RIMPATRIATA DI CAPODANNO
La
strada correva sinuosa e quasi priva di curve, spoglia di veicoli ad
ingombrarne la carreggiata.
Il
paesaggio, ovattato da una brina spettrale, rigogliva di pini ed abeti,
maestosi ed accoglienti.
La
macchina, un'Audi grigio metalizzata, procedeva di buona lena,
accarezzando l’asfalto non perfettamente liscio: lei e Mattia
non avevano avuto alcun dubbio a raggiungere il paese in auto,
piuttosto che con il certamente più comodo treno ma, il
caldo soffocante che si sarebbe respirato nei vagoni, sarebbe stato di
gran lunga peggiore della ghiacciata aria condizionata estiva.
"Non
vedo l'ora di rivederli, tutti quanti!" commentò il ragazzo,
le mani forti e sicure che accarezzavano il volante.
Aurora
guardò il ragazzo, intuendo che stava dicendo la
verità: dopo parte dell’estate trascorsa alla casa
rossa, in cui era stato accolto in maniera a dir poco calorosa da
Liliana, Linda, la signora Lina, il sindaco e tutti gli altri, Mattia
aveva accettato entusiasta l'invito della bottegaia, per trascorrere
qualche giorno in loro compagnia.
Mancava una manciata di giorni alla fine dell'anno, Aurora non aveva
avuto bisogno di chiedere alcun giorno di ferie, perché,
dopo il suo ritorno in città, oltre un anno prima, si era
licenziata dalla ditta tessile e, adesso, lavorava come stilista in una
piccola impresa di cui lei stessa era titolare.
Sorrise
al giovane, bellissimo ed elegante in un completo blu notte, la camicia
bianca e la cravatta rossa.
Lanciò
un'occhiata amorevole al suo profilo perfetto, i capelli tagliati
corti, castani, ricordando la limpidezza e la sincerità di
quegli occhi color nocciola, contornati dalle ciglia allungate, la
dentatura smagliante.
"Non
dici niente?" la riportò alla realtà,
pizzicandole con dolcezza un ginocchio, avvolto da un paio di collant
neri traforati.
"Scusami,
stavo pensando che anch'io sono felice di rivederli. Molto felice"
"Tommaso
e Andrea a che ora arriveranno?"
"Dovevano
passare un attimo in negozio, per dare disposizione ai dipendenti e
ritirare il panettone da portare. Credo saranno appena partiti
…" constatò Aurora, recuperando il cellulare che
aveva appoggiato sul cruscotto, nell'apposito porta telefono attaccato
al vetro, guardando l’orario sul display.
"Panettone?"
domandò avvilito Mattia, mentre imboccavano finalmente
l'ultima curva: il paese si apriva a pochi chilometri da loro,
sapientemente arroccato sulla montagna più bassa, il lago
-biancastro e piatto- si allungava davanti a loro, circondato da una
distesa di rami spogli e pungenti abeti.
"Lo
so che non ti piacciono i canditi e neppure l'uvetta, amore, ma Andrea
mi ha assicurato che te ne ha preparato uno speciale!"
Il
ragazzo si voltò per un istante verso di lei: le sorrise con
riconoscenza e, schioccandole un bacio a distanza, chiese:
"Ti
ho mai detto che ti amo?"
Aurora
fece finta di pensarci su, quindi, le labbra spalmate di un bel
rossetto morbido e burroso, constatò:
"Non
quanto spesso meriterei!"
La signora Lina ancora non si era rassegnata al fatto che il suo
Tommaso fosse "dell'altra
sponda".
Quando,
la scorsa estate, Aurora era ritornata al paese per trascorrere qualche
giorno alla casa rossa, a Ferragosto era arrivato anche il fratello e
il compagno pasticcere.
Apriti
cielo! La vecchietta era rimasta completamente sbalordita, mentre il
giovane vigile del fuoco, il coraggioso tenente Pastero, presentava
agli ospiti della villa Andrea, un altrettanto bel ragazzo, aveva
piacevolmente constatato la Lina, ma che non godeva della
benché minima classe del suo
eroe.
Da quando le aveva ceduto quella che avrebbe dovuto essere la sua
camera, alla casa rossa, dopo l'episodio increscioso della frana che
aveva scosso il paese l’anno precedente, la vecchietta non
aveva occhi che per Tommaso.
A capisci mia,
continuava a ripetere a se stessa e alle altre comari del Comitato, un bel fiöl insci
intelligente, cun
quel curac, forte, che le aveva tirato uno scherzo
talmente di cattivo gusto, da non riuscire a crederci.
Ma
si sa, al cuore non si comanda: per questo motivo, la Lina gli aveva
scritto un biglietto di auguri, qualche giorno prima di Natale, di suo
stesso pugno, per invitare Tommaso e quell’altro a
passare il Capodanno in paese, in modo da tenerli sott’occhio.
Dopo
che aveva personalmente spedito la busta, si era sentita sgravata di un
peso, felice di aver compiuto la missione che sarebbe diventata lo
scopo dei giorni a venire, fino a quando il bel vigile del fuoco non le
avesse confermato la sua presenza.
La
risposta arrivò non appena il servizio postale fu
ripristinato, dopo santo Stefano, e la riempì di pura e
infinita gioia: la vecchietta passò il resto della settimana
a cucinare primi piatti e dolci, oltre ad andare in città
alla ricerca di un negozio decente in cui scegliere un abito degno per un'occasione tanto importante.
Quando
ritornò a casa, accompagnata dalla signora Roberta, del
Comitato per le feste, la sera prima dell’arrivo di Aurora e
di tutti gli altri, la Lina si sentiva nuovamente giovane e desiderata:
si addormentò subito, senza neppure prendere la tisana di
rosa e cannella che era diventata la sua inseparabile compagna
notturna, scivolando in un sonno profondo e duraturo.
La villa era sempre lì, fiera e possente, a tratti persino
sprezzante.
Non
era cambiato nulla, dall'anno precedente e neppure dall'estate appena
trascorsa, il paesaggio sottostante era dominato da quel quadrato tozzo
ed elegante.
Dalla
finestra di quella che considerava la sua stanza, Aurora stava
ammirando il lago in lontananza, di un bianco spettrale e piatto, le
abitazioni della città avvolte da una soffusa bruma.
Il
viale che portava al cancello d'ingresso risultava asciutto, ma in
parte sconnesso, a causa del terriccio rivangato dallo scalpiccio delle
loro scarpe.
Il
campanile della chiesa barocca continuava a svettare orgoglioso, forse
solo un po’ più ingrigito dall'atmosfera invernale.
Persino
il gruppo di montagne e la foresta di pini ed abeti suggerivano
qualcosa di magico, quasi di fiabesco: i cocuzzoli erano spruzzati di
neve fresca, candida e dai contorni irregolari.
Aurora
si affacciò meglio al davanzale: stava cercando la distesa
dei campi, che d'estate avevano un intenso colore giallo dorato,
alternati a rigogliosi fili d'erba.
Adesso,
in quella tarda mattinata di fine anno, a testimonianza dei frutti
della terra, riusciva a rintracciare solamente dei rettangoli lontani,
brunastri, che le provocarono un'intensa sensazione di malinconia.
Quando
si trovava lì, tra le mura di pietra della villa, si sentiva
a casa, veramente a casa: le pareti spesse, le ampie e un po’
antiquate stanze, l'intricato giardino, ogni particolare aveva
contribuito a renderla la persona che era diventata, più
sicura e decisamente più serena.
L'incubo
della violenza, ormai, non tornava più ad oscurarle le ore,
a tormentarle le notti e a rovinare le sue giornate; le cose con sua
madre erano migliorate, non poteva negarlo, ma non sarebbero andate a
posto ancora per chissà quanto tempo.
Sorrise
tra sé e sé, all'idea della trasformazione
interiore che le era capitata: era pronta per ridiscendere da Mattia e
da tutti gli altri ospiti che attendevano nel salone, quando
sentì qualcuno bussare alla porta della camera:
“Volevo
avvisarti che siamo arrivati!”
La
voce allegra di Tommaso riempì la stanza, mentre Aurora gli
andava incontro, abbracciandolo.
“Avete
fatto in fretta! Come è andato il viaggio?”
“Molto
bene. Per fortuna, non abbiamo trovato traffico, solo qualche mucchio
di neve non ancora spazzata! E tu? Cosa mi racconti?”
La
ragazza invitò il fratello a sedersi sul letto, mentre anche
lei prendeva posto di fianco a lui:
“Dalla
Vigilia non è cambiato nulla: sono molto felice, non posso
lamentarmi, lo sai”
“E
con mamma? L’hai sentita?”
Aurora
abbassò lo sguardo, perdendosi in un sorriso appena
abbozzato.
“Con
lei è una battaglia già persa in partenza. Sai,
in macchina, prima, ho pensato per un attimo al nostro rapporto:
è migliorato, certo, ma ancora non riesco a fidarmi
completamente di ciò che dice, di ciò che fa.
Persino a Natale, quando parlava o guardava Mattia, temevo che potesse
dire qualcosa solo per farmi soffrire. Ho bisogno di tempo, Tommaso, e
questo lei lo sa”
“Ieri
sono andato a farle gli auguri di buon anno. Le ho detto che sarei
venuto a passare il Capodanno insieme a te… mi è
sembrata felice”
Lei
annuì, mordendosi un labbro.
Si
passò un dito lungo il tessuto verde della gonna, morbido e
scuro, poi appoggiò una mano sui pantaloni di velluto del
fratello: con lo sguardo, accarezzò la giacca color
cammello, la camicia bianca, gli occhi verdi e i capelli castani,
sempre cortissimi ed in ordine.
“Hai
ragione, forse sono io che esagero e non riesco a vedere il
bene nelle persone”
Tommaso
le cinse le spalle, abbracciandola e baciandole la nuca, pettinata in
una elaborata acconciatura.
“E’
meglio andare: di sotto ci stanno aspettando per mangiare. E poi, ho
bisogno del tuo sostegno … la signora Lina ha già
preteso di sedersi vicino a me, ma non credo di riuscire a sopportarla
per l’intero pranzo!”
La
ragazza scoppiò a ridere, una mano sulla bocca, scuotendo il
capo divertita.
“Nonostante
tu sia fidanzato, non vuole proprio saperne di lasciarti stare, eh?
Scendi pure, io devo finire di fare una cosa e ti raggiungo”
“D’accordo.
Allora ti aspetto qui fuori, nel corridoio, così scendiamo
insieme”
Aurora
si avvicinò alla finestra, scostando le tendine: banchi di
nuvole, soffici ed eteree, si affacciavano all'orizzonte;
assomigliavano a grandi meringhe, irregolari e dalle forme
più improbabili, eppure magnetiche allo sguardo.
La
ragazza stette per qualche istante con il naso all'insù, per
cercare di carpirne l'essenza, fino a quando un gruppo nutrito di nembi
cominciò a fluttuare nel cielo azzurrissimo, rincorrendosi e
quasi scomparendo ai suoi occhi.
Felice
di quella nuova pace interiore che era riuscita a conquistare,
uscì dalla camera e, seguita dal fratello, scese dabbasso,
accolta dal vociare festoso degli altri convitati e dal crepitio del
camino acceso.
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