Nota:
Kintsukuroi, riparare con l'oro. L'atto di
riparare le
ceramiche con dello smalto d'oro o d'argento e di capire che i
suddetti oggetti sono ancora più belli di prima proprio
perché si
sono rotti.
Ricordo che tutti i personaggi della storia sono
stati creati da Oda – anche Cancer, Stainless e qualunque
marine –
l'unico personaggio da me inventato è la madre di Bonney
perché mi
serviva una vittima sacrificale da far sposare ad
Akainu.
Il capitolo è leggermente nsfw, ma niente di spinto.
PRECISAZIONE: in quasi tutte le mie storie gli headcanon
si mantengono uguali, ovvero con Hina cugina di Bonney, e Bonney
figlia di Akainu.
Doppio aggiornamento a distanza di 24H perché
settimana scorsa mi sono dimenticata di postare e anche
perché 'sta
storia è finita da mesi e odio portarmi pesi morti dietro,
visto che
poi mi dimentico di aggiornare.
La
donna che si ritrovò di fronte era completamente diversa
dalla
ragazza che era partita un anno e mezzo prima. Stretta in un sobrio
completo borgogna, Hina rimase ferma sulla passerella della nave a
fissarlo; non lo aveva notato subito, era impegnata a ridere di
qualcosa che le era stato detto dal compagno in piedi dietro di lei,
gli occhiali da sole avevano riflesso per un istante il bagliore di
un raggio troppo diretto, quindi erano stati tolti e riposti in una
tasca della giacca, la sigaretta penzolava mollemente dalle labbra, e
solo quando un soffio di vento le aveva scompigliato malamente i
corti capelli rosa, tagliati in un sobrio caschetto, si era
finalmente voltata verso di lui.
Si
era girata e di fronte a lei, in fondo alla passatoia in legno,
c’era
Smoker.
Hina
aprì leggermente la bocca, lasciando cadere a terra la
sigaretta che
ancora fumava, e, senza pensare (né a come si erano
lasciati, né a
tutto il tempo durante il quale non si erano visti o sentiti), si
precipitò verso di lui, gettandogli le braccia al collo e
abbracciandolo con affetto.
«Sei
pesante» borbottò l’uomo passandole un
braccio lungo la vita e
stringendola leggermente a sé.
Lei
sorrise appena, il viso nascosto oltre la spalla dell’uomo,
con la
consapevolezza che per quanto tempo fosse trascorso Smoker era sempre
lo stesso.
«Mi
sei mancato anche tu, Klutz» mormorò a mezza voce.
L’uomo
sorrise appoggiandole una mano sul capo e scostandosi leggermente,
lasciò che la ragazza lo fissasse per un po’,
cercando di
individuare ogni cambiamento avvenuto durante quell’anno e
mezzo.
«Sei
diventato più grosso».
«E
tu hai tagliato i capelli» notò l’uomo
«Stanno bene, anche se
forse li preferivo lunghi».
«Perché
non li hai visti quando erano davvero corti…»
celiò Hina,
scoppiando a ridere «Sembravo un ragazzino. Tu piuttosto,
cos’è
quel coso?»
Smoker
seguì il suo sguardo e scostò il grosso bastone
grigio da dietro la
schiena.
«Intendi
questo? È un jitte, non lo vedi?»
«Mi
sembra un po’ fuori scala come jitte» fece notare
Hina,
prendendolo in mano e soppesandolo «Sono più di
due metri!»
«Il
boshin più lungo permette il combattimento a distanza e il
sentan è
fatto di agalmatolite, non sai mai chi ti trovi davanti».
«Oh,
e funziona?» domandò la ragazza incuriosita
«Aspetta, fammi
provare. Drake! Vieni qui!»
A
seguito di quel richiamo quasi urlato, lo stesso giovane che si
trovava dietro di lei poco prima, sul ponte della nave, scese
correndo e si fermo a pochi centimetri da loro.
«Eccomi!»
«Smoker
questo è Drake Barrels, l’abbiamo cattato su
qualche tempo fa
all’isola di Minion. Drake questo è Smoker,
l’amico di cui ti ho
parlato. Ora, vorresti dirgli che frutto del diavolo hai
mangiato?»
Il
giovane li fissò per qualche istante senza capire del tutto
il
perché della domanda, allungò la mano per
stringere quella
dell’uomo che gli stava di fronte e, sorridendo con
titubanza,
esordì: «In realtà Hina ne fa una
questione più grande di quella
che è, si tratta di uno Zoo Zoo Ancestrale, il Thero Thero
modello
Rex».
«In
pratica diventa un tirannosauro» sbottò Hina
interrompendolo e
tirandogli il jitte dritto in pancia.
Drake
si piegò su sé stesso, accusando il colpo che di
sicuro non era
stato dato con gentilezza, e si accasciò a terra del tutto
privo di
forze.
«Ma
cosa -»
«Funziona!
Eccezionale!» esclamò la ragazza ritraendo
l’arma e osservandola
con ammirazione «È stata una tua idea?»
Smoker
annuì riprendendosi il bastone e sistemandolo dietro la
schiena;
lanciò a Drake una breve occhiata quindi decise di ignorarlo
e
riprese a parlare.
«Ascolta,
stasera i ragazzi hanno pensato di organizzarti una festa di
bentornato, ma se non ti va posso dire loro di rimandare».
«No,
no, a Hina fa piacere. Drake vuoi venire?»
Il
ragazzo emise un gemito sconsolato, maledicendo velatamente il
momento stesso in cui aveva pensato che entrare in marina fosse una
buona idea.
«Portalo
pure, sarà al rifugio dopo le nove. Mi raccomando, non fare
commenti
sul tatuaggio di Verygood e non chiedere a Stainless dei suoi
baffi».
«Perché
cos’è successo ai baffi di Stainless?»
«A
quanto pare glieli ha tagliati un pirata durante uno scontro e si
è
finalmente deciso a rasarsi. Sembra che abbia di nuovo quindici
anni».
«Affascinante»
commentò Hina, disinteressandosi quasi del tutto
«Vado a salutare
mia zia e a fare rapporto, poi devo passare a presentare Drake ai
piani alti, quindi ci vedremo direttamente stasera».
Smoker
annuì, sorridendole appena nell’allontanarsi,
dopotutto aveva
aspettato un anno e mezzo per vederla e parlarle, attendere ancora
qualche ora non lo avrebbe ucciso.
Anne
accolse Hina come una figlia, aveva preparato per lei un pranzo fatto
in casa, e aveva ferma intenzione di sfruttare quel momento per farsi
raccontare tutto quello che aveva visto e fatto in quei mesi. Drake,
al suo seguito, fu preso d’assalto dalle domande, mentre
Bonney
passava dalla cugina al giovane sconosciuto con aria interessata.
Nell’ultimo anno e mezzo la bambina era cresciuta
più di quanto
Hina non si aspettasse e, anche se il fisico non si era ancora
sviluppato, si riusciva a intravedere la donna che sarebbe potuta
diventare.
«Se
non la pianti di mangiare come un maiale nessuno ti vorrà
mai»
sbottò Anne togliendo una fetta di pizza dalle mani di sua
figlia e
sedendosi a tavola.
«E
allora?» domandò Bonney allungando il braccio ad
afferrare un
cosciotto di arrosto «Io tanto non ci credo mica nel
matrimonio».
Hina
trattene una risata sarcastica e osservò sua zia sollevare
gli occhi
al cielo, rassegnata.
«Diventerai
obesa!»
«Hina
mi vorrà bene lo stesso».
«Hina
avrà di meglio da fare e stai dando spettacolo di fronte al
nostro
ospite!»
Bonney
si bloccò fissando il giovane sconosciuto, la sua curiosa
cicatrice
a forma di X sul mento e i suoi insoliti capelli ramati.
«Non
si preoccupi signora, sono abituato a peggio e poi è
soltanto una
bambina».
«Scusa
cosa?» la piccola storse il naso in una smorfia di disappunto
e
appoggiò nel piatto il cibo che stava mangiando.
«Bonney,
basta così» Hina allungò la mano verso
la bottiglia del vino e
sospirò leggermente, odiava interpretare il ruolo della
cattiva, ma
era meglio che sua cugina non parlasse troppo «Hina
è irritata,
stai seduta composta».
Anne
la ringraziò con uno sguardo, oramai incapace di prendere
sua figlia
per il verso giusto, e iniziò a domandare alla nipote di
raccontare
dei suoi viaggi.
Il
resto del pomeriggio fu ancora più sfiancante e il colloquio
con
Akainu si protrasse per un’intera ora; quello che
però le parve
strano, più di ogni altra cosa, fu la richiesta di Sengoku
stesso di
incontrare la nuova recluta.
Quando
finalmente riuscì a liberarsi, dopo avere spiegato a un
Drake
piuttosto disorientato come raggiungerla, emise un sospiro di
sollievo, sentendo di essere finalmente libera da qualsiasi impegno.
Marineford l’accolse come una casa, ogni angolo e ogni strada
le
erano familiari, e, mentre percorreva l’acciottolato che
conduceva
verso gli alloggi dei marine, le sembrò di rivedere i giorni
dell’addestramento. Si bloccò di fronte alla
pesante porta di
legno che dava sulle camerate, la tinta verde acqua andava sbiadendo,
staccandosi dall’asse in più punti; la sua mano
rimase sulla
maniglia per qualche istante, mentre alle sue orecchie giungeva un
sommesso brusio dall’interno, alla fine si decise e
sorridendo,
aprì l’uscio.
«Hina!»
Un
coro di bentornata e di gente che la salutava l’accolsero non
appena varcò la soglia della sala comune e si
ritrovò ben presto
avvolta nell’abbraccio invadente, ma affezionato dei suoi
compagni
di addestramento.
«Guarda,
guarda, la principessa torna a casa» Cancer
appoggiò il bicchiere
di birra sul tavolo e agitò la mano in segno di saluto,
facendole
senno di raggiungere il loro tavolo.
Hina
non sorrise, ma si avvicinò: Stainless, in giacca e cravatta
sedeva
a fianco dell’amico, e la ragazza dovette trattenersi non
poco per
non scoppiare a ridergli in faccia nel vederlo senza baffi. Si
sedette accanto a Smoker, piantando involontariamente lo sguardo sul
mento di Verygood e sul tatuaggio che vi spiccava sopra.
«Avevi
paura che ti mandassero in missione sotto copertura?»
domandò
divertita all’amico.
Verygood
la fissò per qualche secondo senza capire, quindi
arrossì
leggermente coprendosi il mento con la mano.
«Mi
piaceva la scritta “Marine”»
borbottò infine.
«Ti
sta bene».
«Sai
cos’altro sta bene?» domandò Cancer
sarcastico «Noi. Grazie per
averlo chiesto».
«Stai
zitto, demente» Smoker gli soffiò il fumo del
sigaro in faccia
beccandosi in risposta un dito medio.
«Hina
lo vede che state bene» disse accettando il boccale di birra
che le
veniva porto «Non mi piacciono le domande inutili. Piuttosto,
dov’è
Bradnew?»
«Non
lo sai? È diventato sottotenente di vascello, ha una
riunione fino a
stasera» sbuffò Cancer «Mica come noi,
ancora qui a fare i
pezzenti con i nostri gradi da sergente maggiore».
«Hina
è ammirata, e lei è ancora solo
caporale».
«Non
mi dire, come se fosse facile scalare la gerarchia. Stavamo
pensandoci qualche tempo fa ed è proprio vero che solo chi
è
davvero in grado di padroneggiare l’haki e chi ha ingerito un
frutto del diavolo può pensare anche solo di riuscire ad
ottenere un
grado decente» sbottò Stainless trattenendosi
all’ultimo minuto
dall’accarezzarsi i baffi che non aveva più.
«Stronzate»
Smoker sbuffò un soffio di fumo «Sai quanti
viceammiragli non
possiedono nessun frutto? Si tratta di ambizione e impegno e forza
fisica. Hai mai sentito da Zephyr che sia necessario per un marine
mangiare un frutto del diavolo per essere un buon marine?»
«Impara
a utilizzare l’haki, intanto. Poi ne potrai riparlare,
cazzone. E
anche tu mi sembra che in ogni caso sia ancora al grado di caporale,
o sbaglio?»
Smoker
fece una smorfia e per tutta risposta sollevò il dito medio,
lasciandosi andare contro lo schienale della panca e lanciando
un’occhiata in tralice a Hina, impegnata ad accendersi una
sigaretta.
«Da
quanto fumi?»
«Qui
tutti fumano, ma non mi sembra di fare il terzo grado a
nessuno»
rispose la ragazza ignorando la domanda «In ogni caso parlate
come
se fosse facile procurarseli i frutti del diavolo…»
Stainless
sollevò un sopracciglio.
«Non
mi dire, ora sei un’esperta in materia».
Hina
si chinò leggermente verso il centro del tavolo, facendo
cenno agli
altri di imitarla, quindi riprese a parlare abbassando leggermente la
voce.
«Lo
sapete che il governo era disposto a pagare cinque miliardi di beli
per l’Ope ope no mi?»
Cancer
cadde dalla sedia, Smoker quasi si strozzò con il fumo del
suo
sigaro, mentre la ragazza annuiva con aria seria.
«Stai
scherzando, spero» sibilò Stainless strabuzzando
gli occhi.
«Hina
è serissima. C’ero, la nostra nave era di supporto
a quella del
Vice ammiraglio Tsuru, doveva occuparsi lei dello scambio».
«Ma?»
chiese Smoker «Sento che c’è un
ma».
«Donquijote
Doflamingo».
«Intendi
il pirata?»
«Ah-ah».
«Merda!»
esclamò Cancer, portandosi il bicchiere alla bocca
«Puoi essere un
po’ più specifica, di grazia?»
«No,
non qui. In ogni caso costa procurarsi i frutti del diavolo e la
marina non è certo qui a distribuirli a destra e a
manca».
«Sì,
ma pensavo si parlasse di qualche centinaio di milioni o poco
più!»
«Questo
perché sei un coglione, Cancer. Quanto pensi che sarebbe
disposto a
pagare il governo per il frutto di Barbabianca o quanto pensi abbia
speso Sengoku per il suo?» frecciò Smoker.
«Hina
non crede che Sengoku se lo sia comprato il frutto del
diavolo».
«Non
è quello il punto, scema. Il punto è che a
seconda del frutto e
delle sue potenzialità cambia il prezzo, esistono interi
cataloghi
di frutti del diavolo e vengono fatte vere e proprie spedizioni di
ricerca per trovarli».
La
ragazza roteò gli occhi verso l’alto e
sospirò, come se non lo
sapesse, avevano seguito intere lezioni sulla storia di quei
benedetti frutti quando ancora erano a Tatemae.
«Non
mi dire, genio» celiò sarcastica «Noia.
Hina è annoiata, vado a
cercare Drake, credo si sia perso».
«Chi?
Il tuo nuovo spasimante?» chiese Cancer evitando, con
l’abilità
di chi ci ha preso la mano con gli anni, un calcio negli stinchi.
«Una
recluta, deficiente, e un amico».
«Si
può sapere dove hai tirato su una recluta? Non sei mai stata
esattamente Hina dal cuore d’oro che si prende cura degli
sbandati»
continuò Stainless al posto dell’amico.
La
giovane sbuffò, sistemandosi con una mano il ciuffo di
capelli che
le cadeva davanti al viso, accavallò le gambe e riprese in
mano il
boccale di birra che aveva appena abbandonato.
«Avete
mai sentito parlare di Diez Barrels?»
«Non
era commodoro?» domandò Verygood cadendo dalle
nuvole.
«Sì,
è quel commodoro che qualche anno fa lasciò la
marina per darsi
alla pirateria» continuò Stainless per lui.
«Ecco,
era suo padre» esordì Hina, ricevendo per tutta
risposta un fischio
ammirato.
«Era?»
chiese Smoker.
«È
morto. Doflamingo ha ucciso tutta la sua ciurma, ma non credo
avessero un bel rapporto, di sicuro non da quando Barrels si
è dato
alla pirateria. Drake ha sempre voluto fare il marine, ma ha visto
suo padre, che ammirava, tradire tutto quello in cui credeva, come
credi si sia sentito?»
«Non
lo so e non mi importa» sbottò Cancer
«Quindi lo avete cattato su
dove?»
«All’isola
di Minion, dopo la faccenda dell’Opi opi no mi».
«Interessante,
e quando dico interessante intendo “non mi interessa
assolutamente”» celiò Cancer,
continuando sull’onda del
sarcasmo «Quindi sei diventata una balia e ora vai a cercare
il
bambino smarrito, in pratica».
«Ma
stasera lo porti?» domandò invece Verygood.
«Hina
non porta nessuno da nessuna parte, se vuole venire viene. Ti sembro
un servizio di posta?»
«Io
spero che venga, voglio essere amico dei tuoi amici»
continuò
Verygood, senza mai togliere la mano dal mento e strappando un
sorriso ad Hina, che si ritrovò ad ammettere che aveva in
parte
sentito la sua mancanza, la mancanza di tutti loro.
«Cercherò
di convincerlo».
«Vuoi
stare calmo?»
«Come
faccio a stare calmo? Sono tutte persone di cui mi hai parlato
così
tanto e ho sinceramente paura di fare una brutta prima
impressione».
«Drake,
sii uomo. Hina detesta quando perdete tutti la testa, siete dei
rammolliti! Sei un marine e loro non ti mangeranno mica».
«Sì,
ma -»
«Niente
ma, basterà che tu gli faccia vedere i poteri del tuo
frutto. Dirai
a Cancer che ti piacciono i suoi capelli, a Verygood che il suo
tatuaggio è interessante, a Stainless che sta bene anche
senza baffi
e ti troverai già inserito nella loro combriccola di
deficienti».
«E
Smoker?»
«A
Smoker non piacciono le persone che cercano di piacere a tutti i
costi, in realtà a Smoker non piacciono le persone, ma non
importa.
In ogni caso non fare niente, se diventerete amici meglio, altrimenti
qualcosa mi dice che sopravvivrai lo stesso».
La
vecchia palestra non era cambiata, anzi, a suo modo era rimasta la
stessa, nonostante i tentativi che avevano compiuto, nel corso degli
anni, di darle un aspetto pulito e rispettabile. Era rimasto il loro
rifugio, e Cancer non si faceva alcuno scrupolo a cacciare in malo
modo le reclute che ogni tanto andavano a nascondervisi, sostenendo
che loro avevano diritto di anzianità e che quello era il
loro
antro. Hina aveva sempre detestato quella parola, ma in fondo al
cuore sentiva di concordare, c’era qualcosa di nostalgico in
quella
vecchia palestra abbandonata che dava sul mare; con un solo sguardo
si riusciva a vagare verso l’orizzonte e non ci voleva mai
molto
perché si perdesse a fissare le stelle o le navi che
lentamente
andavano e venivano, mentre rimaneva ad ascoltare i discorsi senza
senso dei suoi amici.
Fissò
le travi malmesse del pavimento e sorrise leggermente, entrando a
grandi falcate e salutando tutti con un gesto della mano, alle sue
spalle un Drake più titubante, quasi imbarazzato la
seguì a ruota,
facendo un cenno impacciato a quei volti sconosciuti.
«Questo
è Drake» disse solo Hina, prima di andare ad
appoggiarsi contro lo
stipite del balconcino, leggermente in disparte, in una posizione
dalla quale potesse vedere fuori.
Quello
era il suo posto speciale, e, quando si sedeva lì, raramente
gli
altri venivano a disturbarla, era come se dicesse “ecco, sono
qui e
partecipo, chiacchiero con voi e sono parte del gruppo, ma lasciatemi
mantenere la giusta distanza”.
Osservò
con aria distratta Smoker entrare dalla porta e lanciare
un’occhiata
al nuovo venuto, impegnato a mostrare agli altri gli effetti del suo
frutto.
«Come
se non avessero mai visto uno Zoo Zoo» mormorò a
mezza voce
sedendosi a fianco alla ragazza, con la consapevolezza che, se
c’era
qualcuno che poteva farlo, quello era lui.
Hina
sollevò le spalle, giocherellando distrattamente con un
pacchetto
ancora chiuso di sigarette, non fece resistenza quando Smoker glielo
sfilò piano dalle mani studiandolo con aria di chi si trova
per la
prima volta a osservare qualcosa di nuovo.
«Pensavo
non ti piacesse il fumo».
«Hina
ha scoperto che è un ottimo modo per scaricare lo
stress».
Il
giovane aprì il pacchetto ed estrasse con attenzione una
delle
sigarette sottili, se la portò alla bocca e
l’accese, aspirando
con fare incuriosito.
«Sta
roba fa schifo» sbottò passandogliela senza tanti
complimenti.
«Non
più dei tuoi sigari disgustosi» ribatte Hina,
accettando la
sigaretta e fermandola tra le labbra.
Per
qualche istante rimasero in silenzio, ad ascoltare le chiacchiere del
resto del gruppo, a cui Drake andava raccontando la sua storia.
«È
fuggito dalla gabbia per uccelli di Doflamingo?» chiese
Smoker a
bassa voce, in modo che non lo potesse sentisse nessuno al di fuori
di Hina.
«No,
si è semplicemente ritrovato all’esterno nel
momento in cui è
stata lanciata. È stata fortuna».
«E
come diavolo lo avete trovato?»
«È
scappato, era spaventato, Smoker. Hina non ha mai visto qualcuno
correre così, nemmeno noi. E non ti so dire se scappasse da
Doflamingo o da suo padre…»
«Diez
Barrels era un buon marine».
«Ma
non un brav’uomo» mormorò piano Hina
portandosi le ginocchia al
petto e appoggiandovi sopra il viso, lanciando un’occhiata
veloce
al ragazzo che stava parlando animatamente con gli altri membri del
gruppo «Lo abbiamo preso a bordo e il medico ha voluto
assicurarsi
che stesse bene… Smoker io ho visto i suoi lividi e non
erano
dovuti a una caduta nella fretta della corsa. Suo padre era un
animale».
L’uomo
piegò il viso in una smorfia di disprezzo e le
accarezzò con
delicatezza il capo.
«Per
la serie non giudicare un libro dalla copertina, vero?»
Hina
annuì.
«E
non è nemmeno la cosa più strana che sia
successa. Quel pomeriggio
Vergo venne a fare rapporto a Tsuru, era a capo della base
dell’isola
e non so cosa le disse, ma so per certo che il Vice Ammiraglio si
allontanò di fretta con un gruppo fidato di donne e quando
tornò
portava con sé un cadavere. Non ho idea di chi fosse, era
nascosto
sotto il telo per cadaveri della marina, quindi immagino fosse un
marine».
«E
quindi? Immagino ci sia stato uno scontro, i morti ci saranno stati
da entrambe le parti».
«Sì»
sussurrò Hina, a voce così bassa che Smoker
rischiò quasi di non
sentirla «Ma dicono che Tsuru piangesse quando lo ha
riportato sulla
nave. Non sappiamo nemmeno il suo nome».
L’uomo
rimase in silenzio per qualche istante.
«Gossip.
Non ti ricordi cosa dice tua madre? Non credere a tutto quello che ti
viene detto».
«Natsuki
non è la voce della verità, Smoker».
«Una
volta lo era, anche per te» le ricordò
l’amico sollevando un
sopracciglio.
«Sì,
lo era. E mi sbagliavo» rispose la giovane, senza fissare
niente di
preciso «Hai sentito i miei genitori in questi anni, per
caso?»
«Non
particolarmente» ammise «Anche se tua madre ha
chiamato un paio di
volte per salutarmi. Stronzate tipo feste di natale, compleanno,
promozioni».
«Capisco…»
«Ma
stanno bene, no? Non mi pare che sia successo niente di
grave».
Hina
girò il viso verso l’esterno, gettando il
mozzicone di sigaretta
oltre il parapetto del portico e rimase a fissare il cielo stellato.
«Stanno
divorziando. Natsuki ha scoperto alcuni traffici di mio padre non
proprio leciti, sostiene che stia trasformandosi in un’altra
persona e che non sia più l’uomo che ha sposato.
Ha deciso di
lasciarlo».
«Mi
dispiace».
«Non
è vero. Smoker ha sempre detestato mio padre e non ne ha mai
fatto
mistero. Stai pensando che è una decisione che avrebbe
dovuto
prendere molto tempo fa… E credo che tu abbia
ragione».
Il
giovane sbuffò, espirando una nuvola di fumo grigio,
allungò un
braccio e lo passò dietro la schiena di Hina, attirandola
più
vicina a sé.
«Non
mi potrebbe interessare di meno di tuo padre, né mi dispiace
per
lui. Mi dispiace che tu ci stia male, scema».
La
ragazza si scostò, scrollandoselo di dosso con un gesto
infastidito,
e lasciandolo profondamente interdetto.
«Hina
non vuole la tua pietà» sibilò irritata.
«Scusa?
Pietà?» Smoker strabuzzò gli occhi,
sinceramente sorpreso che la
sua migliore amica avesse davvero potuto interpretare le sue parole a
quel modo, sì, erano anni che non si vedevano, ma non voleva
credere
che le cose fossero cambiate a tal punto. Nemmeno si accorsero dello
sguardo preoccupato che lanciò loro Drake, né di
come Cancer lo
fermò scuotendo la testa e Stainless fece segno a tutti di
uscire:
si erano resi conto, forse anche prima che loro stessi lo
realizzassero, di quanto quei due avessero bisogno di parlare, dopo
essersi lasciati senza una parola per quasi due anni.
Hina
non rispose, rifiutandosi di girarsi verso di lui.
«Quella
non è pietà, Hina» sibilò
Smoker «E lo sai bene. Mi dispiace
perché mi preoccupo per te, è così
difficile da capire?»
«Non
ti ho chiesto io di preoccuparti per me!» esclamò
lei, con tono
freddo, senza mai alzare la voce più di quanto non avrebbe
fatto in
una normale conversazione «Pensavo fosse così che
funzionava tra
noi, non eri tu ad averlo detto?»
Smoker
si zittì improvvisamente, reprimendo con forza
l’istinto di
saltare in piedi e mettersi a urlare, consapevole che con Hina
avrebbe ottenuto solo l’effetto opposto e che per tutta
risposta
probabilmente se ne sarebbe andata mollandolo lì, senza una
parola.
«Sai
che non pensavo davvero quello che ho detto due anni fa».
«No,
non lo so».
«E
invece sì. Sono stato impulsivo e sono stato stronzo, ma sai
che non
pensavo niente di quello che ho detto, lo sai perché sei la
persona
che mi conosce meglio in assoluto a questo mondo».
Hina
gli lanciò uno sguardo carico di rabbia, non necessariamente
rivolta
verso di lui.
«Forse
Hina lo sa, ma non per questo è stato meno doloroso
sentirselo
dire».
«È
per questo che sei andata via?» chiese Smoker girandosi
completamente verso di lei e costringendola a voltarsi verso di lui.
Hina
rimase qualche istante immobile, ferma in mezzo alle gambe divaricate
di Smoker, seduto a sua volta di fronte a lei.
«Sì»
ammette infine, distogliendo lo sguardo «Cioè no,
anche. È stato
uno dei motivi, ma non l’unico».
«Due
anni. Hai preso e, senza dire niente a nessuno, sei sparita per due
interi anni, non una parola, non una telefonata, non una lettera.
Sapevo che eri viva solo grazie a tua zia e sapevo dove fossi solo
grazie ad Aokiji» sbottò Smoker perdendo la
pazienza «Mi vuoi dire
perché? E non arrampicarti sugli specchi».
«È
morboso» disse Hina piano, sollevando lentamente lo sguardo
«Era
morboso; non eravamo in grado di stare distanti per più di
due ore,
figurati due anni. Non abbiamo mai imparato a vivere separati e stava
diventando una situazione intossicante, così sono andata
via.
Pensavo e sono convinta ancora adesso, che sarebbe stato
d’aiuto,
che ci avrebbe insegnato a respirare. Anche quando era lontana Hina
sapeva che quando vi foste rivisti, le cose sarebbero tornate a
posto».
«E
come faceva Hina a saperlo se ha pensato bene di non parlarmi per due
anni?»
«Ho
fiducia in te» rispose la ragazza, arrossendo leggermente
«Ti
conosco abbastanza da sapere cosa ti passi per la testa».
«No,
non lo sai» sbottò Smoker alzando la voce
«Non mi hai lasciato
nemmeno la possibilità di chiederti scusa, lo capisci? Sei
sparita e
mi hai chiuso in faccia tutte le porte, e non c’era niente
che
potessi fare perché non mi hai lasciato alcuno spazio di
manovra!»
«No,
non l’ho fatto perché sapevo fin troppo bene che
se allora avessi
sentito le parole di cui avevo bisogno sarei tornata indietro,
subito».
Smoker
bestemmiò, spostandosi leggermente e tornando ad appoggiarsi
con la
schiena al muro, si passò una mano sugli occhi, senza
smettere di
mormorare improperi a mezza voce e fissò Hina per qualche
secondo;
la ragazza lo guardava con aria quasi malinconica e per un secondo a
Smoker sembrò di rivedere in lei Natsuki. Si
domandò quanto sarebbe
bastato perché Hina tornasse ad essere la bambina solitaria
e chiusa
in sé stessa che aveva conosciuto anni prima, e si rese
conto che la
possibilità di veder Hina ridotta in quel modo sarebbe stato
ancora
peggio che perderla.
«Se
lo dici a qualcuno negherò fino alla morte»
sibilò quindi,
allungando le braccia verso di lei, afferrandola con forza per la
vita e tirandosela in braccio.
La
sua mano destra scivolò lungo la vita dell’amica,
tenendola
stretta saldamente al suo petto, mentre con la sinistra le
accarezzò
leggermente il viso, rosso per l’imbarazzo.
«Lo
dirò una volta sola e non lo ripeterò, per cui
vedi di ascoltarmi
molto bene» disse, con il viso a pochi centimetri di distanza
da
quello di Hina «Venire a patti con il fatto che te ne fossi
andata è
stata la cosa più difficile che abbia dovuto affrontare da
quando…
Beh, da anni. E quando ho capito perché l’avessi
fatto ho
seriamente temuto di averti perso, perché so di non essere
molto
sveglio per certe cose, non ci ho mai fatto caso e non mi interessano
nemmeno».
«Klutz»
mormorò Hina, piano sorridendo.
«Già.
Però in questi due anni credo di averle capite alcune
cose» si
interruppe, cercando le parole giuste, parole che non gli era mai
stato facile pronunciare «Ti voglio bene. Te ne ho voluto
quando ti
ho conosciuto, sei stata la prima persona che non mi ha giudicato per
quello che sembravo, ma che ha aspettato di conoscermi. Sei stata la
mia prima amica, una sorella, una confidente e, quando siamo
cresciuti, mi sono reso conto che non mi bastava più, ma
quando sono
riuscito ad accettare la cosa tu eri già partita».
«Non
sono sicura di avere capito».
«Pensavo
che le donne fossero tutte uguali e anche che le amicizie, tolta la
patina iniziale che le distingue, fossero tutte uguali, ma non
è
così, mi sbagliavo. Ci sei tu e poi c’è
tutto il resto».
Si
grattò distrattamente la testa, in evidente
difficoltà, cercando di
arrivare alla parte che per lui era sempre stata la più
difficile,
soprattutto da accettare.
«So
di non essere una persona facile da gestire, faccio sempre di testa
mia e alla fine spesso prendo decisioni del cazzo con la convinzione
di fare la cosa giusta, ma -»
«Il
punto» lo interruppe Hina con gentilezza «Ti stai
impappinando,
arriva al punto».
«Il
punto, rompipalle che non sei altro, è questo»
sbottò quindi
perdendo la pazienza e, con un movimento repentino del busto, si
piegò su di lei, chiudendo le sue labbra in un bacio.
Erano
passati dieci anni da quel primo bacio timido e impacciato scambiato
da due ragazzini su un molo solitario, dieci anni in cui entrambi non
ne avevano mai parlato fingendo che non fosse davvero successo; in
quel momento, a distanza di così tanto tempo, con la
consapevolezza
dell’età adulta e il cuore carico di aspettative,
a Hina sembrò
di rivivere la stessa scena. Questa volta, però, a baciarla
non era
un quattordicenne imbranato, senza alcuna consapevolezza di
ciò che
stava facendo; questa volta nessuno dei due aveva intenzione di
sottrarsi a quel bacio, soprattutto non lei che lo aveva desiderato
così a lungo senza mai concedersi il lusso di ammetterlo a
sé
stessa. Le labbra di Smoker erano inaspettatamente morbide e la
delicatezza iniziale sparì assieme alle incertezze e ai
dubbi che
entrambi si erano portati dietro negli anni non appena Hina
ricambiò
il bacio, lasciando che le sue mani candide scivolassero lungo il
collo e quindi ad accarezzare la nuca rasata dell’uomo.
«Stai
bene?» domandò, staccandosi leggermente da lei e
passandole una
mano tra i capelli corti.
«Hina
è senza parole» disse piano, annuendo appena.
«Che
miracolo».
«Stai
zitto, stupido schmeckle».
«Stupido
sì, quanto a schmeckle… non credo
proprio» borbottò il ragazzo,
tirandosela ancora più vicina e tornando a baciarla.
C’era
una foga, nei suoi baci, che Hina non aveva mai sperimentato prima;
non ci volle molto per ritrovarsi a cavalcioni su di lui, mentre le
mani di Smoker scendevano a esplorare il suo corpo, cercando di
slacciare la giacca del completo, infilandosi tra i bottoni della
camicetta.
«Aspetta,
aspetta. E se tornasse qualcuno?»
«Con
il rischio di venire pestato a sangue da entrambi? Fidati, non
accadrà» rispose l’uomo, chinandosi sul
suo collo e facendo
scivolare con delicatezza inaspettata gli indumenti dalle spalle
della ragazza.
Hina
lasciò che la spingesse contro il pavimento di legno della
palestra,
inarcò la schiena nel percepire la sua bocca scendere
dall’incavo
del suo collo verso il suo petto e quando, slacciato con non poca
difficoltà il reggiseno di pizzo, sentì le mani
di Smoker
stringersi a coppa sui suoi seni grandi e sodi, non riuscì a
trattenere un gemito.
«Sarà
più divertente di quanto pensassi
all’inizio» mormorò l’uomo
facendo scivolare la mano sinistra fino a slacciarle il bottone dei
pantaloni
«Hina
lo spera proprio» mormorò lei, respingendolo con
un gesto gentile e
avvicinandoglisi con decisione. Gli passò le mani sulla
giacca,
facendola scivolare oltre le spalle e rimase a osservare qualche
secondo il petto nudo dell’uomo. Quindi, senza la minima
traccia di
imbarazzo iniziò a slacciargli la cintura dei pantaloni.
«Aspetta,
aspetta» la bloccò Smoker, mettendosi a sedere
«Sei sicura? Nel
senso non è che stiamo bruciando qualche tappa di
troppo?»
Hina
roteò gli occhi verso il cielo, seccata per
l’interruzione, e dopo
essersi messa in piedi si spogliò completamente guardandolo
con aria
di sfida.
«Sì,
Hina è parecchio sicura, Klutz, grazie per averci pensato
per
tempo».
Smoker
scoppiò a ridere, afferrò con la mano uno dei
polsi della ragazza e
se la tirò addosso, accarezzando con delicatezza quel corpo
nudo.
«Non
credo che sarò molto gentile».
«E
quando mai lo sei stato?»
Non
fu breve, ma fu intenso, e in diversi momenti Hina ringraziò
che
fossero così isolati e che nessuno dei loro amici avesse
avuto la
malsana idea di venirli a cercare.
Seduta
tra le gambe aperte di Smoker, con la schiena appoggiata al suo
petto, rimase a guardare l’alba che lenta si levava
all’orizzonte,
mentre con tono pacato, raccontava a Smoker cosa aveva fatto in quel
tempo.
«Quando
è stato?» chiese improvvisamente l’uomo,
accendendosi un sigaro.
«Cosa?»
«La
prima volta».
Hina
girò la testa di scatto, fissandolo con aria truce.
«È
importante?»
«Avevo
19 anni ed eravamo ancora a Karate Island, ti ricordi quella sera in
cui tua nonna e-»
«Hina
non lo vuole sapere, non mi interessa proprio» gli disse,
interrompendolo. E in effetti davvero non le interessava.
Rimase
in silenzio per qualche istante, quindi si passò una mano
tra i
capelli e accendendosi una sigaretta riprese a parlare.
«A
Water Seven, quella sera. Hina era furibonda con voi» disse
«Avevi
quel sorriso da stronzo sulla faccia, e ogni volta che ci pensavo mi
saliva un travaso di bile. Fu l’unico, in quel momento a
interessarsi a me come persona, e io di sicuro non stavo aspettando
il matrimonio».
«Tuo
padre sarà felice di sapere che l’averti portato
in chiesa per
anni non è servito a una sega. Chi era?»
«Un
carpentiere» rispose Hina, rimanendo sul vago.
Non
si era mai pentita di quella notte a Water Seven e per quanto lei e
Smoker avessero condiviso ogni cosa da quando si erano conosciuti,
aveva deciso che quello era un ricordo che preferiva conservare solo
per sé.
«Hina».
«Hina
sa cosa vuoi dire, Smoker. Ed è d’accordo: questo
non cambia
niente» disse la ragazza a mezza voce «E non
è solo perché ti ho
fatto una promessa anni fa, ma perché penso davvero che
andando
avanti su questa strada potresti fare la differenza».
Aokiji
detestava essere disturbato mentre leggeva, gli scocciava che lo
interrompessero mentre mangiava, ma più di tutto lo irritava
profondamente che lo svegliassero mentre dormiva. A dirla tutta
Aokiji detestava essere disturbato e basta, ma aveva imparato, con
gli anni, che non c’era modo per evitare le insistenti
pressioni di
Smoker. Quando il giovane si metteva in testa di parlargli non
c’era
proprio verso di dissuaderlo; in fondo l’Ammiraglio lo aveva
preso
in simpatia, si riteneva in parte responsabile per il suo ingresso in
marina, consapevole di essere stato uno dei maggiori fattori di
persuasione nella decisione presa dall’amico anni prima.
«Spero
per te che sia importante questa volta».
«Eh
già, non vorrei mai distrarti dai tuoi
doveri…» frecciò Smoker
osservando il cuscino appoggiato in bella vista sulla scrivania.
«Potrei
farti punire per insubordinazione».
«Sei
troppo pigro. Prenderò seriamente le tue minacce quando
inizierò a
trovarti mentre stai effettivamente facendo qualcosa»
borbottò
Smoker sedendosi sulla sedia dalla parte opposta del tavolo.
«Che
posso fare te?» domandò Aokiji con rassegnazione.
«Tra
una settimana è il mio compleanno».
«Buon
per te».
«Fammi
finire. Ogni anno io e Hina festeggiamo il 9 i nostri compleanni, una
data a metà tra il suo e il mio e, come probabilmente
sapresti se
nella vita facessi qualcosa, oggi è il nove».
«Auguri
a te. Posso tornare a dormire?»
«Non
è quello il punto!» sbraitò Smoker
massaggiandosi una tempia e
accendendosi un sigaro «Hina ha fatto leva su alcune
connessioni e
ha utilizzato parte dei soldi della sua famiglia per comprare dei
frutti del diavolo sostenendo che “Se vogliamo salire di
grado
questi sono una risorsa da non sottovalutare”».
«Non
capisco il problema» notò Aokiji, sbadigliando
appena.
«Ho
rifiutato».
«Perché
sei un deficiente, ma questa non è una
novità».
L’Ammiragliò
si appoggiò allo schienale della sedia e mise con
nonchalance i
piedi sul tavolo, iniziando a dondolarsi.
«Quanti
anni fai quest’anno, Smoker?» domandò
quindi.
«Ventisette»
sbottò l’uomo.
«Sei
un marine, Smoker. Volente o nolente che tu sia, verrai sballottato
da una parte all’altra del globo. Se sarai fortunato verrai
assegnato a uno dei quattro mari esterni, se non lo sarai finirai
sulla rotta maggiore o, peggio, nel nuovo mondo. Come pensi che farai
a sopravvivere a quel punto? Farai affidamento sulla forza dei tuoi
pugni? Hai scelto tu questa vita, e ti assicuro che è quel
genere di
vita dove per sopravvivere devi continuare a scalare la vetta, salire
verso l’altro e se per questo dovrai ingoiare un
po’ di orgoglio
e accettare il regalo di un’amica, a meno che tu non voglia
rimanere Maresciallo a vita. In ogni caso, ti consiglio di pensarci
bene, perché certe opportunità non capitano tutti
i giorni e la
marina non ha soldi, né intenzione di investire in ogni
singolo
ufficiale minore».
Smoker
digrignò i denti in una smorfia di disappunto, non era certo
la
risposta che si aspettava, ma raramente Aokiji dava la risposta che
ci si sarebbe voluta sentire; era sempre stato una guida e continuava
ad esserlo, spingendolo a pensare con la propria testa, a decidere da
solo cosa fosse la giustizia senza sottomettersi ciecamente a un
insieme di leggi. Era stato un amico e un padre e, nonostante si
trovasse di fronte a una testa di legno, continuava a cercare di
insegnargli cosa volesse dire affrontare la vita.
«Ora,
se vuoi un consiglio da amico, torna dalla giovane e affascinante
nipote di Akainu, accetta il suo regalo e se proprio senti che questo
va a minare il tuo orgoglio cerca di farle un regalo che possa farle
altrettanto piacere» borbottò l’uomo
«Adesso, se non ti spiace,
fuori. Sciò. Ho cose importanti da fare».
Smoker
si ritrovò a camminare lungo la banchina con un muso lungo e
un’irritazione crescente, la strada da prendere la conosceva
fin
troppo bene e quando raggiunse la porta dell’appartamento di
Hina
si bloccò di colpo, rimanendo ad ascoltare il sommesso
brusio che
proveniva dall’interno. Non fece nemmeno in tempo ad
allungare la
mano verso la maniglia che l’uscio si aprì di
scatto e Hina gli
andò a sbattere contro, cadendo rovinosamente a terra.
«Che
seccatura» sibilò «Hina è
seccata».
«Lo
so» rispose scavalcandola ed entrando in casa.
«Hai
ventisette anni, non ti sembra il caso di piantarla di fare testa o
croce quando vuoi scaricare la patata bollente?»
domandò la ragazza
con tono irato «Testa accetto il tuo regalo, croce non lo
accetto? È
un fottuto regalo, lo accetti e basta!»
«Lo
accetto».
«Cosa?»
chiese Hina interdetta «Davvero? Oh, meno male! Quale
vuoi?»
Sul
tavolo spiccavano in bella vista due frutti bitorzoluti dalla forma
poco rassicurante; seduti attorno ad esso Drake e una Bonney di circa
quindici anni li osservavano con aria annoiata.
«Possiamo
vedere cosa fanno?» domandò sua cugina, masticando
per inerzia dei
marshmellow.
«Vi
prego, ho una riunione dei Capitani tra due ore» li
implorò Drake,
accarezzandosi la cicatrice sul mento.
Smoker
e Hina si fissarono per qualche istante, indecisi, alla fine fu la
ragazza ad avvicinarsi al tavolo con un coltello e a sedersi di
fronte a un frutto viola scuro dalla forma simile a quella di un
verme; dall’altra parte del tavolo Smoker fissò il
piatto con il
suo contenuto color grigio topo, almeno aveva una forma sferica,
pensò.
«Se
dovesse darmi qualche potere deficiente tipo quello del Vice
Ammiraglio Dalmata sappi che ti odierò per sempre».
«Hina
ci convivrà» borbottò la ragazza,
tagliando uno spicchio e
portandoselo alla bocca.
«Disgustoso,
vero?» chiese Bonney, improvvisamente interessata, scoppiando
a
ridere di fronte alla faccia disgustata di sua cugina.
«Sta
roba fa vomitare» mugugnò Smoker, ingoiando a
fatica.
Si
fissarono per qualche secondo, osservando le rispettive espressioni
schifate senza trovare la forza di prendersi in giro a vicenda,
quindi presero a guardarsi le mani e a cercare mutamenti invisibili
sul loro corpo.
«E
ora?» domandò Hina, sollevando il capo verso Drake.
«E
che ne so io, prova a fare qualcosa».
«Qualcosa
cosa?» chiese Smoker a sua volta, accendendosi un sigaro nel
tentativo di eliminare quel sapore disgustoso.
«Tipo
quello, probabilmente» notò Hina, indicando la sua
mano che andava
dissolvendosi in fumo a contatto col fumo stesso sigaro.
«Che
cazzo!»
«No,
se mai che culo» lo corresse Drake «Ad occhio
è croce dovrebbe
essere un Rogia».
«E
tu, invece?» domandò Bonney afferrando un libro e
lanciandolo
contro la cugina.
Hina
allungò il braccio, nel tentativo di prenderlo al volo e
quando la
sua mano incontrò il volume, questo venne avviluppato da uno
spesso
cordone nero di un materiale simile a gomma e ricadde pesantemente a
terra.
«Che
diavolo?» domandò Smoker avvicinandosi.
«È
solido» constatò la ragazza toccando il materiale
«Sembra quasi
una sorta di nastro di ferro».
«Potrebbe
avere risvolti più utili di quanto non pensi» fece
notare Drake,
per poi affrettarsi a specificare di fronte all’occhiata
penetrante
di Smoker «Sul lavoro! Intendevo sul lavoro!»
«Che
facciamo ora?» chiese Hina, che non aveva pensato bene a
quale
sarebbe stato il passo successivo una volta ottenuti i frutti.
«Non
che abbiamo molta scelta, per regolamento dobbiamo seguire
l’addestramento speciale di Zephyr».
«Come
tornare a sentirsi una recluta a venticinque anni»
borbottò la
ragazza.
«Figurati
come mi sento io».
«Fammi
capire» domandò Hina strabuzzando gli occhi e
rigirandosi la
lettera di trasferimento tra le mani «Come ci sei
riuscito?»
L’uomo
sollevò le spalle, sistemandosi i sigari nelle apposite
fessure
sulla giacca.
«So
essere convincente» dichiarò.
«Le
hai rotto le palle finché non ti ha detto sì, non
è così?»
«Potrebbe
essere» concesse.
Non
era stato facile persuadere la vecchia Tsuru a prendere Hina nel suo
reparto, la selezione era accurata e metodica e il Vice Ammiraglio
sceglieva personalmente chi portare con sé nei suoi viaggi;
tuttavia, trascorrere qualche mese sotto la sua supervisione non
poteva che essere una nota di merito per qualunque donna che avesse
deciso di arruolarsi in marina. Avere lavorato con lei era una
garanzia di qualità e si diceva anche la giovane e
affascinante
nuova Vice Ammiraglia Momousagi fosse stata una sua protetta.
Hina
strinse la lettera, con aria deliziata, e gli gettò le
braccia al
collo, depositando un bacio veloce sulle labbra dell’uomo.
«Grazie!
Hina è davvero, davvero felice!»
«Lo
so».
«Non
tirartela troppo» lo rimbeccò, senza
però smettere di sorridere.
Smoker
sollevò le spalle e si lasciò cadere a sedere sul
divano bianco del
salotto, osservando a occhi socchiusi Hina che cercava di sistemare
una lista di priorità.
«Oh,
dovrei andare ad avvisare mio zio» borbottò
storcendo il naso
«Meglio che vada subito prima che mi passi di
mente».
«Io
non mi muovo da qui».
«Come
ti pare, ma non fumare troppo in casa. A Hina fa schifo
l’odore di
sigaro sui mobili».
Smoker
non si premurò nemmeno di rispondere, agitando la mano come
a
scacciare una mosca e reprimendo un sorrisino compiaciuto nel sentire
il gemito di irritazione della ragazza mentre chiudeva la porta;
rimase ad osservare l’appartamento vuoto e immacolato
dell’amica
per qualche istante. Le pareti bianche, decorate da pochi semplici
quadri, le fotografie disposte con ordine sul cassettone del salotto,
i piatti dipinti a mano che le aveva regalato sua zia quando si era
comprata quella casa.
Non
fece troppo caso alla porta che si apriva e degnò Cancer di
uno
sguardo solo quando questo aprì la bocca per parlare.
«Non
è in casa» gli fece notare.
«Come
sarebbe non è in casa» si lamento Brandnew da
dietro le spalle del
biondo.
«È
andata da suo zio a comunicargli il trasferimento».
«Quale
trasferimento?» domandò Cancer, lasciandosi cadere
a sedere sopra
una sedia senza tanti complimenti, la sua giacca da retro-ammiraglio
scivolò lungo lo schienale e rimase a penzolare.
«Tsuru.
Tra due giorni».
«Non
sono sicuro di avere capito» borbottò Brandnew
aggrottando le
sopracciglia.
«Già
pensavamo avrebbe fatto richiesta per entrare da Aokiji con
te».
Lo
sguardo di sufficienza che Smoker gettò loro fu talmente
eloquente
da spingere Cancer a sollevare le mani in segno di resa.
«Cazzi
vostri, ho capito. Non mi sembra una scelta intelligente per una
relazione stabile, però. E questo è solo il mio
modesto parere di
cui non ti è mai importato una minchia».
«Se
lo sai, perché ogni singola volta devi venire a dirmi quello
che
pensi?»
«Perché
infastidirti è il mio hobby, mi pare chiaro»
scoppiò a ridere
l’amico.
«Fottiti,
Cancer» sbottò Smoker, sollevando il dito medio
«In ogni caso né
io né Hina abbiamo problemi con la cosa, non vedo
perché dovresti
averne tu».
«Perché
io, nonostante quello che tutti pensate, ho un cuore di burro e non
riuscirei a stare così lontano dalla mia dolce
metà».
Smoker
lo guardò allo stesso modo in cui si guardano i deficienti,
mentre
Brandnew, seduto su una delle poltrone vicino alla finestra,
sollevò
le sopracciglia con aria divertita.
«Hina
mi sembra tutto meno che dolce» dichiarò.
«Senza
contare» continuò Smoker dandogli ragione
«Che la nostra relazione
non è esattamente di pubblico dominio, se dovesse arrivare
alle
orecchie dell’ammiragliato danneggerebbe sia la sua carriera
che la
mia».
«È
una questione di carriera? Seriamente?»
«Credi
che per lei non lo sia? Credi che Hina sia una persona così
debole
da non sopportare la distanza o la solitudine? Quella donna
è fatta
di acciaio, lasciatelo dire».
Cancer
sospirò, rassegnato.
«La
fiducia cieca che avete l’uno nell’altra mi
destabilizza, ma chi
sono io per giudicare».
«Soprattutto
quando non riesci a tenerti una donna per più di due
settimane,
figurarsi per una vita» fece notare Brandnew, ignorando il
dito
medio che si sollevò in risposta.
«Quindi
in due giorni parte con la terza divisione e chissà quando
la
rivedremo. È un po’ triste questa cosa. Prima i
vostri nuovi
frutti del diavolo, ora le riassegnazioni».
«Chi
l’avrebbe detto che fossi un vecchio sentimentale»
lo prese in
giro Brandnew.
«Non
siamo tutti culo e camicia con l’uniforme come te, demente,
ho
anche dei sentimenti io!»
«Cosa
vuoi che ti dica, Cancer» rispose Smoker tirandosi in piedi e
affacciandosi alla finestra, una larga vetrata che offriva una vista
sull’intera baia di Marineford «È un
nuovo inizio».
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