Aveva
trascorso
l'intero pomeriggio incollato alla poltroncina dalla foderatura verde
bottiglia (tra l'altro sorprendentemente comoda), alzandosi
sì e no
un paio di volte per andare ai servizi; l'ambiente del Daily
si era rivelato essere molto rilassante, eccezion fatta per il signor
Frederick, e, dopo circa una mezzora da quando aveva fino i suoi
pancakes, Peter aveva estratto i suoi quaderni di appunti e le
dispense e aveva iniziato a studiare: se per un eroe dalla grande
fama come Spiderman era piuttosto facile attaccare bottone con una
ragazza senza sembrare strano o impacciato, per il comune Peter
Parker la vita non era altrettanto semplice. Non poteva pretendere
che una fanciulla aprisse spontaneamente il proprio cuore a un
perfetto sconosciuto, così decise di prendersi del tempo e
imporre
la propria presenza come cliente finché la ragazza del
mistero non
avrebbe iniziato ad abbassare la guardia.
Il
fatto che questo
suo piano gli avrebbe permesso di rivedere Talia era una mera e
assolutamente casuale conseguenza aggiuntiva; anzi, se fosse riuscito
a ingraziarsi la sua amica, sicuramente Chiara sarebbe stata
più ben
disposta nei suoi confronti e, quindi, più incline al
dialogo.
"Parker,
sei un
genio!" gongolò il ragazzo tra sé e
sé, facendo roteare la
matita tra le dita, mentre ai suoi piedi, accoccolato sotto al
tavolo, Annibale ronfava nella grossa.
Il
telefono
cellulare vibrò nella tasca sinistra della giacca, lo prese
e lesse
sullo schermo luminoso:
Zia
May: h.19.07
Vieni
a casa per cena?
Non
si era accorto
di quanto si fosse fatto tardi: -h.19.08
Sì, ma farò un po' di ritardo- digitò in
fretta e furia sul vetro dello schermo, poi, riposte le sue cose
nello zaino, si avviò alla cassa.
-Già
ci lasci?-
chiese ironica Chiara da dietro il macchinario, digitando il prezzo
della consumazione -Non credo che quella poltroncina abbia mai dovuto
sostenere per così tanto tempo il peso di qualcuno.
-Mi
ha conciliato lo
studio- ammise ridacchiando Peter, porgendo il denaro alla ragazza
-Mai stato tanto produttivo in un solo pomeriggio.
-Lo
sciroppo d'acero
ti ha dato l'energia giusta per studiare- ammiccò Chiara,
che
ridacchiò sommessamente quando sentì il signor
Frederick al bancone
borbottare qualcosa che assomigliava a un "L'avevo detto".
-Già...-
disse vago
Peter, cercando di ignorare il commento dell'uomo e guardando di
sfuggita lo scontrino, per poi aggiungere sorpreso: -Non mi hai
segnato il caffè.
-Lo
offre la casa ai
clienti che vengono qui per la prima volta- spiegò la
cameriera,
chiudendo la cassa.
-Ma
ne ho bevuto a
litri!- insistette Peter.
-È
il volere del
mio capo- Chiara gli lanciò un'occhiata interrogativa:
nessuno si
era mai lamentato per quella piccola tradizione del locale -Il signor
Bailey sostiene che sia un piccolo incentivo per la clientela a
tornare.
-Molto
generoso da
parte sua. Di solito è già tanto se non ti fanno
pagare delle cifre
spropositate per un solo bicchiere d'acqua.
-Non
ti ci abituare,
però- sorrise la ragazza -Dalla prossima volta dovrai pagare
anche
il bere, se vorrai tornare a trovarci.
"Eccome
se
tornerò!" sorrise tra sé Peter, leggendo in
quell'affermazione
il primo passo per la realizzazione del suo piano: -Basterebbe anche
solo il ricordo dei pancackes a condurmi di nuovo qui.
-Bene-
esclamò la
cameriera, accarezzando la testa di Annibale, che si era svegliato e
le si era seduto a fianco in cerca di coccole -Allora a presto,
Peter.
-A
presto, Arianne-
salutò quello, avviandosi alla porta, dove Talia stava
passando il
mocho dove un bambino, poco prima, aveva rovesciato una tazza di
latte: -Ciao- salutò timidamente Peter, prima di svanire
dietro alla
porta.
-Strane
cose, le
coincidenze. Non trovi?- chiese ad alta voce Chiara verso l'amica,
distratta a seguire con lo sguardo il ragazzo appena uscito dal bar e
che, per tutta risposta, le rivolse una linguaccia, per poi tornare a
pulire il pavimento.
Sul
suo viso però,
notò Chiara, si era delineato l'abbozzo di un sorriso e fu
sicura
che la tristezza del provino fosse sparita del tutto.
*
Non
appena svoltato
l'angolo, Peter era andato alla ricerca di un vicolo abbastanza
nascosto e poco frequentato per cambiarsi: le lancette dell'orologio
correvano veloci e l'ora di cena era prossima, non poteva permettersi
di perdere tempo nel caos del traffico serale o zia May avrebbe
dovuto attenderlo davanti a una cena ormai fredda.
Volteggiando
tra gli
alti palazzi, in direzione del Queens, il vento fresco della notte
che calava gli solleticava il volto attraverso lo spandex della
maschera, mentre vigilava sulle strade sotto di lui: quella non era
una vera e propria ronda, ma il crimine, come si suol dire, non dorme
mai e Spiderman non era certo da meno.
Per
la maggior parte
delle volte era sufficiente farsi vedere ondeggiare tra i tetti per
spaventare i piccoli criminali di quartiere, ma talvolta qualcuno
più
coraggioso degli altri sfidava la sorte nel tentativo di mettere a
segno un colpo e allora il suo intervento era richiesto.
Oltrepassando
Brooklyn, Peter sperò con tutto il cuore che per quella sera
a
nessun ladro venisse in mente di entrare in azione, ma, purtroppo, la
sua buona stella aveva diretto la sua luce da un'altra parte,
perché
proprio a metà strada da casa incappò in una
rapina a mano armata a
danno di una farmacia.
Sospirando
un'imprecazione, Peter atterrò sul tetto dell'edificio e,
calandosi
a testa in giù con una ragnatela, sbirciò
l'interno del negozio
attraverso una vetrina: due uomini in passamontagna neri puntavano
delle pistole contro il farmacista, intento a riempire una grossa
borsa di tela con il contenuto della cassa.
"Cattivi
due,
ostaggio uno, rischio personale prossimo allo zero, rischio
dell'ostaggio prossimo al 73%. Troppo alto. Priorità:
disarmare i
cattivi e garantire l'incolumità dell'ostaggio. Tempo
richiesto: 2
minuti."
Atterrò
sul
marciapiede, assicurandosi che nelle vicinanze non ci fossero
automobili accese in attesa dei due criminali, poi, senza alcuna
esitazione, entrò nella farmacia esclamando a gran voce:
-Buonasera,
vorrei un antiinfiammatorio muscolare. Sapete, fare l'amichevole
Spiderman di quartiere alla sera lascia tutto un dolore alle spalle!
I
malviventi,
superata la prima sorpresa dovuta all'intrusione, puntarono le
pistole contro di lui, pronti a fare fuoco, mentre uno dei due
strappava di mano dal farmacista la borsa con il denaro.
-Che
noia le
pistole- esclamò Peter, lanciando una ragnatela
sull'apertura della
canna della prima e tirandola contro la seconda, facendole cadere
entrambe a terra -Mai una volta che un cattivone si ingegnasse con
qualcosa di insolito. Per esempio, nessuno mi ha mai minacciato con
una balestra o dei nunchako o una mazza masai...
Con
la coda
dell'occhio il vigilante notò un bagliore provenire dalla
mano di
uno dei furfanti e con un calcio lo colpì, facendo volare
quello che
si rivelò essere un coltello a serramanico, che
scivolò sulle
piastrelle azzurre della farmacia con un sottile stridio metallico.
-Awwwn-
sbadigliò
teatralmente Peter, immobilizzando il malvivente con una ragnatela
-Un coltello. Ma non mi dire, che novità!
Non
potendo fare
altrimenti, i due uomini, scambiatisi un'occhiata sconfitta, alzarono
leggermente le mani in segno di resa, mentre il commesso, ancora
tremante per lo spavento, componeva il 911 sul cellulare per chiamare
i soccorsi.
Peter
raccolse le
armi da terra, rimosse i proiettili dai caricatori delle pistole e,
riposto il tutto in un sacchetto che consegnò al farmacista,
attese
le sirene della polizia prima di svanire di nuovo nella giungla di
asfalto del Queens.
Erano
passati ben
più dei due minuti previsti e già la sua fantasia
gli mostrava
l'immagine della zia seduta da sola al tavolo della cucina di fronte
a due piatti vuoti: maledetta la sua boccaccia larga!
"Dovevo
proprio
mettermi a fare il pagliaccio come mio solito?!" si
rimproverò
atterrando nel buio di un vicolo vuoto a un isolato di distanza da
casa; si guardò attorno con circospezione, cercando le
testimonianze
della presenza di qualche curioso, e una volta che fu sicuro che
nessuno lo stesse osservando, estrasse dallo zaino i suoi vestiti
civili e si sfilò la maschera dal volto.
Se
avesse agito
subito, si ritrovò a pensare mentre infilava le gambe nei
jeans e si
abbottonava la camicia a quadri sul petto, senza stare a blaterare
come un idiota avrebbe potuto disarmare i due uomini in pochi
secondi, colpire il primo allo stomaco, il secondo al volto e
lasciarli KO sul pavimento senza perdere altro tempo.
Avrebbe
potuto
farlo, ma alla vista dell'ostaggio qualcosa dentro di lui era
scattato, una paura colpevole lo aveva attanagliato e la sua risposta
era stata, come ogni qualvolta che si trovava in difficoltà,
lo
humor.
Ogni
volta che
accadeva, ossia molto più spesso di quanto gli piacesse
ammettere,
diceva a se stesso che si trattava di strategia: distrarre i
criminali dagli ostaggi e risultare abbastanza irritante da
costringerli a puntare le loro armi contro di lui.
Lui
era Spiderman,
con tutti i vantaggi che il morso del ragno gli aveva conferito, e
poteva gestire una raffica di proiettili che fischiano attorno a lui,
cercando di forargli la carne, ma gli altri no. I restanti 7.999.999
abitanti di New York non avevano le sue capacità e nulla
avrebbero
potuto contro il fuoco di un'arma.
Lui
era il loro
paladino, il loro ragno custode avvolto nello spandex blu e rosso e,
anche se i suoi metodi erano poco ortodossi e una grossa fetta dei
suoi "protetti" lo reputava un criminale (in buona parte
per colpa dei servizi del giornalista J.Jonah Jameson), ogni giorno
votava il proprio dono alla sua città.
E
lo humor era la
sua firma.
Attraversò
il
piccolo giardino e sentì il familiare scricchiolio delle
vecchie
scale di legno sotto ai suoi piedi, poi iniziò a frugare
nello zaino
alla ricerca delle chiavi di casa, ma lo scatto della serratura lo
anticipò e il volto sorridente della zia lo accolse in casa.
-Peter,
finalmente!-
esclamò May Parker, lasciando un leggero bacio sulla tempia
del
nipote non appena egli fu entrato nell'ingresso -Non ti sei fatto
sentire per tutto il giorno e quando ha cominciato ha fare buio ho
iniziato a preoccuparmi.
-Zia
May...- iniziò
il ragazzo, mentre la donna lo accompagnava verso la sala da pranzo,
dove il tavolo era stato apparecchiato per due, ma quello lo
interruppe -Sì, lo so, sei un adulto grande e vaccinato e
non dovrei
trattarti come un ragazzino, ma ai miei occhi tu resterai sempre il
mio bambino e non potrò smettere mai di preoccuparmi.
Senza
nemmeno
tentare di ribattere, Peter l'afferrò delicatamente per un
polso e
la tirò a sé, avvolgendola in un abbraccio: forse
era solo la
stanchezza o un brutto scherzo della sua immaginazione, ma la
sentì
magra e fragile tra le sue braccia le incolpò i turni
interminabili
che faceva in ospedale come infermiera.
La
forza
proporzionale a quella di un ragno, che aveva acquisito qualche anno
addietro, avrebbe potuto spezzare con il minimo sforzo la colonna
vertebrale di un uomo dieci volte più grosso e muscoloso di
lei e,
anche se aveva imparato molto bene come controllarla e calibrarla a
seconda delle occasioni, Peter, stringendola a sé, ebbe per
un
momento paura che la sua corporatura esile si sarebbe infranta sul
suo petto.
Istintivamente
allentò la presa, ma May Parker non era tipo da lasciarsi
sfuggire
così facilmente una di quelle rare occasioni in cui suo
nipote era
in vena di affettuosità (non che Peter fosse un tipo freddo,
ma i
loro orari di lavoro erano spesso incompatibili e di rado trovavano
del tempo da trascorrere assieme), così, prima che potesse
sfuggirle, lo agguantò di nuovo e, accarezzandogli
delicatamente
l'attaccatura dei capelli lungo il collo, si lasciò invadere
dal
calore del suo amato nipotino.
Era
incredibile
quanto, ogni giorno che passava, somigliasse sempre di più
al suo
Ben, sopratutto negli occhi: così grandi e gentili,
macchiati solo
da un velo di malinconia...
-Zia
May- sussurrò
Peter dall'incavo della spalla della zia, dove la sua testa era stata
arpionata -Non respiro...
-Oh
scusa tesoro!-
esclamò May, lasciando la presa sul nipote -Non volevo
sofforcarti.
È che non mi capita più tanto spesso di averti
così vicino e
poi... non so... mi era sembrato che avessi bisogno di conforto: hai
uno sguardo così triste...
-Triste?
Io?- rise
Peter, esibendo un largo sorriso, che gli fece comparire delle
piccole rughette agli angoli degli occhi -Ma mi hai visto? Emergente
fotografo e giovane promessa delle biotecnologie, sostenuto dalla zia
migliore del mondo. Come mai potrei essere triste?
“Senza considerare
migliore supereroe di New York! Beccati questa Iron Man!”
pensò
tra sé e sé, mentre sua zia gli sorrideva di
rimando e lo invitava
a sedersi al suo posto al tavolo.
In
pochi secondi i
lori piatti vennero riempiti di polpettone e insalata e i due
iniziarono a mangiare, mentre zia May, ritrovata la propria indole
allegra, raccontava la sua giornata in ospedale; dopo qualche minuto
in cui la zia aveva descritto la frattura scomposta
dell’avambraccio
che un ragazzino si era procurato andando con lo skateboard,
ringraziando il Cielo che Peter avesse finalmente smesso di andarci,
la mente del ragazzo iniziò a vagare nel mare dei suoi
pensieri,
riportando alla memoria gli eventi degli ultimi giorni.
“È solo che so
cosa vuol dire nascondersi dietro una maschera per proteggere chi
ami”
ricordò Peter, masticando con
attenzione il saporito polpettone di carne che aveva davanti.
-Peter?-
il ragazzo
scattò sull’attenti, sentendosi chiamare -Mi stai
ascoltando?-
domandò May, alzando un sopracciglio.
-Sì,
scusami- si
affrettò a rispondere Peter, grattandosi la nuca imbarazzato
-Ero
solo un po’ distratto dalla bontà del tuo
polpettone, sei la
miglior cuoca del Queens.
-Allora
posso
contare su di te?- domandò zia May, lanciandogli uno sguardo
di
sfida che diceva “Voglio proprio vedere se hai prestato
attenzione”.
-Ceeerto,
zia-
sorrise di nuovo Peter, maledicendosi per non aver ascoltato una
parola di quello che gli aveva detto –Non ti preoccupare.
“Parker, sei un
idiota”
-Molto
bene, allora.
Finisci la cena e aiutami a sparecchiare.-
concluse May, finendo di masticare l'ultimo boccone e portando il
proprio piatto al lavandino, dove iniziò a insaponare le
pentole.
A
Peter non restò che obbedire a orecchie basse e sperare che
qualunque cosa le avesse promesso si sarebbe rivelata, prima o poi.
"Meglio
prima" si disse il ragazzo, porgendo alla zia le ultime
stoviglie e lasciandole un leggero bacio della buonanotte sulla
guancia, prima di ritirarsi nella sua stanza: voleva riposarsi una
mezzoretta prima di uscire per la ronda notturna.
Attraversando
di nuovo la sala da pranzo, la sua mano accarezzò
leggermente il
legno liscio e consunto della terza sedia posta attorno al tavolo:
quella di zio Ben.
-Buonanotte
zia May- salutò -Domani farà freddo,
perciò ricordati di coprirti
bene o dovranno ricoverare anche te in ospedale e sappiamo bene
entrambi che con i dottori non vai d'accordo!
-Hai
ragione, tesoro, grazie- ridacchiò May e fu lì
che Peter vide la
propria maschera riflessa nel sorriso della zia: non quella di
Spiderman, bensì una molto più sottile, eppure
più coprente.
Il
suo volto, le sue azioni e le sue parole erano ben nascosti dal suo
stesso humor.
Ora
che ci pensava bene, mentre saliva le scale e si rifugiava nel buio
della propria camera, quello era l'unico modo che conosceva per
difendersi. Non da ladruncoli e spacciatori, e nemmeno da criminali
dello stampo di Rhino o di Lizard (il suo cervello si
rifiutò anche
solo di nominare il Goblin), ma dalle sue insicurezze, dalle sue
paure, dalle sue debolezze... In parole povere, da se stesso.
Sciorinare
battute, talvolta anche infelici, nei momenti di tensione era il suo
modo per autoconvincersi di avere il pieno controllo della
situazione; certo, quando aveva iniziato a interpretare il ruolo del
vigilante mascherato, lo humor era dettato più dall'eccesso
di
adrenalina che non da altro: la straordinarietà dei suoi
poteri lo
mandava letteralmente su di giri e ogni scontro era come un giro in
giostra.
Poi
aveva iniziato progressivamente a capire la gravità del suo
ruolo,
delle sue responsabilità, e la memoria dello zio defunto
aveva
iniziato a schiacciarlo.
Non
che il ricordo dello zio Ben fosse associato a sensazioni negative,
anzi! Fatta eccezione della mancanza, Peter non riusciva a ricordare
un solo brutto momento passato assieme allo zio. Quello che lo
opprimeva era l'impegno che si era preso in suo nome.
-Da
grandi poteri derivano grandi responsabilità-
ascoltò la propria
voce sussurrare al buio, una volta che si fu disteso sul letto.
Aveva
fatto di quella frase, una delle più ricorrenti tra le
pillole di
saggezza di Ben Parker, il proprio motto o, più
accuratamente, il
proprio comandamento. Gli ci era voluta una pallottola piantata nello
stomaco dello zio per farla riaffiorare nella sua memoria, una
vendetta mai compiuta contro il ladro che lo aveva reso ancora
più
orfano per comprenderla e una vertebra spezzata nel collo della sua
donna per imprimerla a sangue nella sua anima.
Lui
era il solo responsabile. E lo humor lo aiutava, almeno un po', ad
alleviare quella consapevolezza.
Si
svegliò di soprassalto con la schiena sudata e i piedi e le
mani
freddi come il ghiaccio, mentre le immagini del sogno che stava
facendo sbiadivano sempre di più nella sua memoria, per
essere poi
irrimediabilmente perdute quando, afferrato con uno scatto da
leopardo l'orologio da polso appoggiato al comodino, Peter si rese
dolorosamente conto di essere rimasto addormentato per molto
più del
dovuto e di essere in terribile ritardo per la ronda notturna.
Si
infilò nella tuta di spandex il più velocemente
che potè e si
assicurò che i caricatori del liquido per ragnatele fossero
pieni,
poi uscì sulle punte dei piedi fuori dalla sua camera, nel
buio del
corridoio, e, scostata appena la porta della stanza da letto di zia
May, si assicurò che dormisse.
Tornò nella sua stanza e sgattaiolò fuori dalla
finestra, per poi
iniziare a dondolarsi tra gli edifici a tutta la velocità
che la
legge del pendolo gli permetteva: da quello che aveva potuto leggere
sulla porta del Daily
Coffee, mancava
meno di mezzora alla chiusura del locale e Peter voleva essere
lì in
tempo per poter pedinare la fanciulla del mistero e scoprire tutto il
possibile su di lei e i suoi spostamenti.
Sorvolò
il Queens senza incappare in rapine o sparatorie, né
udì,
incredibilmente, il lamentoso suono delle sirene della polizia:
quella sembrava essere una serata particolarmente tranquilla e Peter
si augurò che quell'andamento positivo si estendesse almeno
fino al
mattino.
L'irregolare
profilo degli alberi di tasso di Prospect Park, le cui fronde
ingiallite dall'autunno brillavano di mille calde sfumature alle luci
dei lampioni e delle insegne, lo accolse nel quartiere che ospitava
l'accogliente Daily
Coffee, le cui
vetrine, però, quando atterrò sul tetto della
palazzina di fronte,
erano chiuse dalle saracinesche e l'insegna al neon spenta.
-Dannazione!-
imprecò sottovoce il ragazzo, cercando con lo sguardo la
presenza
delle due ragazze, ma invano.
Rimase
per qualche secondo a riflettere sul da farsi: non poteva sperare di
ritrovarle in quel groviglio di strade, tanto più che era
arrivato
in ritardo di quasi un'ora, vanificando sul nascere qualsiasi
tentativo di ricerca.
Decise,
così, di riprendere il suo abituale giro di pattuglia e, nel
frattempo, di pensare alla prossima mossa.
*
-Sai
già quale film vuoi vedere stasera?- chiese Chiara, facendo
scattare
la serratura della saracinesca e assicurandosi che la porta di
ingresso fosse ben chiusa.
-Ooh
sì!- ululò Talia, appendendosi al suo braccio e
simulando una
risatina maligna -Vedrai che ci faremo una bella risata!
-Così
mi spaventi!- rise Chiara, infilandosi il mazzo di chiavi in borsa e
assicurandosi di avere il telefono di Stark nel taschino laterale
-Coraggio, Annibale, torniamo a casa.
Il
cane le si affiancò docilmente e seguì le due
ragazze verso la
fermata dell'autobus, dove pochi minuti dopo, nel vento autunnale che
iniziava a soffiare gelido, arrivò il mezzo, in cui i tre si
rifugiarono.
-Per
prima cosa dobbiamo fermarci da Blockbuster per prendere il film-
continuò a spiegare Talia, slacciandosi la giacca a vento
-Poi ci
facciamo portare la cena a casa. Ho proprio una gran voglia di riso
alla cantonese e maiale in agrodolce! È ancora aperto quel
ristorante take-away... come si chiamava? Ah sì, il Pechino
Blossom?
-Che
io sappia sì...- iniziò Chiara, che fu
però interrotta: -Meno
male! Lì fanno gli involtini primavera più buoni
del creato! Io non
so cosa ci mettano ma per me è come una droga- rise la
ragazza,
dando una veloce carezza sul muso di Annibale, che scodinzolava
allegramente.
Chiara
si perse per un momento ad osservare i suoi amici e non poté
trattenersi dal sorridere: -Si può sapere cosa avete da
essere così
agitati stasera?- domandò scherzosamente la ragazza, dando
un
colpetto al braccio dell'amica -Sembra quasi che tu non abbia mai
mangiato cibo cinese in vita tua!
Talia
si voltò a guardarla negli occhi, rispondendo al sorriso con
uno
ancora più largo e sgargiante: -Sono solo felice di poter
finalmente
trascorrere un po' di tempo in tua compagnia fuori dal Daily:
Ultimamente siamo state così impegnate da non fermarci
nemmeno a
chiacchierare dopo il lavoro. Mi mancavi.
-Awwww!-
esclamò commossa Chiara, avvolgendole le spalle con un
braccio e
appoggiando la testa sulla sua guancia -Anche tu mi sei mancata! Sono
così contenta di vederti tanto allegra stasera.
-Dici
per il provino?-chiese Talia, la cui voce si era improvvisamente
abbassata di un paio d'ottave (Chiara aveva imparato a comprenderne
l'umore sulla base dell'acutezza della sua voce) -Che vadano al
diavolo, quei vecchi bacucchi! Io sono un'artista nuova!
-Così
mi piaci!- Chiara la strinse ancora di più: Talia era molto
suscettibile circa il parere delle altre persone e, quando qualcuno
metteva in dubbio la sua abilità, le ci voleva parecchio
tempo per
riprendersi; il fatto che stesse reagendo così positivamente
a una
critica richiedeva da parte sua uno sforzo notevole, che Chiara
riconosceva e apprezzava.
Passarono
il resto della corsa così, a tenersi vicine l'una all'altra,
bisognose dell'affetto che si trasmettevano, mentre Annibale,
sdraiato sui sedili di fronte a loro, sonnecchiava pigramente,
aprendo ogni tanto un occhio per assicurasi che la sua padrona fosse
ancora seduta al suo posto.
Giiunte
alla loro fermata, le ragazze scesero dal mezzo e diressero i loro
passi verso il Blockbuster all'angolo della strada, dove si
separarono: i cani non erano ben accetti all'interno del negozio e,
inoltre, Talia voleva che il film rimanesse per l'amica una sorpresa
fino all'ultimo momento. Chiara rimase, così, all'esterno a
far fare
i bisogni ad Annibale, mentre Talia si aggirava per le corsie del
negozio in cerca del DVD che desiderava.
Il
comandante Hill aveva ascoltato con attenzione ogni singola parola
che Chiara aveva detto, traducendola all'agente Barton e al direttore
Fury in inglese, poi, al termine del racconto, aveva chiesto a Clint
di accompagnare la ragazza in una delle stanze destinate
alle
reclute, mentre lei si soffermava a discorrere con il direttore di
quello che aveva appena udito.
Chiara
aveva annuito con il capo, troppo stanca per poter ancora pronunciare
anche solo mezza parola (che comunque non sarebbe stata ascoltata,
dato che la Hill aveva completamente distolto la propria attenzione
da lei, per concentrarsi unicamente su Fury), e si era affiancata
all'agente, ma, quando egli si era chinato per prenderle lo zaino,
quella lo aveva fermato e si era caricata il baglio sulle spalle,
lanciandogli un'occhiata infastidita: era perfettamente in grado di
farcela da sola.
L'agente
aveva risposto allo sguardo con un'alzata di spalle e, congedatosi,
era uscito dall'ufficio, seguito a ruota da Chiara. Ancora non lo
sapeva, ma quella sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di
volte in cui si sarebbe affidata a Clint Barton per farsi guidare.
Riattraversarono
il corridoio, ma questa volta, invece di prendere l'ascensore,
passarono per una rampa di scale piuttosto stretta, che scendeva
lungo tutta l'altezza dell'edificio. Quando Chiara ebbe imparato
l'inglese abbastanza bene da poter intavolare una conversazione,
Clint le spiegò quella scelta, affermando di volerle
insegnare come
muoversi nell'edificio senza essere notata, dato che in pochi
preferivano le scale antincendio al più comodo ascensore, ma
all'epoca la ragazza credette che quella fosse una sorta di vendetta
per non avergli lasciato prendere lo zaino e iniziò a provare
antipatia
l'agente Barton.
Il
primo incontro con Occhi di Falco non fu dei migliori, soprattutto
quando, giunti al piano, egli la condusse ad una stanza piccola e
parcamente arredata con un letto, un armadio a una sola anta e una
piccola scrivania di legno con una sedia; l'illuminazione era fornita
da una sola lampadina appesa al soffitto e il bagno era dietro una
porticina in fondo alla camera. Nulla in quella stanza era anche solo
lontanamente accogliente e Chiara venne colpita da una profonda
nostalgia di casa, che per poco non la fece scoppiare in lacrime.
Riuscì
a trattenerle con successo, ma non poté impedirsi di tirare
su con
il naso, cosa che non sfuggì all'agente Barton, il quale la
osservò
da capo a piedi con l'aria di chi non sa cosa fare, ma che non vuole
darlo a vedere.
-Puoi
anche andartene, adesso- sputò velenosa Chiara, buttando lo
zaino
sul letto ed estraendone un pacchetto di fazzoletti; non era del
tutto certa che l'uomo alle sue spalle non la comprendesse, ma non le
importava: aveva bisogno di sfogarsi, di lasciare uscire tutta la
frustrazione e la malinconia, di piangere fino a sentirsi bruciare
gli occhi e quell'uomo, con la sua presenza, glielo impediva. Voleva
che se ne andasse, continuava a sentire il suo sguardo su di
sé e lo
odiava. Voleva essere lasciata sola.
-Ho
detto: vattene!- ripeté, questa volta alzando la voce e,
dopo pochi
istanti, finalmente sentì la porta chiudersi e lo sguardo
dell'agente svanire. Era sola adesso, ma non si sentiva affatto
meglio.
-Eccomi!-
esclamò gioiosa Talia, uscendo dal negozio con un sacchetto
di
plastica in mano -Pronta per andare a casa.
-Un
attimo- rispose Chiara, raccogliendo con un sacchetto gli escrementi
di Annibale e buttandoli in un cestino della spazzatura -Ok, andiamo
pure.
Talia
l'arpionò a braccetto e la trascinò entusiasta
davanti al portone
del condominio, dove Chiara estrasse le chiavi ed aprì il
cancello,
ma, superati appena due piani, Annibale tirò il guinzaglio
verso la
porta del 2B, dove un bambino biondo dai grandi occhi azzurri
sbirciava l'esterno attraverso la porta socchiusa.
-Ciao,
piccolo!- gli sorrise raggiante Talia, ma il bimbo, scuotendo la
testa, si ritrasse, chiudendo maggiormente la porta;
Talia, sorpresa da quell'atteggiamento, chiese aiuto con lo sguardo
all'amica, che rivolgendole un mezzo sorriso di consolazione, le
disse: -Non è colpa tua. È solo un po' timido.
Ciò
detto, la ragazza si avvicinò alla porta e iniziò
a gesticolare,
sotto lo sguardo attonito dell'amica, che divenne ancora più
sorpreso quando vide il bambino rispondere a quei gesti con un largo
sorriso sulle labbra.
-Ti
apro l'appartamento, poi, per favore, puoi ordinare tu la cena?-
chiese Chiara, mentre il bambino svaniva dietro la porta -Io ti
raggiungo tra dieci minuti.
-Va
bene- rispose confusa Talia, seguendo l'amica al piano superiore e,
una volta entrate nell'appartamento,
la vide
prendere una busta di cibo per gatti dal mobile della cucina e
svanire di nuovo sul pianerottolo.
Quando
Chiara fu ridiscesa, il bambino la stava aspettando davanti alla
porta del
suo appartamento,
ben coperto da una giacca a vento celeste e una spessa sciarpa di
lana.
-Hai
perso un altro dentino, vedo-
gli disse Chiara con il linguaggio dei segni.
-Sì-
rispose l'altro tutto soddisfatto, mostrando con orgoglio la finestra
tra l'incisivo superiore sinistro e il canino superiore sinistro
-Stasera la fata
dei denti verrà e mi lascerà un dollaro sotto al
cuscino.
-Sai
già come spenderlo?-
domandò la ragazza, mentre scendevano le scale e passavano
attraverso la porta sul retro.
-Alla
mamma piacciono i fiori-
spiegò il bambino, chiudendosi meglio la giacca sul collo
per
ripararsi dal freddo -Volevo
comprarne uno per lei, visto che tra poco ci sarà il suo
compleanno.
-È
un pensiero molto carino, Vincent; sono sicura che le
piacerà un
sacco! Ma ti basterà un dollaro?
-Ho
gli altri dei denti prima-
ridacchiò Vincent, tutto soddisfatto della propria
lungimiranza
-Adesso però
chiamiamo i gatti?
A
quella richiesta, Chiara annuì con il capo, sorridendo, e
scosse
vigorosamente la busta di croccantini; bastarono pochi secondi e il
vicolo, presso cui erano disposti a ridosso dei muri di mattone i
cassoni della spazzatura, si riempì di una dozzina di gatti
miagolanti.
Da
un angolino ben nascosto da un cumulo di mattonelle rotte, Chiara
estrasse delle scodelle in cui, aiutata dall'emozionatissimo Vincent,
versò il contenuto della busta e i due, allontanatisi di
qualche
passo, si sedettero sulle scale della porta ad osservare la cena dei
gatti randagi.
Pochi
giorni dopo che lei e Clint si erano trasferiti nel condominio di
Foster Avenue, l'appartamento 2B era stato occupato da una operatrice
di call-center, ragazza madre di Vincent, un bambino sordomuto con
cui avevano fatto amicizia, sopratutto dopo aver scoperto la colonia
di gatti randagi che abitava nel retro del palazzo e che
l'amministratrice, una donna di mezz'età scorbutica e
odiosa, aveva
cercato di sterminare lasciando in giro bocconcini avvelenati con il
veleno per topi.
Disgustati
da quella crudeltà, Clint e Chiara avevano subito provveduto
a
rimuovere e distruggere quelle trappole, sotto gli occhi ammiranti di
Vincent, con cui avevano iniziato una campagna di salvataggio segreta
per quei poveri gatti randagi: quasi ogni sera, infatti, i tre o i
due (quando Clint, come quella sera di autunno, era a caccia di
streghe) scendevano di nascosto nel vicolo e distribuivano
croccantini.
Dopo
la prima volta, lei e Clint avevano iniziato a studiare il linguaggio
dei segni e, settimana dopo settimana, erano finalmente riuscire a
comunicare con Vincent, felice più che mai di aver trovato
qualcuno,
oltre a sua madre e l'insegnante di sostegno della sua scuola, con
cui chiacchierare.
Per
Chiara, osservare Vincent che guardava estasiato quegli animali era
uno spettacolo unico: era un bambino estremamente curioso e
interessato a tutto quello che lo circondava, che amava trascorrere
le sue giornate a leggere libri sulla
natura,
sui dinosauri e sullo spazio. Una volta le aveva addirittura proposto
di andare sul tetto del palazzo per osservare le stelle e cercare nel
cielo le costellazioni che erano disegnate sul suo libro, ma,
purtroppo, le luci di Brooklyn avevano reso impossibile scrutare il
cielo notturno, costringendoli a rinunciare a quell'impresa.
Nonostante
ciò, Vincent non si era perso d'animo e, la volta dopo, era
arrivato
con un libro di botanica e una busta piena di foglie raccolte nel
parco, spiegandole a quali alberi appartenevano attraverso
il confronto
con le immagini del libro.
Ad
un tratto il bambino la strinse per un braccio, indicandole con il
dito un angolo buio del vicolo da cui, riluttanti, erano
appena usciti quattro gattini di pochi mesi; i micetti si
avvicinarono sospettosi a una delle ciotole e, annusatone il
contenuto, iniziarono a mangiare, permettendo ai due spettatori di
osservarli meglio: erano quattro gattini a pelo corto, di una razza
indefinibile, ma tutti caratterizzati da una coda molto lunga e da
orecchie ampie con un simpatico ciuffetto sulla punta. Due di loro
erano a pelo grigio con delle striature brune, il terzo era
completamente nero e il quarto, il più piccino, era un
albino dal
pelo bianco e gli occhi rossi.
-Dobbiamo
dargli dei nomi!-
gesticolò entusiasta Vincent, agitando le gambe che, per
l'emozione,
non riusciva proprio a tener ferme.
-Va
bene- rispose
Chiara -Comincia
tu.
-Quello
nero si chiama Baghera, come la pantera de Il libro della giungla.
-Allora
quello striato a destra si chiama Raja-
ribatté, ridacchiando, Chiara.
-Quell'altro
a sinistra lo voglio chiamare Doppler, perché le sue righe
mi
ricordano il disegno del mio libro che descrive l'effetto Doppler.
-E
quello bianco come lo chiamiamo?-
chiese Chiara, divertita e al contempo sorpresa dal fatto che un
bambino di sette anni conoscesse anche solo l'esistenza dell'effetto
Doppler.
-Quello
bianco si chiama...-
Vincent rimase per qualche istante a osservare il vuoto, alla ricerca
del nome perfetto per l'ultimo gattino; era talmente concentrato che
Chiara poteva quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi
freneticamente: -Quello
lì si chiama Sirio-
stabilì alla fine Vincent -Come
la stella bianca della costellazione del Cane Maggiore.
-È
un nome perfetto! Non avrei potuto sceglierne uno migliore. Ora,
però, è ora di andare a dormire.
-Ma
domani non ho scuola!-
ribatté contrariato Vincent, aggrappandosi con le mani allo
spigolo
del gradino; Chiara alzò gli occhi al cielo e
incrociò le braccia,
spogliandosi del vestito dell'amica-complice e assumendo il ruolo
dell'adulta a cui si deve prestare ascolto e, così, dopo una
stregua
resistenza (ulteriormente indebolita dal fatto che stava crollando
dal sonno) Vincent si arrese. I due nascosero le ciotole vuote e
rientrarono nel condominio, si salutarono sul pianerottolo del
secondo piano e, una volta che il bambino fu scomparso dietro la
porta, Chiara fece ritorno al suo appartamento, dove Talia,
comodamente distesa
sul divano, aveva tolto il rotolo di tela di lino e i barattoli di
gesso e colla dal mobile e aveva inserito il DVD nel lettore.
-Finalmente
sei tornata!- esclamò la cantante, sentendo la porta
dell'appartamento chiudersi -Pensavo che quel bambino ti avesse
rapita e imprigionata a Narnia.
-Ti
sorprenderà, ma non mi lamenterei proprio se qualcuno mi
portasse a
Narnia- rispose Chiara, che aggiunse un attimo dopo -Scusa se ti ho
fatta aspettare, ma Vincent non voleva saperne di tornare in casa.
-Che
bambino timido...-
considerò la cantante, voltandosi nella direzione dell'amica
e
incrociando le braccia sullo schienale del divano.
Chiara
rimise la busta del cibo per gatti nel mobile della cucina e, presa
quella delle crocchette di Annibale, gli riempì la ciotola e
rimase
per qualche istante fissa a osservarlo mangiare: -Devi perdonarlo se
non ti ha risposto- rispose alla fine -È sordomuto e non sa
ancora
leggere bene il labiale.
-L'avevo
capito quando ti sei messa a fare tutti quei gesti con le mani-
ribatté Talia, tornando a distendersi sul divano -Non sapevo
conoscessi il linguaggio dei segni.
-So
solo qualche gesto... le parole più comuni, l'alfabeto...
insomma,
il minimo indispensabile per comunicare, ma sono ben lontana dal
conoscerla
bene.
Chiara
appese la giacca sull'appendiabiti e si sfilò le scarpe,
poi,
raggiunto il salotto, si buttò a peso morto sul divano,
emettendo un
lungo sbuffo: -Sono sfinita: questa giornata non finiva mai! Hai
già
ordinato la cena?
-Sì,
mia cara- rispose Talia, mostrando il proprio telefono cellulare -Ho
ordinato il tuo cibo preferito, spero vada bene.
-Andrà
benissimo, grazie. Posso sapere ora che film stiamo per vedere?
-No,
non ancora- ammiccò la cantante, nascondendo la custodia del
DVD
dalla vista dell'amica -Non lo saprai finché non
sarà arrivata la
cena e potremo mangiarla durante la visione.
-Quanti
misteri per un film noleggiato da Blockbuster!- rise Chiara,
accarezzando la schiena di Annibale, che, finita la pappa, era salito
con loro sul divano.
Talia
rise di gusto e ammiccò all'amica con l'aria di chi la sa
lunga e,
finalmente, il citofono suonò, annunciando l'arrivo del
corriere del
ristorante cinese. Chiara si alzò a rispondere e, riferiti
al
fattorino il piano e il numero dell'appartamento, andò ad
accoglierlo, per poi rientrare in casa con due buste cariche di cibo
profumatissimo.
-È
il momento di rimpinzarsi!- esclamò allegra Talia,
fregandosi le
mani; Chiara appoggiò i sacchetti sulla penisola della
cucina,
proprio sopra i disegni della notte precedente, dimenticati e
abbandonati là sopra, ma che attirarono l'attenzione di
Talia:
-Attenta!- esclamò, correndo a sfilare i fogli da sotto le
buste.
Prima
che Chiara potesse reagire, la cantante, cogliendo l'occasione, si
mise a sbirciarli, restando a bocca aperta: -Arianne sono bellissimi!
-No,
sono solo degli schizzi fatti di fretta- rispose quella, facendo
spallucce -Figurati che me li ero dimenticati.
La
cantante rimase per qualche istante a studiare con attenzione la
grafite impressa sulla superficie rugosa della carta e nei suoi occhi
l'ammirazione venne sostituita dal sospetto: -Pensavo che non fossi
una grande fan di Spiderman, come mai hai fatto dei disegni su di
lui? Il mio compleanno sarà solo tra sei mesi.
Chiara,
tra il ritardo della mattina e la crisi di Talia per il provino,
aveva totalmente rimosso dai suoi pensieri l'incontro con il
vigilante, che, riaffiorato nella sua memoria, era tornato a
tormentarla con il senso di colpa per la leggerezza commessa.
Dall'altra parte, però, le offriva l'occasione per far
dimenticare
alla sua amica, una volta per tutte, il brutto ricordo del provino.
-Oh
nulla di che- iniziò Chiara, ostentando un tono fintamente
noncurante -Mi è solo capitato di incontrarlo ieri notte.
L'espressione
che si disegnò sul viso di Talia fu impagabile e ogni volta
che,
anche diverso tempo dopo, Chiara tornava a pensarci, doveva fare un
notevole sforzo di autocontrollo per non scoppiare a ridere: gli
occhi della ragazza si sgranarono, diventando il doppio della loro
larghezza, la bocca si aprì come se la mascella stesse per
cadere ai
suoi piedi e le narici si dilatarono. Se fosse stato uno di quei
vecchi flipper, pensò Chiara, sulla sua fronte sarebbe
comparsa la
scritta Tilt.
-Co...cosa
vuol dire che lo hai incontrato?- balbettò finalmente Talia,
il cui
cervello stava elaborando lo shock.
-Che
tornando a casa mi ha salvata da un rapinatore e ci siamo fermati a
scambiare due parole- rispose tranquillamente Chiara, godendosi fino
all'ultimo tic facciale la reazione dell'amica.
-E
cosa aspettavi a dirmelo, brutta antipatica? E...- iniziò
infervorata Talia, che improvvisamente si bloccò, poi, con
un tono
di voce più basso, chiese: -Aspetta, un rapinatore ti ha
minacciata?
Improvvisamente
la sua espressione cambiò, come un giorno di sole muta in
pioggia
battente, e i suoi occhi si velarono di lacrime, lasciando Chiara,
che tutto si sarebbe aspettata tranne quello, esterrefatta.
Talia
le si avvicinò e, afferrandola per le spalle, disse con voce
rotta:
-Dannazione, Arianne, come è successo? Ti ha fatto del male?
Perché
non mi hai chiamata? Sarei corsa ad aiutarti! Chissà che
paura avrai
avuto... E io che ero così giù per il mio provino
mentre tu avevi
rischiato la vita! Mi dispiace, tesoro!
Davanti
alle lacrime dell'amica, Chiara sentì come una secchiata
d'acqua
gelata caderle addosso: non aveva immaginato che Talia potesse
reagire in quel modo. Abituata ad avere a che fare con persone di ben
poco valore morale (e un mostro dello stampo di Phoneus), per Chiara
essere minacciata da un criminale, per quanto pericoloso, non era poi
gran cosa; non aveva pensato che per Talia la situazione sarebbe
stata ben diversa e si sentì una stupida per averla fatta
preoccupare in quel modo.
-Talia-
sospirò, abbracciandola e facendole appoggiare il capo sulla
sua
clavicola -Sto bene, davvero. Non mi è capitato proprio
nulla e mi
dispiace tantissimo per non avertelo detto subito, ma era tardi e non
volevo farti preoccupare inutilmente. E poi c'era Spiderman!
È stato
davvero un eroe: ha avvolto quel criminale nella sua tela prima
ancora che potesse anche solo toccarmi con un dito.
A
quelle parole e sotto le carezze rassicuranti dell'amica, i respiri
di Talia, da brevi e irregolari, interrotti dai singhiozzi, tornarono
ad essere progressivamente lunghi e rilassati e, dopo qualche
secondo, sciolse abbraccio per guardare Chiara direttamente negli
occhi: -Promettimi che da adesso in avanti, se ti capiterà
qualcosa
me lo dirai subito e mi permetterai di aiutarti. Promettilo!
-Potrei
prometterti di non cacciarmi più nei guai- cercò
di metterla sul
ridere la ragazza, ma lo sguardo di Talia le fece comprendere che
quella richiesta era molto più seria di quanto si
aspettasse.
Emise
un lungo, pesante sospiro: -Va bene- concesse alla fine
-Però adesso
ci mettiamo a mangiare o si raffredderà tutto e non ho
proprio
voglia di cinese riscaldato al microonde.
Soddisfatta
della promessa ricevuta, la cantante sbozzò un mezzo sorriso
e,
prendendo dai sacchetti sul tavolo gli involucri di stagnola ancora
caldi, disse con voce roca: -Accidenti... Oggi è stata
proprio la
giornata delle lacrime.
-Può
ancora finire in risata!- ammiccò Chiara, prendendo la sua
razione
di cibo e lasciandosi cadere sul divano -Sto ancora aspettando di
scoprire che film hai scelto.
-Hai
ragione!- tornò a sorridere la cantante, riaquisendo la sua
naturale
vivacità -Sono certa che ti piacerà un sacco!
Talia
prese la sua scatola di cibo dal sacchetto, inforcò le
bacchette e
seguì l'amica sul divano, dove agguantò il
telecomando e premette
il tasto Play.
Il
televisore si accese e sullo schermo apparve la scritta Zombieland
Chiara
lanciò uno sguardo interrogativo alla ragazza al suo fianco,
la
quale, già addentato un gustoso involtino primavera, rispose
con un
occhiolino e si voltò di nuovo verso lo schermo.
Angolo
dell'autrice:
salve a tutte e
bentrovate alla fine del capitolo 4 di Panacea
Project
! Grazie per la
grande pazienza che state portando: poter pubblicare un solo capitolo
al mese è una gran rottura -__-" Spero, ad ogni modo, che
quello che avete letto finora sia valsa l'attesa.
Dunque,
in primo luogo vorrei ringraziare _Adamma_ per aver iniziato a
seguire la storia e fera_JD per averla inserita tra le preferite! ^-^
Inoltre, uno speciale ringraziamento va a AlessiaOUAT96, Glendolina,
Emily Mortensen e Ragdoll_Cat che mi accompagnano in questo percorso,
sotenendomi con le loro bellissime recensioni e ripagandomi
dell'impegno e del tempo speso nella scrittura! Grazie di cuore! ^-^
Anyway,
eccoci di nuovo qui: con un passettino minuscolo dopo l'altro la
storia prosegue e, grattando sulla superficie, scopriamo che sotto il
lucente strato dorato dell'eroe di Manhattan, si nasconde il male
della ruggine. Pensieri, ricordi e parole che corrodono e intaccano
la solidità dello spirito del nostro ragnetto. Fortuna che
c'è zia
May!
Notiamo
anche che la nostra Chiara non ha perso il suo naturale istinto di
protezione nei confronti dei bambini e, memore della piccola Myria
nella lontana Asgard, ha stretto amicizia con l'entustiasta Vincent.
Flashback
e lacrime anche in questo capitolo non mancano, spero che non suoni
troppo ridondante per voi, in caso contrario fatemi sapere e
cercherò di migliorarmi più avanti.
Lo
facciamo un gioco? Ma sì, facciamolo! Dunque, in questo
capitolo c'è
un piccolissimo Easter Egg, il primo che lo trova vince in anteprima,
come messaggio privato, la prima riga del prossimo capitolo ;)
Aiutini:
1. L'avevo già sugerito in un capitolo precedente; 2. È
all'infuori del MCU.
Vi
mando un grosso abbraccio e alla prossima!
Lady
Realgar
|