri, Sherton: in fondo le prove servono anche per far guadagnare punti utili alla Coppa delle Case!”

Yaxley la buttava sul pragmatico, ma da figlio di Serpeverde, sapevo che quello che aveva fatto Meissa, quel giorno, rasentava l’eresia: avesse coinvolto solo i Corvonero, tanto tanto… ma i Grifondoro!

    “Dobbiamo anche imparare, Yaxley, non solo fare punti… per quello c’è il Quidditch e lì…”

Fece un occhietto malizioso e Yaxley ghignò come risposta, imitato da quella sottospecie di troll di Bullstrode.

    “Noi torniamo al castello, si sta facendo freddo e tra un po’ si metterà a piovere…”

Le Corvonero si dileguarono, con un ulteriore battito di ciglia verso di me, che stavolta non sfuggì a Meissa: non riuscii a decifrarne l’espressione quando se ne rese conto. Zelda si accodò a Lily, Alice e Frank e insieme raggiunsero i Tassorosso. James era diviso tra la voglia di svolazzare attorno a Emily e la necessità di restare con me e Peter per fare battute sugli altri e organizzare qualcosa di divertente per la serata, poi però si rese conto che se mi trattenevo ancora non era per loro, così prese sotto la sua ala protettiva Peter e si avviò sghignazzando dietro agli altri, verso il castello.

    “Il cervello sveglio di James è sempre molto utile…”
    “Peccato sia sempre così strano e… d'accordo, oggi si è comportato bene, in fondo. Ma Remus? Sembrava tanto contento della nostra idea?”
    “James ha detto che doveva parlare alla McGonagall, forse ha qualche problema, non lo so…”
    “Mi dispiace… poi sembra così cagionevole di salute… Per me sta anche peggio di quel giorno sul treno…”
    “In effetti… ma ancora non lo conosco tanto bene, non ho idea di quale sia il problema… però ti assicuro che è uno in gamba, il migliore della mia stanza…”
    “Migliore anche di Potter?”

Ghignò e lasciò cadere lì il discorso. Le sorrisi, mentre piegava il suo plaid ed io mi rimettevo il mantello sopra la giacca: stava diventando davvero freddo. Mi sporsi e le presi nuovamente i libri, poi le diedi la mano: me la prese, senza esitazioni, eravamo rimasti tanto indietro da non essere più visti dagli altri.

    “Vorrei chiedere a Rigel se posso accompagnarti alla cena di Slughorn, domani sera…”
    “Sei un tipo strano, Black… che c’entra mio fratello? Non dovresti chiederlo a me?”

Si voltò e mi sorrise, il vento le muoveva appena i capelli e di nuovo mi ritrovai ad ammirare quelle labbra che sembravano ciliegie.

    “Io intendevo… “

Divenni rosso, aveva ragione, ma spesso consideravo ovvia la risposta di Mei: forse dovevo imparare a non dare sempre tutto per scontato.

    “… Credo non ci siano problemi, no? Voglio dire… non credo che Malfoy possa fare stupidaggini davanti a Slughorn… Sempre se vuoi…”
    “Da quello che mi ha raccontato Rigel, aspettati una serata da incubo, noia assicurata! Se non ci fossi tu, cercherei di non andarci, Sirius!”
    “Stai scherzando? Merlino! Perfetto! Dopo una giornata all’insegna di Storia della Magia, ci mancava anche la cena!”

Iniziò a piovere, ci mettemmo a correre per la salita che riportava al castello, ci tirammo i mantelli e il cappuccio sopra la testa e, ridendo, raggiungemmo fradici e con un certo affanno il Cortile di Pietra, cercando riparo sotto i portici millenari.

    “Sei un mollaccione, Black! Sempre senza fiato!”
    “Io avevo il peso dei libri!”
    “Tutte scuse!”

Rideva… La stavo guardando come un idiota, ormai deciso, dopo averlo sognato tutto il pomeriggio, a farmi coraggio e abbracciarla, cogliendola di sorpresa e…

    “Ragazzi…”

Una voce alle mie spalle mi riportò alla realtà, Meissa si voltò, in fiamme, mentre Amos Diggory, Caposcuola di Tassorosso, incombeva su di noi con aria a metà tra il divertito e il severo.

    “Non avete lezione o compiti da fare in biblioteca?”

Ci guardava incuriosito, certo doveva trovare strano che un Grifondoro e una Serpeverde stessero insieme senza insultarsi, anzi, in atteggiamenti per lo meno sospetti, soprattutto io… E di sicuro aveva riconosciuto Meissa. Chi non la conosceva già, in quella scuola, dopo appena una settimana? Ce ne andammo con la coda tra le gambe, rossi in viso, io notevolmente frustrato.

    “Vado di sotto Sir… Ci vediamo a cena o domani, a lezione…”
    “Mei…”

Merlino, l’avevo messa in imbarazzo in pubblico e lei si era resa conto delle mie intenzioni! Che vergogna! La inseguii fino all’ingresso di Serpeverde, sapevo di non poter andare oltre, ma non potevo lasciarla andare così, temevo si fosse arrabbiata di nuovo.

    “Mei… aspetta… Non volevo…”

L’afferrai con un certo impeto per un braccio, facendola voltare, non era arrabbiata, sembrava delusa…

    “Peccato Black… magari io avrei voluto…”

E detto questo sparì oltre il ritratto, un leggero ghigno malizioso in faccia, lasciandomi sbigottito e confuso, lungo i corridoi del sotterraneo. Che cosa voleva dire? Anche lei aveva i miei stessi pensieri? Ripensai a Herrengton, a quella sera in cui avevo quasi annullato tutto… Allora era stata lei… Sì, sorrisi tra me, doveva essere davvero così… Ero così felice di quella piccola speranza, che spegneva tutte le paure e rendeva radioso il futuro, che non mi resi subito conto di non essere solo.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre 1971

Rigel, in piedi in mezzo alla stanza, era completamente preso dalla sua esposizione degli schemi di gioco, Cox e Beckett, due ragazzi alti e grossi, del quarto anno, rispettivamente portiere e battitore, lo ascoltavano rapiti seduti a terra, mentre Rabastan e Angie Crabble, battitore e cacciatrice, nemmeno fingevano di ascoltarlo, avvinghiati come due piovre sul divanetto alla sinistra di mio fratello: lei, una ragazzina minuta del terzo anno, era considerata una delle giovani più attraenti e sfacciate di tutto il castello, e ora, camicetta fin troppo sbottonata e mani di quel maniaco ovunque, ne capivo chiaramente il motivo. Sull’altro divano, di fronte, Malfoy e Mills, settimo anno e cacciatori, nemmeno se ne curavano, forse fin troppo abituati a quelle scene: Mills sembrava convinto delle proposte di mio fratello, Malfoy, al contrario, aveva come sempre la sua classica puzza sotto il naso. Erano gli unici ragazzi presenti nella Sala Comune, mi ero scordata le raccomandazioni di Rigel.
   
    “Tieniti alla larga fino all’ora di cena, puoi andare dove ti pare, Lucius starà tutto il pomeriggio con me”.

Ormai il danno era fatto: avevo la mente in subbuglio per Sirius, si era comportato in modo davvero strano tutto il pomeriggio, prima con quelle domande su mio fratello e i riti del Nord, poi quella faccia alla fine… Volevo solo andare a nascondermi nei dormitori, a ripensare a quel pomeriggio, rivedermi quei momenti bellissimi… Avevo promesso alla mamma di non farmi distrarre, ma con Black era praticamente impossibile.

    “Che sorpresa! Meissa! Rigel, mi sa che tua sorella ti sta cercando…”

Cox mi sorrideva, Rigel si voltò, nel giro di pochi istanti, pur rimasta in silenzio, avevo attirato l’attenzione di tutti. Pregai di non arrossire troppo, mentre lo sguardo di Malfoy sembrava volesse ridurmi in cenere, mi feci coraggio e cercai di mostrarmi serena e indifferente.

    “Qualcosa non va, Mei?”
    “No… sparisco subito… devo scendere di sotto a prendere dei libri…”

Rigel fece un cenno di assenso e tornò subito ai suoi schemi, ma Rabastan non sembrava d’accordo.

    “Perché non resti? Secondo me dovresti, tanto sappiamo già che l’anno prossimo sarai in squadra con noi… buon sangue… ”
    “Non è il modo regolare di scegliere i componenti della squadra, Basty!”
    “E allora? L’anno prossimo sarò io il capitano, non tu, Malfoy, quindi prenderò in squadra chi voglio, scegliendolo come voglio!”

Angie si mosse stizzita sul divano lanciando a Lestrange un’occhiata omicida, Malfoy sogghignò alla sua maniera, con l’aria di chi minaccia nemmeno troppo velatamente; gli amici di Rigel non dissero una parola, ma Cox mi fece spazio, invitandomi a sedermi tra lui e Beckett: quei due erano simpatici e un po’ strani e, soprattutto, non mettevano paura, al contrario della maggior parte degli altri Serpeverde. Inoltre ero curiosa, avevo sentito dire che mio fratello incantava quando si trattava di Quidditch, sia con i fatti sia con le parole: tutti dicevano che nel gioco era identico a mio padre, ed io, che già avevo imparato ad apprezzarlo in quei pochi giorni, non vedevo l’ora di ammirarlo di persona. Ottenuta una sua occhiata di consenso, perciò, andai a sedermi a terra, sul tappeto: forse anche lui voleva che dimostrassi di non aver paura di nessuno. Lestrange e Malfoy fingevano di seguire Rigel, ma sapevo benissimo che mi stavano studiando, io mi mostravo indifferente, ma il nervosismo era più che palese, visto il modo paranoico con cui spianavo di continuo le pieghe della mia gonna, quasi volessi cancellarmi al loro sguardo. Malfoy, vigliaccamente e stupidamente, provò a chiedermi un paio di regole di Quidditch, sicuro di cogliermi impreparata, non tenendo conto che, ascoltando tutte le discussioni e i racconti di mio padre e i miei fratelli, avevo ormai un’ottima preparazione teorica, tanto che lo lasciai a bocca asciutta.

    “Visto? Che cosa ti dicevo, Malfoy? Io proporrei di lanciare un boccino e vedere chi dei due lo prende per primo!”

Rabastan raccolse altri consensi con questa iniziativa, si staccò da Angie, ormai visibilmente scocciata, e andò nel dormitorio dei maschi a recuperare la pallina dorata; Rigel mi guardava sconsolato, dalla faccia funerea capivo che mi accusava in silenzio di aver mandato a monte qualcosa per lui importante. Mi strinsi nelle spalle: forse se avessi dimostrato subito la mia inettitudine, non avrebbero più avuto scuse per romperci le scatole.

    “Eccolo qua!”

Rabastan riemerse trionfante, con il boccino dorato che vibrava tra le sue dita: la camicia era ancora per metà fuori dai pantaloni e in parte aperta, e ora che riuscivo a vederlo più da vicino, aveva evidenti tracce di rossetto sul collo e la faccia. Aveva la stessa espressione selvaggia del giorno del matrimonio a Black Manor: all’improvviso, compresi da quale tipo di attività si era appena allontanato, quando l’avevo incontrato, in quel chiostro. Senza apparente motivo, divenni rosso fuoco.

    “E’ una prova stupida, Meissa non ha mai toccato un boccino e ha appena iniziato a volare su una scopa! Qua dentro rischiamo di rompere qualcosa e farci male!”
    “Stupidaggini, Sherton… sulla scopa ci sa già stare… l’ho vista io sabato giù nel cortile: per essere una matricola alla prima settimana, già si muove bene… eventualmente basterà un “reparo”.”

Perfetto, ci mancava il parere non richiesto di Malfoy... Iniziai a inquietarmi, non volevo che mi tirassero dentro i loro stupidi giochi, il Quidditch nemmeno mi piaceva!

    “Sono quasi caduta dalla scopa, sabato, e del Quidditch non m’importa nulla!”
    “Non ti farai nulla, Meissa… Gli imporrò di volare basso, non servirà che tu salga sulla scopa! Voglio solo vedere se hai lo stesso fiuto dei tuoi fratelli!”

Mi alzai e presi la via dei dormitori, lasciandoli tutti basiti, di certo non avrei soddisfatto le curiosità di un Lestrange, ma Basty lasciò libero il boccino che iniziò a fluttuare e zigzagare per la stanza. Voltandomi, vidi che mio fratello aveva già il classico sguardo predatore tipico di un cercatore nato, puntato sull’oggetto alato, e con sorpresa mi accorsi che riuscivo a tenere a mia volta gli occhi incollati su quella pallina svolazzante senza difficoltà.

    “Visto? Ce l’hanno nel sangue… Sembrano ipnotizzati tutti e due!”

Cox si mise a ridere, confermando le osservazioni di Beckett, Mills tirò fuori un sacchetto di galeoni dalla giacca e mi mise a contare.

    “A questo punto sarebbe più divertente se ci scommettessimo sopra qualcosa… Io punto sulla ragazzina!”

Lasciò tintinnare alcune monete sul tavolo, seguito da tutti gli altri, alla fine sul tavolo c’era una bella montagnetta d’oro. Sapevo che se avessi seguito l’istinto, che avevo ereditato da mio padre col sangue, non mi avrebbero mai lasciato in pace, quindi finsi: smisi di seguire il boccino, cercandolo dove sapevo benissimo che non l’avrei trovato, visto che tenevo costantemente d’occhio il movimento dorato lasciandomelo sempre ai margini del campo visivo. Impedire alla mano di tendersi e acciuffarlo fu invece più impegnativo. In breve, Rigel mise fine alla mia recita, impugnando la pallina dorata a pochi centimetri dalla faccia scocciata di Angie. Malfoy proruppe in un applauso, era l’unico ad aver puntato, come sempre, contro di me.

    “Peccato Mills! E... grazie, cuginetti: mi avete fatto guadagnare un bel gruzzolo!”

Lucius si alzò con un bel sacchetto pieno di galeoni poi si diresse alla porta, avviandosi al suo turno di guardia lungo i corridoi del sotterraneo: gli altri erano imbronciati, avevano scommesso tutti contro Rigel, che se ne stava ancora in piedi sul tavolo, il boccino in mano, a guardarli beffardo.

    “Non te la prendere Mei… magari con un po’ di esercizio…”

Cox cercava di consolarmi, offrendomi delle cioccorane, Rabastan però non demordeva.

    “Per me avete barato… ma anche se fosse… Il cercatore non ci serve, l’abbiamo già, la alleneremo come cacciatrice! L’anno prossimo ce ne serviranno addirittura due!”

Ghignò a mio fratello, alludendo alla partenza di Malfoy: mi resi conto che non ero l’unica a trovarlo insopportabile!

    “I Lestrange non mollano mai con gli Sherton, vero Basty?”

Rigel gli sorrideva, anche se a me non piaceva, avevo visto benissimo che Basty con mio fratello era sempre gentile e amichevole, sembrava quasi una persona a posto, forse mio padre esagerava…

    “Devi convincere lei, Basty, e non sarà una cosa facile, credimi… non hai idea di quanto sia testarda!”
    “A me piacciono tanto le sfide… lo sai…”

Mi ghignò radioso, la Crabble si alzò tutta offesa, Mills rise tanto che la burrobirra gli passò dal naso, poi Lestrange, senza più guardarmi direttamente, rivolse a tutti gli altri il suo miglior sorriso serafico.

    “In fondo come per tutte le altre cose che avete nel sangue… basta scoprire quali tasti bisogna toccare…”

Si parlava soltanto di Quidditch, lo sapevo, ma Lestrange riusciva a essere anche più inquietante di Malfoy. Mio padre aveva ragione, non dovevo fidarmi di lui. Non dovevo scordarmelo mai.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre 1971

    “Guarda un po’… Un Grifondoro… solo soletto, nei sotterranei di Serpeverde…”

Mi voltai di scatto, riconoscendo la voce del tizio che aveva istigato i troll contro Peter e l’altro ragazzino, la sera prima: Walden McNair. Deglutii a stento, ero stato un idiota a rimanere tanto a lungo nei sotterranei, per di più da solo. E in quell’ora c’erano pochissime persone in giro. Nessuno a cui chiedere aiuto.

    “Ti sei mangiato la lingua, rinnegato?”

Mi sfilai la bacchetta dalla cintola, ben sapendo che comunque sarebbe stato tutto inutile. Studiai la situazione, l’unica via di fuga era alle sue spalle.

    “Che scenetta divertente, che cosa vorresti farci con quella?”

Si avvicinò, indietreggiai, alla fine appoggiò la mano ossuta sulla mia testa, scansandomi con facilità fino ad addossarmi a una parete, in un punto particolarmente buio e nascosto. Io gli ringhiai addosso, prendendolo a pugni tirati a casaccio.

    “Toglimi subito quella zampa da dosso, McNair…”
    “Altrimenti che mi fai?”

Sghignazzò, tirandomi una ciocca di capelli, io cercai di centrargli il basso ventre con un calcio ma mi sollevò di peso, sbattendomi contro una colonna, un dolore terribile ai reni: iniziò a darmele, colpendo a ripetizione, sempre in punti non visibili. Non avevo più fiato nemmeno per squittire.

    “Vedi che succede ai rinnegati, Black?”

L’ennesimo colpo. Scivolai a terra, tossii e vidi uscirmi sangue dalla bocca: non mi era capitato mai, ero terrorizzato a morte, iniziai a credere che sarei morto in quell’oscuro e remoto angolo dei sotterranei, nessuno mi avrebbe trovato mai. Non capivo più niente, era tutto confuso, era tutto dolore, sembrava che tutto diventasse notte. Mi mosse con un piede e sghignazzò con fare sinistro, ma la sua voce era deformata nelle mie orecchie. Poi un lampo d luce rossa uscì dall’oscurità, McNair si ritrovò sbalzato all’indietro, cadendo di schiena a qualche metro da me: se era stato uno “stupeficium”, non era stato molto potente, di certo McNair era rimasto più che dolorante, sorpreso…

    “Che cosa diavolo… Perché l’hai fatto?”
    “Lascialo andare, Walden! Abbiamo cose più importanti cui pensare, non possiamo più sporcarci con questi giochetti!”

Il ronzio nelle orecchie non mi permetteva di comprendere altro, né di riconoscere la voce, bisbigliata nell’oscurità. Percepii solo un’ombra alta che mi sovrastava, bisbigliò qualcosa e sentii le palpebre farsi pesanti, non riuscivo ad aprire gli occhi e vedere cosa mi accadeva attorno, ero completamente cieco. L’ultimo arrivato prese a tastarmi il viso, l’unica parte di me che non mi faceva male, poi scese lungo il torace, provocandomi non poco dolore.

    “Hai fatto un casino! Come glielo spieghiamo alla Chips? Questo non è un Sangue Sporco qualunque…”
    “Ma è un Grifondoro, un rinnegato…”
    “Taci idiota! Questo è il figlio di Black! Ancora non sappiamo come interpretare questo fatto…”

Sentii tirarmi il cravattino. Che cosa stava accadendo attorno a me? Chi era quel ragazzo che mi proteggeva, quasi avesse paura di me? Del fatto che qualcuno si lamentasse per quello che mi era successo.

    “Aiutami!”

McNair prese a sghignazzare, poi mi sentii sollevare e caricare sulle spalle, camminammo a lungo, aprimmo diverse porte, ogni passo era una lunga e lenta fitta d’incredibile dolore. Non mi usciva nemmeno il fiato per urlare.

    “Tu ora resti qui e fai il palo! Hai capito, essere inutile?”

La voce di un elfo domestico squittì nell’oscurità forse eravamo nelle cucine. Mi scaricò di colpo su una superficie dura e rigida fredda, mi uscì appena un lamento mentre quelle mani calde e nervose mi aprivano la camicia e mi tastavano le costole.

    “Dove ti fa male?”

Non capivo perché le mie orecchie sentissero quella voce distorta al punto da non riconoscerla, non avevo ricevuto colpi in testa, forse mi avevano confuso o fatto qualcos’altro, come agli occhi.

    “Non mi fa male nulla…”
    “Certo… come no…”

Sentii qualcosa di freddo e umido sul petto, dei rapidi massaggi e un odore intenso di piante curative, lo sconosciuto cercava di guarirmi o per lo meno rendere meno evidenti i lividi che quel bastardo di McNair mi aveva provocato. Lentamente i dolori sembrarono attenuarsi, senza però sparire.

    “Ora può passare per una caduta, basta aggiungere l’unica cosa che manca…”

Un colpo violento al naso, a stordirmi completamente, sentii l’odore metallico del sangue invadermi la gola. Poi il legno della bacchetta venne puntata sulla mia fronte e la voce sibilante bisbigliò qualcosa al mio orecchio… Le forze e la coscienza sparirono. Ora tutto era oscurità e silenzio.

***

Remus J. Lupin
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre 1971

    “Conosci le regole, tesoro… Dentro troverai tutto, come si sono accordati tua madre e il preside…”

Minerva McGonagall, l’arcigna e severa professoressa di Trasfigurazione, direttrice della casa dei Grifondoro, sembrava non volermi lasciare andare, stringeva le mie mani tra le sue, amorevole e preoccupata, uno strano sguardo pieno di pietà e dolore, così simile a quello che aveva mia madre quando mi osservava. Non c’erano paura e disgusto nei suoi occhi, com’era possibile? Eravamo nel parco, immersi nel buio, la luna celata ancora di là dei monti, ancora un’ora e la sua maledizione avrebbe fatto il suo corso, trasformandomi in un essere orrendo. Deglutii e mi feci forza, un bastone premeva ai piedi di un platano incantato, avrebbe evitato che uscissi di lì o che qualcuno, maldestramente entrasse e mi scoprisse. Un cunicolo si apriva sotto l’albero, non volevo entrare, sembrava una bocca pronta a inghiottirmi, a farmi scivolare fino all’inferno.

    “Ora io e la signora Chips ti accompagniamo e… domattina torniamo a prenderti, starai in infermeria, ci prenderemo cura di te… non devi avere paura…”

Sentivo le lacrime forzare per sgorgarmi dagli occhi, strinsi i pugni e avanzai di un passo, vidi le due donne lanciarsi uno sguardo preoccupato e partecipe, erano veramente addolorate per me, non provavano paura per se stesse. Dovevano avere una grande considerazione e fiducia in Dumbledore e nei suoi piani, ne ero certo. Forse dovevo semplicemente lasciarmi andare anch’io e fidarmi di tutti loro, a mia volta. Quel cunicolo era lunghissimo, sentivo l’odore della terra umida penetrarmi il naso e la pelle, ma quasi non gli prestai attenzione, sentivo ben altro: la carne iniziava a tendersi, i brividi aumentavano, avevo sempre più caldo e sete e un odio che mi montava da dentro. Quando finalmente arrivammo nel sotterraneo della casa che avevano costruito per me, sentivo che ormai mancava poco.

    “Andatevene, non c’è più tempo, rischiate di ritrovarvi ancora qua dentro quando… quando…”

Strinsi le mani e mi lasciai sfuggire delle lacrime, avevo combattuto a lungo, ma ormai mi sentivo sconfitto. La professoressa McGonagall mi accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla fronte, cercando di farmi coraggio, prese la mia mano, le vene ormai erano chiaramente in evidenza, piccoli fiumi scuri che solcavano una pelle perlacea e lunare.

    “Sei un ragazzo bravo e coraggioso, Remus Lupin! Godric in persona ti avrebbe scelto tra i suoi studenti più meritevoli. Tra poche ore sarà tutto finito… tieni duro…”
    “Andate!”

Rientrarono nel cunicolo, lasciandomi solo a esplorare quel mondo tutto mio. Quel mondo che avrei imparato a conoscere fin troppo bene. Quando sentii richiudere la grata che doveva contenermi, urlai con tutto il fiato che avevo in gola “Grazie”, prima che la mia umanità scivolasse nell’oblio. Poi il dolore lacerò la pelle, sentii le ossa e i muscoli deformarsi, tendersi, stirarsi, sentii la mia energia incontenibile sgorgare e anelare a quella vita selvaggia e senza regole che non dovevo in nessun modo assecondare.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mer. 8 settembre 1971

    “Che cosa ti è saltato in mente di partecipare alla riunione di Quidditch?”

Sapevo che alla fine la ramanzina sarebbe arrivata, e puntuale arrivò quando Rigel mi accompagnò in Sala Grande per la cena.

    “Volevo parlarti… Sirius mi ha chiesto se può accompagnarmi lui alla cena di Slughorn.”
    “Sirius Black non potrà portarti da nessuna parte…”

Punto. Niente di più, niente di meno, mio fratello aveva preso da mia madre i modi decisi e irremovibili, lo sapevo da tanto.

    “Ma Rigel! Malfoy non può farmi niente davanti a Slughorn, non essere paranoico!”
    “Non hai capito! Black in questo momento è ricoverato in infermeria, dicono sia caduto per le scale, di sicuro non uscirà prima di venerdì, perché ha battuto la testa e non ricorda niente…”
    “Che cosa? Quando…? Come sta?”
    “L’ha trovato Amos Diggory ai piedi della scalinata che va alle cucine, meno di un'ora fa, ha chiamato aiuto, ora la Chips lo sta curando in infermeria…”
    “Devo andare subito!”
    “NO! Per questa sera tu non vai da nessuna parte, lui deve riposare… e tu… stai già facendo parlare la gente anche troppo!”
    “Che cosa vorresti dire?”
    “Che devi dare ascolto alla mamma! Che cosa sono questi pomeriggi con i Grifondoro? Va bene Sirius, ma gli altri? Dovresti fare in modo che sia lui a riavvicinarsi agli altri Serpeverde, invece sembra che sia tu a volerti trasformare in una Grifondoro!”
    “Io voglio stare con i miei amici, non m’importa dei colori…”
    “Non sei nella casa di nostro padre, Meissa… qui non valgono le regole di papà, qui ci sono altre leggi e tu devi impararle... o la prossima a “cadere per sbaglio” dalle scale potresti essere tu… per favore …”
    “Merlino! Vuoi dire che è stato attaccato? E’ così, vero?  Dimmi cosa sai! Scrivo a casa… e a Orion… devono sapere…”
    “Salazar! Che cosa pensi di ottenere, Meissa? Sirius deve crescere… Tu devi crescere... Credi che Black sia l’unico ad aver dovuto tirar fuori pugni e bacchette per difendersi?”
    “Che cosa vuoi dire?”
    “Se vuoi sopravvivere a Hogwarts, devi imparare le sue regole e vivere secondo quelle regole… se non sei disposto a rispettarle, beh… allora devi farti i muscoli per difendere te stesso e la vita che hai scelto di seguire… tutto qui…”
    “Ma ha undici anni… e i prefetti? E il professor Slughorn? Posso dire a lui quello che…”
    “Tu e Black dovete imparare a difendervi da soli e soprattutto… stare lontano dai guai… punto!”
    “Rigel…”
    “Che cosa vuoi ancora?”
    “Per favore… vai per me dalla Chips e chiedi come sta? Per favore…”

Mi guardò burbero, sospirò, ma sapevo che l’avrebbe fatto.

    "Domani non verrò alla cena da Slughorn... Se le regole a Serpeverde sono queste, io non ci verrò mai!"

Non disse nulla, non provò a farmi ragionare, forse la pensava addirittura come me. Quella sera non mangiai nulla, giochicchiai con il porridge senza curarmi se ero osservata, né risposi a chi mi chiedeva qualcosa. Dovevo scrivere a casa. Osservavo il tavolo di Serpeverde, ero certa che i responsabili fossero loro, ma non riuscivo a capire chi, di certo McNair, ma non sembrava tanto furbo e accorto da far passare un pestaggio per una caduta. E gli altri… Le persone di cui meno mi fidavo erano con me a parlare di Quidditch… C’era quindi un altro mostro nell’ombra? Di certo quello che era capitato a Sirius era solo colpa mia. Non dovevo lasciare che mi seguisse nei sotterranei del castello. Non sarebbe acaduto mai più. Prima di andare a dormire, seppi che Sirius era in cura a tutto procedeva normalmente, osservai i Grifondoro, nemmeno Remus era ancora tornato, alla fine avevo scoperto che era stato poco bene nel pomeriggio. Per lo meno, forse, Sirius avrebbe passato la notte con uno dei suoi più cari amici.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9 settembre 1971

Non doveva essere ancora l’alba quando sentii dei rumori strani e delle voci soffocate. Mi svegliai. Il dolore diffuso e l’oscurità rischiarata appena dalle torce in fondo alla stanza  non mi fecero capire subito dove mi trovassi, di certo non ero nel mio baldacchino: il mio sguardo velato spaziò fino in alto, dove dalla penombra emergevano appena i profili delle volte di pietra che s’intrecciavano in eleganti volute e giochi intricati, come gli arabeschi che ornavano le dita di Meissa. Le percepivo appena,  più con i ricordi che con lo sguardo. Ancora confuso, la prima cosa cui pensai fu la bellissima camera che mi aveva ospitato per due mesi a Herrengton, ma razionalmente sapevo che non poteva essere vero. Girai lentamente la testa, delle fitte di dolore mi scorrevano dentro, dalle costole salivano e si concentravano sul naso. Rimasi immobile col resto del corpo, sconfitto: sembrava che tutte le ossa del mio petto reclamassero pietà, mentre un persistente e disgustoso sapore di sangue continuava a salirmi dallo stomaco. Un senso di calore opprimente m’impediva di respirare dal naso, di conseguenza avevo la bocca riarsa e assetata, le labbra screpolate. Non ricordavo niente, solo che alcune ore prima stavo sotto le mani esperte e preoccupate di Madame Chips, che mi parlava rassicurante, dicendomi che il mio naso sarebbe tornato perfetto, perfetto come il mio nome. Non capivo… Dovevo essere ancora in infermeria… Cercai di sgombrare la mente, la porta in fondo alla stanza si aprì, Madame Chips, avvolta in una vestaglia borgogna, reggeva la lampada e faceva strada a un gruppo di persone: il preside Dumbledore, in una ricca veste da camera celeste nascosta sotto una pesante vestaglia più scura, la professoressa McGonagall, i capelli raccolti in una treccia corposa e avvolta in una miriade di scialli e tessuti dal disegno scozzese e, a chiudere la strana processione, un uomo corpulento, alto quasi fino al soffitto, dall’aspetto ispido e incolto, quasi minaccioso, se non avesse avuto uno sguardo rassicurante, nascosto in mezzo a quella foresta di capelli neri e nodosi, gli enormi baffi selvatici e la barba irsuta.

    “Appoggialo lì, Hagrid, per favore… delicatamente!”

Parlando in un sussurro, il preside diede le sue indicazioni all’omone gigantesco: lo vidi estrarre dall’enorme pastrano prima la testa bionda poi tutto il corpo esile di un ragazzino, che fu adagiato con delicatezza insospettabile nel letto accanto al mio. Non potevo crederci: era Remus Lupin. M’immobilizzai, fingendo di dormire, non riuscivo a capire: perché anche lui si trovava lì? Stando a James, non si era sentito bene il pomeriggio precedente, ma ore prima non l’avevo visto in quella stanza: si era forse sentito male di nuovo? La lampada si fermò per un attimo sul suo viso sofferente, un enorme graffio gli solcava la guancia. Aveva un aspetto orribile, tremai: che cos’era successo? Tesi le orecchie, ma non ci fu verso di capire qualcosa, percepii, anzi, attraverso le palpebre socchiuse, lo sguardo preoccupato di Dumbledore soffermarsi su di me, poi pronunciò un flebile “Parliamone di là in privato”, rivolto agli altri. Forse mi aveva scoperto, vidi che si limitò a dare rapide indicazioni all’omone che, rapidamente, salutò ossequioso e se ne andò. Madame Chips e la professoressa McGonagall rimasero con lui a confabulare nel buio in fondo alla stanza, non riuscivo a capire niente di quello che affannosamente si stavano dicendo, poi all’improvviso si separarono, e rimanemmo soli, io, Remus e l’infermiera. Remus Lupin respirava con una certa difficoltà, si contorceva lentamente e si lamentava, Madame Chips trafficò al suo capezzale, prendendosi cura delle sue mani ferite e del graffio sul viso, e facendogli degli impacchi di una qualche sostanza lenitiva sulla fronte. Dopo alcuni minuti spense la lampada e il buio tornò ad avvolgermi: sentii con un certo sollievo che ora Remus respirava con minori difficoltà ed io, cullato dal rumore della pioggia, che frustava placida le imponenti vetrate variopinte, e sfinito dai dolori che mi sentivo un po’ ovunque addosso, tornai ad addormentarmi.

***

Orion Black
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9 settembre 1971

Misuravo a grandi passi lo studio, appoggiandomi, pur senza averne bisogno, al bastone da passeggio di pregiato legno intarsiato, la veste da mago verde bottiglia che ondeggiava fluida secondo i miei movimenti, nervosi ma pur sempre aristocratici, intervallati dalle mie soste e dai miei sospiri. Mi soffermavo sui volti degli antichi presidi sonnecchianti, li osservavo lisciandomi la barba o torcendomi le mani, preda d’impazienza e timore, poi volgevo lo sguardo su Phineas, il mio antenato che fingeva di dormire come tutti gli altri e che in realtà, come suo solito, mi studiava e mi giudicava. Era stato lui a dare l’allarme, per volere di Dumbledore, la sera prima, sgattaiolando dal ritratto nell’ufficio del preside e riapparendo, come spesso faceva, a Grimmauld Place.

    “Quel rinnegato di vostro figlio è stato trovato svenuto presso le cucine!”

Mi si era contorto lo stomaco sotto l’ennesimo attacco di bile, sentendolo definire a quel modo mio figlio. Phineas veva preso a strepitare, mentre eravamo tutti a tavola, impegnati in una cena tra familiari e amici: c’erano Pollux e Irma con Cygnus, Druella e Bellatrix, con suo marito Rodolphus, e, naturalmente, mio figlio Regulus e Alshain con Deidra e i loro figli più piccoli. Walburga aveva lasciato cadere nel piatto, inorridita, la forchetta, che fino a quel momento teneva austeramente in mano, più per l’insulto che per la notizia che nostro figlio era ferito, io rimasi impietrito a tavola, una sensazione sconosciuta nel petto, un misto di terrore e rabbia. Lanciai uno sguardo interrogativo ad Alshain: non era meno preoccupato di me.

    Lo sapevo...  Lo sapevo...

Walburga fulminò me e Alshain con sguardo assassino poi iniziò a tempestare Phineas di domande, chiedendogli qual era la situazione: a mano a mano che il vecchiaccio parlava, mia moglie passava dal classico colorito pallido ed esangue, a toni sempre più accesi di rosso, a esprimere la rabbia per quello che stava ascoltando, finché non la vidi scivolare a terra, svenuta. Druella, Dei e Irma accorsero subito in suo aiuto, Regulus, come al solito, si mise a piangere e Deidra lasciò perdere Walburga per prendersi cura di lui, Pollux mi lanciò uno sguardo divertito, proprio come la sua degna nipote, avrei desiderato cruciarli all’istante entrambi!

    “Come sta ora?”

Alshain fece a Phineas l’unica domanda sensata in quel momento, mentre Rodolphus si preoccupava che stessi bene e provava a calmarmi, Cygnus al contrario, come suo padre, mostrava di non curarsi per niente degli avvenimenti: per tutti loro, dal momento in cui mio figlio aveva mancato lo smistamento a Serpeverde, aveva smesso di essere uno della famiglia. La cena era finita così, un misto di terrore, fuso a rabbia e sconcerto mi attanagliava il petto: non dormii tutta la notte, preda di una serie di domande che si accavallavano nella mia mente; il gufo che arrivò in piena notte, poi, non fece altro che peggiorare la mia insonnia, al punto che, all’alba, ero già pronto, in partenza per Hogwarts: dovevo vedere con i miei occhi in quali condizioni si trovasse mio figlio, al diavolo tutto quello che avevo promesso a Walburga, anni e anni prima. La versione ufficiale giunta all’orecchio del preside era che Sirius era stato trovato incosciente e con vari lividi addosso alla base della scala che conduceva alle cucine. Conoscendolo, non mi sembrava strano che fosse stato trovato lì, in fondo da sempre aveva il poderoso appetito dei Black e, a volte, era anche abbastanza distratto e spericolato da farsi del male da solo, comportandosi da stupido o da incosciente: già all’età di cinque anni, amava salire sui corrimani di Grimmauld Place, lasciandosi scivolare in basso a tutta velocità, facendo così tremare dalla paura sua madre e procurandosi non pochi lividi e sbucciature. A nulla erano valse le giornate in castigo nella camera del sottotetto, adibita a camera di punizione proprio per cercare di mettere un freno alla sua eccessiva vitalità e incoscienza: in realtà, io vedevo il suo comportamento come il chiaro segno dell’enorme esuberanza che gli avevo passato col sangue e non potevo che esserne orgoglioso, anche se non dovevo darlo a vedere. Sua madre, al contrario, traeva da questi episodi la scusa per attaccare il sangue malato tipico del mio ramo della nostra famiglia, dicendo che nostro figlio prometteva fin dalla culla di diventare un problema, esattamente come me. Il fatto che Sirius fosse una specie di calamità da sempre, però, non riusciva a togliermi quel senso di angoscia e sospetto da dosso, scatenato ulteriormente dopo aver letto la lettera inviata da Meissa a me e ai suoi genitori.

    “Milord,
mi scuso per l’impudenza di questa lettera, ma non posso evitare di denunciare quello che so alla mia famiglia e a lei, mio gentile amico e mio adorato padrino…”

Avevo quasi ceduto, commosso, nel leggere “adorato”: nessun altro, oltre alla piccola Meissa Sherton, avrebbe mai scritto quella parola, rivolgendosi a me, provando sinceramente quei sentimenti d’affetto. Mi riscossi dal pensiero della mia figlioccia e ripercorsi il senso profondo di quella lettera: Meissa mi rivelava che Sirius, la sera precedente l’incidente, si era reso protagonista di un gesto di enorme coraggio e generosità difendendo un paio di ragazzini del primo anno dall’aggressione di Waldan McNair e altri due ceffi e, stranamente, dopo nemmeno ventiquattro ore, era stato ritrovato svenuto e ferito nei sotterranei dopo che l’aveva riaccompagnata all’ingresso della casata degli Slytherins. Non potevo condividere il suo affetto per quei dannati grifoni, certo, ma in parte ero responsabile di tutto quello che gli stava accadendo e, soprattutto, mi sentivo stranamente compiaciuto nel sapere che mio figlio era capace di mettersi in gioco per qualcosa in cui credeva. Anche se non potevo e non dovevo darlo a vedere, quell’episodio mi rendeva enormemente orgoglioso di lui, sarebbe diventato un vero uomo, un uomo e un mago sicuramente migliore di me.
Guardai con una certa impazienza il mio orologio da taschino, quel dannato Mezzosangue se la stava prendendo comoda! Ero arrivato via metro polvere, opportunamente annunciato da Phineas, già da mezzora, ma quello screanzato babbanofilo tardava ancora a ricevermi, benché avesse disposto che fossi opportunamente accolto con ogni comodità e riguardo nel suo ufficio. Ripresi a osservare la stanza, molto cambiata da quando avevo frequentato Hogwarts, affascinato dalla miriade di oggetti meravigliosi che mi circondavano. Era piena di oggetti ricercati e attraenti, di libri preziosi, come avevo fatto in tempo a rendermi conto durante quella prolungata attesa, e poi sul trespolo accanto alla finestra, avevo finalmente visto la famosa fenice di Dumbledore: doveva essere risorta da poco, era davvero bellissima, con i piumaggi vaporosi e dagli sgargianti colori tendenti al rosso. E infine… Avevo alzato gli occhi fino a trovarlo, appisolato sul ripiano più alto di una libreria stracarica di libri sulla trasfigurazione: il cappello magico di Godric Griffyndor. Mi aveva terrorizzato fin dalla prima volta che c’eravamo incontrati, quella dannata sera di trentuno anni prima, quando proprio Dumbledore me l’aveva appoggiato sulla testa: io ero salito sullo sgabello con una certa arroganza e un chiaro impeto, tipicamente Black, ma quella voce sottile e deridente aveva subito messo fine alla mia spavalderia. E all’illusione che le cose del mondo fossero come me le raccontava sempre mio padre.

    “Orion… Black… un Black davvero strano, non c’è che dire… amore per la fama, ambizione, astuzia… certo, ma anche… cos’è questa, compassione? E temerarietà… ne hai di caratteristiche strane, mio giovane “principe dei purosangue”: allora dimmi, che cosa vuoi farne della tua vita?”
    “Seguire la nobile strada dei miei avi!”
    “Ne sei davvero sicuro? È questo che vuoi davvero per te stesso?”
    “Voglio che mio padre sia orgoglioso di me, e posso ottenerlo solo diventando grande, grande attraverso la casa di Salazar Slytherin...”
    “Se è davvero questo che vuoi…”

    “Se è davvero questo che vuoi…”

Lo ripetei a fior di labbra, osservandolo, il cappellaccio aprì la tasca sfatta che era la sua bocca e l’atteggiò a quello che poteva sembrare un ghigno di derisione.

    “Orion Black… quanti anni!  Tuo figlio ha preso con coraggio la strada che era destinata a te, lo sai?”
    “Taci, dannata canaglia! Ci hai goduto, vero, a rovinargli la vita!”
    “Sappiamo entrambi la verità, amico mio: non è la pura ambizione ma qualcosa di strano chiamato amore, ciò che alberga nel vostro sangue… Hai dato l’avvio a un’età nuova, a una nuova progenie di Black, mio caro Orion… anche se insisti a nasconderti dietro quelle tue stupide maschere…”
    “Ti ho detto di tacere, vecchio sacco pulcioso! Tieni per te stesso queste idiozie, o ti distruggo con le mie mani…”
 
Estrassi la bacchetta, un lampo di esuberante follia accese il mio volto, mentre con gli occhi dell’immaginazione guardavo quel dannato cappello preda delle fiamme che potevo facilmente appiccare là dentro.

    “Orion Black…”

Mi voltai, nascondendo la bacchetta nella manica e ricomponendo il volto in un’espressione arcigna e sprezzante, la serafica figura di Dumbledore era alla fine apparsa, avvolto in una bella veste pervinca con intarsi argentei, la barba sempre più lunga e candida, i capelli lisci e rilucenti, sciolti fino oltre le spalle. Avevo sempre avuto un terrore sacro per il mio ex professore di Trasfigurazione, un uomo solido e deciso, ben diverso dall’allora preside Dippett, senza dubbio incapace di reggere quella scuola con lo stesso ardore e la stessa determinazione di quell’astuto Mezzosangue. Alshain era nel giusto: quell’uomo era una minaccia per la conveniente crescita morale dei nostri figli Purosangue, con quelle sue permissive idee filobabbane, ma al tempo stesso, di là della diversa visione del mondo e della politica, non potevamo negare che fosse una persona giusta e onesta che poneva, sopra i propri interessi, la verità e la sicurezza dei ragazzi. Mi avvicinai indossando la mia migliore maschera da Black, fatta di pura arroganza e una certa maleducazione, quella che mostravo sempre nei confronti di chi consideravo mio inferiore, quella dietro alla quale dovevo nascondermi di fronte al nemico, sempre, se volevo che un certo piano andasse in porto, senza troppi rischi.

    “Albus… Dumbledore… ho ricevuto il messaggio di Phineas e sono qui per sapere come sta mio figlio…”
    “Madame Chips gli ha dato delle pozioni calmanti, ha curato le lesioni interne e ha rimesso a posto il naso: non gli resteranno segni di questa disavventura. Sentirà solo del dolore per alcuni giorni. Come ti ha già detto Phineas, Amos Diggory l’ha trovato ieri sera prima di cena, svenuto presso le cucine, le lesioni sono classiche ecchimosi da caduta.”
    “E di questo sai qualcosa?”

Gli porsi la lettera di Meissa, Dumbledore la scorse rapidamente con lo sguardo e annuì, poi mi diede la schiena, si versò qualcosa da bere e ne offrì anche a me, ma rifiutai.

    “Il giovane Sherton è venuto ieri sera da me, dopo cena, per espormi le teorie della sorella, mossa giusta e saggia: indagherò, ma come ben sai, sarà difficile arrivare alla verità… soprattutto perché è palese la veridicità di quanto è scritto lì.”
    “Come fai a dirlo? Hai appena detto che sono ferite da caduta…”
    “Qualcuno deve averlo di certo pestato, ma c’è stata almeno un’altra persona che ha provveduto a cancellare e mimetizzare le tracce, forse si sono accorti in ritardo che si trattava di tuo figlio. Quando ho visto il ragazzo, era palesemente sotto “Confundus”, un incantesimo ben fatto, per carità, ma evidente come la luna piena della notte scorsa: tuo figlio non sapeva dire come fosse arrivato alle cucine, nessuno degli Elfi si ricorda d’averlo visto laggiù, gli ultimi ricordi chiari di Sirius risalivano addirittura a metà del pomeriggio, non ricordava nemmeno di aver già incontrato Diggory con la Sherton poche ore prima…”
    “Capisco…”

Mi avvicinai alla finestra, il parco del castello, con tutti i ricordi della parte migliore della mia vita, si apriva ai miei piedi, sotto l’assalto di una pioggia violenta.

    “Devo preoccuparmi?”
    “Credo che tutti noi dobbiamo preoccuparci… leggi, è appena arrivata...”

Mi porse la copia appena consegnata del Daily Prophet, la scorsi rapidamente, non potevo dirmi meravigliato, non dopo la cena di una settimana prima.

DAILY PROPHET
-- Edizione speciale -- 9 settembre 1971 --

MISTERIOSE SPARIZIONI A GODRIC HOLLOW
Le famiglie di tre Maghi di origine Babbana (John Richards, Emmett Wyatt e Jeff Donovan) sono scomparse la notte scorsa senza lasciare traccia dal villaggio magico di Godric Hollow. Secondo le testimonianze raccolte sul posto dagli ispettori del Ministero, nulla è stato toccato nelle loro case, non ci sono segni di effrazione magica, né si registrano attività sospette sulla linea della metro polvere. Dai primi rilievi, gli inquirenti desumono che i rapitori fossero persone note alle vittime, che con tutta probabilità li hanno invitati spontaneamente in casa propria. Il fatto che le tre famiglie siano accomunate dallo “Stato di Sangue” e da forti legami con il mondo babbano, fa temere che siano rimaste vittima delle attività criminali di qualche Mago Oscuro. Il Ministero ha pertanto disposto l’esame dettagliato di tutto i reperti recuperati sul posto: l’idea più accreditata tra gli inquirenti è che le famiglie siano rimaste vittima non di un semplice rapimento ma di omicidio con successiva trasfigurazione in oggetto inanimato… (servizi a pag. 2-3-4.)

ATTACCO DI LICANTROPI NEL CORNWALL MERIDIONALE
La presenza del lupo mannaro Greyback, tristemente noto per le sue numerose attività illecite e la sua mostruosa predilezione nell’attaccare giovani e bambini, è stata nuovamente segnalata nel Cornwall: testimoni attendibili sostengono che il noto criminale stia serrando le sue fila a sud di St. Austell e che il suo branco originario di cinque elementi si sia per lo meno raddoppiato. Sette le tentate aggressioni avvenute la notte scorsa, notte di luna piena, nei boschi attorno alla cittadina di Falmouth. Fortunatamente non si registrano vittime, gli aggrediti hanno avuto il tempo di mettersi in salvo tramite smaterializzazione, anche se alcuni esperti del Ministero sospettano che quelle della notte scorsa siano solo azioni dimostrative… (segue a pag.5.)

STRANI EVENTI METEOROLOGICI TRA IL SUFFOLK E IL NORFOLK
Ieri i notiziari babbani hanno registrato strane tempeste di sabbia su tutta la costa orientale inglese, con numerose trombe d’aria concentrate sui territori del Norfolk e del Suffolk. Gli scienziati babbani, che già nelle scorse settimane non hanno saputo dare spiegazioni del permanere di un clima stranamente secco e asciutto per questa stagione su tutto il territorio del Regno, non hanno trovato motivazioni scientifiche alla straordinarietà degli eventi. Il Ministero della Magia indaga sull’ipotesi del rientro, in territorio britannico, di un paio di Giganti… (segue pag.8.)

Gli riconsegnai la copia, controllando a stento un’espressione a dir poco preoccupata, ben sapendo che se avessi commesso qualche errore, avrei prima o poi fatto la fine di uno di quei maghi orrendamente scomparsi.

    “Certo tu magari festeggerai nel leggere queste notizie, ma non puoi negare che questi… questi siano i segni di una guerra ormai alle porte.”
    “Festeggiare, Dumbledore? Per chi mi hai preso? Ho anch’io dei figli… Come potrei festeggiare sapendo che quel mostro di Greyback è ancora libero di seminare morte e distruzione, soprattutto tra i ragazzini?”

Mi rivolse una strana occhiata, più enigmatica di quelle che mi rivolgeva in aula trent’anni prima.

    “Se, o meglio… quando scoppierà una guerra… Che cosa farà la famiglia Black? Ora avete un figlio a Grifondoro…”
    “E allora, Dumbledore? Il sangue di mio figlio resta sempre il sangue puro di un Black! Conosco il motivo percui Sirius è a Grifondoro, vecchio, non crearti fantasie strane sul mio ragazzo… E’ evidente che quel sacco pulcioso là sopra è impazzito! E’ questa la ragione… Mio figlio è esattamente come me, puro e perfetto come me…”
    “Se la pensi così, perché tu e tua moglie non avete richiesto un nuovo smistamento?”
    “Sirius non ha bisogno di sottostare di nuovo a quella pagliacciata, dimostrerà con le azioni quello che ha nel cuore…”
    “Ho visto il suo anello, Black, un anello molto antico e potente… inconfondibile, oserei dire… che cosa avete in mente tu e Sherton?”
    “Non so di cosa parli!”
    “Orion…”

Mi mise una mano sull’avambraccio, lo fulminai con un’occhiata disgustata e sprezzante.

    “Ora vorrei vedere in quali condizioni la tua incapacità di mantenere l’ordine in questa scuola ha ridotto mio figlio: devo assicurarmi che abbia le cure adeguate al nostro nome, mi sono portato il mio Medimago personale, vorrei che lo vedesse…”

Il vegliardo mi lanciò un’occhiata divertita ed eloquente, lasciandomi poi indietro e dandomi le spalle.

    “Naturalmente… seguimi…”

Scendemmo in silenzio quelle strane scale elicoidali, nascoste dietro a una statua di pietra, prendemmo corridoi e passaggi, attraversammo i cortili, respirai l’aria umida di pioggia e carica dell’odore di erba ormai secca, la mente si riempì dei ricordi di avventure straordinarie, mi sentivo soffocare da una strana ansia fatta di rimpianto ed esaltazione. Arrivati all’infermeria ebbi un attimo di esitazione.

    “Vorrei che il ragazzo non sapesse che sono qui…”

Dumbledore mi guardò interrogativo, poi come illuminato da un’improvvisa comprensione, introdusse il Medimago nell’infermeria; vidi, attraverso la vetrata, due letti in fondo alla stanza occupata da due ragazzini, riconobbi subito mio figlio dalle morbide chiome corvine che emergevano dalle coperte, capii che doveva essere addormentato e non riuscii a trattenermi, come spesso accadeva anche a Grimmauld Place: dovevo entrare, dovevo vederlo assolutamente. Scorsi rapidamente la figura nel letto accanto, un altro bambino, probabilmente della stessa età di Sirius, capelli biondi attaccati a un viso pallido, con un profondo graffio sulla guancia, guardai sgomento Dumbledore, che diavolo stava accadendo in quella scuola? Ma il preside mi fece cenno di avvicinarmi, Sirius era ancora addormentato, gli scansai i capelli con la mano e quando vidi quel livido a deturpargli la faccia mi sentii lo stomaco in subbuglio, una rabbia omicida attraversami completamente, strinsi il bastone con forza, fino a sentir scricchiolare il legno sotto le dita. Gliela avrei fatta pagare, oh sì… Il vecchio McNair avrebbe pagato per primo per le colpe di suo figlio, l’avrei rovinato, nessuno poteva fare del male ai miei ragazzi e sperare di cavarsela. Poi sarebbe toccato a quel bastardo di suo figlio. Il medico controllò il corpo di Sirius, vedere quei lividi sul suo corpo ancora esile di bambino mi mandò definitivamente il sangue alla testa, dovetti uscire accompagnato da Albus Dumbledore, evidentemente affascinato dalla mia inaspettata reazione emotiva, davanti all’aspetto sofferente di mio figlio. In tutto il mondo magico ero noto come una persona priva di emozioni, glaciale, interessato solamente agli affari, totalmente distaccato persino dai miei stessi figli. L’odioso mezzosangue aveva appena scoperto che quelle dicerie non avevano alcun fondamento.

    “Voglio essere tenuto al corrente delle sue condizioni, Albus, e spero che questa sia l’ultima volta che … lei deve evitare che fatti del genere accadano ancora nella sua scuola… si ricordi che questa millenaria istituzione ha sempre potuto contare sulle ricche donazioni della mia famiglia, io stesso mi sono molto adoperato anche quando non ne avevo motivo… Non vorrei vedermi costretto a tagliare i fondi alla scuola di Hogwarts e iscrivere il mio ragazzo a Durmstrang o simili… sa bene che il mio esempio potrebbe essere seguito da molti e che… posso essere molto influente nelle decisioni del Consiglio… siamo intesi?”
    “Ho capito molto bene, Orion, non ti preoccupare… ho capito molto più di quanto tu creda o voglia… ora se vuoi seguirmi, ti riaccompagno al camino… mi attende un sorbetto al limone, ne vuoi?”

Lo guardai confuso, era un pazzo… indubbiamente, un geniale, pericoloso, pazzo. Ripresi i corridoi della scuola, seguendolo in un muto e iroso silenzio, rientrammo nel suo studio, mi porse la ciotola della polvere volante e con un saluto sprezzante sparii diretto a Grimmauld Place.

***

Remus Lupin
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9 settembre 1971

Mi svegliai che era molto tardi, in un letto morbido e accogliente: non mi ero reso conto di nulla, l’ultimo ricordo umano era stato la grata dietro alla quale avevo visto sparire la McGonagall e l’infermiera, non avevo idea di cosa fosse accaduto dopo. I dolori che sentivo addosso erano i soliti, sembrava che qualcuno mi avesse tagliato in tanti pezzetti e ricucito insieme alla meglio. Sollevai le mani, la luce spenta che filtrava dalle vetrate mi aiutò a mettere a fuoco i segni dell’ennesima battaglia. Sospirai. 

    “Era ora che ti svegliassi, Lupin! Mi stavo decisamente annoiando!”

Quella voce, fin troppo nota, m’inchiodò al letto, come quando mia madre mi coglieva di sorpresa mentre cercavo di raggiungere i barattoli della marmellata, che teneva nascosti sui ripiani più in alto. Mi voltai verso la voce con le guance in fiamme, affatto pronto a subire la presenza, che ancora non ero in grado di comprendere appieno, di Sirius Black. Cosa diavolo ci faceva Sirius Black in infermeria? A stento trattenni un verso fatto di spavento e compassione: quella faccia arrogante di ragazzino viziato e impudente era offesa da un vistoso livido, sembrava che qualcuno avesse cercato di spaccargli il naso.
  
    Godric! Che cosa avrà combinato stavolta? Possibile che Snape sia capace di una cosa simile?

    “Tieni, la Chips ha detto di darti questo appena ti fossi svegliato…”

Mi porgeva un enorme scacco di cioccolato, a dire il vero ne aveva una confezione intera, l’aveva rotta in tanti pezzi identici, uno lo porgeva a me e uno se lo ficcò rapidamente in bocca, goloso. Lo ringraziai, ma non pareva curarsi molto delle cerimonie, risi, nonostante non ne avessi né la voglia né la forza: aveva già fatto sparire la sua porzione e ora aveva due maestosi baffi di cioccolata a far da pendant con il naso massacrato.

    “Merlino, Black, dovresti guardarti adesso! Sei uno spasso conciato così!”

Sirius si tirò su con qualche difficoltà, si mise davanti alla finestra e vide sul vetro la sua immagine dannatamente buffa che gli rideva addosso.

    “Grande! Se mi resta così…”

E intanto girava lentamente la testa a destra e a sinistra e si ammirava il profilo acciaccato sul vetro.

    “Oh sì... se mi resta così non sembrerò più il figlio di mia madre…”

Si toccava con la punta dell’indice il suo naso grande più del doppio del normale, facendo delle spassose smorfie che di sicuro gli provocavano dolore, ma che lo rendevano anche dannatamente buffo.

    “Signor Black, si metta subito giù, deve stare fermo e smetterla di toccarsi il naso, o la pozione ristrutturante non farà effetto!”
    “Ma quante volte glielo devo dire, Madame? Io non voglio che faccia effetto!”

La guardava allegro e ribelle, con l’aria che in pochissimi giorni avevo imparato ad associare a quando stava per combinarne una delle sue.

    “Stia buono o sarò costretta a farle un “petrificus”, signor Black!”
 
L’infermiera si avvicinò a me, per controllarmi le mani, alle sue spalle vedevo Sirius che la scimmiottava e non potei fare a meno di scoppiare a ridere a mia volta.

    “Merlino! Signor Lupin, non ci si metta anche lei, d’accordo?”

Io divenni rosso papavero, difficilmente qualcuno vi aveva mai ripreso in tutta la mia vita e in quel momento avrei voluto trovarmi davanti una buca stretta e profonda, dove nascondermi, annichilito dalla mia figuraccia. La mia espressione affranta fece ridere ancora di più il mio “nobile” compagno di sventure.

    “Devi essere una forza, Lupin, una volta che sarò riuscito a farti smettere di avere paura di me… ci divertiremo un mondo, noi due, in questa scuola!”
    “Io non ho paura di te… Black…”
    “mmm… Sì, credo che tu dica la verità. Sei più alto e forte di me, e spesso anche più furbo… puoi non avere paura di me, Lupin, ma di sicuro hai paura dei guai in cui son tanto bravo a cacciarmi…”

Lo guardai a bocca aperta, preso dalla veridicità di quanto aveva appena detto. Ero letteralmente affascinato da quel ragazzino pestifero, era questa la verità.

    “Mia madre direbbe che sei proprio un malandrino, Sirius Black!”

Lo pensai ma non ebbi il coraggio di dirlo, quel ragazzino mi affascinava ma era vero, mi metteva paura con tutta quella straordinaria capacità di creare casino e scompiglio. Lo guardai di nuovo, di sottecchi, stupito, mentre mi rilanciava un sorriso sghembo e mi porgeva un altro scacco di cioccolata.

    “La Chips ha detto che dobbiamo mangiarla tutta…”

Riprese ad addentare ghignante il suo pezzo di cioccolato, iniziai a pensare che forse non sarebbe stato tanto male passare quella giornata, che temevo noiosa, in infermeria: forse mi sbagliavo, forse dovevo mantenere la guardia alzata, ma Black in quel momento tutto sembrava tranne quel ragazzino altezzoso e prepotente che mi era parso i primi giorni… Era dall’altra sera che lo pensavo, da quando era bastato uno sguardo e si era schierato, lui, un principe purosangue, a difesa del piccolo Peter.

    “Chi ti ha conciato così, Black? Non ti sarai azzuffato di nuovo con Snape?”
    “Non lo so, Diggory mi ha trovato in fondo alle scale davanti alle cucine, dicono che io sia caduto, ma non ricordo nulla… e tu? Quando sono arrivato ieri sera ricordo che non c’eri… eppure dovevi esserci, non stavi male già ieri pomeriggio?

Divenni rosso fuoco, non avevo idea di cosa rispondergli… Deglutii a fatica, con la mente vuota, mentire non era mai stato una mia capacità innata. Il preside mi aveva detto che ci avrebbe pensato lui a fornirmi delle scuse credibili. Di certo non immaginava che avrei passato quel giorno in infermeria con un mio compagno di stanza, un Black per giunta!

    “Basta signor Black, dovete riposare tutti e due… o nemmeno domattina riuscirò a liberarmi di voi…”
    "Io sono stanco di dormire, Madame… e anche lui ha dormito… pure troppo direi… su… la prego… ci faccia giocare…”
    “Remus è stato male tutto ieri pomeriggio, l’ho dimesso ma si è sentito male di nuovo… lo faccia riposare, signor Black, o sarò costretta a cambiarlo di letto…”
    “Uffa!”

Sirius mise su un broncio da bambino, esaltato dal suo aspetto divertente, sembrava un clown, un vero clown, con quell’aria buffa e al tempo stesso triste e dolorante.

    “Dai Sir… lascia stare, chiacchieriamo dopo, e giocheremo pure a scacchi… è meglio se ti riposi, ora… o la tua piccola principessa Slytherin non avrà più voglia di baciarti, se ti resta quel naso rozzo e sfatto!”

Divenne rosso porpora e di colpo prese a tastarsi il naso ogni pochi minuti, quasi ad assicurarsi che poco per volta il naso tornasse alle dimensioni normali, io ridacchiai un paio di volte sotto le coperte, facendomi beccare, Sirius mi sentì e inizio a tastarsi il naso solo dopo essersi guardato circospetto ed essersi assicurato che io stessi dormendo… Piccolo illuso… Sorrisi tra le coperte. Ero stanco, stravolto, dolorante e umiliato dalla mia condizione, come sempre, eppure in fondo al cuore, per la prima volta, sentivo un piccolo barlume di felicità che premeva per emergere dal buio della mia vita.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - giov. 9 settembre 1971

    “Che ne pensi Malfoy?”

Lucius, comodamente seduto su uno dei divanetti della sala comune, afferrò al volo la copia del giornale che Rabastan gli aveva lanciato contro dall’altra parte della stanza, l’aprì con un ghigno malefico sul viso e gli sorrise.

    “Brindiamo alla conquista del mondo, Lestrange... ancora pochi mesi e finalmente… ci saranno anche le mie gesta su questo dannato giornale!”
    “Shhh…”

Narcissa Black, bella come un angelo e sinuosa come una gatta, stava accoccolata sul petto di Lucius, proprio di fronte al caminetto, per scaldarsi da quel primo giorno veramente autunnale e particolarmente rigido, là sotto, nei sotterranei di Serpeverde: pose la sua mano pallida e nobile su quella di Malfoy, che le lanciò uno sguardo carico di promesse.

    “Dedicherò a te le mie gesta, mia adorata Narcissa…”

Prese la sua mano e la baciò lentamente, dito dopo dito, facendole tingere di un acceso rosso vermiglio l’incarnato diafano tipicamente Black.
La mano di Lucius sparì tra quei capelli biondi e lisci come seta, l’attirò a sé, scoccandole un bacio fatto di dominio e passione sulle labbra tremanti. La scena fu talmente rapida che probabilmente la notarono in pochi, a me però non sfuggì, ormai avevo una specie di sesto senso ipersviluppato quando si trattava di mettere a fuoco, e assicurarsi di quali danni stesse facendo, Lucius Malfoy. Non potevo che essere grata a Salazar quando vedevo scene come quella: Narcissa Black non era una ragazza come tante in quella scuola, scene come quella stavano a significare che c’era qualcosa di serio tra i due, qualcosa che doveva avere un seguito, pena profondo imbarazzo per due famiglie così importanti e in vista. Pregavo Salazar che fosse davvero così, che dalla mia parte, a proteggermi da un futuro orribile, ci fosse ormai anche una giovane donna ben decisa a diventare, in tempi brevi, la legittima compagna di Lucius Malfoy. Questi e altri pensieri si accavallavano nella mia mente quel pomeriggio improduttivo. Alla fine la pioggia era arrivata davvero, le nuvole cariche scendevano imponenti dal mio Nord ammantando i cieli di Hogwarts di una pesante coltre color piombo, il vento frustava deciso, raggiungere le serre di Erbologia era stato un vero supplizio, quella mattina. Col passare delle ore non era cambiato nulla, anzi quel poco di luminosità che si era fatta strada tra le coltri plumbee verso mezzogiorno, si era spenta rapidamente, per i corridoi e nelle aule, innumerevoli fiaccole incantate avevano illuminato artificialmente gli ambienti fin dal primo mattino, dando ai quei luoghi un’aura ancor più austera e imponente. Osservavo le gocce rincorrersi e fondersi sulle ampie vetrate della biblioteca, Severus al mio fianco non staccava gli occhi dal libro, Lily ogni tanto intrecciava il suo sguardo al mio, facendomi dei timidi sorrisi d’incoraggiamento. Scorsi con gli occhi la sala, aspettandomi da un momento all’altro di vedere comparire Potter, per chiedergli novità su Sirius, invano: era chiaro che probabilmente quello era l’unico posto del castello in cui non l’avrei incrociato mai. Ero stata a lezione tutto il giorno, erbologia e storia, trasfigurazione e pozioni, ma non avevo seguito molto, presa com’ero dal pensiero della sedia vuota di Sirius. E dei titoli che avevo letto sulla copia del Daily Prophet, la stessa che, dopo pranzo, Lucius aveva lasciato abbandonata in Sala Comune: quelle storie mi avevano messo i brividi, non ero abituata a leggere cose così spaventose. A Herrengton, mio padre gettava sempre i giornali sul fuoco quando si parlava dei licantropi, non voleva che mi mettessi più a urlare nella notte, come mi era capitato da piccola, la prima volta che ne avevo sentito parlare per sbaglio. Tornai al presente, c’eravamo fermati a studiare per la prova di lunedì in biblioteca, ma la mia mente era ancora lontana. Volevo scrivere di nuovo a casa, e soprattutto volevo scrivere di nuovo a Orion, per cercare di convincerlo a venire a Hogwarts, ma mi rendevo conto che avevo già esagerato la sera precedente, quando con un trucco ero riuscita a convincere Cox a spedire per me due lettere insieme con le sue. Mi sentivo sola e vulnerabile, i discorsi di mio fratello mi avevano terrorizzato. Non potevo credere che, in quella scuola, nessuno mi avrebbe aiutato se fossi stata nei guai.

    “Scusatemi…”

Dopo quello che era successo, era da pazzi muoversi per il castello da sola, lo sapevo, era questo che mio fratello voleva che mi entrasse in testa, ma Rigel in quel momento era ancora a lezione, e nulla mi avrebbe tenuto ancora lontana da Sirius, ero pronta a ferirmi pur di poter andare in infermeria anch’io. Avevo evitato le domande di Slughorn, al quale mio fratello aveva lasciato intuire che non sarei andata alla cena, quella sera, e oramai avevo la ferma decisione di passare il tempo che mi separava dal coprifuoco in infermeria accanto a lui. Non avevo dormito tutta la notte, ripensando a chi poteva aver partecipato all’aggressione… Lucius era uscito con quel sacchetto d’oro per fare una ronda, poteva essere stato lui? No, impossibile, la Chips aveva raccattato Sirius praticamente mentre noi stavamo ancora discutendo per quel dannato boccino. Lo stesso valeva per Lestrange. E poi, Sirius era il figlio di Orion Black, solo un idiota poteva fare la stupidaggine di metterselo contro… E se Lucius era davvero interessato a Narcissa, per quanto Sirius potesse essere caduto in disgrazia con lo smistamento, di sicuro non avrebbe offeso la sua famiglia per uno stupido scherzo. Quanto a Rabastan, erano già in qualche modo imparentati, Orion era amico di Roland Lestrange, non c’erano motivi validi per comportarsi in maniera sciocca.
Salii rapida per le scale, incrociando molte ragazze e ragazzi di varie case che mi salutavano gentili: che male c’era in tutto questo? Sapevo che anche i miei fratelli avevano amici fuori della casa di Salazar, perché io dovevo richiudermi là dentro? Mio padre aveva detto che potevo essere amica di chiunque, c’era solo una cosa che dovevo evitare, o Salazar l’avrebbe evitato per me. Dovevo assolutamente parlare con mio padre e farmi spiegare cos’era cambiato. Arrivai alla porta dell’infermeria, bussai: ora iniziavo a temere che la Chips potesse cacciarmi in malo modo impedendomi di vedere Sirius. Invece l’infermiera si affacciò, preoccupata, temendo ci fosse un’altra emergenza, io le chiesi di Sirius e lei, vedendomi affranta, mi porse un pezzetto di cioccolato in mano e m’invitò a entrare. La stanza oblunga, che avevo già consociuto pochi giorni prima, aveva colonne che salivano attorcigliate fino a tessere un intricato bosco di pietra sul soffitto, e conteneva una decina di letti, solo due di essi in quel momento erano occupati. Sirius era lì, sul letto accanto alla finestra, non immobile e sdraiato come nei miei terrificanti incubi, ma seduto, a chiacchierare con l’altro ospite della sala: Remus Lupin era particolarmente pallido, un vistoso graffio sul viso, le mani fasciate, un’espressione dolorante e smarrita, stava con il suo pezzo di cioccolato in bocca, seduto di fronte a Sirius, a dividerli solo una scacchiera. Black si voltò e subito si aprì in un sorriso storto, un enorme livido sul viso, non potei evitare di emettere un verso di paura e stupore.

    “Non ti preoccupare, non è rotto!”

Ammiccando a Remus che gli rispose con un sorriso impertinente, andò a sfiorarsi ridendo il naso, l’aria birbante in faccia, la tavoletta di cioccolata scomparsa ormai da tempo gli aveva lasciato in ricordo un paio di enormi baffi scuri ai lati della bocca, mi scesero le lacrime senza volerlo… Io non dovevo piangere, ma…

    “Ehi… non ho niente…tranquilla!”

Ero rimasta impietrita a pochi passi, il viso affondato nelle mani e le spalle scosse dai singhiozzi, sentii una presenza calda e silenziosa accanto a me, che mi cingeva le spalle accompagnandomi con dolcezza in avanti, aprii gli occhi, Remus mi aveva stretto a sé e mi aveva portato fino davanti a Sirius.

    “Io non posso ancora scendere dal letto, mi spiace…”

Mi sfuggì di nuovo una lacrima.

    “Ehi… mi ricordo la storia… di qualcuno che non poteva piangere davanti agli estranei…”

Mi fece l’occhietto, di nuovo storto, e di nuovo il sorriso sghembo, Remus tornò sul suo letto, mentre io gli lanciavo un sorriso pieno di gratitudine e mi sedevo su quello di Sirius. Ora che gli ero così vicina, quel livido era ancora più spaventoso… come avevano potuto ridurlo così?

    “Chi è stato? Dimmelo… se non ci pensa tuo padre, ci penserò il mio…”
    “A castigare i miei piedi o le scale?”
    “Sirius!”
    “Sono caduto Mei… sono letteralmente inciampato nei miei piedi, stavo approfittando di essere nei sotterranei per andare a chiedere qualcosa in cucina, ma… forse ci ho messo troppo entusiasmo…”
    “Sei sicuro? Ieri dicevano che non ricordavi niente!”
    “Le cure della Chips sono portentose Mei… piano piano sto ricordando… e poi… ora ho le mie prime cicatrici di guerra!”

Sorrise, si aprì i primi cinque bottoni del suo pigiama, mostrando un vistoso graffio che gli solcava la pelle sotto la linea delle costole…

    “Ho chiesto alla Chips di sistemarmi il naso… ma questo lo voglio a ricordo, la mia prima battaglia seria di Hogwarts: contro le scale, uscito sconfitto!”

Prese l’alfiere e lo levò in alto, come fosse l’elsa di una spada.

    “Tu sei tutto pazzo Black!”

Remus si mise a ridere, non l’avevo mai visto così… sereno… Lo osservai meglio: era davvero in condizioni penose, anche peggiori del solito, pallido ed emaciato, con vari lividi… a guardarli così, si sarebbe detto che fossero caduti entrambi dalle scale, o meglio che fossero stati pestati a sangue tutti e due. L’unica differenza era che Sirius aveva lividi, Remus… sembravano tagli o graffi. Smisi di squadrarlo con insistenza, non volevo apparire maleducata.

    “Tu come stai Lupin? E non venirmi a dire che sei caduto anche tu! Siete stati picchiati entrambi da quell’energumeno di Mcnair e dai suoi scagnozzi! E’ più che evidente!”
    “Meissa… No… ti sbagli… io sono… ho avuto un capogiro e sono caduto in mezzo al roseto dietro il cortile sud…”

Percepii un’occhaita dubbiosa in Sirius, a quelle parole, ma non indagai, ero indignata dal senso dell’onore dei grifoni, incapaci d fare la spia anche se per ottenere giustizia.

    “Maledetti grifoni! Voi e il vostro dannato senso dell’onore! Meglio morti che traditori, vero? Io sono Serpeverde, e se non lo farete voi, lo farò io… lo denuncerò io Mcnair!”
    “Meissa, ti stiamo dicendo la verità, vuoi capirlo? Lascia stare Mcnair…”

Guardai Sirius risoluta, non era supplichevole, non era spaventato, era divertito… quanto a Remus, era in sincero imbarazzo.

    “Voi due non me la raccontate giusta!”
    “Beh… abbiamo approfittato delle reciproche sventure per conoscerci meglio e stilare i piani per la conquista del mondo!”

Remus annuiva, facendomi notare come i pezzi dalla sua parte della scacchiera fossero assai  più numerosi di quelli rimasti a Black, di certo stava per dargli scacco in un paio di mosse.

    “Black è negato con gli scacchi, Lupin…”
    “Me ne sono accorto!”

Risero, ed io, nonostante non ne avessi alcuna voglia, mi ritrovai a ridere con loro. Avevo avuto paura, una paura incredibile: solo per la mamma, finora, avevo avuto altrettanta paura. Ora lo vedevo conciato male, vero, ma anche più allegro del solito, con quel Lupin che, a quanto pareva, era un vero amico, lo rendeva sereno e felice come non l’avevo mai visto nemmeno a Herrenton. Ero orgogliosa di Sirius, era un bambino come me, ma aveva detto di voler essere diverso dai suoi, e c’era riuscito. Avrei desiderato poter essere libera di scegliere il mio mondo come stava facendo Sirius, ma come diceva Rigel, quello era il genere di conquiste che potevo ottenere solo battendomi, non potevo più aspettarmi che tutto mi fosse concesso solo perché lo desideravo. Come lui, anch’io iniziavo a comprendere che eravamo sospesi tra due mondi, e che nella mia vita avrei dovuto fare delle scelte. anche se ancora non avevo idea di quali sarebbero state le mie.
 
    “Non dovresti prepararti per andare alla cena di Slughorn, Mei? Magari, pazzo com’è di te, potrebbe lasciarsi sfuggire qualcosa di utile per la prova di lunedì…”

Sorrisi, se parlava così, non c’erano più motivi per preoccuparmi di lui.

    “Ho già fatto sapere che non sarei andata stasera…"
    “Come mai?
    “Bisogna fare delle scelte, Sir… ed io voglio iniziare a fare le mie…”



*continua*




NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010).
Valeria


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