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LA FELICITA'
PIU' GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il
suo cuore bramava, e tardò
molto ad averlo, e forse non c'è felicità
più
grande".
(Jorge Luis
Borges,
L'Aleph)
-6-
«Le
donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non
devono temere di attraversare gli sterminati campi
dell’irrazionalità’, e neanche di rimanere
sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non
devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel
buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere,
scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà
mai».
- Potete sistemarvi in camera mia -. Le fa strada all'interno della
piccola abitazione. Armeggia per accendere una lanterna, mentre
Camille aspetta sull'uscio che l'uomo le faccia luce.
- Non è granché, ma... -
- Andrà benissimo, grazie. Chiedo solo di sdraiarmi un poco
-.
Non ha bisogno di fingere una resistenza che non ha più.
Tutto
quello che è successo in quella stanza se lo porta ancora
appresso (1), il cuore ricolmo
dell'emozione che ogni nascita racchiude in sé.
Quando un chiarore giallognolo si diffonde contro le pareti
bianche Camille varca del tutto l'ingresso. Basta un'occhiata
per
cogliere l'intera stanza, e rendersi conto che si tratta di una cucina.
Un tavolo, alcune sedie, una credenza, un camino, un sofà
dal colore
indefinibile, una specie di scrittoio addossato a una parete, stivali e
attrezzi in un angolo, una spada, nel suo fodero di stoffa, e
un
fucile. La descrizione di un uomo, anche, o non del tutto.
Gli occhi di Alain sembrano ancora più scuri, o forse
è
solo la notte di cui si sono imbevuti, attraversando la strada
ancora fangosa, odorosa di terra bagnata e di erba, di fiori scossi dal
temporale, di paglia e di animali, che ancora non li abbandona.
- C'è dell'acqua... se avete bisogno di rinfrescarvi. Vi
cerco un telo pulito -.
Alain senza esitare supera il tavolo che occupa il centro della stanza,
e si eclissa svoltando verso destra. Dopo poco un'altra luce si
riverbera tremolante dove è entrato da pochi minuti. Deve
averle
acceso un treppiedi o un'altra lampada. Camille non si è
mossa. Un
flebile imbarazzo l'ha trattenuta in cucina, come se seguirlo nella
camera da letto le fosse sembrato qualcosa di troppo sconveniente.
- Spero che riusciate a riposare -. Si è affacciato di
nuovo sulla cucina, la lanterna ancora nella mano, che getta ombre
calde sul volto e la camicia chiara.
- E voi? -, chiede finalmente Camille. Lo chiede con un tono accorato,
di sincero interesse, e Alain sorride di tanta premura.
- Mi sistemerò qui -.
Il volto sereno non lascia adito a dubbi, e la ragazza è
veramente troppo stanca per continuare ad indagare. L'alba non sembra
in fondo poi così lontana. Si manifesterà lenta,
ma
inesorabile, inghiottendo la notte e le sue ombre... e il
disagio
reciproco non durerà poi molto.
- Bene allora... Buona notte, Alain e... grazie -.
Lo supera, abbassando il mento, sviando velocemente gli occhi
dai suoi, sentendoseli addosso, che la seguono, fino a che gli stivali
non si muovono nella direzione opposta. Li sente fermarsi,
pesticciare un
poco, indecisi, valutare il punto meno
scomodo dove accamparsi, e li immagina infine gettati
via, giacere, sul pavimento, scomposti, là
dove sono caduti, uno sull'altro.
E' sola adesso.
La stanza non ha una porta da chiudere, ma una specie di tenda da far
scorrere, a piacimento. La tira, accostando le estremità al
legno della
cornice, notando che non è abbastanza larga da coprire
l'intero
specchio dell'apertura. Ma dalla cucina non proviene nessun rumore,
solo un bagliore tremulo, e inoffensivo.
Si avvicina al letto, e si siede.
Niente a che vedere con la morbidezza soffice del materasso della sua
stanza alla villa, eppure il corpo si adagia senza remore a quel
contatto.
Si toglie le forcine di perle che ancora le restano tra i capelli, e le
raduna su un tavolinetto tondo. Le
dispone lentamente, in una fila perfetta, come se quell'ordine potesse
ripercuotersi anche dentro di lei, e calmarla un poco... risistemare le
esperienze, riclassificare i pensieri...
Respira
lentamente mentre completa il disfacimento dell'acconciatura, o meglio,
di quel che ne rimane, e si ravviva i capelli con la mano,
sciogliendo le ciocche, allungando i riccioli verso la nuca e il collo,
lisciandoli sulle spalle.
Dormirà vestita, è evidente. Si toglie gli
stivali,
sibilando soddisfatta. In quella mossa, una manica della camicia
sale disvelandole il polso. Si ferma a guardarlo, quasi
attonita.
Ci
sono dei lividi rossastri, e devono essere gli affondi delle dita di
Eugénie, aggrappata a lei, nello spasmo delle spinte.
Non aveva sentito nulla, sul momento, presa da quanto stava vivendo.
Come a volte non ci accorgiamo dei segni che restano impressi nel
cuore, se non perché, quando meno ce l'aspettiamo, diventano
dolenti.
Si stende, massaggiandosi il polso. Adesso, che lo sa, fa
quasi male.
La notte è femmina.
Si ritrova a pensarlo, Alain, con un ghigno che gli infiora le
labbra,
steso alla bell'e meglio sul sofà troppo corto per
un uomo
della sua statura. Una gamba piegata e l'altra che scivola fuori, e si
appuntella sul pavimento di pietra fredda. Un braccio chiuso sugli
occhi, nonostante sia buio, e non ci sia nulla da vedere.
Femmina,
ripete tra sé.
Perché la notte si insinua nei sensi come il profumo di una
donna, e li
confonde. Dolce, a volte; più spesso amara, come il
rimpianto di una conquista
perduta, o una donna troppo furba per lasciarsi afferrare.
All'apparenza immobile e senza fine, come una bellezza senza tempo,
solo da ammirare. Oppure agile, come un corpo giovane e veloce, che
cerca e raggiunge in fretta il piacere, più volte.
Ed è
già l'alba.
Un fruscio lo fa sollevare di scatto.
- Io non... scusatemi, vi ho svegliato -.
Ha calze di seta ai piedi, i capelli sciolti e confusi.
Immobile.
- No, non stavo dormendo. Nemmeno voi però -.
- Cercavo un bicchiere d'acqua ... -.
Si alza, le offre una sedia, e provvede a cercare e riempirle un
bicchiere.
- Solo questo? -.
Posa la lampada sul tavolo, in tempo per scorgere le sue mani sottili,
venate d'incertezza, che cercano il bicchiere e lo portano alle labbra.
- No, non solo questo -.
Alain afferra altro, nel buio della stanza, e si siede anche lui, di
fronte alla ragazza, versandosi del vino.
Un sospiro, e poi solo silenzio. Gli pare di vederseli addosso, quegli
occhi azzurri e trasparenti, come l'oceano che tante volte scorge dalla
cima del suo campo.
- Cosa siete venuta a fare ad Arras, Camille? -.
E' una domanda, ma non sembra tale. A volte c'è solo bisogno
di
un piccolo incoraggiamento perché un cavallo inizi a
trottare...
o un'anima ad aprirsi.
- A prendere tempo -.
- Tempo? -.
- Sì -.
- E pensavate di trovarlo in un cimitero... questo tempo che vi
occorre? -.
Deve aver alzato repentinamente la testa, perché Alain
intuisce
uno sbuffo di riccioli, che ondeggiano e poi si ricompongono. E sorride
suo malgrado.
- Beh, un tempo eterno potrebbe essere sufficiente... sì -.
Ride. Dapprima timidamente, nella gola. E poi a labbra schiuse,
lasciando che la testa si arrovesci un poco.
- Siete molto bella quando ridete -.
Non le lascia il tempo di imbarazzarsi, e si alza, prendendo il lume.
- Volete vedere una cosa? -.
Seduti sulla panca, sotto la pergola, nella piccola corte.
Il tempo di indossare di nuovo gli stivali, ed ecco che osservano, in
silenzio, la notte.
La pioggia ha lasciato un'aria fresca, foriera di brividi, e Camille ha
sulle spalle la
mantella che Alain le ha procurato, e la stringe, le gambe
rannicchiate al petto.
- E' il vostro rifugio, questo? - chiede la ragazza.
- Sì. E' il motivo per cui ho scelto proprio questa casa, e
non altre... -.
- E venite spesso qui... anche di notte? -
- Sì -.
- Allora molti pensieri vi tengono sveglio, Alain -.
- E a voi Camille... quali pensieri vi tengono sveglia? -.
E' strana la confidenza che il buio crea. Forse perché degli
occhi si intravvede appena il bianco, che guizza con innocenza, senza
ferire. O perché tutto rimane sospeso, più
fragile, ed è facile fidarsi di chi si espone allo stesso
gioco. Né vincitori, né vinti, solo pensieri
sparsi da gettare sui piatti della bilancia, e fare in modo che restino
in equilibrio.
- Se mi sposassi... adesso... non diventerai altro che la moglie di un
ricco proprietario terriero. Farei la dama, null'altro. E non
è quello che desidero veramente. Ci ho riflettuto
così tanto da sentirmi quasi perduta, ma non
è quello che voglio -.
- E cosa volete, veramente? -.
Non ci sono più nuvole nel cielo, se non striature lunghe e
inoffensive, che la luna inargenta e sfilaccia.
Le guarda, Camille, mentre ascolta assorta il canto ipnotico
dell'assiolo, che trapunta il silenzio dei campi, e lo riecheggia.
- Mi piace scrivere... ma dopo stasera, mi piacerebbe anche aiutare le
donne a partorire -.
L'uomo immagina le guance fattesi rosse d'imbarazzo, e non risponde
subito. Beve un altro sorso di vino, prima.
- Le idee non vi mancano. E anche il temperamento. Riuscirete a
decidere del vostro destino, non temete. E tuttavia... siete sicura che
non siete figlia di Oscar e André? Assomigliate molto... ad
entrambi -. (2)
Alain si alza, sparisce dentro casa, e poco dopo, quando fa ritorno
nella piccola corte, ha in mano qualcosa, che Camille non vede bene
nell'oscurità. Sembra un quadernetto, un libricino,
indefinito il colore della rilegatura, ombra su ombra nel buio ancora
denso che precede l'alba.
- Siete una scrittrice avete detto... credo che questo dovreste tenerlo
voi -.
Glielo porge, e nella sua mano grande sembra ancora
più piccolo di come non sia in realtà.
Camille ne accarezza il dorso, il laccio di pelle che lo chiude in un
fiocco, girando intorno alla copertina. Odora, di carta e di muffa, e
altro, che non saprebbe dire.
- Era di André. Dio solo sa quanto scrivesse quel ragazzo!
Sono sicuro che ci si sia finito quell'unico occhio che gli era
rimasto, su quelle carte. Scriveva, nella branda, di notte. Aveva
sempre qualche mozzicone di candela da parte, non ho idea dove
li trovasse. E poi lo sentivo graffiare la carta, e girare i fogli. Ma non gliene ho mai parlato. Io non
sono uno che... non sono uomo
di lettere. Quelli erano fatti suoi, e tali dovevano
restare. Ma quel giorno...
il giorno che rientrò in caserma con il Comandante e
decidemmo di disertare... mi prese da parte, e me lo ritrovai
tra le mani. "Io non ne ho più bisogno", mi disse. "Sono
felice adesso" -.
Sospira, mentre torna seduto, gli occhi alla pergola che un vento
sottile e teso fa muovere, frusciando un poco.
- Felice? -.
- Sì. Credo di aver capito subito cosa intendesse. Era
così evidente. Gli occhi del Comandante brillavano di una
luce che non avevo mai visto, e aveva... aveva dei fili d'erba tra i
capelli -. Ride, a quel ricordo. - Mi divertì a metterla in
imbarazzo facendoglielo notare, di nascosto agli altri. Mi
guardò sbarrando gli occhi, e poi chiudendoli, in un
sorriso. L'ultimo, che le vidi -.
Camille carezza ancora il quadernetto, lo stringe in grembo,
con entrambe le mani.
- Non credo di essere degna di questo dono che mi fate... E se lo dette
a voi, avrà avuto i suoi motivi -.
- Oh, ne siete sicuramente più degna di me. Lo dette a me
per il semplice motivo che ero l'unico amico che avesse... Io non l'ho
mai aperto... voi fatene pure l'uso che più vi aggrada -.
- E' un dono bellissimo. Vi ringrazio di cuore... -.
Lo guarda mentre ancora rigira tra le mani quel regalo inaspettato.
Guarda l'uomo che le siede accanto, l'espressione seria che gli si
è dipinta sul volto, il profilo contratto, il respiro
trattenuto.
- Venite con noi in Inghilterra, Alain -.
Lo ha detto di getto, con l'irruenza che le è tipica. E lo
ripete, incalzandolo, certa che sia la cosa più giusta da
dire, e che forse non le sarà data una seconda
possibilità.
- Venite con noi in Inghilterra, Alain. Potreste trovare lavori
interessanti... molto più che fare... quello che state
facendo qui -.
- Io sto benissimo qui -.
- Oh, davvero? Davvero lo giurereste signor Soisson... che fare il
vangatore di campi dove non cresce nulla... o il custode di un
cimitero... è la massima vostra aspirazione nella vita? -.
- Voi non sapete di cosa state parlando... -.
- No? Bene... potete spiegarmelo, allora, di grazia, di cosa stiamo
parlando? Del perché un uomo d'azione come voi... un uomo
che aveva la piena fiducia di mia zia Oscar, e solo questo basterebbe a
definirvi un uomo di valore... perché un uomo come voi si
ostina a rimanere in un posto del genere? E non ditemi che è
per la pergola... ci sono bellissime pergole in Inghilterra -.
Preso alla sprovvista, quasi non riesce a rispondere.
Come spiegare il sentimento che anno dopo anno lo ha tenuto legato a
quel luogo... fino a diventare un male sottile, e nascosto, quasi
dimenticato, nella quotidianità delle piccole cose. Non
sempre si sceglie... a volte è la vita che, semplicemente,
va. Come la sua, in quei lunghi anni.
- E' perché li avete visti morire? Lo sento da come
ne parlate che eravate molto affezionato a mia zia e ad
André... -.
La foga di Camille s'infrange d'un tratto. Alain ha le mani alle
tempie, i gomiti sulle ginocchia, e bassa è la voce che
sembra fuoriuscire dal nulla.
- Non avrebbe dovuto starle sempre appresso a quel modo... -.
Si muove spontanea la mano, e lenta, sulla spalla di Alain... un uomo
così forte, un dolore grande, per un cuore buono.
- Maledizione, non avrebbe dovuto starle sempre attaccato a quel modo -.
- Deve essere stato atroce essere presente alla sua morte ... -.
E' poco più di un sussurro, il suo, ma così
dolce, che lenisce un poco il suo sconforto.
- A dir la verità... non l'ho visto morire... ma era stato
preso in pieno petto, sì. Ho ancora nelle orecchie l'urlo
del Comandante... certe notti sembra così vero che mi
sveglio di soprassalto, e allora vengo qui... sotto la pergola -.
Si fa più decisa la stretta sulla spalla, mentre il racconto
fluisce : - Ma non c'era tempo per disperarsi. Oscar vegliò
André per tutta la notte, e poi, il giorno seguente, quando
vennero a chiederci aiuto per assaltare la Bastiglia, lasciammo
André nelle mani di alcuni dottori e ci unimmo al popolo.
Era un Comandante, vostra zia. Non si sottrasse al suo dovere, mai...
nemmeno quando avrebbe dovuto rifutarsi. La colpirono, dalla Bastiglia,
mentre dava l'ordine di fare fuoco. Era una testa matta, c'è
poco da fare. Se ne stava là in piedi, sprezzante del
pericolo, la spada alzata... avreste dovuto vederla! La colpirono, e io
presi il suo posto. Avrei buttato giù la Bastiglia a calci e
pugni, se ce ne fosse stato bisogno, tanto ero fuori di me. E la
abbattemmo in effetti, una cannonata dietro l'altra. La prima vittoria
del popolo di Parigi... ma non vi starò a narrare cosa
successe poi... fu uno spettacolo orribile, anche per uno come me che
si impressiona difficilmente. E quando tornai alla base, a notte
fonda... avevo salvato la pelle per un pelo... mi dissero che... che
Oscar e André erano morti. E che avrei dovuto portarli ad
Arras, dove avevano espresso il desiderio di riposare insieme, nel
luogo della loro infanzia. E così feci. Uscì da
Parigi illeso per miracolo... il resto, lo vedete anche voi -. (3)
E' ancora sulla spalla la mano di Camille, quando Alain raddrizza il
busto e si appoggia al muro.
E per la prima volta si guardano... si guardano, gli occhi affissi
l'uno all'altra. Si guardano, l'uomo e la ragazza.
Chissà cosa stanno pensando. Quale il desiderio che
attraversa le loro menti, e accelera un poco il battito del cuore,
perché a volte non serve molto per sentirsi ancora vivi.
- Venite a pranzo da noi, Alain. Credo che mia nonna ne sarebbe felice.
Abbiamo una nascita da festeggiare -.
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(1) Riprendo la citazione leteraria di Alice Munro che
introduceva il precedente capitolo 5.
(2) Omaggio alle lettrici che nel primo capitolo avevano fatto ipotesi
sull'identità di Camille :)
(3) Ebbene sì... non è la storia che conosciamo
noi...
Non manca molto alla fine di questa storia. Grazie per l'entusiasmo con
cui la seguite, nonostante Oscar e André non ne siano i
protagonisti.
Vi aspettavate una notte di fuoco? :) mmm ... non dico nulla ...
Grazie di cuore a chi legge, chi lascia una traccia, chi segue e
preferisce.
Un abbraccio,
Amantea
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