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Autore: LadyRealgar    10/01/2016    4 recensioni
(Sequel de La sua Paura, crossover The Avengers, The Amazing Spiderman; possibili riferimenti ad altri personaggi fumettistici)
Sono passati quattro anni dagli eventi che hanno portato Chiara ad Asgard e, nuovamente sulla Terra, la ragazza cerca di riprendere una vita normale, ma nulla sfugge all'occhio attento dello S.H.I.E.L.D. e la giovane senese è costretta di nuovo ad affrontare la separazione dalla sua famiglia, ma questa volta ha uno scopo: proteggerla.
Dal capitolo 1:
-Lei è Arianna Watson?- chiese poi, simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.
-Affermativo- rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le volte questa sceneggiata?
-Nata a Washington DC il 12 Aprile del 1992?- continuò l'uomo, ignorando la domanda.
-Affermativo.
-Dichiara libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul suo metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le suddette analisi?
-Affermativo.
Ps. Possibili riferimenti ad Avengers:Age of Ultron. Spoiler Alert
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton, Loki, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aveva trascorso l'intero pomeriggio incollato alla poltroncina dalla foderatura verde bottiglia (tra l'altro sorprendentemente comoda), alzandosi sì e no un paio di volte per andare ai servizi; l'ambiente del Daily si era rivelato essere molto rilassante, eccezion fatta per il signor Frederick, e, dopo circa una mezzora da quando aveva fino i suoi pancakes, Peter aveva estratto i suoi quaderni di appunti e le dispense e aveva iniziato a studiare: se per un eroe dalla grande fama come Spiderman era piuttosto facile attaccare bottone con una ragazza senza sembrare strano o impacciato, per il comune Peter Parker la vita non era altrettanto semplice. Non poteva pretendere che una fanciulla aprisse spontaneamente il proprio cuore a un perfetto sconosciuto, così decise di prendersi del tempo e imporre la propria presenza come cliente finché la ragazza del mistero non avrebbe iniziato ad abbassare la guardia.

Il fatto che questo suo piano gli avrebbe permesso di rivedere Talia era una mera e assolutamente casuale conseguenza aggiuntiva; anzi, se fosse riuscito a ingraziarsi la sua amica, sicuramente Chiara sarebbe stata più ben disposta nei suoi confronti e, quindi, più incline al dialogo.

"Parker, sei un genio!" gongolò il ragazzo tra sé e sé, facendo roteare la matita tra le dita, mentre ai suoi piedi, accoccolato sotto al tavolo, Annibale ronfava nella grossa.

Il telefono cellulare vibrò nella tasca sinistra della giacca, lo prese e lesse sullo schermo luminoso:

Zia May: h.19.07 Vieni a casa per cena?

Non si era accorto di quanto si fosse fatto tardi: -h.19.08 Sì, ma farò un po' di ritardo- digitò in fretta e furia sul vetro dello schermo, poi, riposte le sue cose nello zaino, si avviò alla cassa.

-Già ci lasci?- chiese ironica Chiara da dietro il macchinario, digitando il prezzo della consumazione -Non credo che quella poltroncina abbia mai dovuto sostenere per così tanto tempo il peso di qualcuno.

-Mi ha conciliato lo studio- ammise ridacchiando Peter, porgendo il denaro alla ragazza -Mai stato tanto produttivo in un solo pomeriggio.

-Lo sciroppo d'acero ti ha dato l'energia giusta per studiare- ammiccò Chiara, che ridacchiò sommessamente quando sentì il signor Frederick al bancone borbottare qualcosa che assomigliava a un "L'avevo detto".

-Già...- disse vago Peter, cercando di ignorare il commento dell'uomo e guardando di sfuggita lo scontrino, per poi aggiungere sorpreso: -Non mi hai segnato il caffè.

-Lo offre la casa ai clienti che vengono qui per la prima volta- spiegò la cameriera, chiudendo la cassa.

-Ma ne ho bevuto a litri!- insistette Peter.

-È il volere del mio capo- Chiara gli lanciò un'occhiata interrogativa: nessuno si era mai lamentato per quella piccola tradizione del locale -Il signor Bailey sostiene che sia un piccolo incentivo per la clientela a tornare.

-Molto generoso da parte sua. Di solito è già tanto se non ti fanno pagare delle cifre spropositate per un solo bicchiere d'acqua.

-Non ti ci abituare, però- sorrise la ragazza -Dalla prossima volta dovrai pagare anche il bere, se vorrai tornare a trovarci.

"Eccome se tornerò!" sorrise tra sé Peter, leggendo in quell'affermazione il primo passo per la realizzazione del suo piano: -Basterebbe anche solo il ricordo dei pancackes a condurmi di nuovo qui.

-Bene- esclamò la cameriera, accarezzando la testa di Annibale, che si era svegliato e le si era seduto a fianco in cerca di coccole -Allora a presto, Peter.

-A presto, Arianne- salutò quello, avviandosi alla porta, dove Talia stava passando il mocho dove un bambino, poco prima, aveva rovesciato una tazza di latte: -Ciao- salutò timidamente Peter, prima di svanire dietro alla porta.

-Strane cose, le coincidenze. Non trovi?- chiese ad alta voce Chiara verso l'amica, distratta a seguire con lo sguardo il ragazzo appena uscito dal bar e che, per tutta risposta, le rivolse una linguaccia, per poi tornare a pulire il pavimento.

Sul suo viso però, notò Chiara, si era delineato l'abbozzo di un sorriso e fu sicura che la tristezza del provino fosse sparita del tutto.

*


Non appena svoltato l'angolo, Peter era andato alla ricerca di un vicolo abbastanza nascosto e poco frequentato per cambiarsi: le lancette dell'orologio correvano veloci e l'ora di cena era prossima, non poteva permettersi di perdere tempo nel caos del traffico serale o zia May avrebbe dovuto attenderlo davanti a una cena ormai fredda.

Volteggiando tra gli alti palazzi, in direzione del Queens, il vento fresco della notte che calava gli solleticava il volto attraverso lo spandex della maschera, mentre vigilava sulle strade sotto di lui: quella non era una vera e propria ronda, ma il crimine, come si suol dire, non dorme mai e Spiderman non era certo da meno.

Per la maggior parte delle volte era sufficiente farsi vedere ondeggiare tra i tetti per spaventare i piccoli criminali di quartiere, ma talvolta qualcuno più coraggioso degli altri sfidava la sorte nel tentativo di mettere a segno un colpo e allora il suo intervento era richiesto.

Oltrepassando Brooklyn, Peter sperò con tutto il cuore che per quella sera a nessun ladro venisse in mente di entrare in azione, ma, purtroppo, la sua buona stella aveva diretto la sua luce da un'altra parte, perché proprio a metà strada da casa incappò in una rapina a mano armata a danno di una farmacia.

Sospirando un'imprecazione, Peter atterrò sul tetto dell'edificio e, calandosi a testa in giù con una ragnatela, sbirciò l'interno del negozio attraverso una vetrina: due uomini in passamontagna neri puntavano delle pistole contro il farmacista, intento a riempire una grossa borsa di tela con il contenuto della cassa.

"Cattivi due, ostaggio uno, rischio personale prossimo allo zero, rischio dell'ostaggio prossimo al 73%. Troppo alto. Priorità: disarmare i cattivi e garantire l'incolumità dell'ostaggio. Tempo richiesto: 2 minuti."

Atterrò sul marciapiede, assicurandosi che nelle vicinanze non ci fossero automobili accese in attesa dei due criminali, poi, senza alcuna esitazione, entrò nella farmacia esclamando a gran voce: -Buonasera, vorrei un antiinfiammatorio muscolare. Sapete, fare l'amichevole Spiderman di quartiere alla sera lascia tutto un dolore alle spalle!

I malviventi, superata la prima sorpresa dovuta all'intrusione, puntarono le pistole contro di lui, pronti a fare fuoco, mentre uno dei due strappava di mano dal farmacista la borsa con il denaro.

-Che noia le pistole- esclamò Peter, lanciando una ragnatela sull'apertura della canna della prima e tirandola contro la seconda, facendole cadere entrambe a terra -Mai una volta che un cattivone si ingegnasse con qualcosa di insolito. Per esempio, nessuno mi ha mai minacciato con una balestra o dei nunchako o una mazza masai...

Con la coda dell'occhio il vigilante notò un bagliore provenire dalla mano di uno dei furfanti e con un calcio lo colpì, facendo volare quello che si rivelò essere un coltello a serramanico, che scivolò sulle piastrelle azzurre della farmacia con un sottile stridio metallico.

-Awwwn- sbadigliò teatralmente Peter, immobilizzando il malvivente con una ragnatela -Un coltello. Ma non mi dire, che novità!

Non potendo fare altrimenti, i due uomini, scambiatisi un'occhiata sconfitta, alzarono leggermente le mani in segno di resa, mentre il commesso, ancora tremante per lo spavento, componeva il 911 sul cellulare per chiamare i soccorsi.

Peter raccolse le armi da terra, rimosse i proiettili dai caricatori delle pistole e, riposto il tutto in un sacchetto che consegnò al farmacista, attese le sirene della polizia prima di svanire di nuovo nella giungla di asfalto del Queens.

Erano passati ben più dei due minuti previsti e già la sua fantasia gli mostrava l'immagine della zia seduta da sola al tavolo della cucina di fronte a due piatti vuoti: maledetta la sua boccaccia larga!

"Dovevo proprio mettermi a fare il pagliaccio come mio solito?!" si rimproverò atterrando nel buio di un vicolo vuoto a un isolato di distanza da casa; si guardò attorno con circospezione, cercando le testimonianze della presenza di qualche curioso, e una volta che fu sicuro che nessuno lo stesse osservando, estrasse dallo zaino i suoi vestiti civili e si sfilò la maschera dal volto.

Se avesse agito subito, si ritrovò a pensare mentre infilava le gambe nei jeans e si abbottonava la camicia a quadri sul petto, senza stare a blaterare come un idiota avrebbe potuto disarmare i due uomini in pochi secondi, colpire il primo allo stomaco, il secondo al volto e lasciarli KO sul pavimento senza perdere altro tempo.

Avrebbe potuto farlo, ma alla vista dell'ostaggio qualcosa dentro di lui era scattato, una paura colpevole lo aveva attanagliato e la sua risposta era stata, come ogni qualvolta che si trovava in difficoltà, lo humor.

Ogni volta che accadeva, ossia molto più spesso di quanto gli piacesse ammettere, diceva a se stesso che si trattava di strategia: distrarre i criminali dagli ostaggi e risultare abbastanza irritante da costringerli a puntare le loro armi contro di lui.

Lui era Spiderman, con tutti i vantaggi che il morso del ragno gli aveva conferito, e poteva gestire una raffica di proiettili che fischiano attorno a lui, cercando di forargli la carne, ma gli altri no. I restanti 7.999.999 abitanti di New York non avevano le sue capacità e nulla avrebbero potuto contro il fuoco di un'arma.

Lui era il loro paladino, il loro ragno custode avvolto nello spandex blu e rosso e, anche se i suoi metodi erano poco ortodossi e una grossa fetta dei suoi "protetti" lo reputava un criminale (in buona parte per colpa dei servizi del giornalista J.Jonah Jameson), ogni giorno votava il proprio dono alla sua città.

E lo humor era la sua firma.

Attraversò il piccolo giardino e sentì il familiare scricchiolio delle vecchie scale di legno sotto ai suoi piedi, poi iniziò a frugare nello zaino alla ricerca delle chiavi di casa, ma lo scatto della serratura lo anticipò e il volto sorridente della zia lo accolse in casa.

-Peter, finalmente!- esclamò May Parker, lasciando un leggero bacio sulla tempia del nipote non appena egli fu entrato nell'ingresso -Non ti sei fatto sentire per tutto il giorno e quando ha cominciato ha fare buio ho iniziato a preoccuparmi.

-Zia May...- iniziò il ragazzo, mentre la donna lo accompagnava verso la sala da pranzo, dove il tavolo era stato apparecchiato per due, ma quello lo interruppe -Sì, lo so, sei un adulto grande e vaccinato e non dovrei trattarti come un ragazzino, ma ai miei occhi tu resterai sempre il mio bambino e non potrò smettere mai di preoccuparmi.

Senza nemmeno tentare di ribattere, Peter l'afferrò delicatamente per un polso e la tirò a sé, avvolgendola in un abbraccio: forse era solo la stanchezza o un brutto scherzo della sua immaginazione, ma la sentì magra e fragile tra le sue braccia le incolpò i turni interminabili che faceva in ospedale come infermiera.

La forza proporzionale a quella di un ragno, che aveva acquisito qualche anno addietro, avrebbe potuto spezzare con il minimo sforzo la colonna vertebrale di un uomo dieci volte più grosso e muscoloso di lei e, anche se aveva imparato molto bene come controllarla e calibrarla a seconda delle occasioni, Peter, stringendola a sé, ebbe per un momento paura che la sua corporatura esile si sarebbe infranta sul suo petto.

Istintivamente allentò la presa, ma May Parker non era tipo da lasciarsi sfuggire così facilmente una di quelle rare occasioni in cui suo nipote era in vena di affettuosità (non che Peter fosse un tipo freddo, ma i loro orari di lavoro erano spesso incompatibili e di rado trovavano del tempo da trascorrere assieme), così, prima che potesse sfuggirle, lo agguantò di nuovo e, accarezzandogli delicatamente l'attaccatura dei capelli lungo il collo, si lasciò invadere dal calore del suo amato nipotino.

Era incredibile quanto, ogni giorno che passava, somigliasse sempre di più al suo Ben, sopratutto negli occhi: così grandi e gentili, macchiati solo da un velo di malinconia...

-Zia May- sussurrò Peter dall'incavo della spalla della zia, dove la sua testa era stata arpionata -Non respiro...

-Oh scusa tesoro!- esclamò May, lasciando la presa sul nipote -Non volevo sofforcarti. È che non mi capita più tanto spesso di averti così vicino e poi... non so... mi era sembrato che avessi bisogno di conforto: hai uno sguardo così triste...

-Triste? Io?- rise Peter, esibendo un largo sorriso, che gli fece comparire delle piccole rughette agli angoli degli occhi -Ma mi hai visto? Emergente fotografo e giovane promessa delle biotecnologie, sostenuto dalla zia migliore del mondo. Come mai potrei essere triste?

Senza considerare migliore supereroe di New York! Beccati questa Iron Man!” pensò tra sé e sé, mentre sua zia gli sorrideva di rimando e lo invitava a sedersi al suo posto al tavolo.

In pochi secondi i lori piatti vennero riempiti di polpettone e insalata e i due iniziarono a mangiare, mentre zia May, ritrovata la propria indole allegra, raccontava la sua giornata in ospedale; dopo qualche minuto in cui la zia aveva descritto la frattura scomposta dell’avambraccio che un ragazzino si era procurato andando con lo skateboard, ringraziando il Cielo che Peter avesse finalmente smesso di andarci, la mente del ragazzo iniziò a vagare nel mare dei suoi pensieri, riportando alla memoria gli eventi degli ultimi giorni.

È solo che so cosa vuol dire nascondersi dietro una maschera per proteggere chi ami” ricordò Peter, masticando con attenzione il saporito polpettone di carne che aveva davanti.

-Peter?- il ragazzo scattò sull’attenti, sentendosi chiamare -Mi stai ascoltando?- domandò May, alzando un sopracciglio.

-Sì, scusami- si affrettò a rispondere Peter, grattandosi la nuca imbarazzato -Ero solo un po’ distratto dalla bontà del tuo polpettone, sei la miglior cuoca del Queens.

-Allora posso contare su di te?- domandò zia May, lanciandogli uno sguardo di sfida che diceva “Voglio proprio vedere se hai prestato attenzione”.

-Ceeerto, zia- sorrise di nuovo Peter, maledicendosi per non aver ascoltato una parola di quello che gli aveva detto –Non ti preoccupare.

Parker, sei un idiota”

-Molto bene, allora. Finisci la cena e aiutami a sparecchiare.- concluse May, finendo di masticare l'ultimo boccone e portando il proprio piatto al lavandino, dove iniziò a insaponare le pentole.

A Peter non restò che obbedire a orecchie basse e sperare che qualunque cosa le avesse promesso si sarebbe rivelata, prima o poi.

"Meglio prima" si disse il ragazzo, porgendo alla zia le ultime stoviglie e lasciandole un leggero bacio della buonanotte sulla guancia, prima di ritirarsi nella sua stanza: voleva riposarsi una mezzoretta prima di uscire per la ronda notturna.

Attraversando di nuovo la sala da pranzo, la sua mano accarezzò leggermente il legno liscio e consunto della terza sedia posta attorno al tavolo: quella di zio Ben.

-Buonanotte zia May- salutò -Domani farà freddo, perciò ricordati di coprirti bene o dovranno ricoverare anche te in ospedale e sappiamo bene entrambi che con i dottori non vai d'accordo!

-Hai ragione, tesoro, grazie- ridacchiò May e fu lì che Peter vide la propria maschera riflessa nel sorriso della zia: non quella di Spiderman, bensì una molto più sottile, eppure più coprente.

Il suo volto, le sue azioni e le sue parole erano ben nascosti dal suo stesso humor.

Ora che ci pensava bene, mentre saliva le scale e si rifugiava nel buio della propria camera, quello era l'unico modo che conosceva per difendersi. Non da ladruncoli e spacciatori, e nemmeno da criminali dello stampo di Rhino o di Lizard (il suo cervello si rifiutò anche solo di nominare il Goblin), ma dalle sue insicurezze, dalle sue paure, dalle sue debolezze... In parole povere, da se stesso.

Sciorinare battute, talvolta anche infelici, nei momenti di tensione era il suo modo per autoconvincersi di avere il pieno controllo della situazione; certo, quando aveva iniziato a interpretare il ruolo del vigilante mascherato, lo humor era dettato più dall'eccesso di adrenalina che non da altro: la straordinarietà dei suoi poteri lo mandava letteralmente su di giri e ogni scontro era come un giro in giostra.

Poi aveva iniziato progressivamente a capire la gravità del suo ruolo, delle sue responsabilità, e la memoria dello zio defunto aveva iniziato a schiacciarlo.

Non che il ricordo dello zio Ben fosse associato a sensazioni negative, anzi! Fatta eccezione della mancanza, Peter non riusciva a ricordare un solo brutto momento passato assieme allo zio. Quello che lo opprimeva era l'impegno che si era preso in suo nome.

-Da grandi poteri derivano grandi responsabilità- ascoltò la propria voce sussurrare al buio, una volta che si fu disteso sul letto.

Aveva fatto di quella frase, una delle più ricorrenti tra le pillole di saggezza di Ben Parker, il proprio motto o, più accuratamente, il proprio comandamento. Gli ci era voluta una pallottola piantata nello stomaco dello zio per farla riaffiorare nella sua memoria, una vendetta mai compiuta contro il ladro che lo aveva reso ancora più orfano per comprenderla e una vertebra spezzata nel collo della sua donna per imprimerla a sangue nella sua anima.

Lui era il solo responsabile. E lo humor lo aiutava, almeno un po', ad alleviare quella consapevolezza.

Si svegliò di soprassalto con la schiena sudata e i piedi e le mani freddi come il ghiaccio, mentre le immagini del sogno che stava facendo sbiadivano sempre di più nella sua memoria, per essere poi irrimediabilmente perdute quando, afferrato con uno scatto da leopardo l'orologio da polso appoggiato al comodino, Peter si rese dolorosamente conto di essere rimasto addormentato per molto più del dovuto e di essere in terribile ritardo per la ronda notturna.

Si infilò nella tuta di spandex il più velocemente che potè e si assicurò che i caricatori del liquido per ragnatele fossero pieni, poi uscì sulle punte dei piedi fuori dalla sua camera, nel buio del corridoio, e, scostata appena la porta della stanza da letto di zia May, si assicurò che dormisse. Tornò nella sua stanza e sgattaiolò fuori dalla finestra, per poi iniziare a dondolarsi tra gli edifici a tutta la velocità che la legge del pendolo gli permetteva: da quello che aveva potuto leggere sulla porta del Daily Coffee, mancava meno di mezzora alla chiusura del locale e Peter voleva essere lì in tempo per poter pedinare la fanciulla del mistero e scoprire tutto il possibile su di lei e i suoi spostamenti.

Sorvolò il Queens senza incappare in rapine o sparatorie, né udì, incredibilmente, il lamentoso suono delle sirene della polizia: quella sembrava essere una serata particolarmente tranquilla e Peter si augurò che quell'andamento positivo si estendesse almeno fino al mattino.

L'irregolare profilo degli alberi di tasso di Prospect Park, le cui fronde ingiallite dall'autunno brillavano di mille calde sfumature alle luci dei lampioni e delle insegne, lo accolse nel quartiere che ospitava l'accogliente Daily Coffee, le cui vetrine, però, quando atterrò sul tetto della palazzina di fronte, erano chiuse dalle saracinesche e l'insegna al neon spenta.

-Dannazione!- imprecò sottovoce il ragazzo, cercando con lo sguardo la presenza delle due ragazze, ma invano.

Rimase per qualche secondo a riflettere sul da farsi: non poteva sperare di ritrovarle in quel groviglio di strade, tanto più che era arrivato in ritardo di quasi un'ora, vanificando sul nascere qualsiasi tentativo di ricerca.

Decise, così, di riprendere il suo abituale giro di pattuglia e, nel frattempo, di pensare alla prossima mossa.

*


-Sai già quale film vuoi vedere stasera?- chiese Chiara, facendo scattare la serratura della saracinesca e assicurandosi che la porta di ingresso fosse ben chiusa.

-Ooh sì!- ululò Talia, appendendosi al suo braccio e simulando una risatina maligna -Vedrai che ci faremo una bella risata!

-Così mi spaventi!- rise Chiara, infilandosi il mazzo di chiavi in borsa e assicurandosi di avere il telefono di Stark nel taschino laterale -Coraggio, Annibale, torniamo a casa.

Il cane le si affiancò docilmente e seguì le due ragazze verso la fermata dell'autobus, dove pochi minuti dopo, nel vento autunnale che iniziava a soffiare gelido, arrivò il mezzo, in cui i tre si rifugiarono.

-Per prima cosa dobbiamo fermarci da Blockbuster per prendere il film- continuò a spiegare Talia, slacciandosi la giacca a vento -Poi ci facciamo portare la cena a casa. Ho proprio una gran voglia di riso alla cantonese e maiale in agrodolce! È ancora aperto quel ristorante take-away... come si chiamava? Ah sì, il Pechino Blossom?

-Che io sappia sì...- iniziò Chiara, che fu però interrotta: -Meno male! Lì fanno gli involtini primavera più buoni del creato! Io non so cosa ci mettano ma per me è come una droga- rise la ragazza, dando una veloce carezza sul muso di Annibale, che scodinzolava allegramente.

Chiara si perse per un momento ad osservare i suoi amici e non poté trattenersi dal sorridere: -Si può sapere cosa avete da essere così agitati stasera?- domandò scherzosamente la ragazza, dando un colpetto al braccio dell'amica -Sembra quasi che tu non abbia mai mangiato cibo cinese in vita tua!

Talia si voltò a guardarla negli occhi, rispondendo al sorriso con uno ancora più largo e sgargiante: -Sono solo felice di poter finalmente trascorrere un po' di tempo in tua compagnia fuori dal Daily: Ultimamente siamo state così impegnate da non fermarci nemmeno a chiacchierare dopo il lavoro. Mi mancavi.

-Awwww!- esclamò commossa Chiara, avvolgendole le spalle con un braccio e appoggiando la testa sulla sua guancia -Anche tu mi sei mancata! Sono così contenta di vederti tanto allegra stasera.

-Dici per il provino?-chiese Talia, la cui voce si era improvvisamente abbassata di un paio d'ottave (Chiara aveva imparato a comprenderne l'umore sulla base dell'acutezza della sua voce) -Che vadano al diavolo, quei vecchi bacucchi! Io sono un'artista nuova!

-Così mi piaci!- Chiara la strinse ancora di più: Talia era molto suscettibile circa il parere delle altre persone e, quando qualcuno metteva in dubbio la sua abilità, le ci voleva parecchio tempo per riprendersi; il fatto che stesse reagendo così positivamente a una critica richiedeva da parte sua uno sforzo notevole, che Chiara riconosceva e apprezzava.

Passarono il resto della corsa così, a tenersi vicine l'una all'altra, bisognose dell'affetto che si trasmettevano, mentre Annibale, sdraiato sui sedili di fronte a loro, sonnecchiava pigramente, aprendo ogni tanto un occhio per assicurasi che la sua padrona fosse ancora seduta al suo posto.

Giiunte alla loro fermata, le ragazze scesero dal mezzo e diressero i loro passi verso il Blockbuster all'angolo della strada, dove si separarono: i cani non erano ben accetti all'interno del negozio e, inoltre, Talia voleva che il film rimanesse per l'amica una sorpresa fino all'ultimo momento. Chiara rimase, così, all'esterno a far fare i bisogni ad Annibale, mentre Talia si aggirava per le corsie del negozio in cerca del DVD che desiderava.

Il comandante Hill aveva ascoltato con attenzione ogni singola parola che Chiara aveva detto, traducendola all'agente Barton e al direttore Fury in inglese, poi, al termine del racconto, aveva chiesto a Clint di accompagnare la ragazza in una delle stanze destinate alle reclute, mentre lei si soffermava a discorrere con il direttore di quello che aveva appena udito.

Chiara aveva annuito con il capo, troppo stanca per poter ancora pronunciare anche solo mezza parola (che comunque non sarebbe stata ascoltata, dato che la Hill aveva completamente distolto la propria attenzione da lei, per concentrarsi unicamente su Fury), e si era affiancata all'agente, ma, quando egli si era chinato per prenderle lo zaino, quella lo aveva fermato e si era caricata il baglio sulle spalle, lanciandogli un'occhiata infastidita: era perfettamente in grado di farcela da sola.

L'agente aveva risposto allo sguardo con un'alzata di spalle e, congedatosi, era uscito dall'ufficio, seguito a ruota da Chiara. Ancora non lo sapeva, ma quella sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di volte in cui si sarebbe affidata a Clint Barton per farsi guidare.

Riattraversarono il corridoio, ma questa volta, invece di prendere l'ascensore, passarono per una rampa di scale piuttosto stretta, che scendeva lungo tutta l'altezza dell'edificio. Quando Chiara ebbe imparato l'inglese abbastanza bene da poter intavolare una conversazione, Clint le spiegò quella scelta, affermando di volerle insegnare come muoversi nell'edificio senza essere notata, dato che in pochi preferivano le scale antincendio al più comodo ascensore, ma all'epoca la ragazza credette che quella fosse una sorta di vendetta per non avergli lasciato prendere lo zaino e iniziò a provare antipatia l'agente Barton.

Il primo incontro con Occhi di Falco non fu dei migliori, soprattutto quando, giunti al piano, egli la condusse ad una stanza piccola e parcamente arredata con un letto, un armadio a una sola anta e una piccola scrivania di legno con una sedia; l'illuminazione era fornita da una sola lampadina appesa al soffitto e il bagno era dietro una porticina in fondo alla camera. Nulla in quella stanza era anche solo lontanamente accogliente e Chiara venne colpita da una profonda nostalgia di casa, che per poco non la fece scoppiare in lacrime.

Riuscì a trattenerle con successo, ma non poté impedirsi di tirare su con il naso, cosa che non sfuggì all'agente Barton, il quale la osservò da capo a piedi con l'aria di chi non sa cosa fare, ma che non vuole darlo a vedere.

-Puoi anche andartene, adesso- sputò velenosa Chiara, buttando lo zaino sul letto ed estraendone un pacchetto di fazzoletti; non era del tutto certa che l'uomo alle sue spalle non la comprendesse, ma non le importava: aveva bisogno di sfogarsi, di lasciare uscire tutta la frustrazione e la malinconia, di piangere fino a sentirsi bruciare gli occhi e quell'uomo, con la sua presenza, glielo impediva. Voleva che se ne andasse, continuava a sentire il suo sguardo su di sé e lo odiava. Voleva essere lasciata sola.

-Ho detto: vattene!- ripeté, questa volta alzando la voce e, dopo pochi istanti, finalmente sentì la porta chiudersi e lo sguardo dell'agente svanire. Era sola adesso, ma non si sentiva affatto meglio.

-Eccomi!- esclamò gioiosa Talia, uscendo dal negozio con un sacchetto di plastica in mano -Pronta per andare a casa.

-Un attimo- rispose Chiara, raccogliendo con un sacchetto gli escrementi di Annibale e buttandoli in un cestino della spazzatura -Ok, andiamo pure.

Talia l'arpionò a braccetto e la trascinò entusiasta davanti al portone del condominio, dove Chiara estrasse le chiavi ed aprì il cancello, ma, superati appena due piani, Annibale tirò il guinzaglio verso la porta del 2B, dove un bambino biondo dai grandi occhi azzurri sbirciava l'esterno attraverso la porta socchiusa.

-Ciao, piccolo!- gli sorrise raggiante Talia, ma il bimbo, scuotendo la testa, si ritrasse, chiudendo maggiormente la porta; Talia, sorpresa da quell'atteggiamento, chiese aiuto con lo sguardo all'amica, che rivolgendole un mezzo sorriso di consolazione, le disse: -Non è colpa tua. È solo un po' timido.

Ciò detto, la ragazza si avvicinò alla porta e iniziò a gesticolare, sotto lo sguardo attonito dell'amica, che divenne ancora più sorpreso quando vide il bambino rispondere a quei gesti con un largo sorriso sulle labbra.

-Ti apro l'appartamento, poi, per favore, puoi ordinare tu la cena?- chiese Chiara, mentre il bambino svaniva dietro la porta -Io ti raggiungo tra dieci minuti.

-Va bene- rispose confusa Talia, seguendo l'amica al piano superiore e, una volta entrate nell'appartamento, la vide prendere una busta di cibo per gatti dal mobile della cucina e svanire di nuovo sul pianerottolo.

Quando Chiara fu ridiscesa, il bambino la stava aspettando davanti alla porta del suo appartamento, ben coperto da una giacca a vento celeste e una spessa sciarpa di lana.

-Hai perso un altro dentino, vedo- gli disse Chiara con il linguaggio dei segni.

-- rispose l'altro tutto soddisfatto, mostrando con orgoglio la finestra tra l'incisivo superiore sinistro e il canino superiore sinistro -Stasera la fata dei denti verrà e mi lascerà un dollaro sotto al cuscino.

-Sai già come spenderlo?- domandò la ragazza, mentre scendevano le scale e passavano attraverso la porta sul retro.

-Alla mamma piacciono i fiori- spiegò il bambino, chiudendosi meglio la giacca sul collo per ripararsi dal freddo -Volevo comprarne uno per lei, visto che tra poco ci sarà il suo compleanno.

-È un pensiero molto carino, Vincent; sono sicura che le piacerà un sacco! Ma ti basterà un dollaro?

-Ho gli altri dei denti prima- ridacchiò Vincent, tutto soddisfatto della propria lungimiranza -Adesso però chiamiamo i gatti?

A quella richiesta, Chiara annuì con il capo, sorridendo, e scosse vigorosamente la busta di croccantini; bastarono pochi secondi e il vicolo, presso cui erano disposti a ridosso dei muri di mattone i cassoni della spazzatura, si riempì di una dozzina di gatti miagolanti.

Da un angolino ben nascosto da un cumulo di mattonelle rotte, Chiara estrasse delle scodelle in cui, aiutata dall'emozionatissimo Vincent, versò il contenuto della busta e i due, allontanatisi di qualche passo, si sedettero sulle scale della porta ad osservare la cena dei gatti randagi.

Pochi giorni dopo che lei e Clint si erano trasferiti nel condominio di Foster Avenue, l'appartamento 2B era stato occupato da una operatrice di call-center, ragazza madre di Vincent, un bambino sordomuto con cui avevano fatto amicizia, sopratutto dopo aver scoperto la colonia di gatti randagi che abitava nel retro del palazzo e che l'amministratrice, una donna di mezz'età scorbutica e odiosa, aveva cercato di sterminare lasciando in giro bocconcini avvelenati con il veleno per topi.

Disgustati da quella crudeltà, Clint e Chiara avevano subito provveduto a rimuovere e distruggere quelle trappole, sotto gli occhi ammiranti di Vincent, con cui avevano iniziato una campagna di salvataggio segreta per quei poveri gatti randagi: quasi ogni sera, infatti, i tre o i due (quando Clint, come quella sera di autunno, era a caccia di streghe) scendevano di nascosto nel vicolo e distribuivano croccantini.

Dopo la prima volta, lei e Clint avevano iniziato a studiare il linguaggio dei segni e, settimana dopo settimana, erano finalmente riuscire a comunicare con Vincent, felice più che mai di aver trovato qualcuno, oltre a sua madre e l'insegnante di sostegno della sua scuola, con cui chiacchierare.

Per Chiara, osservare Vincent che guardava estasiato quegli animali era uno spettacolo unico: era un bambino estremamente curioso e interessato a tutto quello che lo circondava, che amava trascorrere le sue giornate a leggere libri sulla natura, sui dinosauri e sullo spazio. Una volta le aveva addirittura proposto di andare sul tetto del palazzo per osservare le stelle e cercare nel cielo le costellazioni che erano disegnate sul suo libro, ma, purtroppo, le luci di Brooklyn avevano reso impossibile scrutare il cielo notturno, costringendoli a rinunciare a quell'impresa.

Nonostante ciò, Vincent non si era perso d'animo e, la volta dopo, era arrivato con un libro di botanica e una busta piena di foglie raccolte nel parco, spiegandole a quali alberi appartenevano attraverso il confronto con le immagini del libro.

Ad un tratto il bambino la strinse per un braccio, indicandole con il dito un angolo buio del vicolo da cui, riluttanti, erano appena usciti quattro gattini di pochi mesi; i micetti si avvicinarono sospettosi a una delle ciotole e, annusatone il contenuto, iniziarono a mangiare, permettendo ai due spettatori di osservarli meglio: erano quattro gattini a pelo corto, di una razza indefinibile, ma tutti caratterizzati da una coda molto lunga e da orecchie ampie con un simpatico ciuffetto sulla punta. Due di loro erano a pelo grigio con delle striature brune, il terzo era completamente nero e il quarto, il più piccino, era un albino dal pelo bianco e gli occhi rossi.

-Dobbiamo dargli dei nomi!- gesticolò entusiasta Vincent, agitando le gambe che, per l'emozione, non riusciva proprio a tener ferme.

-Va bene- rispose Chiara -Comincia tu.

-Quello nero si chiama Baghera, come la pantera de Il libro della giungla.

-Allora quello striato a destra si chiama Raja- ribatté, ridacchiando, Chiara.

-Quell'altro a sinistra lo voglio chiamare Doppler, perché le sue righe mi ricordano il disegno del mio libro che descrive l'effetto Doppler.

-E quello bianco come lo chiamiamo?- chiese Chiara, divertita e al contempo sorpresa dal fatto che un bambino di sette anni conoscesse anche solo l'esistenza dell'effetto Doppler.

-Quello bianco si chiama...- Vincent rimase per qualche istante a osservare il vuoto, alla ricerca del nome perfetto per l'ultimo gattino; era talmente concentrato che Chiara poteva quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi freneticamente: -Quello lì si chiama Sirio- stabilì alla fine Vincent -Come la stella bianca della costellazione del Cane Maggiore.

-È un nome perfetto! Non avrei potuto sceglierne uno migliore. Ora, però, è ora di andare a dormire.

-Ma domani non ho scuola!- ribatté contrariato Vincent, aggrappandosi con le mani allo spigolo del gradino; Chiara alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia, spogliandosi del vestito dell'amica-complice e assumendo il ruolo dell'adulta a cui si deve prestare ascolto e, così, dopo una stregua resistenza (ulteriormente indebolita dal fatto che stava crollando dal sonno) Vincent si arrese. I due nascosero le ciotole vuote e rientrarono nel condominio, si salutarono sul pianerottolo del secondo piano e, una volta che il bambino fu scomparso dietro la porta, Chiara fece ritorno al suo appartamento, dove Talia, comodamente distesa sul divano, aveva tolto il rotolo di tela di lino e i barattoli di gesso e colla dal mobile e aveva inserito il DVD nel lettore.

-Finalmente sei tornata!- esclamò la cantante, sentendo la porta dell'appartamento chiudersi -Pensavo che quel bambino ti avesse rapita e imprigionata a Narnia.

-Ti sorprenderà, ma non mi lamenterei proprio se qualcuno mi portasse a Narnia- rispose Chiara, che aggiunse un attimo dopo -Scusa se ti ho fatta aspettare, ma Vincent non voleva saperne di tornare in casa.

-Che bambino timido...- considerò la cantante, voltandosi nella direzione dell'amica e incrociando le braccia sullo schienale del divano.

Chiara rimise la busta del cibo per gatti nel mobile della cucina e, presa quella delle crocchette di Annibale, gli riempì la ciotola e rimase per qualche istante fissa a osservarlo mangiare: -Devi perdonarlo se non ti ha risposto- rispose alla fine -È sordomuto e non sa ancora leggere bene il labiale.

-L'avevo capito quando ti sei messa a fare tutti quei gesti con le mani- ribatté Talia, tornando a distendersi sul divano -Non sapevo conoscessi il linguaggio dei segni.

-So solo qualche gesto... le parole più comuni, l'alfabeto... insomma, il minimo indispensabile per comunicare, ma sono ben lontana dal conoscerla bene.

Chiara appese la giacca sull'appendiabiti e si sfilò le scarpe, poi, raggiunto il salotto, si buttò a peso morto sul divano, emettendo un lungo sbuffo: -Sono sfinita: questa giornata non finiva mai! Hai già ordinato la cena?

-Sì, mia cara- rispose Talia, mostrando il proprio telefono cellulare -Ho ordinato il tuo cibo preferito, spero vada bene.

-Andrà benissimo, grazie. Posso sapere ora che film stiamo per vedere?

-No, non ancora- ammiccò la cantante, nascondendo la custodia del DVD dalla vista dell'amica -Non lo saprai finché non sarà arrivata la cena e potremo mangiarla durante la visione.

-Quanti misteri per un film noleggiato da Blockbuster!- rise Chiara, accarezzando la schiena di Annibale, che, finita la pappa, era salito con loro sul divano.

Talia rise di gusto e ammiccò all'amica con l'aria di chi la sa lunga e, finalmente, il citofono suonò, annunciando l'arrivo del corriere del ristorante cinese. Chiara si alzò a rispondere e, riferiti al fattorino il piano e il numero dell'appartamento, andò ad accoglierlo, per poi rientrare in casa con due buste cariche di cibo profumatissimo.

-È il momento di rimpinzarsi!- esclamò allegra Talia, fregandosi le mani; Chiara appoggiò i sacchetti sulla penisola della cucina, proprio sopra i disegni della notte precedente, dimenticati e abbandonati là sopra, ma che attirarono l'attenzione di Talia: -Attenta!- esclamò, correndo a sfilare i fogli da sotto le buste.

Prima che Chiara potesse reagire, la cantante, cogliendo l'occasione, si mise a sbirciarli, restando a bocca aperta: -Arianne sono bellissimi!

-No, sono solo degli schizzi fatti di fretta- rispose quella, facendo spallucce -Figurati che me li ero dimenticati.

La cantante rimase per qualche istante a studiare con attenzione la grafite impressa sulla superficie rugosa della carta e nei suoi occhi l'ammirazione venne sostituita dal sospetto: -Pensavo che non fossi una grande fan di Spiderman, come mai hai fatto dei disegni su di lui? Il mio compleanno sarà solo tra sei mesi.

Chiara, tra il ritardo della mattina e la crisi di Talia per il provino, aveva totalmente rimosso dai suoi pensieri l'incontro con il vigilante, che, riaffiorato nella sua memoria, era tornato a tormentarla con il senso di colpa per la leggerezza commessa. Dall'altra parte, però, le offriva l'occasione per far dimenticare alla sua amica, una volta per tutte, il brutto ricordo del provino.

-Oh nulla di che- iniziò Chiara, ostentando un tono fintamente noncurante -Mi è solo capitato di incontrarlo ieri notte.

L'espressione che si disegnò sul viso di Talia fu impagabile e ogni volta che, anche diverso tempo dopo, Chiara tornava a pensarci, doveva fare un notevole sforzo di autocontrollo per non scoppiare a ridere: gli occhi della ragazza si sgranarono, diventando il doppio della loro larghezza, la bocca si aprì come se la mascella stesse per cadere ai suoi piedi e le narici si dilatarono. Se fosse stato uno di quei vecchi flipper, pensò Chiara, sulla sua fronte sarebbe comparsa la scritta Tilt.

-Co...cosa vuol dire che lo hai incontrato?- balbettò finalmente Talia, il cui cervello stava elaborando lo shock.

-Che tornando a casa mi ha salvata da un rapinatore e ci siamo fermati a scambiare due parole- rispose tranquillamente Chiara, godendosi fino all'ultimo tic facciale la reazione dell'amica.

-E cosa aspettavi a dirmelo, brutta antipatica? E...- iniziò infervorata Talia, che improvvisamente si bloccò, poi, con un tono di voce più basso, chiese: -Aspetta, un rapinatore ti ha minacciata?

Improvvisamente la sua espressione cambiò, come un giorno di sole muta in pioggia battente, e i suoi occhi si velarono di lacrime, lasciando Chiara, che tutto si sarebbe aspettata tranne quello, esterrefatta.

Talia le si avvicinò e, afferrandola per le spalle, disse con voce rotta: -Dannazione, Arianne, come è successo? Ti ha fatto del male? Perché non mi hai chiamata? Sarei corsa ad aiutarti! Chissà che paura avrai avuto... E io che ero così giù per il mio provino mentre tu avevi rischiato la vita! Mi dispiace, tesoro!

Davanti alle lacrime dell'amica, Chiara sentì come una secchiata d'acqua gelata caderle addosso: non aveva immaginato che Talia potesse reagire in quel modo. Abituata ad avere a che fare con persone di ben poco valore morale (e un mostro dello stampo di Phoneus), per Chiara essere minacciata da un criminale, per quanto pericoloso, non era poi gran cosa; non aveva pensato che per Talia la situazione sarebbe stata ben diversa e si sentì una stupida per averla fatta preoccupare in quel modo.

-Talia- sospirò, abbracciandola e facendole appoggiare il capo sulla sua clavicola -Sto bene, davvero. Non mi è capitato proprio nulla e mi dispiace tantissimo per non avertelo detto subito, ma era tardi e non volevo farti preoccupare inutilmente. E poi c'era Spiderman! È stato davvero un eroe: ha avvolto quel criminale nella sua tela prima ancora che potesse anche solo toccarmi con un dito.

A quelle parole e sotto le carezze rassicuranti dell'amica, i respiri di Talia, da brevi e irregolari, interrotti dai singhiozzi, tornarono ad essere progressivamente lunghi e rilassati e, dopo qualche secondo, sciolse abbraccio per guardare Chiara direttamente negli occhi: -Promettimi che da adesso in avanti, se ti capiterà qualcosa me lo dirai subito e mi permetterai di aiutarti. Promettilo!

-Potrei prometterti di non cacciarmi più nei guai- cercò di metterla sul ridere la ragazza, ma lo sguardo di Talia le fece comprendere che quella richiesta era molto più seria di quanto si aspettasse.

Emise un lungo, pesante sospiro: -Va bene- concesse alla fine -Però adesso ci mettiamo a mangiare o si raffredderà tutto e non ho proprio voglia di cinese riscaldato al microonde.

Soddisfatta della promessa ricevuta, la cantante sbozzò un mezzo sorriso e, prendendo dai sacchetti sul tavolo gli involucri di stagnola ancora caldi, disse con voce roca: -Accidenti... Oggi è stata proprio la giornata delle lacrime.

-Può ancora finire in risata!- ammiccò Chiara, prendendo la sua razione di cibo e lasciandosi cadere sul divano -Sto ancora aspettando di scoprire che film hai scelto.

-Hai ragione!- tornò a sorridere la cantante, riaquisendo la sua naturale vivacità -Sono certa che ti piacerà un sacco!

Talia prese la sua scatola di cibo dal sacchetto, inforcò le bacchette e seguì l'amica sul divano, dove agguantò il telecomando e premette il tasto Play.

Il televisore si accese e sullo schermo apparve la scritta Zombieland

Chiara lanciò uno sguardo interrogativo alla ragazza al suo fianco, la quale, già addentato un gustoso involtino primavera, rispose con un occhiolino e si voltò di nuovo verso lo schermo.



Angolo dell'autrice: salve a tutte e bentrovate alla fine del capitolo 4 di Panacea Project ! Grazie per la grande pazienza che state portando: poter pubblicare un solo capitolo al mese è una gran rottura -__-" Spero, ad ogni modo, che quello che avete letto finora sia valsa l'attesa.

Dunque, in primo luogo vorrei ringraziare _Adamma_ per aver iniziato a seguire la storia e fera_JD per averla inserita tra le preferite! ^-^ Inoltre, uno speciale ringraziamento va a AlessiaOUAT96, Glendolina, Emily Mortensen e Ragdoll_Cat che mi accompagnano in questo percorso, sotenendomi con le loro bellissime recensioni e ripagandomi dell'impegno e del tempo speso nella scrittura! Grazie di cuore! ^-^

Anyway, eccoci di nuovo qui: con un passettino minuscolo dopo l'altro la storia prosegue e, grattando sulla superficie, scopriamo che sotto il lucente strato dorato dell'eroe di Manhattan, si nasconde il male della ruggine. Pensieri, ricordi e parole che corrodono e intaccano la solidità dello spirito del nostro ragnetto. Fortuna che c'è zia May!

Notiamo anche che la nostra Chiara non ha perso il suo naturale istinto di protezione nei confronti dei bambini e, memore della piccola Myria nella lontana Asgard, ha stretto amicizia con l'entustiasta Vincent.

Flashback e lacrime anche in questo capitolo non mancano, spero che non suoni troppo ridondante per voi, in caso contrario fatemi sapere e cercherò di migliorarmi più avanti.

Lo facciamo un gioco? Ma sì, facciamolo! Dunque, in questo capitolo c'è un piccolissimo Easter Egg, il primo che lo trova vince in anteprima, come messaggio privato, la prima riga del prossimo capitolo ;)

Aiutini: 1. L'avevo già sugerito in un capitolo precedente; 2. È all'infuori del MCU.

Vi mando un grosso abbraccio e alla prossima!

Lady Realgar

   
 
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